FELTRINELLI 1+1  IBS.IT

La top 10 delle attrazioni da vedere gratis

Voglia di un break in una città europea? Non necessariamente vi costerà una fortuna! Un weekend a Londra incluso volo e due notti in hotel può essere prenotato a meno di 250 euro. E con una serie di consigli giusti moltissime attrazioni possono essere visitate gratuitamente. Un modo unico di vivere le città più amate d’Europa senza svuotare il portafoglio. Ecco la guida low cost di lastminute.com:

Londra for free: grandi musei e tradizioni 
I musei di Londra sono tra i più belli del mondo e molti sono gratuiti: la National Gallery, la Tate Britain, la Tate Modern, il famoso British Museum, il Natural History Museum o il Victoria & Albert Museum possono essere visitati senza necessità di pagare un biglietto d’ingresso (ma una donazione è gradita).
Un’attività speciale e divertente per adulti e piccini è il Cockroach Tour al Museo della Scienza: qui i visitatori si calano nei panni o meglio nella corazza di uno scarafaggio per osservare l’evoluzione umana con gli occhi dei piccoli animaletti (tour gratuito ogni sabato e domenica alle 14 e alle 16).
E per coloro interessati alla politica, c’è la possibilità di partecipare al dibattito alla Camera dei Comuni e dei Lord, a libera entrata in alcuni giorni della settimana. E un’altra pittoresca tradizione inglese può essere seguita senza pagare un penny, ogni giorno alle 21.53 quando, in base ad un rigido protocollo, le porte della Torre di Londra vengono chiuse e ha inizio la “Cerimonia delle chiavi”...nelle stessa forma da oltre 700 anni!
Gli amanti della musica possono godere della visita alla Chiesa di St. Martin-in-the Fields a Trafalgar Square, dove ogni giorno si tengono concerti gratuiti di musica classica; l’ingresso è gratuito anche la sera da domenica a giovedì.

Parigi for free: a piedi o in bici purchè sia con amore!
Ogni prima domenica del mese moltissimi dei magnifici musei di Parigi possono essere visitati gratuitamente: tra questi il Musée d’Orsay (di solito a pagamento fino a 11 Euro), il Centre Pompidou (di solito a pagamento fino a 13 Euro) e il famoso Louvre con la sua iconica Gioconda (di solito a pagamento fino a 12 Euro – gratuito la prima domenica di ogni mese da Ottobre a Marzo).
Parigi è una città enorme e girarla tutta può essere costoso: una soluzione per risparmiare sui mezzi pubblici è usare i tipici Vélib, biciclette in affitto ad un prezzo irrisorio e da sfruttare per brevi spostamenti da un’attrazione all’altra della città: il biglietto giornaliero costa 1,70 Euro e i primi 30 minuti sono sempre gratuiti.
Una vista impareggiabile e…gratuita? Quella che si ammira dalla terrazza del paradiso dello shopping, la Galeries Lafayette, con panorama su Opera e Tour Eiffel. 
E per chi vuole godersi la città da un’angolazione del tutto inusuale, una passeggiata su La Promenade Plantée è l’ideale! Un percorso di 4,5 km costruita su rotaie dismesse a est di Parigi e da cui ammirare la città attraverso le sue tipiche scalinate, le romantiche stradine e gli originali viadotti tra i quali il Viaduc des Arts, le cui gole sono state trasformate in gallerie d’arte.
E per chi è a Parigi per una fuga romantica, il Love Wall è un’attrazione must: un’installazione artistica, un murale in cui la frase "I Love You" è inscritta in centinaia di lingue diverse, vicino il Sacro Cuore, un’icona di Parigi anch’essa gratuita.

Madrid for free: Tiziano e tapas
Il famoso Museo del Prado con i suoi capolavori di El Greco, Vélazquez, Goya e Tizian, si visita gratuitamente (invece che spendendo 14 euro) dal Lunedi al Sabato dalle 18 alle 20, la domenica e nei giorni festivi dalle 17 alle 19. Il Museo Archeológico Nacional, invece, è gratis il sabato dalle 14 e la domenica mattina. Ancora, il Museo Nacional Centro de Art Reina Sofia e i capolavori di Picasso e Dali sono accessibili gratuitamente il lunedi, dal mercoledi al sabato dalle 19 alle 21 e la domenica dalle 13.30 alle 19, risparmiando 8 Euro. E ammirare lo stile di vita regale non è necessariamente costoso: il Palacio Real dove vive la famiglia reale spagnola, può essere visitato gratuitamente dal lunedi al giovedì dalle 18 alle 20 (il costo normalmente è di 10 euro).
Madrid offre anche la possibilità di assaggiare le migliori tapas....gratis: in alcuni tapas bars vengono servita gratuitamente con il drink, per esempio tra Santo Domingo e Gran Via.
I visitatori possono godersi un pò di aria aperta a El Rastro, uno dei mercati delle pulci più grandi d’Europa o immergersi in una totalmente inaspettata foresta tropicale all’Atocha Station, dove sotto iconiche costruzioni di alluminio e vetro si trovano sculture, giardini tropicali e laghetti.

