Prende come motto una frase di José Saramago, «il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono», l'ultimo numero (104) della rivista «Lettera internazionale», approdata in libreria proprio in questi giorni. E se il viaggio è l'argomento dichiarato del primo dossier proposto dal periodico (all'interno del quale si possono leggere testi del filosofo George Santayana, e di alcuni grandi viaggiatori, da Pico Iyer a Julien Gracq, da Alberto Manguel a Henning Mankell), il tema ritorna anche negli altri materiali di «Lettera internazionale».
In particolare, nel dossier «L'uomo e l'altrove» viene messo in evidenza come il viaggio, per noi che abitiamo nei «paesi ricchi», sia diventato un semplice «spostamento fisico» che non comporta alcuno sforzo di adattamento particolare. Sforzo - cioè travaglio, travail, travel, questo in passato era il viaggio - che invece compiono coloro che sono parte degli inarrestabili flussi migratori della nostra epoca. Persone cui spesso manca l'altra idea di viaggio, come viaticum, voyage, viaje: «provvista per viaggiare». Sono le vittime del globalitarismo per le quali, scrive nel suo saggio Geometrie del potere il geografo Franco Farinelli, «lo Stato territoriale moderno centralizzato, così come lo conosciamo noi oggi, fondato sulla paralisi dei sudditi, non riesce a mettere a punto politiche minimamente decenti, perché si tratta di soggetti che per natura contraddicono il fondamentale comandamento dell'immobilità su cui si basa appunto questo modello di Stato» e di potere. Un tema ripreso nel suo Paesaggi planetari da Marc Augé, che parla della grande divisione del mondo tra i visitatori che guardano e a volte filmano o fotografano, e coloro che sono visitati, guardati, filmati o fotografati, interrogandosi su questo sguardo spaccato tra timore di vedere e desiderio di controllare.
ilmanifesto.it 25 Luglio 2010