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La mostra al Meis di Ferrara. La linfa vitale che scorre da Sukkot ai Vangeli

La simbologia della festa si ritrova nei testi cristiani: tende, luce, acqua. Echeggia anche in episodi come la cacciata dei mercanti e l’incontro con Nicodemo
Uno dei pannelli conservati all’Abbazia di Praglia

Uno dei pannelli conservati all’Abbazia di Praglia - Maurizio Cinti

Avvenire
Le feste ebraiche nei primi secoli del cristianesimo esercitarono un notevole fascino sui giudeo-cristiani e anche sui cristiani provenienti dal paganesimo, e la fede cristiana in modo più o meno consapevole è tuttora innestata sulle radici ebraiche, che non cessano di trasmetterle una linfa vitale. Ciò vale in particolare per la grande festa di Sukkot. La predicazione di Yehoshua il Galileo, Messia crocefisso, rabbi proveniente da Nazareth osannato dalle folle ma osteggiato da autorità religiose, viene situata - specialmente dal Vangelo secondo Giovanni - nel quadro dei tre principali pellegrinaggi che hanno in Gerusalemme il loro centro: Pesach, Shavuot e Sukkot, festa quest’ultima che nel corso dei secoli si era idealmente congiunta con Hannukah e la Dedicazione del Tempio a opera di Giuda Maccabeo. La Mishnah e il Talmud dedicano ampio spazio a Sukkot, perciò possiamo conoscerne numerosi dettagli, che ci permettono di comprendere molte espressioni di Gesù secondo i Vangeli, inquadrandole nel loro originario 'ambiente vitale' o Sitz im Leben. All’epoca di Gesù la 'grande festa' autunnale di Sukkot - detta in greco nei Vangeli Scenofegia dei Tabernacoli ( Tende) o delle Capanne - si era già molto arricchita di significati cosmici e storici, liturgici e religiosi, politici, escatologici ed ecumenici, innestati su antiche tradizioni cananee. Il popolo che compiva il terzo pellegrinaggio, nell’atmosfera gioiosa dei raccolti e delle vendemmie, ricordava contemporaneamente le difficili condizioni del deserto, la proclamazione della Torah, la consacrazione del Tempio, l’epopea nazionale, l’inizio di un nuovo anno salutato quasi come una 'Pasqua d’autunno', l’attesa del Messia. Gesù stesso, assiduo ai pellegrinaggi prescritti dalla Torah (Es. 23; Lev. 23; Deut. 16), prendeva parte alla festa che, al suo tempo, si celebrava in un tripudio notturno di luci, musiche e acque zampillanti, aperta su orizzonti messianici e universali inclusivi di tutti i popoli secondo le profezie dei giorni ultimi e del giardino di Eden in Aggeo e Zaccaria. Il maestro venuto dalla Galilea a più riprese è presentato come sorgente di acqua viva: alla Samaritana (Gv. 4), alla piscina di Siloe (Gv. 9), alla conclusione di Sukkot (Gv. 7) e, infine, sulla croce (Gv. 19,34-35). Simili espressioni evocano le immagini del pozzo traboccante che segue il popolo nel deserto come in Tosefta Sukkah (3,3) e in Targum Numeri (21,17), e del fiume di acque vive profetizzato da Ezechiele e Zaccaria. In coincidenza con uno dei solenni atti celebrativi a Sukkot, mentre un sacerdote attingeva con una brocca d’oro alla piscina di Siloe l’acqua destinata alla libazione sull’altare dei sacrifici (Mishnah, Sukkah, 4,9), la scena che potremmo immaginarci si svolgeva forse nel modo rappresentato nell’affresco nella sinagoga di Dura Europos, con il pozzo le cui acque fluiscono verso le dodici tende delle tribù d’Israele. Tali acque, sgorganti dall’altare in virtù di questo atto cultuale al culmine di Sukkot, assumevano una straordinaria pregnanza, evocante le acque della Creazione e della Redenzione o nuova creazione, come in Ezechiele 47 o in Apocalisse 22. Tra i gesti e le parole di Gesù sparsi nei