New York for free: concerti favolosi e camminare vicino le stelle
Il Flatiron building, un’icona di New York: ogni domenica si organizzano tour grautiti nell’area dell’edificio. Invece, da martedì al venerdì, dalle 12.20 alle 12.50, la Grace Church a Broadway offre concerti giornalieri gratuiti chiamati "Bach at Noon" – un’oasi di relax nel caos metropolitan, totalemnte gratis. Ed è ancora più sorprendente l’esperienza di ascoltare vincitori di premi Grammy senza pagare nulla: la
Carnegie Hall organizza da circa 40 anni i Neighborhood Concerts offrendo performance gratuite ai newyorkesi di diversi quartieri.
Ma New York va osservata sotto molti punti di vista: uno, decisamente spettacolare, è quello della High Line, una vecchia rotaia che porta più vicino alle stelle grazie alla sua passeggiata tra verde metropolitan, giardini e viste uniche che non hanno prezzo.

Vienna for free: passeggiate imperiali e un party fuori misura

Il Castello Schönbrunn è un sito patrimonio mondiale dell’umanità e una delle attrazioni più visitate di Vienna. I turisti possono godersi una passaggiata nei meravigliosi giardini, una volta ad uso esclusivo degli imperatori. E arrivando fino alla Gloriette, la vista è davvero speciale su tutta Vienna e sul castello stesso...una meraviglia per gli occhi e a costo zero.
Ascoltare Puccini o Mozart all’aperto, nella magnifica cornice della Vienna State Opera da Aprile fino a Settembre: un’occasione unica di assistere a una performace usualmente molto costosa. E per chi preferisce musica più moderna, il posto giusto è il Donauinselfest: un festival gratuito open air che dal 1894 richiama oltre 3 milioni di persone in tre giorni. La 32esima edizione si svolgerà dal 26 al 28 giugno 2015.

Edimburgo for free: storia scozzese, natura mozzafiato e un pizzico di adrenalina!

Una città dagli scorci spettacolari e uno di questi è quello che si ammira dall’Arthur’s Seat, una formazione naturale che si erge all’interno della città: per raggiungere la cima si impiega più di un’ora ma la ricompensa della vista è davvero unica e...gratis!
Una visita al Parlamento Scozzese poi, con il suo iconico palazzo, vincitore di diversi premi, alla fine del Royal Mile, offre una mostra permanente con tour guidati gratuiti.
Per i più coraggiosi, il Greyfriars, che risulta essere il cimitero di Edimburgo preferito dai fantasmi, offre tour gratuiti tra le lapidi che metterà alla prova i cuori più impavidi...con la complicità dell’ormai famoso poltergeist che abita lì.
E visto che gli scozzesi sono famosi per la loro parsimonia, Edimburgo offre moltissime attrazioni gratuite: come Carlton Hill con i suoi monumenti e i migliori spot fotografici della città, la Scottish National Gallery e i suoi capolavori, il Duddingston Village, un villaggio del 12esimo secolo con il suo Sheep Heid Inn, considerato il più antico pub di Scozia.

Amsterdam for free: fiori galleggianti e performance di jazz

Esplorare i canali, le tipiche vie d’acqua che adornano la città è un giro turistico totalmente gratuito che da solo vale il viaggio. Lungo i canali i visitatori possono trovare il Bloemenmarkt, l’unico mercato di fiori galleggiante al mondo, con barche piene di fiori e semi in vendita – un’esplosione di colori e profumi.
Ogni mercoledì a pranzo, ci sono performance gratuite alla Royal Concertgebouw Orchestra mentre per chi ama il jazz, il Bimhuis organizza una serata al mese completamente gratuita dove si esibiscono artisti con performance improvvisate.
Non basta? Gratis sono anche la visita del piano terra dell’EYE film museum e la Vrije University con il suo giardino botanico con oltre 6.000 specie, un santuario di piante rare e in estinzione bloccate alla dogana dell’aeroporto di Schipol.


Praga for free: cambio della guardia e viste mozziafiato

Visitando la città vecchia di Praga, la Old Town Square con il suo orologio astronomico del 15esimo secolo è l’appuntamento fisso con il suo show ad ogni ora. A seguire si può camminare attraverso il Castello e assistere all’elaborato cambio della guardia alle 12.
Sul fronte culturale, la National Gallery offre ingressi gratuiti dalle 15 alle 20 ogni primo mercoledì del mese. E camminare lungo il Ponte Carlo al tramonto, una delle attrazioni turistiche principali della città, non solo è gratuito ma anche letteralmente mozzafiato!

Berlino for free: muri d’arte e un’immersione nella storia

Una delle attrazioni più interessanti di Berlino, gratutita, è la East Side Gallery: una galleria d’arte decisamente inusuale e unica che preserva la sezione più lunga del muro di Berlino, ora ricoperto di pezzi d’arte di oltre 106 artisti internazionali.
La sommità del Reichstag, che ospita il Bundestag (il parlamento tedesco) dal 1999, è una magnifica cupola di vetro con un terrazzo e una spettacolare vista sulla città.
Ogni martedì alle 13, il foyer della Berliner Philharmonie offre concerti di musica classica gratuiti, un’esperienza unica senza pagare un euro!

