ENIT al Meeting di Rimini 2019. La città che in quei giorni diventa capitale della cultura internazionale, è invasa dal "popolo del Meeting” proveniente da ogni parte del mondo per un evento che si ripete dai primi anni Ottanta. Sin dalla sua origine il Meeting ha scommesso su senso di umanità, verità, giustizia che don Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, ha chiamato esperienza elementare, terreno comune per l’incontro e il dialogo. Nella foto Giovanni Bastianelli, Direttore Esecutivo ENIT (Agenzia Nazionale del Turismo); Sergio Emidio Bini, Assessore alle Attività Produttive e Turismo della Regione Friuli Venezia Giulia; Manfredi Catella, CEO di Coima Res. Introduce Luigi Benatti, Architetto Partner Studio TECO+.
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ENIT AL MEETING DI RIMINI 2019
ENIT al Meeting di Rimini 2019. La città che in quei giorni diventa capitale della cultura internazionale, è invasa dal "popolo del Meeting” proveniente da ogni parte del mondo per un evento che si ripete dai primi anni Ottanta. Sin dalla sua origine il Meeting ha scommesso su senso di umanità, verità, giustizia che don Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, ha chiamato esperienza elementare, terreno comune per l’incontro e il dialogo. Nella foto Giovanni Bastianelli, Direttore Esecutivo ENIT (Agenzia Nazionale del Turismo); Sergio Emidio Bini, Assessore alle Attività Produttive e Turismo della Regione Friuli Venezia Giulia; Manfredi Catella, CEO di Coima Res. Introduce Luigi Benatti, Architetto Partner Studio TECO+.
Enit Turismo: Bini, “valorizzare l’identità dei territori” #Meeting2019
“Valorizzare l’identità dei territori attraverso una progettazione culturale e turistica che consideri la destinazione non solo come contenitore di risorse storiche, architettoniche, naturali ma in termini di persone che vivono quello spazio, elaborando progetti di turismo sostenibile in grado di valorizzare le città preservandone l’autenticità”.
Lo ha detto, oggi, in occasione del 40mo meeting per l’Amicizia fra i popoli, a Rimini, l’assessore regionale al Turismo, Sergio Emidio Bini, durante la tavola rotonda “La città. Progetti, turismo, valorizzazione”.
In dialogo con Giovanni Bastianelli, direttore esecutivo Enit (agenzia nazionale turismo) e Manfredi Catella, Ceo di Coima Res, Bini ha affrontato le tematiche relative all’impatto del turismo nella trasformazione del tessuto urbano e all’impatto delle politiche agricole e alimentari sul turismo e sull’evoluzione delle città.
“I turisti possono usufruire di servizi pensati e proposti per i residenti, quando non sono in numero superiore a questi ultimi, ritrovando quindi elementi di tipicità e autenticità, ma se invece accade il contrario – ha chiarito Bini -, gli abitanti della città sono costretti ad usufruire di servizi studiati per i turisti con il rischio che le città turistiche perdano, progressivamente, la loro allure più autentica.
Il pericolo evidente è un’omologazione globale, ovvero tanti luoghi strutturati nello stesso format: musei, chiese, ristoranti, concerti, app”.
Per l’assessore bisogna superare la visione che identifica l’offerta culturale solo con il patrimonio strettamente inteso e orientarsi alla produzione culturale, ovvero tutti quegli elementi che valorizzano l’identità di un territorio sia per i cittadini che per i visitatori.
“Questo può avvenire – ha indicato Bini – con determinati eventi di altissimo livello che non sono elementi di intrattenimento turistico fine a se stesso ma che hanno il pregio di coniugare sostenibilità del turismo con il benessere dei cittadini residenti e la soddisfazione dei turisti”.
Oggi a Rimini, Bini ha anche tenuto a battesimo il nuovo logo dedicato alla promozione enogastronomica del Friuli Venezia Giulia ribadendo come l’enogastronomia in Friuli Venezia Giulia “rappresenti una forma di turismo capace di mettere in vetrina non soltanto i prodotti ma anche i processi, e con questi il territorio su cui si sviluppano, offrendo agli ospiti esperienze indimenticabili e di ampio respiro”.
Bini infine ha sottolineato l’impegno ad incrementare il turismo lento: “una filosofia di vivere, prima di essere qualcosa applicata al viaggio. Turismo lento significa promuovere la qualità e l’esperienza contrapponendosi al turismo di massa, veloce e di consumo che poco valorizza le tipicità di un luogo.
L’autenticità, la contaminazione, la sostenibilità, l’accessibilità, il rispetto sono aspetti che vengono sempre più ricercati da un certo tipo di turista a cui noi siamo particolarmente attenti. Su questo la nostra regione fino ad ora si è saputa muovere bene e il mio impegno continuerà ad essere massimo”.
Grandi fotografi al #Meeting2019 Nella mostra dedicata al sogno americano e agli esiti sociali della crisi economica, il racconto per immagini, musica e voci
Dal 18 al 24 agosto, al Meeting per l’amicizia fra i popoli, a Rimini, sarà
possibile visitare la mostra Bolle, pionieri e la ragazza di Hong Kong,
realizzata da un gruppo di artisti e professionisti che vivono e lavorano negli
Stati Uniti.
La mostra è un viaggio alla ricerca dell’identità del
grande Paese d’oltreoceano lungo il racconto della vita di tanti suoi
protagonisti, personaggi illustri, come Martin Luther King e Buzz Aldrin,
insieme a gente comune, come schiavi, contadini e madri di famiglia.
L’obiettivo è individuare l’essenza del cosiddetto
“esperimento americano” e trarre criteri e spunti per comprendere meglio il
momento storico che sta attraversando tutto l’Occidente.
Il percorso di musica, voci e immagini si caratterizza
per le installazioni che permettono di immergersi nelle vicende di tante donne e
tanti uomini che, con le loro scelte e le loro vite, hanno dato forma a questo
Paese.
La mostra propone quattro passaggi in quattro stanze. La
prima è dedicata a “Pionieri e astronauti”. Lo spirito d’avventura
che emerge dalle lettere e dai diari dei pionieri è lo stesso che spinge gli
astronauti ad arrivare sulla Luna. Insieme, per entrambi, alla sfida del “grande
silenzio” che esalta le domande più profonde. Le proiezioni a 270 gradi
delle sconfinate distese americane sono quelle catturate dai pluripremiati
scatti time-lapse del fotografo americano Randy Halverson, apparsi in
servizi su CNN, National Geographic, The Atlantic, Daily Mail, Huffington Post,
Discovery Channel, Gizmodo, e Wired.
Poi si passa al racconto di “Schiavitù e 11
settembre”. In questa sezione vengono documentate due gravi esperienze di
male. Testimonianze e interviste propongono racconti e risposte di chi è passato
attraverso la schiavitù, mentre contributi di scrittori e giornalisti rivivono
il dramma della caduta delle Torri Gemelle a New York.
Le storie narrate mostrano un’esperienza umana senza
tempo, ben raffigurata dai ritratti di homeless moderni scattati da un altro
grande fotografo contemporaneo, Lee Jeffries. Servizi sulle sue
fotografie sono apparsi sul Time, The Independent, The Guardian, Huffington
Post, Nikon Magazine, British Airways High Life, sulla CNN, BBC News-Night, e
Telematin. Le sue fotografie sono state esposte a Londra, Parigi, New York,
Roma, Stoccolma e Napoli.