quattro Vangeli canonici, che possiamo collegare più o meno direttamente alla festa, ne consideriamo alcuni riguardanti i temi caratteristici delle tende o capanne, della luce, dell’acqua. La sukkah, in greco skené, in virtù di una ricchissima simbologia biblica rinvia alle tende di Abramo e Sara, del Convegno con Mosè e il popolo, di Davide e, infine, alla Dimora nel Tempio di Gerusalemme. Nel Vangelo le tende sono anche menzionate con insistenza nell’episodio della Trasfigurazione, denso di riferimenti e allusioni simili a un midrash, quando Simon Pietro propone d’innalzare sul monte tre capanne per Gesù, Mosè ed Elia, un episodio riferito con cura ben tre volte dagli evangelisti (Mt. 17; Mc. 9; Lc. 9). Il vertice di questa simbologia della sukkah si tocca nel Vangelo secondo Giovanni che, proponendo un ardito collegamento tra Shekhinah e Skenè, annuncia che il Lògos o Verbo eterno pone la sua tenda tra gli uomini (Gv. 1), come Sapienza fattasi 'carne e sangue', amante dell’umanità secondo Proverbi 3 e 8. Il tema della luce, che pure si radica fin nella prima pagina della Creazione e accompagna le manifestazioni divine a protezione e guida del popolo a Pesach e nel deserto, è un altro dei segni grandiosi della rivelazione divina che opera la salvezza d’Israele. I profeti, specialmente Isaia, vengono citati nel Vangelo secondo Matteo come prova della grande luce splendente su tutti i popoli (Mt. 4,16), e la città luminosa che attira a sé con la sua luce (Mt. 5,16) sembra un rimando chiaro a Sion e al Tempio, risplendente delle luci notturne di Sukkot, quando diventerà meta di tutti i popoli e fonte di pace universale (Zacc. 14; Is. 2). Più volte Gesù sottolinea che «la luce è venuta nel mondo» (Gv. 3,19; 9,5) e l’evangelista lo chiama «la luce vera» (Gv. 1,9; 8,12). Il terzo tema è l’acqua, come già si è detto, non meno importante per il rinvio alle acque primordiali, elemento essenziale per la vita di piante, animali e uomini, divenendo simbolo della Parola di Dio e della Torah, sorgente di vita. Gesù promette che donerà un’acqua «che zampilla per la vita eterna» (Gv. 4,14), e a Cana di Galilea si manifesta con un primo segno a partire dall’acqua mutata in un vino straordinariamente delizioso, che pare alludere al vino di Sukkot e dei tempi messianici (Gv. 2). Egli ancor più esplicitamente affermerà, nell’ultimo giorno di Sukkot: «Chi ha sete venga a me, e beva» (Gv. 7,37), e poco dopo invierà il cieco nato a lavarsi a Siloe per acquistare la vista (Gv. 9,7). Oltre a questi temi principali che fanno riferimento più o meno esplicito a Sukkot, altri se ne possono individuare come possibili spunti per ulteriori approfondimenti. Solo a titolo di esempi, la cacciata dei mercanti dall’atrio del Tempio o il discorso notturno tra Gesù e Nicodemo. I mercanti vengono cacciati dal Tempio durante una Pasqua, secondo l’evangelista Matteo, al termine del ministero pubblico di Gesù (Mt. 12,17; Mc. 11,15-19; Lc. 19,45-48), mentre il Vangelo secondo Giovanni (2,1322) narra questo episodio all’inizio della predicazione di Gesù. Ora, la cacciata dei mercanti - gesto molto significativo rimanda a profezie messianiche universalistiche (Is. 56,7) tipiche anche della festa di Sukkot, e più in particolare alla profezia di Zaccaria (14,21), quando, adempiendo il pellegrinaggio di Sukkot con la partecipazione di tutti i popoli pagani, non ci saranno più 'Cananei' nel Tempio, perciò si potrebbe anche ipotizzare che il tempo e il luogo più adatto per tale gesto profetico sia stato non Pasqua, bensì appunto Sukkot, o forse entrambe le feste. Quanto all’incontro notturno di Nicodemo con