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Firenze La "La Madonna della Gatta", di Federico Barocci dai depositi a star di Palazzo Pitti


Ritorna al suo posto, dopo 10 anni, a Palazzo Pitti, La Madonna della Gatta, capolavoro del '500 dell'artista di Urbino  Federico Barocci. L’opera, olio su tela (2,33m x 1,79m, 1598 circa), è stata collocata  nella sala di Berenice, nella Galleria Palatina, insieme ad altre opere di Barocci riallestite in questo spazio per l'occasione (ilRitratto di fanciullo; e la copia coeva dall'Annunciazione).  Altre due opere di Barocci, da poco tornate in esposizione,  si trovano agli Uffizi. Si tratta della monumentale palaLa Madonna del Popolo e del Noli me tangere, entrambe ora collocate nella Sala del Pilastro, dedicata alla pittura del '500. 
La tela giunse a Firenze nel 1631, insieme ai beni dell'eredità di Vittoria della Rovere, per effetto del matrimonio con Ferdinando II de’ Medici, e fu originariamente collocata nel suo appartamento d'inverno, al primo piano di Palazzo Pitti, dove oggi viene nuovamente esposta. E' stata oggetto di numerose copie, tra le quali spicca il sontuoso arazzo eseguito nel 1663-1664 da Pietro Fevère su commissione della stessa granduchessa, e conservato negli Appartamenti Reali di Palazzo Pitti. 
"Quella che il pittore ha immaginato per questo dipinto, eseguito intorno al 1598, è una delle più delicate e teatrali interpretazioni della maternità - spiega Anna Bisceglia, curatrice della pittura del Cinquecento delle Gallerie degli Uffizi - Giuseppe solleva la tenda e introduce subito lo spettatore tra le mura domestiche, dove la Vergine sta cullando il suo bambino. La particolarità da cui il dipinto prende la sua denominazione è proprio la gatta che allatta i suoi cuccioli, sistemata dal pittore giusto al centro della scena, morbidamente accoccolata tra le vesti di Maria. Un dettaglio che ha la capacità di proiettare in un sol colpo l'immagine sacra in una dimensione quotidiana, vera, di affetti semplici  e moti dell'anima che lo spettatore sente vicini a sé e che lo inducono a sentirsi parte di quel dialogo gentile di sguardi e di gesti. Ed è proprio in questa straordinaria capacità di far convivere una sentimentalità accessibile, espressa con una rappresentazione chiara e immediata, con l'eleganza di una materia pittorica raffinatissima che Barocci si rivela lo straordinario protagonista di una stagione di passaggio, che raccoglie l'eredità della grande pittura manierista e la lancia decisamente nell'universo Barocco".
"Il grande ritorno della Madonna della Gatta fa parte della strategia di valorizzare di più Palazzo Pitti, facendoci tornare dei capolavori che in passato vi erano esposto, ma successivamente furono trasportati in altri musei e talvolta finirono nei depositi - spiega il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt - il nuovo allestimento nella sala di Berenice rende evidente l'importanza dello stile di Federico Barocci per la pittura seicentesca, elemento che si nota particolarmente grazie alla esposizione accanto alla Adorazione dei Magi di Luca Giordano ed anche alla presenza di dipinti seicenteschi della scuola fiorentina. Una composizione di opere che esalta le scelte cromatiche di Barocci, l'articolazione astratta dei suoi panneggi, il senso delle sfumature atmosferiche, fondamentali per la pittura del secolo successivo. Pertanto si può dire che la collocazione in prospettiva diacronica della Madonna della Gatta a Palazzo Pitti, è complementare all'allestimento della Madonna del Popolo e del Noli me tangere nella sala del Pilastro degli Uffizi, dove i due capolavori del maestro urbinate fanno parte del canto polifonico di dipinti della pittura della Controriforma organizzati in maniera sincronica".
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segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale

“Etruschi Maestri Artigiani". Le più importanti testimonianze riunite nella mostra di Cerveteri e Tarquinia”

Tarquinia (VT), Necropoli di Monterozzi Tomba dei Leopardi; 