Il terzo passaggio della mostra sarà attraverso “La
bolla”. Di fronte all’incertezza generata dal male e dalla crisi d’identità
contemporanea vengono proposte due alternative: rifugiarsi in “bolle” per
cercare di ignorare e rendere innocua la paura del buio, oppure continuare a
cercare una risposta che possa sconfiggere le tenebre, come hanno fatto i
discendenti degli schiavi.
Il video qui proposto è stato realizzato da Jim
Fields, premiato documentarista, che ha ricevuto un Emmy per un documentario
su Haiti.
Passaggio finale, “La ragazza di Hong Kong”. Un
dialogo tra la storia personale dell’ex membro di gang e oggi attore di
Hollywood Richard Cabral, tratta dal suo monologo teatrale
autobiografico, e le riflessioni dello scrittore James Baldwin,
accompagnato nuovamente dagli scatti di Lee Jeffries. Quello che qui è
proposto come possibilità di uscire dalle tenebre e dalla crisi è il miracolo di
trovare un amore “forte abbastanza da guidare e condurre verso la scoperta e
l’accettazione della propria identità”.
Il “narratore” principale del percorso espositivo è la
MUSICA, composta da due musicisti newyorkesi, Jonathan Fields e
Christopher Vath. Lo SPAZIO dell’intero percorso è stato progettato da
Paolo Palamara, fondatore e co-presidente di Diamante Development Corporation a
Toronto (Canada).
La mostra è stata realizzata da: Martina Saltamacchia,
Professore Associato di Storia Medievale e direttore di Medieval/Renaissance
Studies all’University of Nebraska; José Medina, educatore e insegnante; Michele
Averchi, professore di Filosofia a Catholic University; T.J. Berden, produttore
cinematografico a Hollywood e presidente di Big Sur Entertainment, produttore
del film Paolo, l’Apostolo di Cristo; Maurizio Capuzzo, Chief Marketing Officer
di ES Group; Jonathan Fields, compositore di musica per film e pubblicità;
Jonathan Ghaly, rappresentante immobiliare di Denver; Chris Vath, musicista e
compositore. Il catalogo della mostra, in edizione italiana, è pubblicato da
Concreo edizioni ed è disponibile all’acquisto presso il bookshop della
mostra.
Restando in tema di fotografia al Meeting, domenica 18
agosto 2019, in occasione della giornata inaugurale, arriverà in fiera il grande
fotografo italo americano Tony Vaccaro. Ai suoi scatti più celebri,
quelli della seconda guerra mondiale, come quelli alle dive di Hollywood, il
#meeting19 ha dedicato una mostra: “Tony Vaccaro, il fotografo dell’umano”. «La
fotografia – spiega –
è una passione per me, perché è il linguaggio che io ho scelto, ogni
fotografia è un messaggio. Io amo le persone». La mostra si propone di mettere
in luce che per Tony Vaccaro la vita, pur segnata da drammi e difficoltà, può
sempre essere un’opportunità. Le fotografie di Vaccaro raccontano settant’anni
di storia dell’Occidente restituendo sempre una fiducia e una speranza
nell’avvenire e testimoniando che la vita è determinata da ciò su cui l’uomo
fissa lo sguardo. L’incontro con il maestro della fotografia mondiale si
svolgerà alle 17 in Sala Neri UnipolSai.
Sette incontri da non perdere al Meeting ‘19
Ogni giorno alle 15 in Auditorium
Intesa Sanpaolo B3
i convegni che rappresentano il filo conduttore della manifestazione
i convegni che rappresentano il filo conduttore della manifestazione
Rimini, 11 ago. 2019 - Da dove nasce l’io? Da dove viene
il “volto” di ciascuno di noi? Cosa dà peso e significato irriducibile al nostro
nome? I versi tratti da una poesia di Karol Wojtyla, che danno il titolo al
Meeting 2019, mettono a fuoco il fatto che il proprio nome, cioè la propria
consistenza umana, nasce da quello che si fissa, e cioè dal rapporto con un
altro da sé. Nell’edizione del Quarantennale del Meeting saranno soprattutto i
convegni che si tengono ogni giorno, alle 15.00 nell’Auditorium Intesa
Sanpaolo B3 a svolgere questi temi, come un filo conduttore della
manifestazione. Gli incontri delle 15 coinvolgeranno personaggi di primo piano
della politica e della scienza, della cultura e dell’arte su temi che poi
ritroveremo in mostre, convegni, spettacoli del Meeting.
L’incontro inaugurale vedrà, come ogni anno, una
personalità al vertice delle istituzioni riflettere sulle opportunità che i temi
del Meeting offrono alla crescita sociale del nostro Paese: domenica 18 agosto
il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati parlerà di
“Persona e amicizia sociale”, con l’introduzione di Emilia Guarnieri,
presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, e del presidente
della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini.
Lunedì 19 agosto il tradizionale approfondimento sul
titolo del Meeting sarà invece svolto da Guadalupe Arbona Abascal,
critico letterario, editore, docente di Letteratura spagnola e di Letteratura
comparata e scrittura creativa all’Università Complutense di Madrid.
Martedì 20 tornerà al Meeting, a un anno di distanza, il
segretario generale della Lega Musulmana Mondiale Muhammad Bin Abdul Karim
Al-Issa. Il suo dialogo su “Estremismi e convivenza” con il politologo
francese Olivier Roy costituirà il vertice di un’ampia serie di dibattiti
e laboratori dedicati al rapporto con il mondo mediorientale e arabo in
generale.
Mercoledì 21 sarà ancora a tema la politica
internazionale, con un altro fondamentale filone di ricerca, quello sulle nuove
prospettive europee: il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, il
segretario per i rapporti con gli Stati della Santa Sede Richard Paul
Gallagher e il presidente del Delors Institut Enrico Letta si
confronteranno su “Diritti, doveri. Europa: 1979-2019”, appuntamento principale
del ciclo curato da Luciano Violante.
Giovedì 22 agosto l’incontro “Aleppo: un nome e un
futuro” vedrà il racconto su dolori e speranze della città siriana curato da
quattro relatori da essa provenienti: il vicario apostolico George Abou
Khazen, il muftì Sheikh Mahmud Assam, padre Firas Lufti,
responsabile del Terra Sancta College e del Franciscan Care Center di Aleppo e
Binan Kayyali, direttrice del Franciscan Care Center.
Due dibattiti culturali chiuderanno la settimana.
Venerdì 23 Thomas Georgeon, postulatore dei martiri d’Algeria e Javier
Prades Lopez, rettore dell’Università San Damaso di Madrid, introdotti da
Stefano Alberto, docente di Teologia alla Cattolica di Milano, saranno
protagonisti dell’incontro “Liberi di credere”; infine sabato 24 il Meeting
ricorderà “I 50 anni del primo atterraggio dell’uomo sulla luna” Roberto
Battiston, docente di Fisica all’Università di Trento, l’astronauta Paolo
Nespoli e l’ingegnere aerospaziale Mauro Prina. (V.C.)
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale
RANDSTAD AL MEETING DI RIMINI 2019: GLI EVENTI LEGATI AI VALORI DELLO SPORT
comunicato stampa
Randstad, primo operatore mondiale nei servizi HR, organizzerà eventi e workshop con grandi campioni dello sport: una tappa del progetto “Allenarsi per il Futuro” con Moreno Torricelli, Mara Santangelo, Mauro Bergamasco e Matteo Burgsthaler, la presentazione del romanzo biografico di Beppe Bergomi e il workshop Training To Win sulla comunicazione in azienda e nello sport con Moreno Torricelli e Jack Sintini.