Roma for free: la storia alla portata di tutti

Roma non è di certo la città più economica del mondo e molto si può spendere nei suoi magnifici negozi! Ma la Città Eterna può essere vissuta anche con piccolo budget. Ad esempio si può visitare i Musei Vaticani con la sua magnifica Cappella Sistina ogni ultima domenica del mese gratuitamente risparmiando ben 16 Euro!
E per chi non vuole rinunciare all’arte ma senza pagare una fortuna in biglietti di ingresso, Roma offre la possibilità di ammirare capolavori unici: ad esempio Raffaello e Caravaggio nella chiesa di Sant’ Agostino, altri dipinti di Caravaggio a San Luigi dei Francesi e in Santa Maria del Popolo. E se le bellezze classiche dell’antichità sono senza prezzo, un tour dei Fori Imperiali costa 12 euro; ma una vista spettacolare e gratuita si può avere dal Campidoglio. Gratuita è anche la visita dell’impressionante Pantheon e rischiare la sorte alla Bocca della Verità.
Ad alcuni piacerà anche la visita della cripta dei frati cappuccino di Santa Maria della Concezione, un monastero che dal 1631, raccoglie sulle sue pareti e sul soffitto, le ossa di 4.000 monaci.
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Dal wi-fi libero ai musei gratis, ecco come viaggiare low cost

di Cinzia Conti

Se la crisi fa tirare la cinghia tutto l'anno, durante le vacanze il portafoglio sembra più magro del solito e le spese possono diventare un vero supplizio. Ma non bisogna farsi scoraggiare perché tantissime città europee offrono una serie di servizi e opportunità gratuiti o a basso costo: dalle visite ai musei alla musica dal vivo, dal wi-fi libero (presente in molte delle metropolitane) agli alloggi low cost. In questi giorni in cui si programmano future ferie e piccole "fughe di primavera" i grandi siti di viaggi offrono tutta una serie di "dritte" e anche veri e propri manuali di "sopravvivenza urbana" per vacanze low cost.


HOTEL, CIBO E TAXI - Budapest è senza dubbio una delle città più economiche dal punto di vista degli hotel con i suoi 36 euro di costo medio a notte (mentre Amsterdam e Londra sono le più care, si parte da 92 euro). Bene anche la metropolitana il cui prezzo è di 1,11 euro contro gli 1,50 di Roma, gli 1,80 di Parigi, i 2,15 di Barcellona e i 2,70 di Berlino. Per prendere un taxi conviene andare a Lisbona dove la spesa è di 0,52 euro al km (contro i 3,58 euro di Londra e gli 1,50 di Roma).

La capitale portoghese è quella che offre anche la tazzina di caffè al costo più conveniente (80 centesimi) mentre nella capitale inglese una pausa caffè arriva a costare 3,06 euro. La città più economica per gustarsi una birra e un panino da fast food è ancora Budapest, con una spesa complessiva di 3,82 euro.

MUSEI E ATTRAZIONI CULTURALI - I musei di Londra sono tra i più belli del mondo e molti sono gratuiti (anche se una donazione è gradita): ad esempio la National Gallery, la Tate Britain, la Tate Modern, il famoso British Museum, il Natural History Museum o il Victoria & Albert Museum. 
A Parigi, dal 1 ottobre al 31 marzo, la prima domenica del mese si può approfittare dell'entrata libera al Louvre; stessa dinamica, ma a partire dal primo novembre per l'Arc de Triomph, il Panthéon, la Sainte Chapelle e la Reggia di Versailles.

Al Museo del Prado di Madrid si entra gratis dal lunedi al sabato dalle 18 alle 20, la domenica e nei giorni festivi dalle 17 alle 19. Il Museo Nacional Centro de Art Reina Sofia e i capolavori di Picasso e Dalì sono accessibili gratuitamente il lunedi, dal mercoledi al sabato dalle 19 alle 21 e la domenica dalle 13.30 alle 19. 

In Italia ogni prima domenica del mese si entra gratis in tutti i musei, monumenti e siti archeologici statali. Roma offre la possibilità di ammirare capolavori unici gratuitamente: ad esempio Raffaello e Caravaggio nella chiesa di Sant'Agostino, altri capolavori di Caravaggio a San Luigi dei Francesi e in Santa Maria del Popolo. Gratuito è anche il Pantheon e rischiare la sorte alla Bocca della Verità. L'ultima domenica di ogni mese si entra gratis ai Musei Vaticani. Ad alcuni piacerà anche la visita della cripta dei frati cappuccini di Santa Maria della Concezione, un monastero che dal 1631, raccoglie sulle sue pareti e sul soffitto, le ossa di 4.000 monaci.