Gesù, lungamente descritto da Giovanni, esso si conclude ancora una volta con l’affer-mazione di Gesù: «La luce è venuta nel mondo» (Gv. 3,19), una dichiarazione che poco sopra abbiamo già commentato e che allude alle luci festose, caratteristiche sia di Sukkot sia della più recente festa di Hannukah. La conoscenza e l’esperienza di questa festa - come in genere delle feste d’Israele - offrono anche alla fede cristiana spunti per approfondimenti vitali, facendo riscoprire, dopo i secoli dell’antisemitismo, una fraternità di gioiosi sentimenti condivisi.
Sukkot è una delle principali ricorrenze del calendario ebraico: fa riferimento all’episodio biblico in cui gli ebrei rimasero nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto, celebra la permanenza e sopravvivenza nel deserto grazie alla provvidenza del Cielo e la precarietà della vita, rappresentata dalle capanne. Da oggi al 5 febbraio 2023, con “Sotto lo stesso cielo”, mostra a cura del direttore Amedeo Spagnoletto e Sharon Reichel, il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara approfondisce la festa e le sue molteplici sfaccettature. L’esposizione è dedicata agli aspetti religiosi, tradizionali e alla stretta connessione tra natura ed espressioni artistiche che questa ricorrenza genera, con un percorso originale che invita i visitatori a partecipare attivamente. Ancora oggi, le famiglie ebraiche costruiscono nei giardini delle sinagoghe o nelle terrazze delle loro case le capanne con tetti coperti da frasche dentro le quali trascorrono tutti e sette i giorni di festa, condividendo i pasti con numerosi ospiti. La ritualità è contrassegnata dal lulav, composto da un ramo di palma, tre rami di mirto, due rami di salice e un cedro, utilizzato durante le preghiere con affascinanti significati simbolici. Il presidente del Meis Dario Disegni sottolinea «l’eccezionalità delle dieci tavole dipinte che decoravano una sukkah della fine del XVIII o XIX secolo, provenienti dall’Abbazia di Praglia». La mostra presenta infatti dieci pannelli lignei decorativi, prodotti in area veneziana di una sukkah (capanna) della fine del XVIII o del XIX secolo, di proprietà dell’Abbazia di Praglia: opere d’arte di valore inestimabile sopravvissute alla loro natura effimera e rimaste per questo inaccessibili al grande pubblico. Sui dieci pannelli spiccano decorazioni con soggetti biblici, accompagnati da scritte in ebraico, le festività ebraiche di Pesach e la costruzione della sukkah (Sukkot). Altri illustrano diversi personaggi come Abramo, Isacco e Rebecca, Giacobbe, Rachele, Giosuè, Re Davide, Mosè ed Elia. I pannelli che componevano la capanna venivano smontati ogni anno e riassemblati il successivo; per questo, le sukkot dei secoli passati sono andate disperse e perse a causa della loro natura temporanea e portatile. Quella di Praglia è tra le poche preziose testimonianze sopravvissute. Non mancano, rimarca Disegni, «numerosi appuntamenti didattici riservati alle scuole, un momento di profonda condivisione fra le culture e conoscenza reciproca». I pannelli a muro, la grafica e un video con animazione Lego raccontano come costruire una sukkah perfetta; cesti contenenti pezzi dei famosi mattoncini saranno poi a disposizione dei visitatori, invitati a costruire la propria capanna: un’attività rivolta sia ai bambini che agli adulti. Anticipiamo in queste colonne il contributo di Pier Francesco Fumagalli, viceprefetto della Biblioteca Ambrosiana, direttore delle classi di studi sull’Estremo Oriente dell’Accademia Ambrosiana e docente di Lingua e cultura cinese all’Università Cattolica, al catalogo della mostra.

