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Ambiente. La sfida di sindaci e cittadini contro le montagne di plastica

(Ansa)

avvenire
«A Freetown, fronteggiamo una montagna di plastica da rimuovere ogni giorno. Ci battiamo strenuamente e abbiamo l’obiettivo di riciclarne almeno il 40% entro il 2022». Yvonne Aki-Sawyerr, 58 anni, primo sindaco donna dagli anni Ottanta della capitale sierraleonese, usa toni gravi. È giunta a Parigi, al summit "Women4climate", per cercare soluzioni anche contro quell’infausta "montagna" che minaccia di soffocare la sua città, deturpandone pure il litorale sull’Atlantico. «Vogliamo sostenere chiunque abbia un piano per unirsi a questa battaglia, soprattutto grazie all’economia circolare», ci spiega, ricordando che a Freetown il problema nasce in gran parte dall’uso abnorme di bottiglie di plastica indotto dalla scarsità d’acqua potabile. «Ho ormai capito una cosa. Per quanto volenterose, le città da sole non potranno farcela, alla lunga. La plastica è dappertutto e servono soluzioni globali. Per questo, con altri sindaci di ogni continente, mi batto pure affinché la plastica monouso venga definitivamente messa al bando su scala mondiale».
Quello della sindaca sierraleonese non è affatto un grido isolato, tanto il flagello è divenuto ubiquo, accomunando per una volta gli Stati più poveri e le nazioni ricche di vecchia industrializzazione, passando per i Paesi "in transizione" che accedono al sistema dei consumi di massa. Fra le città statunitensi, dopo decenni di sperimentazioni, San Francisco è divenuta un punto di riferimento nella lotta alla plastica, come ci racconta con fierezza Elmy Bermejo, la donna al timone di "SF Environment", il dipartimento municipale e di contea in materia ambientale: «La nostra città è stata una delle prime a disapprovare le sporte di plastica. Dopo tante campagne di sensibilizzazione, quasi tutti vanno ormai al supermercato con sporte riutilizzabili. Adesso, chiediamo ai cittadini di arrivare con la propria tazza nei caffè che lo permettono. La chiave sta sempre nel risvegliare nella gente la voglia di compiere azioni giuste. I più convinti finiscono per dare il buon esempio agli altri». Ma perseverare in queste battaglie è più complicato sotto l’Amministrazione Trump, sottolinea la responsabile.
Sull’emergenza plastica, anche le relazioni fra le città australiane in prima linea e il governo federale nazionale sono "complesse", ammette Clover Moore, 73 anni, divenuta sindaco di Sydney nel 2004 e ancora al timone della metropoli sul Pacifico, dopo aver polverizzato tutti i record di longevità politica: «Spetta a noi sindaci propugnare questa causa, ma è davvero dura, perché dobbiamo poi attendere le decisioni del governo centrale prima di poter bandire qualsiasi tipo di plastica. Facciamo lo stesso del nostro meglio, soprattutto per convincere i cittadini a cambiare le loro abitudini, promuovendo ad esempio le tazze da caffè riutilizzabili ormai in commercio, o scoraggiando l’uso di cannucce. Mi ero impegnata su questo fronte per decenni già come deputata. Adesso, sono più convinta che mai che si tratta di una battaglia vitale per il futuro delle nostre città e degli ecosistemi. Ma serve ancor più coraggio, più impegno che in passato». Quando le chiediamo qual è la strada per cambiare le cose, non esita un attimo: «Accanto alle leggi, l’educazione è l’altro fattore chiave. Dobbiamo mostrare ai bambini le immagini degli uccelli strangolati e delle altre devastazioni dovute alla plastica».