Rimini, luglio 2019 – Orientamento al lavoro per studenti e candidati in cerca del primo impiego e la metafora sportiva per ragionare sull’importanza di valori come la condivisione degli obiettivi, il lavoro di squadra, la leadership e l’agilità emotiva anche in un contesto aziendale attraverso la testimonianza di grandi campioni dello sport. Saranno i temi al centro degli appuntamenti che Randstad, primo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, organizzerà nell’ambito del Meeting di Rimini 2019, l’evento promosso dalla Fondazione Meeting per l’amicizia dei popoli presso la Fiera di Rimini dal 18 al 24 agosto, al quale l’agenzia per il lavoro parteciperà con uno spazio espositivo di circa 50 metri quadrati indirizzato all’orientamento, inserimento e reinserimento lavorativo, all’interno del Padiglione del lavoro B1.
Un’attenzione particolare sarà riservata ai giovani e allo sport con workshop ed eventi organizzati presso lo Sport Village – Padiglione A7/C7.
Il 20 agosto alle 16.00, Randstad organizza il workshop “Training To Win. Diventare squadra. Come imparare a passarsi la palla tra campo e azienda”, durante il quale Samuele Robbioni (Counselor in Psicologia dello Sport e docente Randstad HR Solutions), Moreno Torricelli (campione di calcio) e Jack Sintini (campione di volley, ora Sales Manager Randstad Sport) rifletteranno sui temi che legano il settore delle risorse umane al mondo dello sport, come la capacità di lavorare in team e condividere degli obiettivi, la capacità di leadership e di gestire il cambiamento, l’agilità emotiva. Per aver successo, un team deve partire dallo sviluppo personale e professionale delle persone che lo compongono. Ogni persona deve essere consapevole delle proprie capacità per poterle sviluppare e metterle al servizio della squadra, così come ogni leader deve saperle riconoscere e valorizzare al meglio.
Si proseguirà mercoledì 21 agosto alle 16.00 con la presentazione del libro “BELLA ZIO”, romanzo biografico in cui Beppe Bergomi affida alla penna di Andrea Vitali il racconto della sua parabola ascendente. L’incontro vedrà la partecipazione del campione nerazzurro, di Samuele Robbioni (co-autore del libro) e di Jack Sintini.
Infine, giovedì 22 agosto alle ore 16.00 sono in programma le “Mini Olimpiadi di Allenarsi per il Futuro”, il progetto sviluppato in collaborazione con Bosch con l’obiettivo di contrastare la disoccupazione giovanile e prevenire il fenomeno dei NEET (Not in Employment, Education or Training) attraverso l’orientamento scolastico e l’alternanza scuola-lavoro. Attraverso la metafora dello sport, “Allenarsi per il Futuro” intende trasmettere ai giovani l'importanza di compiere scelte professionali corrispondenti alle proprie attitudini e alle richieste del mercato, “allenando” il proprio talento per raggiungere l'obiettivo professionale. Il progetto si avvale della consulenza di EducAllenatori, campioni sportivi di fama internazionale che attraverso il racconto delle loro esperienze trasmettono i valori della passione, dell’impegno, della responsabilità e, soprattutto, dell’allenamento, necessari per avere successo nella vita professionale. I partecipanti alla speciale tappa di “Allenarsi per il Futuro” presso il meeting potranno ascoltare la testimonianza del calciatore Moreno Torricelli, della tennista Mara Santangelo, del rugbista Mauro Bergamasco e del pallavolista Matteo Burgsthaler e alla fine del workshop, avranno la possibilità di scendere in campo con i campioni per attività di introduzione allo sport, presso il Villaggio dello sport.
La partecipazione alle iniziative in programma sarà aperta a tutti.
A proposito di Randstad
RANDSTAD è la multinazionale olandese attiva dal 1960 nella ricerca, selezione, formazione di Risorse Umane e somministrazione di lavoro. Presente in 38 Paesi con 4.826 filiali e 38.820 dipendenti per un fatturato complessivo che ha raggiunto nel 2018 23,8 miliardi di euro - è l’agenzia leader al mondo nei servizi HR. Presente dal 1999 in Italia, RANDSTAD conta ad oggi oltre 2000 dipendenti e 300 filiali a livello nazionale. RANDSTAD è la prima Agenzia per il Lavoro ad avere ottenuto in Italia le certificazioni SA8000 (Social Accountability 8000) e GEEIS (Gender Equality European & International Standard) in materia di “pari opportunità”.
Per maggiori informazioni: www.randstad.it
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Cultura / Teatro Verso il Meeting. Lagerkvist, la fede e... l'attualità di Barabba
In cartellone una pièce teatrale tratta dal romanzo col quale lo scrittore giunse al Nobel. Un’ambientazione moderna per dare voce alle domande dei non credenti dei nostri giorni
da Avvenire
“Midnight Barabba” è prodotto da Meeting Rimini in collaborazione con Avl Tek. Oltre al regista Otello Cenci, coautore del testo con Giampiero Pizzol, hanno contribuito al soggetto Davide Rondoni e Nicola Abbatangelo; scene di Nicola Delli Carri, costumi della Sartoria Shangrillà. Sette gli attori in scena: Raffaello Lombardi, Michele d’Errico, Antonella Carone, Franco Ferrante, Carla Guido, Roberto Petruzzelli e Mimmo Padrone. Lo spettacolo andrà in scena al Teatro Galli il 18 e il 19 agosto alle 20.45 (biglietti su www.vivaticket. it).
La Leporina non sa niente del Maestro. Non sa perché non l’abbia guarita, lasciandole quel viso sfigurato. E non sa perché proprio a lei abbia chiesto di portare testimonianza. Sa solo che non può fare a meno di seguirlo, fino al martirio, fino a essere presa in braccio, per l’ultima volta, dall’unico uomo che sembra averle mai prestato attenzione. Un malfattore, scampato alla croce e destinato ai lavori forzati. Si chiama Barabba e, se il processo non fosse andato com’è andato, sarebbe toccato a lui morire sul Calvario, non a Gesù di Nazareth. Eppure sul Calvario Barabba ci va lo stesso, per contemplare l’agonia del giusto. Per rendere testimonianza, in un certo senso, anche se - almeno in questo - la Leporina è più consapevole di lui, più pronta a obbedire alla chiamata. La tensione fra i due personaggi è uno degli elementi portanti di Barabba, il capolavoro dello scrittore svedese Pär Lagerkvist, che per questo romanzo (ora riproposto da Jaca Book nella classica versione di Giacomo Oreglia e Carlo Picchio e con una nota di Alesandro Ceni, pagine 158, euro 14) ottenne nel 1951 il premio Nobel per la letteratura. Documento di un’inquietudine spirituale che attraversa per intero l’opera di Lagerkvist, Barabba fu trascritto in forma drammatica dallo stesso autore e diede spunto a un fortunato film hollywoodiano, con Anthony Quinn nel ruolo del protagonista.
