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In Viaggio > Gli splendori di Augusto alle Scuderie

(di Nicoletta Castagni)

ROMA - Segna il via delle celebrazioni per il bimillenario della morte di Augusto, avvenuta il 19 agosto del 14 d.C., la grande mostra che si aprirà il 18 ottobre alle Scuderie del Quirinale. Grazie a opere e reperti archeologici di grande rilevanza storica e artistica, provenienti dalle più prestigiose raccolte di marmi antichi d'Italia e del mondo, l'importante rassegna ripercorrerà le tappe dell'inarrestabile ascesa del primo imperatore di Roma e, in parallelo alla nascita di una nuova epoca storica, degli oltre 40 anni di principato, duranti i quali introdusse riforme d'importanza cruciale per i secoli a venire.

Intitolata 'Augusto', la mostra è stata organizzata dall'Azienda Speciale Palaexpo, Scuderie del Quirinale e i Musei Capitolini di Roma, in collaborazione con la Reunion des musees nationaux, il Grand Palais e il Louvre. Ideatore dell'iniziativa espositiva è l'ex-soprintendente Eugenio La Rocca, che l'ha anche curata supportato da Claudio Parisi Presicce, Annalisa Lo Monaco, Cecile Giroire e Daniel Roger. Insieme hanno selezionato le opere di assoluto pregio artistico tra cui figurano statue, ritratti, arredi domestici in bronzo, argento e vetro, gioielli in oro e pietre preziose, e messo a punto un percorso capace di intrecciare la vita e la carriera di Ottaviano con la nascita di una nuova cultura e di un nuovo linguaggio artistico, tutt'ora alla base della civiltà occidentale.

Figlio adottivo e pronipote di Cesare, Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto fu infatti un personaggio dotato di un eccezionale carisma e di uno straordinario intuito politico. Riuscì, laddove aveva fallito persino Cesare, a porre fine ai sanguinosi decenni di lotte interne che avevano consumato la Repubblica romana e a inaugurare una nuova stagione politica, l'Impero. Il suo principato, durato oltre quarant'anni, fu in assoluto il più lungo della storia di Roma. Sotto il suo dominio, l'Impero raggiunse la massima espansione, abbracciando tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna alla Turchia, al Maghreb, dalla Grecia alla Germania.

I particolari della sua vita sono stati trasmessi da lui stesso e da storici quali Svetonio, Tacito, Cassio Dione. Una quantità ingente di fonti scritte che con Augusto solo pochissimi altri imperatori di Roma possono vantare. Ciò consente quindi di ricostruire le fasi salienti della sua carriera politica, nel corso della quale ricoprì tutte le più importanti cariche pubbliche. E al tempo stesso seguire la serie disastrosa di lutti familiari che lo privarono in pochi decenni di Agrippa, suo luogotenente e genero, e degli eredi designati a succedergli: il nipote Marcello, figlio della sorella Ottavia, Gaio e Lucio Cesari, figli di Giulia e Agrippa. L'Impero passò così alla sua morte nelle mani di Tiberio, il figlio di Livia, la sua terza e amatissima moglie.

La mostra illustrerà inoltre come allo sforzo politico Augusto abbia affiancato l'elaborazione in tutti i campi di una nuova cultura, di impronta classicistica, che fondesse gli elementi tradizionali in nuove forme più adatte ai tempi. Portavoce del programma civico e politico del princeps furono appunto poeti e intellettuali (riuniti nel circolo di Mecenate), un afflato che pero' con il tempo venne meno, lasciando subentrare una fase in cui a prevalere fu invece la letteratura accademica, intesa quale mero esercizio retorico, priva degli indispensabili quei contenuti morali e civili.

Tra le opere esposte in mostra, figurano Augusto capite velato come Pontefice Massimo (Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo), la Statua virile come Hermes, cosiddetto Marcello (dal Louvre), la testa marmorea Ritratto di Marcello (Collezione della Fondazione Sorgente), il rilievo con cinghialessa dalla collezione Grimani (Museo Archeologico Nazionale di Palestrina), il Clipeus Virtutis, uno scudo votivo di Augusto in marmo bianco (Museo di Arles), la Testa di Ulisse, forse appartenente al gruppo dell'accecamento di Polifemo (Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga), il Cammeo di Augusto (cammeo Blacas) di età tiberiana (British Museum di Londra).
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Olio, vino e speciali dolci al miele