Ma la partita mondiale contro la morsa della plastica si gioca sempre più soprattutto nell’Asia dei record di crescita economica. Su questa piaga, la militante ambientalista indiana Vandana Shiva ha ormai un punto di vista molto netto, che ci illustra quasi con foga: «In India e nel resto dell’Asia, l’abuso di plastica è in gran parte legato al cibo spazzatura. Ma non abbiamo bisogno di questo cibo perché, così come l’Italia, anche i nostri Paesi hanno alimenti tradizionali squisiti. I contenitori in plastica e in alluminio stanno distruggendo il nostro pianeta. Dobbiamo fronteggiare montagne di spazzatura non più gestibili. Le immagini del Primo ministro indiano con una scopa in mano per dare l’esempio non potranno avere effetti duraturi. Per risolvere alla radice il problema, dobbiamo tornare a un cibo pulito, ad alimenti freschi e diversificati, senza più criminalizzare le economie comunitarie locali. Rivitalizzare le economie locali fondate sul cibo e liberate dalla plastica è la più grande rivoluzione concreta di cui abbiamo bisogno. Queste montagne di plastica contro cui dobbiamo sbracciarci, per me, sono il simbolo di una distruzione che è triplice, ma in fondo unica: la distruzione della Terra, la distruzione del nostro corpo, la distruzione delle nostre democrazie».
L'emergenza non risparmia di certo l’Europa, dove ogni cittadino produce annualmente in media più di 30 kg di rifiuti in plastica. Una situazione alla lunga insostenibile che ha spinto la Commissione Ue a promuovere l’anno scorso un piano per approdare al 100% di plastica riciclabile o riutilizzabile entro il 2030. «Se non cambiamo il modo in cui produciamo e utilizziamo la plastica, nel 2050 i nostri oceani conterranno più plastica che pesci», ha lanciato in particolare l’olandese Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione. Ma intanto, in Europa, ad ostacolare ogni sforzo è pure lo sviluppo vertiginoso degli acquisti su Internet e dei conseguenti pacchi spediti a distanza. Un modello finora fondato spesso sull’uso d’imballaggi in plastica. Un altro fattore critico, questa volta demografico, riguarda l’aumento d’individui che vivono da soli, consumando così in media una quota maggiore di confezioni alimentari ed altri involucri.
Per i Paesi Ue, decisi a puntare sempre più sull’"economia circolare", l’obiettivo di potenziare in fretta il settore del riciclaggio della plastica viene visto da certi studiosi come un possente volano della futura green economy. Ma in termini industriali, si tratta di una sfida colossale. Per decenni, infatti, anche gli Stati in cui è attecchita una diffusa cultura della raccolta differenziata, come la Germania, hanno in buona parte 'esternalizzato' il riciclaggio vero e proprio, spedendo enormi cargo di plastica usata in Paesi a basso costo di manodopera. La Cina, in particolare, aveva finito per assorbire più della metà dei materiali di scarto riciclabili esportati dall’Ue. Ma la decisione di Pechino, maturata l’anno scorso, di ridurre drasticamente le importazioni dei rifiuti mondiali obbliga ormai tutti gli operatori europei del settore a rimboccarsi le maniche per rivoluzionare tante vecchie abitudini. Il continente è giunto a un bivio, anche perché, come denunciano le associazioni ecologiste, cresce il rischio di trasformare la Polonia, la Romania e la Bulgaria nelle 'pattumiere' europee, in nome di una semplice logica di riduzione dei costi di trattamento.
Anche in Italia, dove la raccolta differenziata ha registrato costanti progressi nell’ultimo decennio, occorrerà uno sviluppo poderoso del settore per gestire gli stock crescenti d’imballaggi riciclabili selezionati dai cittadini, senza accrescere al contempo le montagne dei rifiuti destinati agli inceneritori o alle discariche. Ogni anno, secondo l’Onu, circa 13 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, nel 90% dei casi per via fluviale: nel complesso, oltre i due terzi dei rifiuti ritrovati in ambiente acquatico. Più che mai, come sperimentano ogni giorno sindaci e semplici cittadini di ogni continente, si tratta di una sfida di portata titanica. Una di quelle che richiedono pure la raccolta differenziata di ogni briciola di creatività nella strenua ricerca di soluzioni davvero sostenibili.

Ululati sulle Alpi, il Lupo è tornato

L’ultimo avvistamento, all’inizio di aprile, è stato di un pastore a Campea, frazione del Comune di Miane in provincia di Treviso. Negli stessi giorni altri esemplari sono stati avvistati in Valbormida, sull’Appennino Savonese, in Liguria. E questi sono soltanto gli ultimi episodi di un fenomeno che, per gli esperti che lo stanno studiando da tempo, è in fase di consolidamento ed espansione. Insomma, non ci sono più dubbi: il lupo è ritornato in pianta stabile sulle Alpi, mentre dall’Appennino non se n’era mai andato. Il più recente censimento dei capi (il primo in assoluto a livello alpino), effettuato nell’inverno 2014-2015 nell’ambito del progetto Life Wolfalps – piano da sei milioni di euro, cofinanziato dall’Unione Europea – ha evidenziato che sulle Alpi vivono stabilmente 23 branchi per circa 150 esemplari complessivamente.

Nelle sole valli del Piemonte è stata stimata la presenza di 21 branchi e quattro coppie riproduttive, mentre un branco e una coppia sono stati avvistati in Valle d’Aosta e un altro branco si aggira in Lessinia, tra le province di Verona e Trento. Un’altra coppia vive in Friuli, tre individui solitari sono stabili nell’area tra Trentino, Alto Adige e Lombardia, dove sono stati effettuati anche avvistamenti sporadici. Comprendendo anche l’Appennino, al 2014 era stata verificata dal Congresso italiano di Teriologia (la parte della zoologia che studia la biologia dei mammi-feri) una presenza di 773 individui in 20 aree analizzate, mentre la presenza stimata si avvicinava ai 1.900 lupi sull’intero territorio nazionale. 

Come ricorda l’antropologo Annibale Salsa, già presidente nazionale del Club alpino italiano, il ritorno del lupo sulle Alpi avviene a circa novant’anni dalla sua scomparsa. L’ultimo esemplare, infatti, era stato abbattuto nel 1925 in Val Corsaglia, nel territorio delle Alpi Liguri-Piemontesi. «Sulle Alpi – scrive Salsa sul portale dell’Accademia della montagna del Trentino – il controllo del territorio risulta più capillare rispetto a quello dell’Appennino, dove invece prevale l’insediamento accorpato che favorisce la presenza di vasti spazi selvatici. Ciò spiega la ragione per cui, lungo la dorsale appenninica, il lupo non si è mai estinto e ha continuato a scorrazzare dalla Calabria fino al crinale tosco-emilianoromagnolo come massima espansione verso Nord». Più su il lupo non si spingeva, perché, sottolinea Salsa, «fino agli anni Cinquanta del Novecento le Alpi erano intensamente abitate». 

È con lo spopolamento delle “terre alte”, a partire dal boom economico degli anni Sessanta, quando la gran parte della popolazione contadina si è riversata nelle città per cercare lavoro nelle fabbriche, che si ricreano le condizioni per la vita del lupo sulle Alpi. Oltre allo spopolamento, un secondo fattore determinante, ricorda l’antropologo genovese, sono state le «politiche di ripopolamento delle aree protette mediante immissioni di ungulati, che hanno consentito ai lupi di superare la barriera bioecologica degli Appennini». Il ritorno del lupo ha però provocato importanti problemi di convivenza con l’uomo e le sue attività in montagna, soprattutto legate alla pastorizia e all’allevamento del bestiame. 

Predazioni sempre più frequenti hanno causato ingenti danni economici e anche la legittima preoccupazione delle popolazioni. L’ultimo episodio riportato dalle cronache è avvenuto a metà aprile a Roccalbegna, in provincia di Grosseto, dove un branco di quattro lupi ha attaccato un gregge, custodito da una donna pastore che non ha potuto fare altro se non assistere impotente all’uccisione di alcuni capi. «Due di loro correvano a monte e uno aveva in bocca una pecora – ha raccontato la donna –. Un altro correva dietro a un’altra pecora. Mi sono messa a urlare forte, ma nessuno mi sentiva». Ancora più duro il commento di Mariano Allocco di Prazzo in Valle Maira (Cuneo), allevatore di cavalli e contadino, oltre che restauratore di vecchi ruderi e scrittore. «La questione del lupo attiene alla libertà dell’uomo», dice Mariano, che si oppone alla «visione romantica» del lupo e per questo ha riunito pastori e allevatori e abitanti della Valle in un’associazione per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi causati dal ritorno del grande predatore. 

Così scrive Allocco: «Parliamoci chiaro: la presunzione della convivenza possibile tra predatore e animali in alpeggio è un assunto ideologico. In Val Maira l’alpeggio ovino ha chiuso e tra breve andrà ridiscusso quello brado di bovini ed equini e l’alpeggio così come lo si è gestito per secoli non sarà più possibile». Certamente, la soluzione non può essere la caccia indiscriminata, il bracconaggio o, peggio, la dispersione di bocconi avvelenati, che risultano mortali non soltanto per il lupo, ma per tutta la fauna selvatica della montagna e pericolosi anche per l’uomo. 

A questo riguardo, il progetto Life Wolfalps prevede «il monitoraggio della popolazione di lupo dell’arco alpino e l’attivazione di misure di prevenzione degli attacchi sugli animali domestici». Inoltre, sono previste azioni specifiche per contrastare il bracconaggio e strategie di controllo dell’interazione tra lupo e cane. Anche il Wwf ha raccolto oltre 140mila firme a sostegno di una petizione per vietare gli abbattimenti autorizzati, previsti invece dal nuovo Piano per la conservazione e gestione del lupo in Italia, del ministero dell’Ambiente, che ne consente fino a sessanta all’anno. «La sfida di oggi – conclude Salsa – consiste nel capire se il modello gestionale futuro dell’ambiente montano debba ispirarsi alla scelta bipolare “et-et” (convivenza possibile uomo-predatore) o a quella “aut-aut” (o l’uomo o il predatore). Mettiamoci quindi al lavoro con buon senso, abbandonando le tifoserie opposte, per guardare in faccia alla realtà».
Avvenire
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone

Nei mari d'Italia 27 rifiuti ogni kmq, soprattutto plastica. Goletta Verde, in Adriatico 41% buste e nel Tirreno 34% bottiglie

Nei mari d'Italia si contano fino a 27 rifiuti galleggianti ogni chilometro quadrato, per lo più plastici, con una percentuale di quasi il 90%. Lo ha verificato Goletta Verde di Legambiente in 87 ore di osservazione e 1.700 chilometri di mare monitorati con l'Accademia del Leviatano nell'estate 2014. Il team di osservatori ha rilevato quasi 700 rifiuti sulle tratte costiere, un rifiuto di plastica ogni 10 minuti.
Le tratte più "dense" di rifiuti sono risultate la costa di Castellammare di Stabia (Napoli), dove sono stati contati più di 150 rifiuti ogni kmq; più di 100 i rifiuti al kmq davanti la costa abruzzese di Giulianova e più di 30 sul Gargano, tra Manfredonia e Termoli.

Il mare Adriatico è quello in cui sono stati trovati più rifiuti galleggianti, 27 ogni chilometro quadrato, in prevalenza di plastica, di cui il 20% proveniente dalla pesca. Nel Mar Tirreno la Goletta ne ha individuati 26 ogni chilometro quadrato. Meglio il Mar Ionio che grazie alla sua posizione geografica conta "solo" 7 rifiuti ogni kmq di mare.

L'Accademia del Leviatano ha monitorato la tratta transfrontaliera Civitavecchia - Barcellona per otto volte e un totale di 800 km e 20 ore di osservazione, rilevando quattro rifiuti ogni chilometro quadrato, ma prendendo in considerazione solo quelli più grandi di 20 cm e in alto mare. Nelle restanti tratte, Goletta Verde ha monitorato i rifiuti dai 2,5 cm in su e ben il 75% del totale è costituito da rifiuti inferiori ai 20 centimetri.