Nel 2004 le necropoli etrusche della Banditaccia a Cerveteri e dei Monterozzi a Tarquinia sono state inserite nelle liste del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Le grandi pitture murali di Tarquinia con scene di vita dai colori accesi e il paesaggio dei maestosi tumuli di Cerveteri che rivelano la devozione e il rispetto verso i defunti, testimonianza di un’unica antica e grande civiltà urbanizzata nell’Italia pre-romana, sono stati riconosciuti “capolavoro del genio creativo dell’uomo”. Per celebrare questo anniversario Edith Gabrielli, direttrice del Polo Museale del Lazio in cui dal 2018 rientrano le due aree archeologiche e i rispettivi musei, ha avviato un progetto complessivo di valorizzazione che vede nell’inaugurazione della mostra “Etruschi Maestri Artigiani. Nuove prospettive da Cerveteri a Tarquinia” una prima fase del rinnovamento degli allestimenti che interessano il sito Unesco nella sua unitarietà. E a settembre il nuovo percorso nelle necropoli. I due centri sono inseriti nel programma di spettacoli, musica, teatro e visite a tema Art-city ‘19 organizzato da Marina Cogotti tra le necropoli e i musei a partire dal 4 luglio, data del riconoscimento Unesco, fino al 7 settembre. “Lavoriamo per il territorio, in armonia con gli enti locali – spiega Gabrielli alla presenza dei sindaci di Cerveteri e Tarquinia Alessio Pascucci e Alessandro Giulivi – L’obiettivo è il turismo internazionale ma non solo, occorre far riscoprire il patrimonio alla gente che abita accanto”.  