Del tutto inedito è invece l’adattamento che debutterà a Rimini come spettacolo inaugurale del quarantesimo Meeting per l’amicizia fra i popoli. La rivisitazione si annuncia originale fin dal titolo, Midnight Barabba, che allude alla cornice della messinscena: un party molto sofisticato, nel corso del quale i vari personaggi, tutti intellettuali influenti nella Stoccolma di metà Novecento, si ritrovano a immedesimarsi nelle figure e nelle situazioni del Barabba di Lagerkvist. «Non è un semplice espediente di teatro nel teatro – spiega il regista Otello Cenci, che è anche autore del copione insieme con Giampiero Pizzol –. Al contrario, il confronto col romanzo porta alla luce l’umanità di ciascuno, altrimenti nascosta dalle consuetudini della mondanità. Le maschere sono quelle che i personaggi indossano nella vita quotidiana. L’incontro con le parole di Lagerkvist diventa l’occasione per mostrare il proprio volto, in tutta la sua fragilità e complessità».
Già in precedenza gli spettacoli del Meeting avevano adottato la formula di una fittizia prova generale. «Sì, abbiamo fatto qualcosa di simile per i cori da La Rocca di Eliot e per le parti del Tommaso Moroattribuibili a William Shakespeare – ricorda Cenci –, ma in quei casi c’erano da colmare le lacune presenti nel testo di cui disponevamo. La scelta operata per Barabba è differente. Una versione drammatica esiste già, d’accordo, ma lo stesso Lagerkvist non ne era del tutto soddisfatto: si tratta di una sorta di sacra rappresentazione il cui stile rischia di accentuare la distanza fra la nostra epoca e quella in cui il romanzo fu scritto. Lagerkvist ha operato in un momento storico in cui anche un 'ateo cristiano', quale lui si riteneva, non poteva fare a meno di misurarsi con Cristo. Questa è esattamente la condizione di Barabba nel corso del romanzo: salvato dalla morte di Gesù, continua a essere spiritualmente perseguitato dalla grandezza del suo salvatore. Oggi non è più così, al cristianesimo non si riconosce più cittadinanza nei discorsi della quotidianità. Per questo avevamo bisogno di allestire lo sfondo di un ricevimento in cui tutto è apparenza e in cui, all’improvviso, la realtà fa irruzione sotto forma di domanda radicale».
Anche il poeta Davide Rondoni, che ha contribuito alla stesura del soggetto di Midnight Barabba, insiste sulla necessità di rivalutare l’intuizione fondamentale dello scrittore svedese: «Insieme con pochi altri, tra cui Pier Paolo Pasolini, don Luigi Giussani e Carlo Betocchi, Lagerkvist aveva compreso che in Occidente il cristianesimo non poteva più illudersi di vivere di rendita. Il capitale era stato dilapidato, occorreva ricostruire tornando all’origine essenziale del Vangelo. Di tutto questo il personaggio di Barabba offre una rappresentazione geniale. Non sa da dove gli venga la salvezza perché ignora tutto di se stesso, si muove come uno straniero in una terra nella quale il cristianesimo comincia già germogliare. Per lui l’insegnamento di Gesù è nuovo e misterioso, così come può tornare a esserlo per noi al principio del XXI secolo. Finita la stagione dei trionfalismi, rimane il fascino delle cose vere. Pur nella crisi sua personale e della generazione a cui apparteneva, Lagerkvist disponeva ancora di un linguaggio adeguato a esprimere la profondità di questa ricerca. Un suo verso, in particolare, riassume in modo esemplare l’irrequietezza dei Barabba di ogni epoca: 'Uno sconosciuto è mio amico'».
Uno sconosciuto, non a caso, gioca un ruolo decisivo anche nella partitura di Midnight Barabba: «Ed è proprio la sua presenza a far emergere la personalità autentica degli altri personaggi – osserva Giampiero Pizzol –. Ognuno degli invitati al party allude a una particolare posizione interiore: c’è lo scettico e il curioso, chi si interroga sull’amore e chi preferisce restare in disparte. Lo stesso Barabba, in fondo, sceglie per sé il ruolo dello spettatore ed è per questo che il pubblico può riconoscersi tanto facilmente in lui. Fa pensare a un san Paolo al contrario, recalcitrante di fronte alla conversione, ma ancora capace di consegnare la propria umanità in un abbandono che assume i tratti dell’esperienza mistica».
Barabba in un’incisione ottocentesca
da Avvenire
“Midnight Barabba” è prodotto da Meeting Rimini in collaborazione con Avl Tek. Oltre al regista Otello Cenci, coautore del testo con Giampiero Pizzol, hanno contribuito al soggetto Davide Rondoni e Nicola Abbatangelo; scene di Nicola Delli Carri, costumi della Sartoria Shangrillà. Sette gli attori in scena: Raffaello Lombardi, Michele d’Errico, Antonella Carone, Franco Ferrante, Carla Guido, Roberto Petruzzelli e Mimmo Padrone. Lo spettacolo andrà in scena al Teatro Galli il 18 e il 19 agosto alle 20.45 (biglietti su www.vivaticket. it).
Pär Lagerkvist
La Leporina non sa niente del Maestro. Non sa perché non l’abbia guarita, lasciandole quel viso sfigurato. E non sa perché proprio a lei abbia chiesto di portare testimonianza. Sa solo che non può fare a meno di seguirlo, fino al martirio, fino a essere presa in braccio, per l’ultima volta, dall’unico uomo che sembra averle mai prestato attenzione. Un malfattore, scampato alla croce e destinato ai lavori forzati. Si chiama Barabba e, se il processo non fosse andato com’è andato, sarebbe toccato a lui morire sul Calvario, non a Gesù di Nazareth. Eppure sul Calvario Barabba ci va lo stesso, per contemplare l’agonia del giusto. Per rendere testimonianza, in un certo senso, anche se - almeno in questo - la Leporina è più consapevole di lui, più pronta a obbedire alla chiamata. La tensione fra i due personaggi è uno degli elementi portanti di Barabba, il capolavoro dello scrittore svedese Pär Lagerkvist, che per questo romanzo (ora riproposto da Jaca Book nella classica versione di Giacomo Oreglia e Carlo Picchio e con una nota di Alesandro Ceni, pagine 158, euro 14) ottenne nel 1951 il premio Nobel per la letteratura. Documento di un’inquietudine spirituale che attraversa per intero l’opera di Lagerkvist, Barabba fu trascritto in forma drammatica dallo stesso autore e diede spunto a un fortunato film hollywoodiano, con Anthony Quinn nel ruolo del protagonista.
Del tutto inedito è invece l’adattamento che debutterà a Rimini come spettacolo inaugurale del quarantesimo Meeting per l’amicizia fra i popoli. La rivisitazione si annuncia originale fin dal titolo, Midnight Barabba, che allude alla cornice della messinscena: un party molto sofisticato, nel corso del quale i vari personaggi, tutti intellettuali influenti nella Stoccolma di metà Novecento, si ritrovano a immedesimarsi nelle figure e nelle situazioni del Barabba di Lagerkvist. «Non è un semplice espediente di teatro nel teatro – spiega il regista Otello Cenci, che è anche autore del copione insieme con Giampiero Pizzol –. Al contrario, il confronto col romanzo porta alla luce l’umanità di ciascuno, altrimenti nascosta dalle consuetudini della mondanità. Le maschere sono quelle che i personaggi indossano nella vita quotidiana. L’incontro con le parole di Lagerkvist diventa l’occasione per mostrare il proprio volto, in tutta la sua fragilità e complessità».
