La statuta di Marco Emilio Lepido |
Dai, crediamoci. Reggio è una città seducente. L’abitudine di stare e abitare qui, sul guardrail della pianura, fa apparire tutto consueto e domestico. La crisi ha appannato la vita che era aperta e frizzante come il Lambrusco. Le temibili infiltrazioni mafiose, le cronache giudiziarie e processuali hanno ora un maledetto sopravvento sulla sostanza di questa città.
Eppure in tre-quattro giorni va capitando ogni cosa buona, che non è poi tanto inarrivabile, o così rara: Reggio è cultura e fa cultura. Cioè quell’anticorpo del quale tanto si blatera, se ne lamenta colpevolmente l’assenza, se ne invoca l’indispensabilità. Eppure c’è. È attivo. Giovedì sera il “Valli” ha presentato il suo bilancio consuntivo e quello della nuova stagione, confermando che Reggio ha passione per il teatro, la danza, la musica con 210 eventi, 80mila spettatori paganti e 4.631 abbonamenti; un 2016-2017 denso di prospettive e progetti.
Questa è una città che si raddensa e rappresenta nei teatri, che altrove non sono così concentrati e attivi. Perché sostituiscono la piazza, sono luoghi civili: elevano. Venerdì, poi, è stata inaugurata l’undicesima edizione di Fotografia Europea.
LO STARE AL MONDO
Non preoccupatevi, non sto scodellando una facile sintesi del fine settimana reggiano più charmant dell’anno. Analizzo e scrivo che qui si concentra e scorre il sangue arterioso e si elettrizzano i neuroni più efficaci per lo stare al mondo della nostra città.
Mi piace ribadire lo stare al mondo. Modo di dire che nell'italiano corrente e nel dialetto più illuminato coincide con il tema del festival: la via Emilia, strade, viaggi, confini. Come non mai Fotografia Europea, oltre ad aprire e illuminare la città, “cala” nella genetica più arcaica, originaria, fondativa di Regium Lepidi.
Ma anche nell’essere oggi al mondo di questa conurbazione fuoriuscita dall’esagono medievale che, appesa all’itinerario della strada romana, si tende nel mezzo della regione e - come canta il titolo - è insieme strada, dunque movimento (anche ignoto) e confine.
Per i fotografi dei due rami della manifestazione, on e off, che si esprimono nelle 73 mostre disseminate in centro e in periferia, il tema è generoso, eleva la città, trasforma la nostra provincia lunga in una componente del breve mondo contemporaneo. Ma il gusto della scoperta è altro. Meno complesso.
ERBAZZONE E CONOSCENZA
Il gusto è incarnato dal desiderio dei reggiani e degli ospiti, tanti, tantissimi, di popolare la città. Animare con fame di erbazzone e conoscenza, macchina fotografica e festa, una Reggio altrimenti ritenuta sazia (abbastanza), disperata (non troppo), condizionata o intrisa dagli insediamenti mafiosi (purtroppo), ma d’alti valori civili (ancora).
Una Reggio che, chissà per quale credenza secolare, troppi suoi abitanti ritengono culturalmente blanda, subalterna, secondaria. Balle.
La produzione e l'appetito intellettuale qui sono immensi e corrispondono a luoghi architettonici o urbani sorprendenti, come i chiostri benedettini di San Pietro dove è stata ospitata la presentazione di Fotografia Europea, le vie, le cupole, le atmosfere, il tracciato della via Emilia che ancora infilza la città o è tutore obliquo di Reggio.
SPAESAMENTO
Sentite, leggete, come le ispirazioni collettive fanno crescere la concreta certezza che questo luogo coltiva cultura? Non soltanto locale.
Venerdì pomeriggio il chiostro grande tardocinquecentesco di San Pietro, quello con le statue, il bugnato alla romana, con la platea sprofondata in quelle che erano le cantine conventuali, ha aiutato il gioco liberante che si chiama spaesamento. Rinforzato dal senso della fotografia, la quale mostra il mondo con l’occhio degli altri. È un gioco così forte che spacca quello che all’inizio di questa mia pensata domenicale ho definito guardrail della pianura, che muto in cultura, cioè la via Emilia, il posto diagonale nel quale la valpadana s’increspa, si disassa, scivola inclinata da Rimini a Piacenza e viceversa, avvista il Po da una parte e la cordigliera appenninica dall’altra.
È un luogo favorevole e benigno, incerto tra il west e la pampa padana, scandagliato da Pier Vittorio Tondelli, Luciano Ligabue, Luigi Ghirri, Edmondo Berselli. Ce n’è abbastanza per credere fermamente che lo spirito emiliano esiste. Queste mie convinzioni corrispondono alla carta dell’Italia capovolta che fa da logo all’edizione 2016 di Fotografia Europea. Capovolta, con Reggio, il Po, la cresta appenninica in primo piano, in una visione sognante e scorciata che però non insinua disordine. Ma suggerisce orientamenti nuovi.
Al di là della medicine selettive anticrisi, antidepressive sociali, antimafia, esiste davvero una profilassi preventiva
s.scansani@gazzettadireggio.it
fonte: Gazzetta di Reggio
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