La Val di Cecina si estende lungo il corso del fiume Cecina nella parte meridionale della provincia di Pisa fino a lambire alcuni territori delle province di Siena e di Grosseto, e si inoltra per un breve tratto nella porzione centrale della provincia di Livorno in prossimità della foce e del tratto terminale del corso d'acqua. È prevalentemente collinare. E qui spicca un eccellente olio extravergine di oliva, ma anche vino e miele. I cavallucci, gli stinchi di morto e altri biscotti sono prodotti con ricette antiche gelosamente custodite e tramandate di madre in figlia. E proprio il miele è un ingrediente importante dei cavallucci, che si preparano con
500 g di farina, 200 g di zucchero, 100 g di miele di acacia, 100 g di cedro e arancia canditi tagliati finemente, 20 g di anici, 100 g di mandorle spellate (tostate e tritate), una spolverata di cannella, noce moscata e coriandolo e una puntina di bicarbonato. In una pentola fate fondere, a fuoco bassissimo, lo zucchero e il miele. Riunite gli altri ingredienti in una ciotola capiente. Quando il composto di zucchero e miele sarà abbastanza denso da "filare", togliete dal fuoco e versatelo nella ciotola insieme agli altri ingredienti, mescolando fino ad incorporarli bene. Infarinate una spianatoia e versateci il composto, lo spessore deve essere almeno di 2 centimetri. Lasciate raffreddare per 5 minuti poi modellate dei biscotti tondi che infornerete a 180°C per circa 20 minuti. Ma altri dolci speciali si trovano a Montecatini Val di Cecina dal Panificio Forno Montegemoli di F.lli Martini (loc. Ponteginori - via della Camminata, 1 - tel. 058837178). Ottimo e fragrante il tipico Pane di Montegemoli, impastato con farina tipo 2 e cotto rigorosamente in forno a legna. A Volterra, merita la Fattoria Lischeto (località San Giusto) che lavora in regime biologico, nel panorama unico delle Balze Volterrane. In questa fattoria si pratica agriturismo a tutto campo: soggiorno e conoscenza della cultura agricola e gastronomica. Qui i pascoli sono ricchi di erbe aromatiche, ideali per ottenere un latte buono e profumato. Ottimi i pecorini ricavati dal latte di pecore di razza Sarda allevate con cura da Giovanni Cannas: il Pecorino delle Balze di Volterra, il Pecorino degli Sposi (sotto cenere) e il Rosso Volterrano. Ricotta, tomini e Raviggiolo completano la produzione, ma non sono da dimenticare gli altri prodotti: olio extravergine, pasta e cosmetici bio. E in fatto di formaggi, un salto lo merita Paolo Piacenti, uno dei più bravi affinatori d'Italia. Lui affina in appositi locali a Certaldo e nella sua Cacioteca di San Gimignano (via San Matteo, 66) trovate pecorini proposti in 14 versioni con diversi periodi di invecchiamento e stagionati in vari modi: in grotta, sotto la cenere, nelle vinacce, nel fieno, nell'aceto balsamico e in barrique. Ottimi anche l'erborinato morbido di latte ovino e il Muffato, ottenuto da cagliata inacidita. Infine a Castellina Marittima, nel Castello del Terriccio, gli ulivi portano le cultivar Moraiolo, Frantoio, Maurino e Razzo. Nei 24 ettari le olive sono raccolte a mano e l'olio estratto a ciclo continuo. L'extravergine Terriccio Igp Toscano è limpido, giallo con riflessi verdi; all'olfatto i profumi sono erbacei e di frutto; in bocca il gusto è elegante, ampio, gradevole nella nota amara e nel leggero piccante. Perfetto per illuminare l'estate degli ortaggi e della cucina di pesce.
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La miglior birra del mondo viene dalla Trappa