AEREI - Per arrivare in Ungheria, Portogallo o Francia senza spendere un capitale varie le soluzioni low cost. Oltre alle più note Ryanair, EasyJet e Vueling, si segnalano le compagnie Monarch (che vola verso Londra), Air Europa (verso Madrid), Transavia (verso Parigi), Wizzair (verso Budapest).
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Viaggio in blu a largo della Malesia

di Daniela Giammusso

Mare cristallino, spiagge di sabbia bianca orlate da palme e foreste tropicali. E poi i fondali, ricchissimi di flora, fauna e banchi corallini. Se il paradiso esiste, probabilmente fa tappa anche in Malesia, almeno per gli amanti del sole e del relax, nel pieno del Mar della Cina e tra scenari che ricordano ancora le leggendarie avventure di Sandokan. Ma non solo spiaggia, qui il mondo si guarda soprattutto da sotto, dal profondo del blu dei fondali, che sia da esperti sub con le bombole indosso o anche solo per un po' di snorkeling con pinne e maschera. Redang, Perenthian, Tioman e Langkawi le quattro isole dove tuffarsi almeno una volta nella vita. Ecco, tappa per tappa, un'idea di ''viaggio in blu'' della penisola, da est a ovest, alla scoperta di un'ecosistema incredibile di specie marine e biodiversità.


    Sulla costa orientale della penisola, Redang è una delle isole più famose della Malesia e la più grande di un gruppo di nove che punteggiano il Mar Cinese Meridionale al largo di Terengganu. All'interno del suo Parco Marino protetto, sono ben 31 i punti per le immersioni tra giardini di corallo con gorgonie e anemoni, pesci coloratissimi e anche due relitti storici: la H.M.S. Prince of Wales e la H.M.S. Repulse, che affondarono qui all'inizio della Seconda Guerra Mondiale, preparando il terreno per l'occupazione giapponese della Malesia. Per chi non ama le bombole, l'isola è meta privilegiata anche per snorkeling, gite in barca e uscite in canoa. Si arriva in traghetto da Kuala Terengganu (Shabandar Jetty) o con barca veloce da Setiu (Merang Jetty). E se non volete più andar via, si può scegliere tra il luxury The Taaras Beach e Spa Resort, ma anche molti hotel a prezzi più contenuti. Questo periodo dell'anno è ideale anche per un tuffo alle isole Perhentian, a una ventina di chilometri dal Terengganu.


    Ricoperte da una giungla incontaminata e circondate da spiagge di polvere bianca e acque color zaffiro, Besar e Kecil sono due veri santuari per pescatori e uccelli migratori, ma anche un must per chi pratica windsurf, vela e canoa.


    Nel 2014 Kecil è stata anche inserita tra le migliori 100 spiagge al mondo per l'americana CNN, insieme alle altre perle malesi di Juara Beach a Tioman e di Pahang e Tanjung Rhu a Langkawi. Se Kecil è perfetta per chi preferisce una vacanza indipendente e low cost, Besar, la più grande, offre maggiori strutture e servizi per tutta la famiglia.

    Considerata tra le 10 isole più belle al mondo, c'è poi Tioman, 50 chilometri dalla costa orientale di Pahang, scelta nel'59 come location del musical hollywoodiano ''South Pacific'' nel 1959. Secondo la leggenda, proprio qui riposerebbe una mitica principessa drago. Tra relax e avventura, si può partire alla sua ricerca immergendosi nelle acque qui particolarmente calde (e quindi con un'ottima visibilità) tra ventagli di gorgonie, coralli Staghorn, nudibranchi e spugne marine che sembrano quasi scolpite. Oppure facendo snorkeling tra i pesci Napoleone, i golden trevally, i pesci pappagallo con il corno e i banchi di fucilieri. Intorno a Tioman si trovano poi una miriade di piccoli isolotti come Pulau Che beh, regno delle mante giganti. O Pulau Soyak con il relitto ricoperto da coralli e ancora Pulau Labas con le sue enormi scogliere che dal profondo del mare sembrano arrivare a toccare il blu del cielo.

    E se poi foste stanchi, concedetevi una passeggiata anche nell'entroterra, nel suo verde ricco di fiori selvatici, farfalle, varani, cervi e scimmie.

    Tioman offre hotel adatti a ogni budget: dal Japamala Resort, quintessenza del lusso, a hotel più pittoreschi. Infine Langkawi, gioiello del Kedah e dal 2007 Global Geopark dell'Unesco per il suo patrimonio geologico di 550 milioni di anni di età. Qui non mancano le attività: dai tour in barca lungo fiume Kilim tra mangrovie macachi e granchi soldato alle immersioni nella riserva naturale protetta del Pulau Payar Marine Pak. E per ammirare l'isola dall'alto con un'esperienza davvero adrenalinica, da non perdere la salita con il Langkawi SkyCab, una delle più ripide funicolari al mondo. Per dormire, l'isola offre soluzione per tutte le tasche: dai lussuosi resort come Four Season Langkwai o The Dati Langkawi, alle strutture più economiche nei pressi di Cenang Beach.
   
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Torino. Oggetti di devozione da tutto il mondo In mostra l'umanità unita in una preghiera


Nepal, città di Katmandu, piazza Durbar: la grande festa d’inizio anno in onore di Shiva. Una donna aggiunge palline di cera ai piccoli ceri che già bruciano da ore di fronte al tempio. Si ferma a mani giunte, recita qualcosa e poi con la mano destra si segna, prima la fronte, poi il petto, poi una tempia. Cosa sta facendo? Ho la presunzione di pensare che stia pregando. Cosa me lo fa pensare? L’intensità del suo sguardo, il raccoglimento e il fatto che con lei migliaia di altre persone ripetono gli stessi gesti, gli stessi mantra e chiedono, mi sembra, qualcosa. Shiva è il dio della creazione e della distruzione allo stesso tempo, principio vitale nella sua danza perenne e distruttore del male. Immagino quindi che la donna si stia “indirizzando” alla divinità per lodarla o per chiederle qualcosa. Immagino. 

