Domodossola: 700 anni delle mura, storica pergamena in mostra esposta all'interno della Chiesa Collegiata.

(ANSA) - DOMODOSSOLA, 29 SET - Per i 700 anni della costruzione delle mura a difesa di Domodossola è stata presentata la pergamena, lunga 24 metri, che documenta perché furono erette e che sarà esposta al pubblico.
    La pergamena, conservata nell'Archivio Storico Diocesano di Novara, e per la prima volta esposta a Domodossola, sarà in mostra alla Cappella della Madonna del Rosario, all'interno della Chiesa Collegiata.

Raccoglie i principali documenti che hanno riguardato nei secoli la Contea dell'Ossola Superiore, concessa nel 1014 dall'imperatore al Vescovo di Novara.
    La Fondazione Paola Angela Ruminelli e l'Associazione Culturale Mario Ruminelli hanno promosso per l'occasione una serie di iniziative, a partire dal 9 ottobre.



INTERVISTA Cronenberg «Il cinema è morto, resta il film»



«Il cinema è morto e a me non importa un granché, anzi, la cosa mi diverte». A dirlo con sconcertante fermezza è David Cronenberg, il maestro del body horror, il regista che ha esplorato la condizione umana attraverso film divenuti di culto come La mosca, Videodrome, Crash, Inseparabili, Spider. Ospite d’onore della seconda edizione del Matera Film Festival, diretto da Michelangelo Toma, Nando Irene e Silvio Giordano e in programma fino al 10 ottobre, il cineasta canadese che meglio di chiunque altro ha messo in scena le mutazioni del corpo e il connubio tra carne e tecnologia, e che rifiuta categoricamente il parallelo con un altro regista di culto, John Carpenter, parla dell’inarrestabile trasformazione di un’arte che non sarà mai più quella fruita sul grande schermo e nelle sale cinematografiche.

«Il cinema così come lo abbiamo conosciuto – argomenta – sarà un’esperienza destinata a una nicchia di spettatori, mentre la maggior parte delle persone guarderà i film in streaming sulle piattaforme, un cambiamento radicale accelerato dal lockdown. I film non smetteranno di esistere perché il bisogno di cinema non si è certo esaurito, ma li si guarderà a casa, su schermi che vantano una qualità sempre maggiore. Io stesso non vado in sala da anni per non dover subire la pubblicità, la gente che mangia rumorosamente durante la proiezione o tiene i cellulari accesi, per non parlare del freddo invernale e della faticosa ricerca di un parcheggio. E non sono affatto d’accordo con Spielberg che rimpiange i bei vecchi tempi della pellicola, perché sono stati un vero inferno. Molto meglio oggi che abbiamo a disposizione il digitale, è tutto più facile e veloce perché la tecnologia è molto più simile ai nostri processi mentali. Ma i festival di cinema continueranno ad esistere e saranno gli unici luoghi dove vedere i film sul grande schermo». Eppure, nonostante Cronenberg fosse certo di aver dato il suo addio al cinema, tornerà tra non molto sul grande schermo, a otto anni da Maps to the Stars, con Crimes of The Future, remake di un suo film del 1970, che girato in Grecia e interpretato da Viggo Mortensen e Lea Seydoux, segna il suo ritorno al cinema di fantascienza con una struttura assai complessa e il racconto di un universo parallelo e sintetico. «Pensavo che non avrei fatto più cinema anche a causa della mia sordità, ma poi – continua il regista togliendosi dall’orecchio un piccolo apparecchio acustico – grazie a questo piccolo oggetto mille volte più sofisticato dei computer che controllano le missioni spaziali, posso sentire tutti voi e continuare a lavorare. Smettere di fare il regista non vuol dire però abbandonare l’arte. Ho infatti scritto un romanzo, Divorati, e pensavo di dedicarmi al secondo, ma poi una sceneggiatura scritta 20 anni fa è tornata a cercarmi e un produttore entusiasta mi ha convinto a riprendere posto dietro la macchina da presa».