L’abito, come recita il famoso proverbio, non fa il monaco. Lo sapeva bene anche Alessandro Manzoni, che decise di farlo dire al Conte Zio nei Promessi sposi. Quello che lo scrittore non poteva sapere, è che ci vuole un monaco – anzi, dei monaci trappisti – per creare le migliori birre del mondo. Ma anche formaggi, liquori, biscotti, cioccolato e cosmetici di prim’ordine. Per riconoscere le birre trappiste (che non vanno confuse con quelle “di abbazia”) dovete cercare sulle bottiglie un marchio esagonale con la scritta «Authentic Trappist Product». Solo otto birrifici al mondo possono fregiarsene. Sei sono belgi (Orval, Rochefort, Westmalle, Achel, Chimay e Westvleteren), uno è olandese (la Trappe) e uno è austriaco (Engelszell). Tutti appartengo all’Associazione trappista internazionale, nata nel 1997 e che ha il compito di difendere il marchio trappista e di far rispettare regole molto rigide. «La birra deve essere prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo. La produzione, la scelta dei processi produttivi e l’orientamento commerciale devono tutti dipendere dalla comunità monastica». Ma soprattutto: «Lo scopo economico della produzione di birra deve essere diretto al sostentamento dei monaci e alla beneficenza e non al profitto finanziario». Un concetto che l’abbazia belga di San Sisto che si trova a Westvleteren, nelle Fiandre Occidentali, e che produce la Trappist Westvleteren 12, cioè quella che è stata universalmente proclamata «la migliore birra del mondo», spiega così ai visitatori del suo sito web: «Noi non facciamo business. Non siamo produttori di birra. Siamo monaci. Produciamo birra per poter continuare a essere monaci».
Se vi è venuta voglia di bere una birra Westvleteren, sappiate che dovete sudarvela. La produzione è – per scelta – molto limitata (circa 4.750 ettolitri l’anno). La confezione spartana. Le birre Westvleteren sono disponibili solo in bottiglie da 33 centilitri, senza etichetta. Averle è un’impresa. Alcuni negozi rinomati le offrono a prezzi elevati, tradendo la regola dell’abbazia che recita: «La Westvleteren trappist è venduta esclusivamente a clienti individuali. Ogni cliente accetta di non rivendere la birra ad altri». Per comprarle dovete recarvi sul posto. Ma prima di farlo dovete prenotare telefonicamente il vostro ordine. E a disposizione ci sono poche casse al giorno. Ogni cliente ne può comprare al massimo due, da ventiquattro bottiglie l’una. E se riesce nell’impresa, deve comunicare la targa del veicolo con il quale le andrà a ritirare e deve impegnarsi ad attendere almeno sessanta giorni tra una prenotazione e l’altra. I monasteri autorizzati a etichettare i loro prodotti con il logo trappista sono dieci: sei in Belgio, due in Olanda, uno in Austria e uno in Francia. Di questi, solo otto producono birra. Un immaginario viaggio del gusto tra le abbazie trappiste non può quindi che partire dal Belgio.

Prima tappa è l’abbazia d’Achel, che ha ricominciato a produrre birra nel 1998 dopo una pausa di 84 anni. «Il nostro monaco mastro birraio, che continua a lavorare secondo la ricetta di fratello Thomas, è garante della riconquistata qualità della birra», annunciano sul sito dell’abbazia. La birra trappista Achel è servita alla spina. Dall’estate del 2001, l’Achel 8 è anche disponibile in bottiglia. L’abbazia belga di Notre-Dame de Saint-Remy di Rochefort è conosciuta nel mondo soprattutto per la birra Rochefort. «Fondata nel 1230, è stata più volte distrutta, ma ha sempre trovato la forza di risollevarsi». La produzione è volutamente limitata: «Questa bevanda di alta qualità deve essere degustata con saggezza e moderazione: solo così potrà favorire amicizia e condivisione». 
Anche l’abbazia belga di Scourmont, che sorge nel comune di Forges, ha un posto di primo piano nella produzione della birra trappista. Suo è infatti il famosissimo birrificio Chimay, i cui prodotti si trovano anche in moltissimi supermercati italiani. «Il crescente successo e l’intenzione di preservare la calma e il silenzio necessari per la vita spirituale hanno spinto i monaci a trasferire lo stabilimento per l’imbottigliamento, il posto di spedizione e gli uffici alcuni chilometri fuori dal monastero. Il processo della produzione della birra si fa ancora dentro gli edifici dell’abbazia». Chimay non è famosa solo per la birra, ma anche per i formaggi di qualità, prodotti dal 1876. Altro indirizzo di serie A nella produzione di birra trappista è quello di Orval. Costruita alla fine del XII secolo, l’abbazia fu saccheggiata e incendiata da truppe francesi nel 1637 e nel 1793. Il birrificio di Orval si trova all’interno delle mura della ricostruita abbazia, ed è stato fondato nel 1931. Dal 1928 invece produce anche grandi formaggi.

Formaggi e birre da sogno si trovano anche all’abbazia di Westmalle. Vi si producono tre tipi di birra: la Tripel, laDubbel e la Extra. «La Tripel e la Dubbel si trovano in negozi specializzati e supermercati di qualità, mentre la Extraviene prodotta solo due volte all’anno ed è destinata solo ai monaci ed agli ospiti dell’abbazia». Dal 1860 esiste anche un caseificio che produce un formaggio a pasta semidura. Dell’ultima abbazia belga del nostro viaggio, quella di Westvleteren, e delle sue birre super premiate abbiamo già raccontato ampiamente prima. Nel Nord dell’Austria, a sessanta chilometri da Linz, si trova l’abbazia (Stift) Engelszell. Tra il 1293 e il 1786 Engelszell, letteralmente Cella Angelorum, fu un’abbazia cistercense. Acquistata da privati, tornò dei monaci solo nel 1925. Nel 1939 venne chiusa dalla Gestapo e 73 monaci furono arrestati. Cinque furono deportati, uno solo riuscì a salvarsi. Oggi i monaci sono soltanto nove.