La mostra a Parma. Goya e Grosz: quando la ragione dorme gli artisti vegliano

A Palazzo Pigorini si intrecciano si intrecciano i Capricci e i Disastri della guerra di Goya e una dozzina di tele (di cui una inedita) e un cospicuo gruppo di opere grafiche di Grosz
George Grosz, “A Piece of My World II The Last Battalion”, 1938

George Grosz, “A Piece of My World II The Last Battalion”, 1938 - George Grosz Estate. Courtesy Ralph Jentsch Berlin

Avvenire
Francisco Goya e George Grosz. Sembra l’uovo di Colombo, eppure nessuna mostra aveva affiancato il pittore spagnolo dell’illuminismo e l’espressionista tedesco. Accade per la prima volta a Parma dove si intrecciano – nei fatti una doppia personale in contrappunto – i Capricci e i Disastri della guerra di Goya e una dozzina di tele (di cui una inedita) e un cospicuo gruppo di opere grafiche di Grosz, tutte successive alla stagione Dada. A dare senso al progetto "Goya - Grosz. Il sonno della ragione" (fino al 28 gennaio) sono «la satira sociale dirompente, l’impegno politico, il rilievo morale e l’estrema innovazione formale che accomunano le opere dei due grandi pittori», spiegano in catalogo i curatori della mostra a Palazzo Pigorini (tra l’altro a ingresso gratuito) Ralph Jentsch e Didi Bozzini. Ma passando per le sale è chiara la fratellanza tra i due artisti che ambiscono con il loro lavoro a incidere sulla società e sul loro tempo ma che soprattutto avvertono e restituiscono contraddizioni e tragedie che appartengono come una costante all’uomo. Come chi si affida a ciarlatani invece che a scienziati e mistificatori invece che a politici. E la follia della guerra, dove l’uomo mostra il suo volto di lupo. Eppure non è un progetto nato sull’onda dell’attualità, bensì prima della pandemia. La cronaca l’ha raggiunto. Il percorso propone la sequenza integrale dei Caprichos, proveniente da Parigi, in una prova freschissima, tra le prime uscite dal torchio e con un prestigioso pedigree: venne infatti acquistata da Delacroix dietro consiglio di Baudelaire, al quale si deve per altro la riscoperta di Goya e la sua proiezione come elemento seminale della modernità. Seguendo Victor Stoichita, Bozzini riconosce nei Capricci, pubblicati il 6 febbraio 1799, l’ultimo Mercoledì delle ceneri del secolo, un grande carnevale. Questa mascherata, come in un comic novel ante litteram, mette in scena un mondo alla rovescia: ma solo in apparenza perché offre invece il ritratto di un’aristocrazia ignorante e inetta, un clero reazionario, un popolo superstizioso.
Si capisce bene allora la maschera sdegnosa dell’autoritratto (in vesti giacobine: in costume, sostanzialmente) che apre la serie e che nel bozzetto riporta questa didascalia: “Il mio vero ritratto, di umore nero e in atteggiamento satirico”. Goya nei Capricci ha una vis comica, per quanto acre, assente in Grosz. Goya interpreta l’adagio di chi castigat ridendo mores – un’espressione d’altronde non così antica a quei tempi: venne infatti composta da Jean de Santeuil nella seconda metà del Seicento per il busto di Arlecchino sul proscenio della Comédie Italienne a Parigi. Sempre nel carnevale, dunque, siamo. Il Goya pittore di corte interpreta anche il joker che si permette di sottolineare vizi e peccati. Sa di poter contare sulla protezione dell’aristocrazia progressista e più sopra ancora del re, alla quale infatti ricorre quando l’Inquisizione si mette alle sue calcagna. Ma Goya è fiducioso in un progresso. La sua satira asseconda – con un talento shakespeariano per il fantastico unito all’ironia dello scettico – una lettura senza sfumature dell’uomo: la luce dell’elemento razionale contro il buio dell’irrazionale che lo ricaccia nella sfera della bestialità. La storia gli farà cambiare idea. Lo rendono evidente i Disastri della guerra, dove l’elemento morale resta fortissimo ma ha perso ogni manicheismo: tutto accade alla luce del sole perché è buio anche il pieno giorno. E il fantastico ha ceduto il passo a un realismo che supera in fantasia ogni incubo. Da qui parte Grosz, che del Novecento assorbe e anticipa disillusione e disincanto. Il suo attacco alla società è frontale, senza vie di uscita. Prima è la Germania di Weimar. Quindi quella hitleriana, che Grosz seguirà a New York, dove è accolto a braccia aperte (ma non esiterà a metterne alla berlina le contraddizioni), dopo la fuga da Berlino nel gennaio 1933, appena prima che il Führer avvii la macchina totalitaria. Grosz appare sempre in anticipo, capta il disastro incipiente quando nessuno ancora lo vede. La sua satira è cupamente acida, anche a fronte di una tavolozza non di rado di consistente splendore cromatico e vibrata sulla tela con pennellate dense (fondamentale ad esempio per la pittura di Baselitz, e non solo la prima). Ma mentre avanza la storia Grosz è proiettato nel post-apocalisse. La terra è l’inferno, l’uomo è ridotto ai bisogni primari. «Senza dubbio – scrive in una lettera dagli Stati Uniti nell’agosto 1933 – i miei fogli sono tra le cose più forti che siano state dette contro questa particolare brutalità tedesca. Oggi sono più veri che mai e in futuro – in tempi, perdona la parola, più 'umani' – verranno mostrati proprio come oggi si mostrano le opere di Goya…».