Due musei storici prestigiosi, il museo di Tarquinia ospitato in Palazzo Vitelleschi, capolavoro architettonico che vanta la compresenza di elementi gotici e rinascimentali, divenuto museo statale nel 1916, conserva straordinari capolavori della scultura etrusca in   terracotta come i “Cavalli alati” del santuario dell’Ara della Regina che decoravano  il frontone, rinvenuti nel 1938 durante gli scavi di Pietro Romanelli e il gruppo marmoreo di Mitra che uccide il toro asportato dalla Civita di Tarquinia e recuperato dall’Arma dei Carabinieri. Il Museo Cerite ospitato nella rocca della famiglia dei principi Ruspoli del XIII secolo, aperto nel 1967 e allestito dall’architetto Franco Minissi, conserva i corredi delle necropoli del Sorbo, di Monte Abatone, di Casaletti di Ceri  e del Laghetto, della Banditaccia. Fra i tesori ritornati a casa definitivamente, dopo essere rimasti per un po’ di Tempo a Villa Giulia due capolavori della ceramica attica a figure rosse di Eufronio, la Kylix finita al al Getty Museum di Malibù e il Cratere  con la morte di Sarpedonte rinvenuto negli anni Settanta in una tomba a camera in località Greppe Sant’Angelo restituito dal Metropolitan Museum di New York nel 2008. 
L’attenzione alla magia dei luoghi e all’unicità delle raccolte museali, si tratta di due musei importanti, dalle grandi potenzialità, così come ricche di prospettive sono le aree connesse archeologiche, hanno indotto a un approccio diverso. Non l’ennesima esposizione temporanea, ma una valorizzazione delle raccolte presenti nei musei integrate da pochi ma significativi prestiti tali da dare ulteriore senso ad alcuni contesti e specifici manufatti, affidate a due validi studiosi Andrea Cardarelli e Alessandro Naso (catalogo Artem). Che hanno riletto le raccolte esistenti ponendo particolare attenzione al loro aspetto tecnico, alla straordinaria perizia artigianale raggiunta dagli  etruschi nel corso del primo millennio a. C. Fermandosi in particolare sulla metallurgia della prima età del ferro per Tarquinia e la produzione tessile del periodo villanoviano per Cerveteri. Durante la prima età del ferro il campo metallurgico appare il più dinamico dei settori artigianali  raggiungendo livelli di notevole raffinatezza formale con produzioni varie e decorazioni realizzate a cera persa. La tomba di guerriero di Monterozzi 3 della necropoli delle Arcatelle ha restituito oggetti di particolare interesse. Coma la fibula serpeggiante  “a due pezzi” e la spada con manico fuso ad antenne realizzato a parte. Proviene da una tomba femminile della stessa necropoli il carrello cultuale in bronzo che inscenava il movimento del carro del sole.  
Gli etruschi mostravano competenze talmente elevate che a Roma all’epoca di Tarquinio Prisco che secondo la tradizione regnò dal 616 al 579 a. C. vennero commissionate opere a scultori etruschi. Una fama che giunse anche in Grecia se nella seconda metà del V sec. a. C. il commediografo Ferecrate celebrò  “gli etruschi esperti della tecnica che producono oggetti di ogni tipo”. Riferimenti validi non solo per oggetti di bronzo, come trombe o candelabri, ma anche per le scarpe. In particolare i sandali femminili dalle alte suole, oggi ultima moda, che venivano rivestite di lato da lamine di bronzo decorate a sbalzo con scene figurate. Quelle che Fidia adotta per la statua in avorio e oro di Atena nel Partenone dell’Acropoli di Atene. E per dare concretezza all’operazione, per far comprendere quante e quali competenze servano per produrre un oggetto artistico o di artigianato è stato deciso di riprodurre come oggetti campione alcuni manufatti di bronzo che rivestono un particolare significato per prestigio  e  valenza socio-economica, come un elmo e una spada. Tutta l’operazione è stata ripresa in un video visibile in sala.
In mostra prestiti veramente eccezionali  come i pezzi dei Musei Vaticani che tornano per la prima volta nel luogo in cui furono trovati. Oggi sono conservati nella seconda sala del Museo Gregoriano Etrusco dei Vaticani dedicata interamente alla Tomba Regolini Galassi, cosiddetta dai nomi del generale Vincenzo Galassi e dell’arciprete Alessandro Regolini che la scoprirono  in uno scavo 1836- ’37  nella necropoli del Sorbo a sud di Cerveteri.  Una tomba in parte intagliata nel tufo e in parte costruita a blocchi squadrati e chiusa da una falsa volta, coperta da un tumulo di terra.  E ricchissima,  certa la presenza di due defunti, una donna di rango principesco nella cella terminale, un uomo, cremato, nella cella di destra. Ha restituito resti bronzei del trono, una fibula d’oro, una biga, una serie di scudi da parata e del vasellame di argento. E sono questi oggetti in argento, anforette, coppe, Skyphos più un prezioso pendente trapezoidale in oro, decorato a sbalzo e granulazione ad essere in mostra nella prima sala del Museo Cerite. Vengono dai Vaticani anche il calice smontabile in bucchero e l’oinochoe fenicia in bucchero rinvenuti nel 1869 nella necropoli della Banditaccia nella tomba Calabresi, cosiddetta dal nome dello scavatore. 
Dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia  viene la splendida “Hydria Ricci”, rinvenuta alla Banditaccia, il vaso che conteneva l’acqua che andava miscelata al vino nel cratere. Uno dei capolavori assoluti della produzione ceretana che rimanda alla pratica del simposio, a Dioniso e alla coltivazione della vite come opera di civilizzazione. E’ un prestito del Museo Diocesano “Carlo Chenis” di Tarquinia il busto reliquiario di San Teofanio con lo stemma di Bartolomeo Vitelleschi, mentre dal Convento di San Francesco viene il busto reliquiario di S. Agapito.
Museo Nazionale Archeologico Cerite Piazza Santa Maria Cerveteri tel 06-69941354 - Necropoli della Banditaccia – Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia Piazza Cavour 1 tel.0766- 856036 - Necropoli di Monterozzi . Orario: da martedì a domenica 8.30 – 19.30, fino al 31 ottobre 2019. Informazioni: www.art-city.it 
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segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale

Cinema: Gran Paradiso Film festival chiude con +25% pubblico



(ANSA) - TORINO, 28 LUG - "Aigle et gypaete, les maitres du ciel" di Anne ed Erik Lapied trionfa al Gran Paradiso Film Festival, concorso internazionale che si è concluso ieri sera a Cogne (Aosta). Il film dei registi francesi ha ottenuto anche il Premio Ente Progetto Natura awarded by CAI, assegnato dalla giuria tecnica. Il Trofeo Stambecco d'Oro Junior, attribuito dalla giuria dei più piccoli, è stato invece assegnato ex equo a 'Age of the big cats - The origin'di Martin Dohrn e a 'Blu planet II - The ocean'di Jonathan Smith, James Honeyborn, Mark Brownlow, mentre il premio CortoNatura è andato a 'Uno strano processo', del regista svizzero Marcel Barelli. 