Una buona prudenza mi fa pensare allo stesso tempo che non posso proiettare su di lei quello che io conosco del pregare. Eppure qui, come tra i sufi di una tekkè di Istanbul o tra gli oranti di una sinagoga a Casale Monferrato, come tra i copti di Lalibela in Etiopia vedo gesti e parole, movimenti individuali e collettivi che mi fanno pensare alla stessa cosa: al fatto che pregare non sia un’esclusiva del mondo a cui appartengo, ma qualcosa che ha a che fare con una base comune a tutta l’umanità. Ci vuole del coraggio nel dirlo, sicuramente, perché mai come adesso siamo soggetti alla prova del pensare che le religioni siano luogo di conflitti, che tra induisti e musulmani in India non c’è pace, come non c’è tra copti, cristiani e musulmani in Egitto o in Siria, come non c’è tra buddisti e induisti in Thailandia o a Sri Lanka. Però quell’intensità, quel rivolgersi alla divinità o alle profondità di sé stessi, gli strumenti stessi usati per la concentrazione, rosari che si chiamano 
mala, tesbih, japamala ma che consentono al fedele di diventare una macchina di preghiera, tutto questo mi spinge a credere che ci sia una base comune. È il contrario di quanto alcuni pensatori hanno dichiarato. 

Rodney Needham in un famoso libro dal titolo Credere metteva in dubbio che si potesse estendere la categoria del credere a culture che non sono la propria. Ed il laicismo alla francese che oggi manda in carcere i ragazzini che a scuola si rifiutano di dire «Je suis Charlie» professa come credo l’abolizione di tutti i credi. Rispetto a questa posizione come antropologo e come viaggiatore assiduo non posso non pensare che anche gli “altri” preghino. 

Me lo dice l’esperienza diretta, l’amicizia con persone di altre culture, la conoscenza dei testi delle preghiere altrui, islamiche, induiste, buddiste, ebraiche e perfino di mondi che sembrano lontani, quelli dell’animismo e dello sciamanesimo, ma che condividono lo stesso anelito a comunicare con la divinità, sia essa rappresentata 
da spiriti della natura, da una pluralità o da un’unità di forze. Me lo dicono gli studiosi di religioni che da almeno due secoli si arrovellano su questa materia. 

E me lo dice l’evidenza della mia esperienza diretta. Ed è per questo che da qualche anno ho coltivato un sogno anticonformista e pericoloso: quello di raccontare la preghiera come qualcosa di universale, di comune nei gesti, nelle parole, nei canti, nelle danze a culture diversissime e lontanissime. 

Ho raccolto rosari di tutti i culti e mi sono stupito della loro bellezza e antichità e poi ho scoperto che i rosari “comunicano” tra di loro, raccontano cioè una storia di “prestiti” da una cultura all’altra. Nascono nel Subcontinente indiano, vengono assunti dal buddismo, i sufi dell’Asia centrale se ne appropriano e li passano ai monaci ortodossi anatolici che a loro volta li passano al mondo cattolico. Questi cerchi di preghiera raccontano l’assiduità della preghiera, il bisogno di ripetere, la sua circolarità che abolisce il tempo e lo rende qualcosa di fertile per dare al mondo un aspetto più divino. Ma allo stesso modo ci sono gesti come il “segnarsi”, come il genuflettersi, il tenere le mani giunte, o le braccia aperte nell’invocazione e nella danza che risalgono a tempi antichi e che sono ancora presentissimi nell’umanità. È il grido del Salmo 30, che dice: «Hai trasformato il mio lamento in danza». La preghiera implica, coinvolge e trasforma il corpo nella sua individualità e nella sua comunità con altri corpi, di presenti e di assenti. 

Contro la tendenza a pensare che le religioni siano luogo dell’antagonismo, una parte di me sa che esse sono anche l’espressione di un anelito comune che produce straordinarie coreografie, architetture, poesie, pratiche quotidiane, quello che gli antropologi chiamano “cultura”. Mi trovavo qualche giorno fa, invitato dal governo del Marocco, a filmare la preghiera all’interno delle magnifiche moschee di Fes. Un privilegio, perché ai non musulmani è interdetto l’ingresso. Adesso sono io l’osservato mentre riprendo. A questi composti fedeli che si genuflettono al richiamo del muezzin e che adempiono cinque volte al giorno uno dei doveri dell’islam, la 
salat, devo sembrare alquanto singolare. Perché l’altra faccia della medaglia è che ogni orante di ogni religione pensa che la sua sia l’unica maniera di pregare. E si stupisce che, ad esempio, il rosario esista anche in una cultura diversa dalla propria. È difficile testimoniare la base comune della preghiera, ma è anche sempre più urgente perché implica una vera coscienza universale. 
avvenire

Mostra al Louvre. Rapporto con Dio di Poussin, "Raffaello francese"

Balzac aveva colto l’essenza di una polemica nazionale che durava dal Seicento mentre scriveva Il capolavoro sconosciuto. Fra le tante cose che Balzac semina nel racconto, infatti, c’è anche sottintesa laquerelle che da due secoli si combatteva attorno a Poussin, il pittore filosofo, ma anche il “libertino erudito”, insomma il genio nazionale che la Francia venerava, e venera, come il suo Raffaello. 