L’apparecchio acustico di Cronenberg è anche l’occasione per riflettere sulle metamorfosi del corpo umano che sono state spesso al centro del suo cinema. «L’uomo non ha mai smesso di modificare il proprio corpo attraverso tatuaggi, mutilazioni, cicatrici e anche la chirurgia plastica fa parte di questo processo. È anche dimostrato che il corpo umano sia ormai composto anche delle microplastiche che abbiamo assorbito nell’ambiente. La vecchiaia poi è una mutazione che ci riguarda tutti, anche se mettiamo in campo le nostre risorse per rallentarla». Il dibattito sulle mutazioni è di grande attualità in questa epoca di pandemia e vaccini, accusati di modificare il dna delle persone. «Ho 78 anni e quando ero bambino esplose un’epidemia di poliomielite che terrorizzava tutti i più piccoli. Poi arrivò il vaccino a salvare milioni di vite umane. Il Covid 19 è stato un fenomeno mondiale senza precedenti e ci ha coinvolto tutti. Sono completamente vaccinato e convinto delle necessità di fare attenzione a tutta la disinformazione che circola in rete. In tutte le epoche ci sono state persone contrarie ai vaccini e alle procedure mediche in generale, ma credo che questa sfiducia oggi sia diretta soprattutto ai governi, sospettati di architettare qualcosa di malefico. Ma come si fa ad affermare che Bill Gates voglia controllarci attraverso un microchip contenuto nei vaccini se può tranquillamente farlo grazie ai cellulari che abbiamo in tasca? Certo, il controllo esercitato dalle dittature è sempre passato attraverso il controllo dei corpi, basti pensare oggi a quello che accade alle donne, ma in occasione di questa pandemia il controllo è paradossalmente finalizzato alla liberazione dei corpi. La malattia è certamente un attacco peggiore alla nostra libertà».

Con il proprio corpo, ma completamente realizzato in silicone, il regista gioca nel surreale cortometraggio La morte di David Cronenberg da lui scritto e interpretato, ma diretto da sua figlia Caitlin e ambientato in una stanza spoglia in cui un uomo si avvicina a una salma riconoscendo se stesso nel cadavere. «Abbiamo riutilizzato la versione di me in silicone fabbricata per la serie canadese Slasher che mi ha visto tra gli interpreti. Un corpo che ha suscitato molta empatia in me. Mia figlia è interessata alla NFT, che sta per Non Fungible Token», una tecnologia mirata a creare prodotti digitali unici, non riproducibili, equivalenti a opere d’arte.

Il rapporto di Cronenberg con l’Europa è molto stretto. «Il Canada è diverso dagli Usa, la cultura europea da noi è cruciale e prevalente e io il Vecchio Continente l’ho frequentato sin da giovanissimo. Il cinema di Fellini, Antonioni e Bergman è sempre stato alternativo a quello hollywoodiano».

A Cronenberg è dedicata anche una retrospettiva di film, la mostra La Nuova Carne. Dodici maestri del Fumetto italiano omaggiano il Cinema di David Cronenberg e il volume A History of Cronenberg curato da Michelangelo Toma, che raccoglie informazioni e curiosità sul mondo di uno dei più influenti registi della storia del cinema mondiale.

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Il maestro del rapporto tra corpo e tecnologia ospite a Matera. «Ormai ha vinto lo streaming e io non rimpiango la vecchia pellicola come fa Spielberg. Ora sarò in un corto di mia figlia Caitlin con il mio finto cadavere»


Il 78enne regista canadese David Cronenberg è ospite al Matera Film Festival / Ansa/Valentin Flauraud
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LA MOSTRA Con Pasolini il proletariato divenne attore imitando la storia dell’arte

 

A pochi mesi dal centenario della nascita, avvenuta il 5 marzo 1922, giunge questa mostra alla Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo in provincia Parma (fino al 12 dicembre), che indaga come nell’eccezionale attività creativa di Pier Paolo Pasolini fosse stretta la relazione tra letteratura, poesia, cinema, arti figurative.

La mostra (catalogo Silvana), dal titolo Pier Paolo Pasolini. Fotogrammi di pittura, curata da Stefano Roffi e Mauro Carrera, in particolare mette in luce la fondamentale importanza che l’arte ebbe nel linguaggio cinematografico del poeta che fin dall’inizio darà ai suoi film un’impronta povera e primitiva, adottando moduli appartenenti principalmente all’arte del Trecento e dell’epoca rinascimentale. E ciò sulla scorta delle lezioni di Roberto Longhi, a cui nel 1962 dedica Mamma Roma, ritenuto responsabile della sua «fulgurazione figurativa» fin dai tempi della frequentazione all’Università di Bologna quando rimane affascinato dal celebre corso dello storico sui Fatti di Masolino e di Masaccio.