Il festival, organizzato da Fondation Grand Paradis e giunto alla 22esima edizione, ha registrato un record assoluto di presenze, +25% rispetto alla passata edizione. 'Realtà e sogno' era il tema di quest'anno. Selezionate 135 opere provenienti da 27 Paesi di 5 continenti, opere poetiche e di denuncia sui vari temi legati alla natura, all'ambiente e agli animali.

Deltaplano / Trionfo Mondiale per Italia trionfo nei cieli del Friuli e quelli delle vicine Slovenia e Austria

Per la decima volta, le ultime sei consecutive, l’Italia conquista il titolo di campione del mondo di volo in deltaplano. 
Azzurre anche le medaglie d’oro e d’argento nell’individuale con Alessandro Ploner, pilota di San Cassiano (Bolzano), e Christian Ciech trentino trapiantato a Varese. Per Ploner è il suo terzo titolo mondiale mentre Ciech lo aveva vinto nel 2015. Aggiungendo i cinque titoli europei e le tante medaglie individuali, non si ricorda una disciplina sportiva nella quale una rappresentanza tricolore abbia vinto di più.

Gli azzurri hanno condotto i giochi fin dalle prime battute, mantenendo la testa delle classifiche durante tutte le nove task disputate, una al giorno. Annullate altre due per meteo avversa. Solo il tedesco Primoz Gricar è riuscito ad arginare lo strapotere italiano, finendo il campionato con un meritato terzo posto davanti allo svizzero Peter Neuenschwander e al francese Mario Alonzi. Nella classifica a squadre seguono l’Italia Brasile, Austria, Germania e Giappone.

Teatro del trionfo i cieli del Friuli e quelli delle vicine Slovenia e Austria dove talvolta sono sconfinati i percorsi assegnati ai 120 piloti in rappresentanza di 29 nazioni, 75 km il più breve, 200 il più lungo, distanze coperte sfruttando come “motore” le correnti d’aria ascensionali e l’efficienza delle ali. Direttore di gara il friulano Luigi Seravalli; addetto alle previsioni meteo l’istruttore vicentino Damiano Zanocco.

Gli altri azzurri in gara: Filippo Oppici di Sala Baganza (Parma) nono classificato, Marco Laurenzi di Veroli (Frosinone) undicesimo, Davide Guiducci di Villa Minozzo (Reggio Emilia), Tullio Gervasoni di Brescia, Suan Selenati di Enemonzo (Udine) e Manuel Revelli di Cervasca (Cuneo).  Alle stelle il varesino di Castiglione Olona Flavio Tebaldi, storico CT della squadra, coadiuvato da Elia Piccinini di Castellarano (Reggio Emilia).

Centro operativo a Tolmezzo (Udine) che ha ospitato numerose manifestazioni collaterali oltre le cerimonie di apertura e chiusura. Valutate in 7000 le presenze giornaliere in media. Numeroso lo stuolo degli operatori sul campo, vera locomotiva senza la quale nessuna gara di volo libero potrebbe esistere, oltre 40 persone coordinate da Bernardo Gasparni, dal responsabile alla sicurezza Giovanni Rupil e da Aero Club Lega Piloti che hanno raccolto un’ennesima medaglia se mai si potesse così premiare la loro efficiente e unanimemente apprezzata organizzazione. Fondamentale il supporto della regione Friuli Venezia Giulia, di Promo Turismo FVG, del Comune di Tolmezzo e degli enti locali.

  Ufficio Stampa FIVL

Associazione Nazionale Italiana Volo Libero
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale