STONE TOWN - E’ la luna a segnare la vita e i paesaggi di Zanzibar, arcipelago africano composto da due isole principali, Unguja e Pemba, e da tanti piccoli isolotti corallini, affacciati sull’oceano Indiano a 40 chilometri dalla Tanzania. Le maree trasformano la conformazione delle spiagge e fanno spuntare al largo della costa distese di sabbia abbaglianti e deserte, che si avvicinano molto alla nostra idea di paradiso. Da qualche anno l’isola africana si è trasformata in una destinazione turistica di lusso, attenta però a salvaguardare la natura con la nascita di parchi marini protetti e riserve naturali che curano tartarughe e delfini e con strutture alberghiere a basso impatto ambientale. Se la luna, simbolo femmineo dell’universo, è così determinante per l’isola, altrettanto lo è il mare, fonte di sostentamento per la popolazione di pescatori e di continue scoperte e meravigliose attrazioni per i tanti turisti, sedotti dal suo colore, così difficile da descrivere: tratti di sabbia candida e impalpabile contrastano con il profondo blu dell’oceano Indiano e con il verde anice della costa sabbiosa, caratterizzata da ampie baie protette da speroni rocciosi che si alternano a distese di rena più fine del borotalco. Sulla costa orientale ci sono arenili mozzafiato - da Matemwe con le palme da cocco e un reef coloratissimo a Kiwengwa con i suoi tanti resort e i locali sulla spiaggia - dove l’acqua passa dal verde menta all’azzurro celeste e quasi bianco del litorale, molto apprezzato da chi pratica il kitesurf. Con la bassa marea su questo tratto di costa spuntano lingue di sabbia corallina al largo della costa come Nakupenda, chiamata “l’isola che non c’è”.
La parte settentrionale di Zanzibar è amata da chi si immerge o fa snorkeling: da Nungwi, dove non c’è mai bassa marea, si raggiunge l’isola di Mnemba, un atollo paradisiaco che appartiene al magnate statunitense Bill Gates e dove è impossibile sbarcare; qui, davanti alle sue coste abbaglianti, è possibile nuotare o fare snorkeling o fermarsi poco più in là su spiagge bianche e deserte, abitate solo da alberi di cocco e da piccoli granchi, bianchi come la sabbia finissima. Qui, davanti a questo tratto di costa, decine e decine di delfini accompagnano le ngalawa, le imbarcazioni della tradizione swahili dei pescatori, da cui si godono il mare più limpido e i tramonti più infuocati.
Capitale dell’isola è Stone Town, una città piena di contraddizioni e dal fascino coloniale, patrimonio dell’Umanità per l’Unesco per i suoi edifici storici che testimoniano il vivace passato commerciale. La città storicamente ha conosciuto grandi momenti di dolore e intolleranza, come quando era il maggior mercato di schiavi dell’Africa orientale; oggi, nonostante la povertà e le difficoltà, prevale tra la popolazione un inatteso spirito di convivenza tra diverse etnie e religioni: musulmani, anglicani, cattolici e indù. Là dove c’era il mercato degli schiavi, nel 1873 venne costruita una chiesa anglicana che oggi si visita assieme al vicino museo della schiavitù. In città meritano una sosta il mercato che ospita l’asta del pesce e che profuma di spezie, dal cardamomo ai chiodi di garofano per cui Zanzibar è famosa in tutto il mondo; la fortezza portoghese al cui interno si trova un anfiteatro che ogni febbraio, quest’anno dall’8 all’11, ospita il festival Sauti za Busara, che omaggia la musica africana con artisti provenienti da tutto il mondo. Sul lungomare si affaccia Beit el-Ajaib, un grande edificio puntellato per i crolli e oggi abbandonato: era il Palazzo delle Meraviglie, il primo in città con ascensore e luce elettrica e un giardino esotico, appartenente al terzo sultano dell’Oman, che lo costruì per la consorte. Nel cuore di Stone Town, tra viuzze annerite dalla muffa e macchiate dai colori dell’artigianato zanzibarino, non può mancare una sosta sotto la casa dove nacque e visse la celebre rockstar Freddie Mercury e all’House of Spices, la casa delle spezie, dove si possono acquistare anche oggetti d’artigianato locale. Sulla turistica Gizenga street alcune associazioni femminili no profit come Dada Zanzibar e Sasik, women cooperative hanno aperto botteghe dove creano oggetti e tessuti zanzibarini dai toni di batik: cuscini, vestiti e tovaglie fatti a mano e su commissione. E’ un modo di sopravvivere, il loro, creando attraverso i colori e la manualità e garantendo alle famiglie più bisognose ciò di cui necessitano.