I protagonista del Capolavoro sconosciuto, Frenhofer, riceve la visita dell’amico pittore Pourbus, il quale viene accompagnato da un giovane artista, Poussin appunto. Di fronte al quadro che Frenhofer sta dipingendo i due hanno un moto di sconcerto: gran parte della tela, infatti, è coperta da una informe crosta di colori, e soltanto in un angolo si vede emergere un piede femminile, ma eseguito con sublime verità. Frenhofer insiste a difendere il suo capolavoro che sfida la vita, ne nasce un alterco e il congedo dei due ospiti è brusco e repentino. 

Il giorno dopo Pourbus tornerà da Frenhofer e scoprirà che si è ucciso. In precedenza, però, Frenhofer aveva cercato di spiegare al povero Pourbus, che si era recato da lui per mostrargli un suo ritratto femminile, che cosa non andava (pur essendo ben dipinto): «Non riesco a credere che questo corpo sia animato dal tiepido soffio della vita. Mi sembra che se posassi la mano sulla gola di questa immobile rotondità, la sentirei fredda come il marmo». Qui Balzac applica a Pourbus la critica che venne mossa, già nel Seicento, a Poussin. La sua freddezza, la cerebralità della sua pittura “di pietra”.

La critica era stata rivolta a Poussin da Roger de Piles, artista e diplomatico francese, che aveva ricevuto una formazione filosofica e teologica e soggiornò per qualche anno a Venezia. De Piles scrisse, tra le altre cose, un Dialogo sui colori (1673), dove sosteneva la superiorità della pittura veneziana su Raffaello. Ma ai vertici poneva Rubens, contrapposto a Poussin, il quale, dice De Piles, finisce per dare alla carne l’apparenza della pietra, mentre Rubens fa proprio il contrario, fa sembrare carne la pietra. Lesa maestà? Certo, se si considera che Poussin era già all’epoca, cioè otto anni dopo la sua morte, considerato «le Raphaël de la France», come ricordano Nicolas Milovanovic e Mickaël Szanto, introducendo in catalogo le questioni da cui nasce l’importante mostra che il Louvre ha inaugurato a proposito di Poussin e Dio

E sarà perché si tratta ancora di lesa maestà che i due curatori della mostra nel loro saggio non nominano mai De Piles? Eppure, questo personaggio dalla vita avventurosa fu, con André Félibien, il teorico più ascoltato nel dibattito sulla pittura, dove difendeva, contro Vasari, la supremazia del colore sul disegno. La diatriba si lega bene al tema della mostra, tanto più che i curatori partono dalla polemica suscitata circa vent’anni fa da Jacques Thuillier quando allestì la grande retrospettiva su Poussin al Grand Palais. Thullier disse a chiare lettere che non vedeva in Poussin un vero afflato religioso, anzi aggiungeva che non fu mai toccato dalla grazia, quindi dalla fede, semmai realizzò una sintesi di cristianesimo e stoicismo antico (che bastava però a Fumaroli per farne un pittore cristiano).

Poussin era quasi un asceta, non si concedeva lussi, e non li ostentava. Aveva vissuto parecchi anni a Roma, dov’era morto nel 1665. Dire che campasse di niente, d’altra parte, sarebbe comico. Era, appunto, un pittore filosofo, e nell’Autoritratto del 1650, all’età di cinquantaquattro anni, mostra lo sguardo severo e virtuoso del “moralista” che nella mano destra stringe una cartella colma di disegni e al mignolo porta un anello con diamante. Le ultime ipotesi legano questo anello alla figura femminile sullo sfondo che indossa un diadema con al centro un occhio aperto (che il Bellori interpretò come un’allegoria della pittura), a un significato propriamente cristiano: l’occhio sarebbe quello della Provvidenza e le due braccia che cingono la donna evocherebbero l’incontro di Maria con Elisabetta, dove l’anello diamantato rappresenterebbe il simbolo della forza e costanza nella fede in Cristo “divino diamante”, incorruttibile e celeste. Ipotesi ardita, non c’è dubbio. Tuttavia, il fatto che Poussin abbia dipinto circa quaranta quadri dove compare la figura di Mosè, significherà qualcosa, tanto più se si pensa alla lunga tradizione misteriosofica fondata sul “Mosè egizio”. 