Già in precedenza gli spettacoli del Meeting avevano adottato la formula di una fittizia prova generale. «Sì, abbiamo fatto qualcosa di simile per i cori da La Rocca di Eliot e per le parti del Tommaso Moroattribuibili a William Shakespeare – ricorda Cenci –, ma in quei casi c’erano da colmare le lacune presenti nel testo di cui disponevamo. La scelta operata per Barabba è differente. Una versione drammatica esiste già, d’accordo, ma lo stesso Lagerkvist non ne era del tutto soddisfatto: si tratta di una sorta di sacra rappresentazione il cui stile rischia di accentuare la distanza fra la nostra epoca e quella in cui il romanzo fu scritto. Lagerkvist ha operato in un momento storico in cui anche un 'ateo cristiano', quale lui si riteneva, non poteva fare a meno di misurarsi con Cristo. Questa è esattamente la condizione di Barabba nel corso del romanzo: salvato dalla morte di Gesù, continua a essere spiritualmente perseguitato dalla grandezza del suo salvatore. Oggi non è più così, al cristianesimo non si riconosce più cittadinanza nei discorsi della quotidianità. Per questo avevamo bisogno di allestire lo sfondo di un ricevimento in cui tutto è apparenza e in cui, all’improvviso, la realtà fa irruzione sotto forma di domanda radicale».
Anche il poeta Davide Rondoni, che ha contribuito alla stesura del soggetto di Midnight Barabba, insiste sulla necessità di rivalutare l’intuizione fondamentale dello scrittore svedese: «Insieme con pochi altri, tra cui Pier Paolo Pasolini, don Luigi Giussani e Carlo Betocchi, Lagerkvist aveva compreso che in Occidente il cristianesimo non poteva più illudersi di vivere di rendita. Il capitale era stato dilapidato, occorreva ricostruire tornando all’origine essenziale del Vangelo. Di tutto questo il personaggio di Barabba offre una rappresentazione geniale. Non sa da dove gli venga la salvezza perché ignora tutto di se stesso, si muove come uno straniero in una terra nella quale il cristianesimo comincia già germogliare. Per lui l’insegnamento di Gesù è nuovo e misterioso, così come può tornare a esserlo per noi al principio del XXI secolo. Finita la stagione dei trionfalismi, rimane il fascino delle cose vere. Pur nella crisi sua personale e della generazione a cui apparteneva, Lagerkvist disponeva ancora di un linguaggio adeguato a esprimere la profondità di questa ricerca. Un suo verso, in particolare, riassume in modo esemplare l’irrequietezza dei Barabba di ogni epoca: 'Uno sconosciuto è mio amico'».
Uno sconosciuto, non a caso, gioca un ruolo decisivo anche nella partitura di Midnight Barabba: «Ed è proprio la sua presenza a far emergere la personalità autentica degli altri personaggi – osserva Giampiero Pizzol –. Ognuno degli invitati al party allude a una particolare posizione interiore: c’è lo scettico e il curioso, chi si interroga sull’amore e chi preferisce restare in disparte. Lo stesso Barabba, in fondo, sceglie per sé il ruolo dello spettatore ed è per questo che il pubblico può riconoscersi tanto facilmente in lui. Fa pensare a un san Paolo al contrario, recalcitrante di fronte alla conversione, ma ancora capace di consegnare la propria umanità in un abbandono che assume i tratti dell’esperienza mistica».
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Il sociologo Abbruzzese: "Il Meeting di Rimini? Un luogo da cui ricominciare"
da buongiornorimini.it
Il Meeting di Rimini? «E' innanzitutto un ambiente di vita, un ambiente morale. Non solo una serie di conferenze alle quali si assiste. - afferma il sociologo Salvatore Abbruzzese, docente di Sociologia della Religione all’Università degli Studi di Trento - È una modalità di attenzione al nostro Paese, a ciò che accade nel mondo, e soprattutto alla persona. Mi riferisco non solo ai volontari che sono di più di quel che appare, non solo ai ragazzi ed alle ragazze che vediamo all'opera ma anche a chi non sta nel front line ma ugualmente si spende con gratuità per questo evento». Abbruzzese sarà il protagonista dell'incontro conclusivo del Meeting 2019, dedicato alla presentazione del suo libro sulla storia quarantennale della manifestazione, in uscita da Morcelliana.
Cosa intende per ambiente morale?
«Chi arriva da fuori non può non chiedersi da cosa nasca una certa modalità di rapporto fra le persone, non può non interrogarsi su come le persone che realizzano il Meeting vivano e interagiscano fra di loro. A mio giudizio siamo di fronte ad un'esperienza di sensibilità morale che nasce dalla prospettiva antropologica ed educativa di don Giussani; il nucleo argomentativo sta lì. Nessuno poteva immaginarsi che da una prospettiva di questo tipo potesse nascere un'esperienza così articolata, così potente e così capace di conquistare credibilità anche quando il mondo cambia, i finanziamenti si dimezzano ed il gossip politico perde di qualità; anche quando cambiano i referenti politici, anche quando cambiano i pontificati. È una dinamica impressionante che suscita interesse».
Lei come ha studiato il fenomeno Meeting?
«In primo luogo ho svolto in lavoro di analisi dei documenti: cosa è stato detto al Meeting, che tipo di interventi sono stati fatti, cosa il Meeting ha ricercato, chi ha invitato. Il secondo passaggio è stata l'osservazione diretta: sono stato invitato per quattro volte, altri anni sono andato per conto mio. Conosco bene l'esperienza di Comunione e Liberazione per averci dedicato libri e articoli. Dall'osservazione metodica e dalla lettura dei documenti, ho visto che negli anni il Meeting ha acquisito una legittimazione culturale, testimoniata anche dalla presenza, da un certo momento in poi, dei presidenti della Repubblica. È interessante allora capire come questa legittimazione si sia strutturata, cosa abbia prodotto in termini di cultura, di lettura dei fenomeni emergenti. Il Meeting si è imposto con l'autorevolezza dei contenuti, ma anche per lo stile che non è fatto di contraddittori, né di talk show ma di conferenze seguite con un'attenzione unica da platee di dimensioni impensabili altrove. Il Meeting è uno sguardo aperto sul mondo; una vera e propria finestra sulla realtà. Può sembrare un’affermazione sproporzionata ma non lo è se si pensa chi sia venuto in questi 40 anni e come la manifestazione stia affrontando adesso situazioni nuove come la condizione persecutoria dei cristiani in Medio Oriente, il dialogo interreligioso, l’ondata immigratoria; ma anche come stia costituendo una narrazione nuova della storia e dell'identità nazionale».
Lei ha sottolineato la legittimazione istituzionale. Eppure a volte è sembrato che la presenza dei politici abbia oscurato la vera natura del Meeting, non crede?
