avvenire
«Quello che doveva fare, lo ha fatto», capita di sentirsi ripetere, una volta che si mette piede sull’isola di Stromboli, versante di Ginostra, il villaggio più colpito dalla violenta e improvvisa esplosione parossistica del 3 luglio scorso. Trentacinque abitanti circa, solo 20 d’inverno, 120 case in totale che ospitano nei mesi estivi fino a 350 turisti, più i visitatori giornalieri che giungono in gita sul vulcano: in questo borgo, da sempre senza auto né illuminazione pubblica, due settimane dopo il grande scoppio gli arrivi di turisti sono ripresi.
Li si vede sbarcare dagli aliscafi, dopo giorni in cui i portelloni si aprivano solo per scaricare qualche pacco. «La gente dimentica in fretta, ma ci sono danni che non si vedono ad occhio nudo», dice il ragazzo che imbusta pane e verdure in una delle due botteghe del villaggio, accanto alla chiesa a sbalzo sulla scogliera. Dietro, si staglia 'Iddu', il vulcano nero incenerito, che fa da sfondo a ogni costruzione bianca del paese e a ogni fico d’India scampato alle fiamme.
A “lui” si finisce per puntare di continuo lo sguardo, voltando spesso le spalle allo spettacolo maestoso del mare e delle altre Eolie. Sullo Stromboli è ancora in corso un’alta attività esplosiva: lo riferisce l’ultimo comunicato del Laboratorio di Geofisica Sperimentale dell’Università di Firenze. Lo si percepisce anche senza bollettini: il vulcano tuona, fuma e di notte dà un rosso intenso, ipnotico al cielo.
Si assesta, dicono in paese, «fa il suo lavoro normale, o quasi» commenta il signor Pasquale Giuffrè che in 71 anni, tutti trascorsi qui, non aveva mai visto niente del genere. Suo figlio Gianluca è molto attivo nel borgo, è stato lui a scrivere – «di getto» ci dice – una lettera al presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, invitandolo sull’isola per rendersi conto dei danni. «Abbiamo ottenuto lo stato di calamità e ora attendiamo che da Roma dichiarino lo stato d’emergenza. Hanno già quantificato in 20 milioni di euro l’ammontare dei costi per mettere in sicurezza, prima delle piogge, il versante bruciato e il costone che dalla chiesa scende al porto». Sull’isola Musumeci è arrivato in visita subito. Se sarà lo stesso anche per i fondi, si vedrà.
Dal pomeriggio dello scoppio e per quattro giorni, abitanti e volontari hanno ripulito il paese dal materiale lavico che lo aveva ricoperto. «Ora cerchiamo di tornare alla normalità, consapevoli che potrebbe ricapitare, tra un anno o tra 20» prosegue Giuffrè. «Quello che è successo ci ha segnato profondamente, però il morale sta risalendo. Certo non si dimentica, il mio rapporto con il vulcano è cambiato». I residenti riprendono vita e attività, incalzati dagli aliscafi e dai passeggeri in vacanza. «Nella settimana dell’esplosione in tanti hanno cancellato le prenotazioni. Ora cerco di tranquillizzare i miei ospiti, ma nel profondo non sono ancora tranquilla io» dice Antonietta Favorito nella grande casa dove ha diverse stanze in affitto.
Chi da anni interpreta i segni e i suoni del vulcano è la guida Mario Pruiti, fondatore della cooperativa di guide vulcanologiche Magmatrek. Vive nell’abitazione più alta del villaggio, verso Punta del Corvo. «Ero in casa quando c’è stata l’esplosione, in 30 secondi è iniziato a cadere materiale caldo. Ho visto una massa che si alzava e ci si buttava addosso, toglieva il respiro. La mia bambina di due anni era sul terrazzo» racconta. «Io sono stato fortunato, avevo 4mila litri d’acqua dietro casa, ho fatto quello che potevo: capire dove tirava il vento, spegnere il fuoco attorno».
Dice, come molti a Ginostra, di aver visto per la prima volta il vulcano fare quello che i più anziani in tante occasioni avevano descritto, ricordando l’esplosione del 1930. «È un piromane lo Stromboli. Ma è più quello che il vulcano dà, rispetto a quello che si prende. Nella parte alta il responsabile è lui, nella parte bassa, invece, è l’uomo». L’area che si è salvata dal fuoco era quella più pulita dalle sterpaglie. «Questo è il punto, la pulizia: ora che non siamo più una società agricola e gli interessi sono altrove, non c’è alcun re-investimento sul territorio dei soldi che arrivano dal turismo. Se si deve proteggere Ginostra si cominci dall’alto verso il basso, non viceversa: in quota ci sono terrazzamenti lavorati dall’uomo più di 5mila anni fa».
I muretti a secco si vedono bene, ora che la vegetazione è carbonizzata, lungo il sentiero percorso anche dal giovane escursionista di Milazzo morto nell’esplosione: «È stato trovato a 20 metri sopra la panchina di Punta del Corvo, in una zona di vegetazione fitta che è bruciata. Non troppo lontano da casa mia» prosegue la guida. «Questo povero ragazzo è stato sfortunato. E, invece, in tanti noialtri siamo stati fortunati. Ho deciso che se mia figlia vorrà restare qui, quando dovrò farle un regalo, sarà una cisterna d’acqua. Invece di pensare ad aumentare posti letto, in quest’isola comprare cisterne e avere cura del territorio come si faceva nel passato sono i migliori investimenti per il futuro».