Così come restano per sempre alla base della narrazione per immagini di Pasolini le lezioni di Longhi su Giotto, Piero della Francesca, Caravaggio, le cui citazioni si manifestano attraverso la messa in posa degli attori, il campo fisso, i lunghi primi piani che sottolineano la ieraticità dei volti e la ricostruzione di veri e propri tableaux vivants. Ciò è particolarmente evidente in film quali Accattone, Mamma Roma e La ricotta, la «trilogia del sottoproletariato », caratterizzati da una frontalità ossessiva delle inquadrature, presa dalla ritrattistica pittorica e plastica del Quattrocento, dalla “sporca” e contrastata fotografia in bianco e nero, dall’assenza di particolari.

Ha rivelato lo stesso Pasolini, pittore egli stesso per tutta la vita: «Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto, che sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieristi ». E pensa proprio ai manieristi toscani quando, in un episodio di Ro-GoPaG

in cui Orson Welles, alter-ego di Pasolini, dirige un film sulla Passione di Cristo, ricostruisce la monumentale Deposizione di Cristo di Rosso Fiorentino e l’altrettanto imponente pala di analogo soggetto del Pontormo.

Numerosi sono i riferimenti pittorici anche ne Il Vangelo secondo Matteo e

Teorema, fondamentalmente Piero della Francesca e Francis Bacon, e nella «trilogia della vita» ( Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte) con cui Pasolini dichiara il proprio debito verso Giotto, ma anche l’ammirazione per Velázquez.

La mostra è corredata da una selezione di costumi realizzati da Danilo Donati, locandine originali dei film, rare fotografie d’epoca e la galleria fotografica delle opere d’arte che Pasolini ebbe come riferimento, in accostamento alle scene tratte dai film.

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Fotogramma da “Il Decameron” (1971) con Pasolini in veste di attore
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Francesco ieri e oggi, da Giotto al XXI secolo


 (ANSA) - ROMA, 05 OTT - Un piatto vuoto, un bicchiere di vino e un po' di pane a ricordare il cibo sacro nello scatto di Giovanni Gastel; una ragazza che si rovescia in testa un secchio d'acqua, come simbolo di vita, vista dallo sguardo di Ferdinando Scianna. E ancora, un gruppo di suore sorridenti a ricordare Santa Chiara immortalate da Settimio Benedusi e un frate con il suo saio in primo piano nella foto di Francesco Cito, emblema di una scelta autentica di povertà. Si rinnova il messaggio di fratellanza e fede donato al mondo dal Patrono d'Italia nella collettiva "Francesco ieri e oggi, 100 anni di comunicazione e cultura francescana", allestita al Maxxi di Roma dal 5 al 24 ottobre nello Spazio Corner.

    Pensata per celebrare il centenario della rivista San Francesco, la mostra presenta i lavori di dodici grandi fotografi - Marina Alessi, Silvia Amodio, Maria Vittoria Backaus, Fabio Bonanno, Settimio Benedusi, Francesco Cito, Angelo Ferrillo, Franco Fontana, Giovanni Gastel, Efrem Raimondi, Ferdinando Scianna e Oliviero Toscani - chiamati a interpretare la figura del Santo attraverso il dialogo ideale con gli affreschi di Giotto presenti nella Basilica Superiore di San Francesco d'Assisi. "Da anni la rivista sta facendo un grande sforzo di rinnovarsi nella comunicazione. Anche la mostra è un tentativo di comunicare in modo nuovo, congiungendo il passato al presente, grazie alla capacità della fotografia di cogliere la narrazione di alcuni valori di Francesco. Per poter incontrare ancora l'uomo di oggi è necessario suscitare in lui sentimenti e riflessioni", ha detto oggi partecipando alla presentazione della mostra il cardinale Mauro Gambetti. Pur essendo un progetto piccolo, arriva chiaro dall'esposizione un profondo significato, di fede cristiana e di fiducia. E proprio la rivista costituisce il motore, la fonte ispiratrice di questa mostra, nella quale trovano posto anche alcune delle copertine più rappresentative. (ANSA).