Bisognerebbe anche ricordare che dai Libri Carolini in poi esiste una polemica dei francesi sull’immagine sacra che rifiuta la consustanzialità fra l’immagine e l’archetipo affermata dal cristianesimo orientale (i Libri Carolini furono scritti, infatti, come risposta critica alle conclusioni del secondo Concilio di Nicea). Il sacro per un pittore francese è, in ogni caso, più secolarizzato di quanto non sia per un pittore italiano. 

poussinecu_cr.jpg

L’Eucarestia che Poussin dipinge pare la cena iniziatica di una setta o la seduta notturna di una scuola eleatica; dello stesso tenore anche il sacramento della cresima. Sono il frutto della meditazione di Poussin sugli antichi (più che su sant’Agostino, come sostengono i curatori della mostra), che egli traspone in una precisa metrica compositiva ammantando l’immagine del significato cristiano (il Cristo del Miracolo di san Francesco Saverio, d’altra parte – e già all’epoca venne così etichettato – sembra una specie di “Giove tonante” che incombe dal cielo).

C’è sempre qualcosa di troppo “elevato” in Poussin: L’Assunzione della Vergine sembra venirci incontro con la solidità di una statua, La Sacra Famiglia sulle scale pare più interessata alla dialettica con l’architettura e all’austerità "morale" della vita in una ideale società antica; la Morte della Vergine è una costruzione di elementi retorici dove il dolore e ilbouleversament indotto nei discepoli dal trapasso della Madonna non ha più nulla della verità umana, che invece si coglie nel quadro di Caravaggio, spostato per l’occasione poche stanze più in là, sempre al Louvre, dove è allestita, in perfetto pendant, una piccola ma calibratissima mostra, sulla “fabbrica delle immagini sante” a Roma e Parigi tra il 1580 e il 1660. Quattro anni fa il Louvre aveva presentato in queste sale una retrospettiva su Rembrandt e la figura di Cristo. 

Ne avevamo parlato ricordando quanto fosse stata decisiva la ricerca di Rembrandt se si prova a immaginare il deserto iconografico che si era prodotto nelle chiese olandesi con la Riforma. Molti artisti non avevano più sotto gli occhi modelli a cui ispirarsi. Rembrandt reinventa l’iconografia di Cristo e ce ne restituisce un’immagine profondamente umana senza tradire l’altra natura, quella divina. Se, adesso, consideriamo con la stessa ottica questa mostra sulla costruzione delle immagini sacre a Parigi, tenendo ben in mente la storia dell’iconoclasmo che dopo l’epoca tardo-bizantina riceve dalla Riforma nuova linfa, ci accorgiamo che a venir meno fu la natura umana, rimanendo quella divina una specie d’involucro, di larva, senza empatia; ed è questo un segno della difficoltà a conciliare teologia dell’immagine e incarnazione, così che prevale l’ésprit, cioè la mente e la ragione, anziché il cuore, pascalianamente inteso. 

È un’arte retorica, che non sembra potersi spingere, per esempio, dentro il dramma della Redenzione – vedi il Cristo morto di Philippe de Champaigne, che pare in posa per una foto, coi truccatori che hanno deposto ai bordi della ferita di lancia un gel colorato che gocciola luccicando su un corpo dove persino i buchi dei chiodi hanno qualcosa d’inverosimilmente grande e innaturale. La morte del Cristo diventa quella di un eroe, il sacrificio per l’idea, a cui, oltre un secolo dopo, l’iconografia rivoluzionaria cercò di dare nuovo pathos simbolico e rituale portando a compimento quella razionalizzazione del sacro che s’intuisce già in Poussin e in altri artisti francesi del suo tempo.
avvenire