CULTURA. DOMANI LA GIORNATA NAZIONALE DELLE FAMIGLIE AL MUSEO

 Dopo il successo delle precedenti edizioni, che hanno richiamato in passato più di 800 musei, torna domenica 9 ottobre la Giornata Nazionale delle Famiglie al Museo, l'evento culturale dedicato ai bambini più importante in Italia per promuovere e facilitare l'incontro tra le Famiglie e i molti luoghi espositivi che arricchiscono il nostro Paese. Per educare i bambini, ma anche gli adolescenti della fascia di età 12-16, quali nuovi fruitori culturali e rendere i Musei e le loro proposte sempre più family friendly.


L'edizione F@Mu 2022 è resa possibile grazie al contributo di Esselunga, da sempre impegnata in attività a sostegno della cultura e del sociale, e della Fondazione Cariplo, con la partecipazione della Rai come media partner. FaMu 2022 ha la medaglia del Presidente della Repubblica ed e` patrocinata dal Ministero della Cultura.

'Diversi ma Uguali' è il titolo di F@Mu 2022. Il tema di quest'anno parte dal presupposto che la valorizzazione della diversità (culturale, fisica, cognitiva) sia strumento indispensabile di inclusione sociale. F@Mu 2022 parlerà ai bambini di inclusione, unicità, accoglienza ed esorterà i musei, grazie al supporto delle Fondazioni CRT e Paideia di Torino, dell'Istituto dei Ciechi di Milano, della Cooperativa Panta Rei e della Fondazione Santagata per l'economia della Cultura, a riflettere anche su un'altra tematica di grande importanza: l'accessibilità museale.

Per trasmettere i valori di questa edizione - l'accoglienza, la gentilezza, la tolleranza, l'unicità - testimonial ufficiale dell'evento sarà Geronimo Stilton, il famoso topo giornalista amato dai bambini di tutto il mondo, nato da un'idea di Elisabetta Dami. Anche quest'anno sono moltissimi i musei, le fondazioni e gli spazi espositivi, pubblici e privati, che hanno aderito all'iniziativa e che per un giorno apriranno alle famiglie proponendo visite didattiche, giochi a tema, iniziative speciali e attività pensate appositamente per l'occasione.

Tutte le sedi espositive hanno potuto aderire all'iniziativa gratuitamente, iscrivendosi tramite la piattaforma web www.famigliealmuseo.com, consultabile anche dalle famiglie per avere informazioni sui diversi programmi delle sedi aderenti nelle varie regioni e province italiane (l'elenco completo è consultabile a questo link: https://tinyurl.com/4uy9hnfh). Sono poi le singole realtà espositive a definire le modalità di ingresso che possono essere gratuite o con un'agevolazione sul biglietto.