Nel Mare Adriatico, i rifiuti plastici derivanti dalla pesca sono composti per il 20% da reti e polistirolo galleggiante, frammenti o intere cassette che si usano per contenere il pescato, per il 41% da buste e per il 22% da frammenti di plastica. Del 91% dei rifiuti di plastica nel Mar Tirreno il 34% è costituito da bottiglie (bevande e detergenti) che quest'anno superano la percentuale di buste di plastica (29%).

La campagna di Legambiente è stata realizzata anche con il contributo di Coou (Consorzio obbligatorio oli usati), Novamont e Nau!, secondo il protocollo scientifico elaborato dal Dipartimento Difesa della natura di Ispra e dal Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Nei libri c'è tutto, anche per viaggiare: lo scopri a Verbania per LetterAltura 2010


Nei libri c’è.... Tutto!
a cura di Alexander Karelin
Venerdì, 25 Giugno 2010

Nei libri c’è.... Tutto! “E questa che nave è?”, chiede ai ragazzi seduti attorno a lui, aprendo un altro libro e facendone uscire una fantastica caravella con le vele rattoppate e un mare in tempesta.

“Una barca a vela”, risponde uno dei bambini.

“Eh sì, mica è una barca a motore! Certo che ha le vele! Ma come si chiama?”, insiste. Fino a quando qualcuno dice “La perla nera” (dopo “Nave dei pirati” e tanti altri nomi).

E quindi si passa al prossimo libro, quello sulle mummie, a un altro sui faraoni e poi a un altro ancora che parla degli insetti...

Perché nei libri, come dice Sergio Guastini, c’è tutto!

Ci vuole solo un po’ di magia e di fantasia – “merce” che ha in abbondanza – per coinvolgere tutti nella sua infinita avventura nel mondo dei libri, un’avventura che condivide con passione e dedizione con chiunque abbia voglia di ascoltare e, soprattutto, partecipare. Che gusto c’è in un avventura se non hai con chi condividerla?

E per fortuna di bambini – piccoli e grandi – con cui lanciarsi in un viaggio dell’immaginario nei mondi delle fiabe ce ne sono a Verbania, a quest’edizione di LetterAltura. E perché? Perché nei libri c’è tutto!

letteraltura.it

libro segnalato da Turismo Culturale

Ambiente, turismo e competitività sostenibile. Come rendere la tutela ambientale un moltiplicatore di sviluppo locale € 25,00

Descrizione:
La tutela ambientale e le aree naturali protette sono comunemente viste come un limite allo sviluppo dell'economia del territorio. Questo libro vuole ribaltare la visione comune, dimostrando come, all'opposto, e specialmente in momenti di crisi generale, l'istituzione di aree protette rappresenti un moltiplicatore di sviluppo e di ricchezza per il territorio, soprattutto grazie alla leva turistica. Secondo la ricerca svolta dall'Istituto per la competitività (l-com), su incarico del Ministero dell'Ambiente, le Aree Protette italiane sono divenute, con alcuni casi di eccellenza, il luogo privilegiato di sintesi tra sostenibilità e competitività, vista la duplice necessità di promuovere, da una parte, lo sviluppo delle comunità locali e, dall'altra, di proteggere territori ad elevato pregio ambientale. Ambiente, turismo e competitività, di conseguenza, non sono più termini in contrasto tra loro ma possono divenire parole chiave (in perfetta armonia) di una diversa governance ambientale. Pur nell'assenza di un tessuto normativo omogeneo e di strumenti economici coerenti volti a integrare territorio e popolazione, la ricerca evidenzia, infatti, anche attraverso un'analisi comparata, come la tutela ambientale sia un importante moltiplicatore di sviluppo locale. Proteggere l'ambiente, dunque, sembra essere la via migliore per arricchire un territorio. Anche in termini economici.