Parigi Bonnard, il lusso del colore


Il paladino più appassionato della pittura di Pierre Bonnard, oggi, è certamente Jean Clair. Difficile dargli torto, dopo essere usciti dalla straordinaria retrospettiva che il Museo d’Orsay dedica al pittore francese, a cura di Guy Cogeval e Isabelle Kahn. Sì, si può fare come alcuni critici che accusarono Jean Clair di aver usato Bonnard per ribadire la sua idiosincrasia verso le avanguardie. Il saggio, non lunghissimo, che scrisse nel 1975, ripubblicato nel 2006 e poi ancora nel 2008 all’interno di una raccolta di interventi critici, era un primo frutto di quella “critica della modernità”, che Clair stava elaborando, poi riassunta in un fortunatissimo pamphlet che tenne banco all’inizio degli anni Ottanta quando si cominciò a parlare del “ritorno alla pittura” che coincise con la moda del postmoderno.
Si dice che la pittura sia un’arte che torna in auge quando si fa sul serio, e quando il mercato riprende quota. È un lusso che diventa barometro della salute economica, insomma. Ora, Bonnard è certamente un pittore del lusso. Ma non quello borghese, ché anzi dalla sua pittura traspare una certa antipatia verso questo mondo. Il lusso di Bonnard è di segno metafisico, è quello del colore che riporta la natura a una condizione dove l’ombra è quasi imprendibile e rende a sua volta i corpi e le cose un riflesso nello specchio che, con la finestra, come notava Clair, è un tema importante per Bonnard. Nel catalogo della mostra, Nicholas-Henry Zmelty scrive che Bonnard e Matisse reinventarono il motivo classico della finestra, e si potrebbe aggiungere che la finestra (e lo specchio) sono il “diaframma” tramite il quale la natura torna a essere il giardino dell’inizio, vista come il «primo mattino del mondo» scriveva Clair, cogliendo un riferimento allo sguardo di Dio che ricrea il mondo in ogni istante mentre lo guarda.
Sempre i critici avversi, insinuarono che Clair volesse usare Bonnard come arma contro Matisse. Difficile avere la meglio, questo è certo. Perché Bonnard è sicuramente un pittore puro, pur senza essere un astratto antifigurativo. La mostra si apre con un Paravento a tre ante del 1889: il fondo completamente rosso, canne di bambù e felci, uccelli di varie specie: la certezza che quest’opera raffinatissima deve moltissimo alla stampa giapponese è pari a quella su quanto il primo Matisse debba a Bonnard.
Pare che non datasse mai la sua corrispondenza, Bonnard; invece, annotava giorno per giorno con meticolosa precisione nei suoi carnets le minime variazioni meteorologiche. Era tipico di un temperamento melanconico. Matisse lo fu forse di meno? Non disse instancabilmente, per tutta la vita, che la pittura doveva suscitare la gioia di vivere, essere un’oasi per l’uomo oppresso dalle infinite brutture di questo mondo? Sempre nella prima stanza della mostra, vengono esposte alcune strepitose tempere su carta, con figure femminili in giardino (e una con una donna in vestaglia che si confonde con la natura al punto tale da essere quasi indistinguibile da essa) dove valore di superficie e valore tattile del colore si scambiano continuamente i ruoli, in un sublime artificio decorativo.
Siamo 1890 e ’91, lo japonisme domina la scena parigina dopo le esposizioni universali che hanno fatto conoscere l’arte orientale e quella dei primitivi africani e oceanici; l’impressionismo è all’apice; ma Degas aveva sorpreso tutti e scandalizzato i benpensanti nel 1886 con sette pastelli dove donne della più umile condizione sociale vengono mostrate mentre fanno il bagno, si asciugano, si pettinano. Un affondo di strepitosa bellezza. Ed è ai pastelli e all’immaginario poetico di Degas, che Bonnard s’ispira in dipinti come La siesta (1900), Donna addormentata sul letto(1899), ma soprattutto negli anni che ruotano attorno alla Grande guerra, con Nudo inginocchiato nella tinozza del 1918 (che cita esplicitamente Le tub di Degas), Grande nudo blu del 1924, e ancora nel Nudo di schiena alla toilette del 1934.
Una cosa è chiara: Bonnard si è scelto i suoi compagni di viaggio: tre, in particolare: Degas, Matisse e Redon. Ecco l’altro profeta del mondo “surnaturel” e libero da ogni preconcetto modernista. Chi ha potuto vedere la grande retrospettiva che Parigi ha dedicato a Redon nel 2011 ed è entrato in quella stanza allestita coi dipinti che realizzò nel 1911 per l’abbazia di Fontfroid (acquistata dal pittore Gustave Fayet, suo amico), si è reso conto di quale poesia del colore furono capaci alcuni artisti francesi nei primi decenni del Novecento, oltre lo stesso impressionismo, anzi negando all’impressionismo quel verbo prospettico che lo stesso Matisse smantellerà nella sua pittura fauve e poi nelle composizioni successive dalla Danza del 1909, con gli interni arabescati degli anni Dieci, fino al culmine, dopo la metà del secolo nei papiers découpés.
Fra Bonnard e Redon la sintonia è anche nella tavolozza: certi gialli e azzurri, gli arancioni e i turchese tendenti al violetto. E il viola è il colore dove il cromatismo di Bonnard scatta con una intensità che tiene insieme bellezza e malinconia, come nel dipinto, sul quale tornerà più volte nell’arco di quasi vent’anni, La terrazza a Vernon (1920-1939). Vernon, che dista pochi chilometri da Giverny, dove Monet si è ritirato per dipingere la sua “natura naturata” del giardino che ha creato per essere una macchina dell’immaginazione; poco distante, dunque, Bonnard dipinge la sua natura “edenica”. Fénéon lo aveva definitivo un Nabis «molto giapponese»: in realtà, nei Nabis Bonnard ci stava stretto, la sua pittura era “profetica” ma non simbolica come l’intese il cenacolo raccolto da Paul Sérusier. Bonnard cercava il colore-vita, il colore-sguardo, era, per certi aspetti, un neobizantino. Ne testimoniano quadri come La danza del 1912, ma anche Il Paradiso terrestre e Sinfonia pastorale, dipinti tra il 1916 e il ’20.
Col tempo Bonnard sembra voler riscuotere il suo credito col primo Matisse, e in un dipinto come Tavolo da lavoro (1926-37) ritrova quella composizione quasi bidimensionale che Matisse pensava come architettura astratta di colore, soprattutto negli interni domestici. Per giganti della pittura come questi, le analogie e le citazioni non sono mai veri furti, si tratta di stimoli amicali, di affinità elettive, di un sentire comune che rappresenta, oltre gli schematismi critici, un sentimento del colore, una visione, che li unisce come la linea di un arabesco e da Bonnard, può giungere, forse anche inaspettatamente, fino a Rothko e Barnett Newman.
Parigi, Museo d’Orsay
Bonnard
Peindre l’arcadie
Fino al 19 luglio
avvenire