Tra i progetti speciali e le iniziative che accompagnano dalla prima edizione questo evento, molto apprezzato è da sempre il TACCUINO F@Mu, la piccola pubblicazione dedicata alla giornata e al tema specifico di ogni edizione, che viene consegnata gratuitamente a tutti i bambini che partecipano alla manifestazione. Il protagonista dell'edizione di quest'anno è Geronimo Stilton che accompagnerà, tra le pagine del libro, i bambini nel loro percorso esplorativo, con giochi e attività. La grafica, l'impaginazione e l'editing del libretto è a cura di Edizioni Piemme, mentre Aido (associazione impegnata da quasi 50 anni nel promuovere la cultura della donazione di organi e la conoscenza di stili di vita atti a prevenire l'insorgere di patologie) sostiene il progetto F@Mu 2022 occupandosi della stampa. FedEx Express è partner logistico ufficiale.

Prosegue anche il progetto Giovani al Museo introdotto nell'edizione 2021, per accompagnare i musei a organizzare nella giornata F@Mu attività specifiche per la fascia di età 12-16 anni. Non mancherà infine come ogni anno il concorso F@Mu, organizzato in collaborazione con FedEx Express, dedicato ai bambini che parteciperanno all'evento. F@Mu inviterà i bambini a raccontare la propria esperienza al museo attraverso la realizzazione di un disegno. La Giornata Nazionale delle Famiglie al Museo è organizzata fin dalla sua prima edizione dall'Associazione Famiglie al Museo.

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Festival Urbino: anche la cultura viaggia in Rete

Chiude domani l’edizione 2022 dek Festival del giornalismo culturale di Urbino, dedicato quest’anno al tema “Dal web alla terza. La vita della cultura nel mare della rete” (festivalgiornalismoculturale.it). Nel corso della rassegna è stata presentata come di consueto una ricerca sulla fruizione della cultura: dei mille intervistati (18-54 anni), solo il 36% ritiene molto importante dedicare tempo all’approfondimento culturale; riviste, inserti culturali e televisione hanno ceduto il posto al digitale come canale di accesso primario ai contenuti, anche culturali, che sono cercati e fruiti sui social media dal 42% degli intervistati. Un ruolo importante e crescente, soprattutto tra la fascia più giovane, lo giocano i podcast, mentre l’accesso ai contenuti di approfondimento avviene principalmente a seguito di un teaser sui social; anche il più classico passaparola spinge alla fruizione, ma resta comunque significativa la quota di chi li incontra per caso e viene attratto dal contenuto.

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Dall'Autoritratto al Seminatore, a Roma arriva van Gogh

 



T - Il mondo tanto amato da conquistare sulla tela, anche se da quel mondo è irrimediabilmente rifiutato. L'attenzione appassionata alla terra e a quell'umiltà sacra che nobilita la fatica dell'uomo. L'occhio sulle periferie parigine, un universo così attraente da rapirne la fantasia. E, sempre costante, una sofferenza che si trasforma in energia inesauribile, in colori da reinventare e forme continuamente nuove e in quella luce, trovata nella pace rigogliosa del Sud della Francia di fine '800, che ancora oggi scalda l'anima. Dopo un lungo lavoro di preparazione durato 5 anni, si apre finalmente l'8 ottobre a Palazzo Bonaparte di Roma la mostra su van Gogh, che espone fino al 26 marzo 2023 ben 50 capolavori provenienti dal Museo Kröller-Müller di Otterlo e mette al centro tutta la parabola esistenziale e creativa del pittore più amato di sempre. Prodotta e organizzata da Arthemisia e curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, la mostra segue passo passo ogni fase dell'intensa (seppur breve, solo una decina di anni) carriera del genio olandese e offre al pubblico la possibilità di ammirare non solo pezzi universalmente noti ma anche opere viste raramente. Se il "pezzo forte" della mostra è senza dubbio l'Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887 (qui nella sua prima uscita pubblica dopo il restauro fatto a Otterlo, un'opera di una audacia straordinaria, con la quale il pittore vuole lasciare una traccia di sé e della sua inquietudine), non mancano infatti pregevoli disegni e lavori su carta di rado usciti dal museo olandese. Tra le opere presenti nelle 5 sezioni anche il Seminatore, realizzato ad Arles nel giugno del 1888, Il giardino dell'ospedale a Saint-Remy del 1889 fino al Vecchio disperato del 1890 che precede e in un certo senso diviene metafora della morte del pittore, suicida quello stesso anno. (ANSA).