«Da sociologo osservo che il Meeting ha fatto una scommessa incredibile; ha scommesso laddove tutti gli altri si sarebbero tirati indietro. Sappiamo come in Italia la dimensione politica sia onnivora e sia in fibrillazione e tensione continua. È difficile parlare di temi che concernono i valori primi e le domande dell’esistenza quando si è in presenza di un politico; è difficile che quest’ultimo non assorba l'attenzione, riducendo tutto alle tematiche di conflittualità immediata, ai “distinguo” tra partiti o all’interno di componenti dello stesso partito. Mi ha sempre colpito la discrasia fra il Meeting vissuto all'interno e i resoconti dei giornali il giorno dopo che parlavano solo di quest’ultima dimensione, come se tutto il resto non avesse la minima importanza. La capacità del Meeting di resistere alla politica, riproponendo le domande essenziali resta allora eccezionale. Ho studiato le domande che le personalità di prima linea del Meeting, gli organizzatori, hanno posto in questi anni ai politici: è emersa una consonanza immediata con le tematiche fondamentali che stanno dentro l'esperienza educativa di Comunione e Liberazione. Queste tematiche sono state costantemente riproposte anche quando, con un politico, sarebbe stato più facile andare sui temi consueti del vocabolario dominante. Il Meeting manifesta un capacità di gestire una dimensione che altrove sarebbe assolutamente prevaricante e monopolizzatrice. Questa è la spia che il Meeting ha qualcosa di diverso. Si capisce che c'è dietro qualcosa di solido che riesce a reggere il confronto».
E cosa è questo qualcosa di solido?
«La sostanza è nel senso religioso di don Giussani, che è attenzione commossa alle esigenze umane dentro il reale. È l'uomo che si interroga sul senso della propria esistenza e che, a partire da questo, diventa appassionato a tutto il mondo che lo circonda, non perché questi valga di per sé ma perché contiene segnali che rinviano a qualcosa d’altro. Don Giussani ha lanciato nel mondo persone in eterna ricerca. Il famoso “non state mai tranquilli” cosa voleva dire? Siate sempre in ricerca! Ha generato un'umanità che dentro i suoi mille limiti umani porta dentro sé un desiderio di comprendere, un entusiasmo semplice, sincero e immediato per tutto ciò che c'è nel reale, purché sia autentico e tenga conto delle domande fondamentali dell’esistenza, non le eluda. Questa sensibilità la gente del Meeting l'ha attinta da don Giussani, e va in contrasto profondo con il disincanto che oggi regna nel mondo».
In questi 40 anni il Meeting è cresciuto o manifesta segni di logoramento?
«Questa è una domanda chiave. È chiaro che se si confronta il Meeting degli anni 1980, 1981, 1982 con quelli più recenti si riscontra un impatto diverso sul mondo. Ma ricordiamo che 1980 era l'anno di Solidarnoșc, si era dinanzi ad un mondo in ascesa, pochi anni più tardi sarebbe iniziato quel processo di revisione che avrebbe portato nel 1989 alla caduta del muro di Berlino. C'era un mondo intero in movimento, verso una nuova alba. Era un universo, in Italia come altrove, pieno di energia. Il mondo ora è profondamente cambiato: in questo contesto il Meeting opera in una dinamica ancora più chiaramente esistenziale. La dinamica che non può essere quella degli anni Ottanta perché non siamo più in quell'Europa. È un momento in cui interrogarsi e il Meeting, che è una realtà viva, si interroga, registrando perfettamente un tale momento di rielaborazione. E lo si coglie guardando le dichiarazioni ufficiali che vengono rilasciate; ci sono i documenti che lo attestano. Anche gli stessi interventi delle massime cariche dello Stato cominciano a guardare al Meeting come a un luogo di energia morale. Se è possibile ancora un nuovo inizio, questo può cominciare solo da lì e non da altre parti. Il Meeting di Rimini è un luogo dove è in atto un costante tentativo di riavvio della volontà di ricostruzione morale di un intero paese».
Lei quindi non condivide l'opinione di chi parla di un ripiegamento spiritualista?
«Il rischio dello spiritualismo lo vedo piuttosto in altri movimenti. Le domande esistenziali sono carnali, bruciano sulla pelle. Se si vivesse in una dimensione puramente spirituale, cosa si inviterebbero a fare politici, sindacalisti, imprenditori? Conformemente al pensiero di Péguy il cristianesimo è un'esperienza carnale di vita concreta. E in ogni caso, a cosa mi servirebbe la risoluzione dei problemi concreti ed immediati se fossero separati da una consapevolezza del dove andare e del cosa costruire. E come sapere dove andare e cosa costruire se ignoro la mia origine, non solo storica ma anche antropologica, fino ad arrivare alla domanda essenziale che è quella che si chiede chi sia mio padre, di quale storia e di quale promessa io sia l’erede».
Sabato 24 agosto il Meeting di Rimini ricorderà i cinquant’anni del primo allunaggio con Nespoli, Battiston e Prina
da Avvenire
Parla Roberto Battiston, che sarà ospite al Rimini: grazie ai satelliti possiamo controllare fenomeni che accadono in zone remote del pianeta, come la deforestazione o la formazione di campi profughi
Sabato 24 agosto il Meeting di Rimini ricorderà i cinquant’anni del primo allunaggio con tre protagonisti quali Roberto Battiston, docente di Fisica all’Università di Trento ed ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana, l’astronauta Paolo Nespoli e l’ingegnere aerospaziale Mauro Prina. Tematiche scientifiche saranno affrontate anche con la mostra “What’s in our brain? La meraviglia del cervello umano”, a cura dell’Associazione Euresis & Camplus, che offrirà un percorso alla scoperta delle meraviglie del nostro cervello e del suo funzionamento, secondo quanto la scienza ad oggi è riuscita a comprendere; “Vicino a chi soffre, insieme a chi cura. Storia dell’oncologia, storia di persone”, mostra proposta da Ior a cura di Fabrizio Miserocchi e Roberto Gabellini in occasione dei 40 anni dell’Istituto Oncologico Romagnolo; “L’uomo all’opera. La grandezza del costruire”, esposizione a cura di Riccardo Castellanza, Luigi Benatti, Francesca Giussani, Paolo Morlacchi, Martino Negri, Fabio Tradigo e Maddalena Sala.
Dopo cinquant’anni, dove sono le colonne di Ercole che l’umanità è chiamata ad oltrepassare, per migliorare sé stessa e il pianeta che popola? Quale «piccolo passo» occorre muovere, perché compia il «grande balzo»? La Nasa, pur guardando a Marte come meta a medio-lungo termine, lavora allo sviluppo di una base cislunare che lasci aperta ogni altra possibile destinazione. La Luna potrebbe diventare destinazione di colonie permanenti o, addirittura, di localizzazione di attività industriali, tese allo sfruttamento delle risorse locali, destinate poi a sostenere la logistica di una futura esplorazione del sistema solare. Al di là delle implicazioni politico-economiche, lo spazio è l’ambito in cui la scienza è alla ricerca del legame tra il microcosmo delle particelle elementari e il macrocosmo dell’universo attuale. Osservare la Terra dallo spazio, studiare i pianeti di questo o altri sistemi solari, può aiutare enormemente ad abitare meglio questo nostro mondo. Spiega Roberto Battiston, ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana e recentemente inserito nella “Hall of fame” destinata alle figure più autorevoli del settore spaziale: «Lo spazio è nella nostra quotidianità a tal punto che tendiamo a dimenticarlo. Ci garantisce una serie di servizi, e lo fa a standard di efficienza estremamente alti, che diamo scontati. Pensiamo al Gps: altro non è che una costellazione di ventiquattro satelliti, che fornisce senza sosta un segnale che ci posiziona e guida attraverso i telefoni cellulari. Dunque, lo spazio è nelle nostre tasche. La questione è piuttosto un’altra.
I costi dell’accesso allo spazio e del relativo sfruttamento?