L’attività principale è la distilleria, che produce trentamila litri di liquore l’anno in tredici tipi diversi. Il più famoso è ilMagenbitter («Un vero elisir contro il mal di stomaco»). Di ottimo livello è la neonata birra trappista Gregorius, scura e con un tasso alcolico importante (9,7% Vol): «Il nome si riferisce a dom Gregorius Eisvogel, che fu superiore e abate della comunità dal 1925 al 1950». In Olanda i trappisti sono presenti a Echt e a Tegelen. Insieme formano una sola abbazia, ma ogni comunità ha mantenuto la propria autonomia. L’edificio trappista di Tegelen, vicino a Venlo, risale al 1884. Nel 1898 i monaci aprirono un negozio di vini da messa. Poco a poco, l’assortimento si arricchì di altri vini e i monaci cominciarono a produrre alcuni liquori d’abbazia “esclusivi”. I tre più apprezzati sono il Grande Liqueur de la Trappe: Trappistine, il Liqueur de Fruits: Cordial la Trappe e il Maagbitter: Gutamara.
Sempre in Olanda si trova l’abbazia Koningshoeven, fondata nel 1881. «Fra i primi monaci che vi entrarono c’era il figlio di un birraio di Monaco. Per questa ragione dom Nivardus, il primo abate di Koningshoeven, decise di fondare un birrificio, visto che le sole attività agricole non fornivano un reddito sufficiente». Negli ultimi anni, a seguito della forte diminuzione del numero di monaci, la birreria è stata affittata alla Bavaria, che produce le diverse tipologie col marchio La Trappe sotto la sorveglianza dell’abbazia». Ultima tappa del nostro viaggio è nelle Fiandre francesi, all’abbazia di Mont des Cats, rinomata in tutta la Francia per l’omonimo formaggio. Un tempo si produceva anche birra. Nel 1918 l’abbazia fu bombardata e il birrificio distrutto. 
«Pochi anni fa, siamo stati sollecitati da più parti a tornare a produrre una nostra birra trappista – spiega il frate economo Bernard-Marie van Caloen –. Ma non ci si improvvisa mastri birrai. Così abbiamo chiesto aiuto all’abbazia di Scourmont, in Belgio [quella della birra Chimay, ndr]». Il risultato è la prima birra trappista del mondo realizzata in collaborazione tra due comunità. Il binomio birra-trappisti è da anni una garanzia assoluta di qualità. E pensare che quando fu fondato l’ordine cistercense, i monaci pare potessero bere solo acqua. La svolta arrivò secoli dopo. E per motivi “sanitari”. I monaci scoprirono che – a differenza dell’acqua naturale portatrice allora di malattie anche mortali – durante il processo produttivo della birra, l’acqua utilizzata veniva bollita, riducendo quasi a zero i pericoli di infezione. La gradazione alcolica, poi, era inferiore a quella del vino e quindi meno impegnativa. Ma soprattutto durante i lunghi periodi di digiuno che i monaci praticavano, la corposità di molte birre trappiste li aiutava a combattere la fame.

Gigio Rancilio - avvenire.it

Vieste, settembre di mare e cultura. Le sue acque cristalline sono tra le più belle d’Italia

(di Eugenia Romanelli)
Un pugno di abitanti, poco più di 13 mila, acque cristalline tra le più belle d’Italia — non a caso insignite più volte della Bandiera Blu e non a caso luogo di avvistamento di delfini e tartarughe marine — punta orientale del Parco Nazionale del Gargano, Vieste è tra le più sorprendenti mete della Puglia.

In vacanza senza veli, ma all'estero

Andare in vacanza senza vestiti e senza pensieri, per ritrovare il contatto primario con la natura e il proprio corpo. La filosofia naturista spopola nel centro e nord Europa e sta prendendo piede anche in Italia, dove sono circa 500mila le persone che l'hanno abbracciata. Eppure il Belpaese è ancora carente di strutture attrezzate, e gli italiani in cerca di spiagge, piscine, giardini e centri benessere dedicati devono rivolgersi all'estero.

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