Infine per un pranzo o una cena in terrazza a base di zuppa di patate e limone, aragosta, manioca e banane fritte e dolci allo zenzero con semi di baobab, è bene recarsi nell’hotel Emerson Spice; è la casa zanzibarina di un mercante completamente ristrutturata, con camere tutte diverse l’una dall’altra, dedicate a donne della cultura e della musica, e che sembra uscire da un film di spionaggio: qui, tra fontanelle maiolicate e giardini segreti, si rivive un’originale atmosfera coloniale prima di rimettersi in cammino per l’isola.
Uscendo dalla città si entra nella vita degli altri zanzibarini, quelli che non possono permettersi il lusso di una casa in mattoni in città: le loro case in fango, legno e makuti, la tipica paglia ricavata dalle foglie di palma, sorgono lungo il ciglio delle strade che attraversano Unguja, l’isola principale, da Nungwi, nell’estrema punta settentrionale, fino a Kizimkazi, a sud. Si viaggia tra piccoli villaggi di pescatori e sobborghi dove bancarelle e laboratori artigianali all’aperto ospitano giovani zanzibarini che vendono ananas, cocchi, banane e intagliano il legno creando oggetti, porte e mobili che servono per abbellire le case di città. I villaggi sorgono a ridosso di labirinti di mangrovie e vaste coltivazioni di zenzero, cannella e chiodi di garofano, dove è imperdibile una visita ai giardini dedicati alle spezie: qui si ammirano le piante più strane e rare utilizzate nella medicina tradizionale e si assaggiano i più strani frutti tropicali.
C’è infine un luogo, dieci chilometri a nord della capitale, che merita di essere visitato: il Montessori School Nursery & Primary and Orphanage di Zanzibar, l’unica struttura privata che ospita bambini abbandonati in tutta l’isola. Nata 11 anni fa grazie alla determinazione e alla tenacia di Suzanne, donna di 47 anni che, con coraggio e un amore grande e sconfinato come il continente dove vive, si occupa di educare, allevare e crescere figli non suoi in una struttura montessoriana che è molto più di un edificio dove si studia o si viene accolti: è una casa, una famiglia, un luogo dove si riceve aiuto e amore. Suzanne, la grande “mami” di tutti, ci vive con quattro sue figlie e 46 piccoli – Aisha, Maria, Ali, Mohamed, Hamidi, Omar e tutti gli altri bambini orfani dai 2 ai 17 anni - che sono stati abbandonati o semplicemente dimenticati dalle loro famiglie d’origine. E’ impossibile non entrare nell’edificio, le cui mura sono tappezzate di disegni delle manine colorate dei bambini, che ti entrano dentro come un pugno e ti accarezzano il cuore. C’è una scritta sulla parete che esprime in modo semplice e inequivocabile il motto della struttura, fortemente voluta da Suzanne: «Siate saggi, lavorate duro, rispettatevi e aiutatevi l’un l’altro». Suzanne vive di donazioni e dell’aiuto di volontari provenienti da tutto il mondo che portano medicine, vestiti, cibo, libri e quaderni da colorare. Chiunque può aiutarla, semplicemente contattandola su Facebook: www.facebook.com/Montessori-School-and-Orphanage-in-Bububu-Zanzibar-Tanzania-156977844454756/
Per organizzare il viaggio, il soggiorno e le visite con guide che parlano italiano è possibile rivolgersi a Veratour, che ha sull’isola due tra i più bei villaggi del gruppo: il Veraclub Zanzibar Village a Kiwengwa e il Veraclub Sunset Beach a Nungwi, entrambi curati, sicuri e tranquilli. Il primo si trova sulla costa orientale dell’isola, lungo l’ampia spiaggia di Kiwengwa, immerso in una lussureggiante vegetazione tropicale con bungalow a un piano; l’altro, a nord dell’isola, invece, offre piccoli edifici di due piani e una spiaggia di sabbia fine e bianca, intervallata dalle rocce.
ansa
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