Esatto. Oggi i primi stadi dei lanciatori vengono sempre più spesso recuperati e riutilizzati con un risparmio economico che può giungere al 40%; solo fino a qualche anno fa, i lanciatori andavano invariabilmente perduti, dopo la messa in orbita dei satelliti. Questo comporta una importante riduzione di costi che certamente apre a nuovi tipi di utenze.
Durante la sua presidenza all’Asi, lei si è molto speso allo sviluppo dei minisatelliti, destinati ad imprimere una svolta epocale nel modo di guardare alle stelle. Perché popolare l’orbita terrestre di oggetti con massa inferiore a 150 chilogrammi è preferibile a pochi grandi satelliti estremamente performanti?
Analogamente all’elettronica, si pensi ai pc o ai cellulari, teniamo tra le mani oggetti sempre più piccoli e sofisticati, e, paradossalmente, anche più economici. Allo stesso modo, una costellazione di piccoli satelliti permette un monitoraggio della Terra continuo e preciso; oggi tutta la superficie della terra viene fotografata una volta al giorno. Una simile frequenza si traduce in informazioni accuratissime, non disponibili solo cinque anni fa.
Lei ha usato l’espressione «spazio sartoriale »: si riferisce all’impiego di minisatelliti tarati su esigenze e scopi della committenza?
Satelliti su misura sono oggi alla portata di imprese e istituzioni di dimensioni medio-piccole. Il costo di una costellazione di cento nanosatelliti in grado di garantire la mappatura quotidiana terrestre, si aggira intorno a dieci-quindici milioni di euro, messa in orbita inclusa, con un ritorno economico che supera – a breve termine – l’investimento. L’aumento di nanosatelliti introduce problematiche con cui dobbiamo imparare a confrontarci. Ad esempio, evitare di disperdere irresponsabilmente spazzatura che ricordi il nostro passaggio, educandoci al concetto di “ecologia spaziale”. Lo spazio è utile fino a che è sufficientemente vuoto da non comportare pericoli per i satelliti che lo popolano.
Proviamo ad elencare solo alcune applicazioni: monitoraggio di inquinamento ambientale, emissione e distribuzione di gas serra nell’ atmosfera, sicurezza delle frontiere, contrasto alla pirateria marina…
Ad esempio, i satelliti possono facilmente identificare imbarcazioni non cooperative, ovvero che non emettono il corretto segnale radio identificativo; questo rappresenta uno strumento utilissimo di contrasto alla pirateria marina. I satelliti radar riescono a osservare anche di notte e attraverso le nuvole, condizioni spesso utilissime per interventi in emergenza, quando si tratta di portare soccorsi in zone colpite da calamità naturali. Grazie ai dati spaziali, relativi a direzione e velocità di venti e correnti, è possibile minimizzare il percorso di grandi bastimenti, riducendo i volumi di combustibile consumati.
Spostandoci in ambito agricolo: dallo spazio – a costi molto contenuti – si può valutare il rendimento dei campi, metro quadro per metro quadro, così da programmare irrigazione, concimazione e semina in modo ottimale.
La produzione agricola e la filiera del cibo sono le principali industrie mondia-li, da cui dipende il futuro del pianeta e la relativa stabilità politica. L’osservazione sistematica del suolo dallo spazio permette di ottimizzare irrigazione e concimazione e ridurre la necessità di fertilizzanti. Decine di migliaia di agricoltori utilizzano già oggi questo tipo di informazioni con costi assolutamente irrisori rispetto al guadagno economico-ambientale. Essendo poi prevedibile il raccolto con mesi di anticipo, è possibile scegliere su quali colture “investire” in un determinato appezzamento. Lo strumento satellitare contribuisce, dunque, significativamente al migliore rendimento delle risorse, sempre più scarse con l’attuale crescita demografica. Strettamente collegato a questo tema è il monitoraggio del cambiamento climatico e delle misure di contenimento delle emissioni di gas serra. L’accordo sul clima di Parigi nel 2015 è stato fortemente influenzato dalla disponibilità di dati satellitari altamente performanti, che hanno permesso di sviluppare modelli climatici credibili e affidabili, convincendo le governance sull’ influenza delle attività umane sul cambiamento climatico. Nel 2017 è stata lanciata a Parigi un’iniziativa importante: il coordinamento delle agenzie spaziali di tutto il mondo per la realizzazione di un osservatorio sul clima, basato sui satelliti di osservazione della terra. Infatti, ben 26 delle 50 variabili essenziali per il clima (Ecv) possono essere osservate in modo affidabile solo dallo spazio.
La mappatura terrestre quotidiana mostra i cambiamenti che si stanno verificando in qualsiasi punto del globo: ad esempio, come varia l’occupazione di un parcheggio, il livello delle riserve petrolifere o anche lo stato di costruzione di un arsenale o di un bunker.
Si parla proprio di “rivelazione dei cambiamenti”: i computer sono programmati per mostrarci solo i cambiamenti delle immagini da un giorno all’altro. Questo ci permette di raggiungere risultati altrimenti inimmaginabili. In particolare, fenomeni che accadono in zone remote del pianeta, come la deforestazione in Amazzonia, la realizzazione delle infrastrutture militari sugli atolli del Mar della Cina, la formazione di campi profughi nel centro dell’Africa, lo scioglimento dei ghiacci ai poli o sulle montagne. Avere accesso allo stato dell’intero pianeta e assistere in tempo reale alle evoluzioni naturali e artificiali, giorno dopo giorno, è uno strumento formidabile per contrastare crisi di carattere internazionale: esserne coscienti è fondamentale perché tutti possano accedere a tali informazioni, e non solo limitati gruppi di interesse.
Da qui il pensiero corre ai satelliti spia, alla Guerra Fredda...
Alla fine degli anni ’60 le due superpotenze – Usa e Urss – firmarono assieme all’Inghilterra l’“Outer Space Treaty”, poi adottato da un centinaio di altri Paesi. Il trattato non vieta attività militare nello spazio, ma vieta la presenza di armi di distruzione di massa e limita, l’impiego dei corpi celesti a scopi pacifici. Questo trattato, ad oggi, è stato rispettato. Ora si sta tornando a ipotizzare la militarizzazione dello spazio: significherebbe innescare un’excalation, di cui si conosce l’inizio, ma non la fine. L’uso dello spazio deve puntare alla creazione di nuovi lavori, alla formulazione di prodotti e servizi, alla gestione delle emergenze, al controllo dei cambiamenti climatici. È questo il modo migliore per Fare spazio [il titolo del suo ultimo libro edito da La nave di Teseo, ndr ] nei prossimi cinquant’anni.
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"NOW NOW. Quando nasce un’opera d’arte", la mostra | Intervista a Luca Fiore
Progetto di Casa Testori
A cura di Davide Dall’Ombra, Luca Fiore, Giuseppe Frangi e Francesca Radaelli
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Il Video
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Il Video
Dopo il viaggio alla scoperta dell’arte contemporanea del 2015 e l’incontro con le opere monumentali del 2017, la mostra di quest’anno darà al visitatore la possibilità di entrare nel processo stesso dell’opera, partecipare al momento creativo, conoscere le dinamiche, la ricerca e gli accadimenti di un artista: tra frustrazioni ed entusiasmi. Al Meeting saranno presenti 6 giovani artisti che trasferiranno in Fiera il proprio studio, al lavoro con tecniche e linguaggi molto diversi tra loro. Non mancheranno spunti storici, una grande sorpresa e alcuni dei protagonisti della scena artistica italiana, che si alterneranno in mostra ogni giorno.
tratto da meetingrimini.org
segnalazione web a cura di Albana Ruci
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Con il rock nel cuore, Bennato torna al Meeting
Non c’è due senza tre: Edoardo Bennato ha già calcato le scene del Meeting nel 1993 e nel 1995. E per il 40esimo ritorna con un concerto il 22 agosto.
intervista tratta da meetingrimini.org
Che ricordo ha dei precedenti incontri con il popolo del Meeting? La cosa che mi ha colpito di più nelle due precedenti edizioni a cui ho partecipato è lo straordinario impegno di migliaia di giovani, volontari che, a loro spese, organizzano un evento che va avanti da quarant’anni. Soprattutto mi piace il concetto per cui la “diversità” diventa un terreno di incontro, di valorizzazione per differenti culture e non solo in ambito religioso.
La sua lunghissima carriera è costellata di successi, fino a quelli più recenti del 2017. Cosa proporrà per il concerto di Rimini? Per quanto riguarda il mio concerto cerco, come sempre, di coniugare la spettacolarità con i contenuti, il divertimento ed il pensiero, insomma un concerto ad alto contenuto rock & blues. Nel 2016 il mio brano “Pronti a salpare” ha avuto il privilegio di vincere il premio “una canzone per Amnesty” nell’ambito di Amnesty International, si tratta di una “canzonetta” che invita noi privilegiati, in teoria, del cosiddetto mondo occidentale che dovremmo essere pronti a salpare, a cambiare mentalità, in considerazione del nostro benessere futuro e quello dei nostri figli, non può più prescindere dalla soluzione dei problemi di quello che chiamiamo “terzo mondo”. Tra la spietatezza e il futile buonismo fatto per riempirsi la bocca nei “salotti buoni” bisogna trovare una terza via, non c’è più tempo da perdere.
I temi sociali da sempre hanno ispirato la sua produzione artistica, divenendo un marchio di fabbrica irrinunciabile. Cosa muove il suo istinto creativo? Cosa ha a cuore? Ciò che muove la mia creatività è il rock. La consapevolezza che, da sempre, ho sventolato una sola bandiera: quella del rock.
«Nacque il tuo nome da ciò che fissavi» 18-24 agosto 2019 | Fiera di Rimini XL edizione Meeting per l’amicizia fra i popoli
Quello a cui stiamo assistendo nel nostro tempo è qualcosa di nuovo, di inedito: non bastano più le parole abituali per afferrarlo, e le analisi con cui si è cercato per tanto tempo di capire la crisi – o meglio le diverse crisi – del nostro mondo sembrano armi spuntate.
Da un lato una capacità stupefacente di costruire, manipolare e controllare la realtà attraverso un potere tecnologico sempre più diffuso; dall’altro un sempre più profondo smarrimento riguardo al senso per cui ciascuno di noi sta al mondo e alla società che si vuole costruire. E così, paradossalmente, alla potenza della tecnica, che muove ormai l’economia e la politica globali, si accompagna l’impotenza endemica della povertà – povertà di beni e soprattutto di significato – che dilaga nel mondo.
Ma qual è la novità che urge? Essa sta nella realtà più nascosta e apparentemente più scontata, ma al tempo stesso più essenziale e decisiva di tutto il resto: l’io di ciascuno di noi.
È in questa realtà del soggetto umano il punto infuocato del mondo intero, quello da cui dipendono ultimamente tutti i macrofenomeni della storia. Ma la grandezza e l’inquietudine dell’io, in ciascuno di noi, sta nella sua autocoscienza, nella possibilità – sempre aperta – di cercare e di scoprire ciò per cui vale la pena vivere e costruire. Qui sta il punto d’appoggio per vivere tutto: è grazie ad esso, alla consistenza della nostra coscienza, che possiamo affrontare le sfide della storia.
Per questo la domanda più interessante, e insieme la più pertinente al nostro presente, è: ma da dove nasce l’io? Da dove viene il “volto” di ciascuno di noi? Cosa dà peso e significato irriducibile al nostro “nome” proprio? Perché senza volto non si può guardare niente e non si può godere di niente; e senza nome ci si riduce al niente di una massa indistinta.
È la domanda acutissima e insieme disarmata che Nicodemo rivolse a Gesù: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». E la vecchiezza non è solo e tanto quella dell’età, ma è soprattutto quella del cuore e dello sguardo. Come nasce, e come può rinascere di continuo il volto di una persona?
I versi da una poesia di Karol Wojtyla, che danno il titolo al Meeting 2019, mettono a fuoco il fatto – sperimentato da tutti, almeno nei momenti più importanti e decisivi della vita – che il proprio “nome”, cioè la propria consistenza umana nasce da quello che si fissa, e cioè dal rapporto con un altro da sé, con ciò da cui ci si sente chiamati ad essere. L’immagine cui la poesia si riferisce è quella della Veronica che fissa Cristo mentre passa con la croce. Ma tanti incontri evangelici raffigurano questa dinamica: come quello di Zaccheo che si sente guardato da Gesù e viene chiamato per nome: «scendi in fretta, vengo a casa tua!».
L’io può rinascere solo in un incontro, come quello del bambino con la sua mamma o di una persona grande con un'altra persona amata o con un amico. Un incontro pienamente umano, perché apre all’io una prospettiva di bellezza, un desiderio di pienezza, un’urgenza di verità e di giustizia che da solo non si sarebbe mai sognato.
In ogni incontro vero è come se ciascuno si sentisse “preferito”: proprio lui, proprio lei. Sembra la cosa più fragile e più esposta al caso; ma è l’esperienza più potente che possiamo fare, l’unica che può farci restare in piedi di fronte alle sfide del tempo. Non è anzitutto in uno sforzo di volontà o in una coerenza etica, che potranno essere affrontati l’incertezza e la confusione esistenziale che segnano la nostra epoca. Nessuna tecnica per la “cura di sé”, nessuna riflessione avrebbe la forza generativa di un incontro: solo una preferenza su di sé può strapparci dal nulla.
In uno dei punti più acuti del Senso religioso don Giussani scrive: «In questo momento io, se sono attento, cioè se sono maturo, non posso negare che l’evidenza più grande e profonda che percepisco è che io non mi faccio da me, non sto facendomi da me. Non mi do l’essere, non mi do la realtà che sono, sono “dato”. È l’attimo adulto della scoperta di me stesso come dipendente da qualcosa d’altro. [...] Si tratta della intuizione, che in ogni tempo della storia lo spirito umano più acuto ha avuto, di questa misteriosa presenza da cui la consistenza del suo istante, del suo io, è resa possibile. Io sono “tu-che-mi-fai”. [...] Allora non dico: “Io sono” consapevolmente, secondo la totalità della mia statura d’uomo, se non identificandolo con “Io sono fatto”. È da quanto detto prima che dipende l’equilibrio ultimo della vita»
Accorgersi di “essere”, aver coscienza che si è “chiamati” ad esistere è l’esperienza più sconvolgente per tutta la cultura – dalla scienza all’economia, dalla politica all’arte: da essa dipende la possibilità stessa di un nostro impegno serio nella realtà.
Nell’edizione del Quarantennale il Meeting vuole offrire questo come il contributo più prezioso della sua storia e del suo impegno presente: solo l’incontro con persone “vive” può riaprire l’io di ciascuno di noi a tutte le dimensioni del mondo.
https://www.meetingrimini.org/edizione-2019/
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