Anche la Cina ha il suo Bosco verticale di Stefano Boeri

 

Ansa

ROMA - Ben 404 alberi (dal Ginkgo biloba all'Osmanthus fragrans, dall'Acer griseum al Chimonanthus praecox), 4620 arbusti (dall'Hibiscus mutabilis all'Elaeagnus pungens, dalla Nandina domestica al Euonymus alatus) e 2408 mq di piante perenni, fiori e piante rampicanti (come Ophiopogon bodinieri, Sedum lineare e Liriope spicata).

Easyhome Huanggang Vertical Forest City Complex, situato nella città di Huanggang nella provincia di Hubei, è il primo Bosco Verticale Cinese progettato da Stefano Boeri Architetti China, interamente completato e, già da alcune settimane, abitato dei primi inquilini.
    Si tratta di una nuova tipologia di Bosco Verticale caratterizzato da un'alternanza di balconi aperti e chiusi che spezzano la regolarità dell'edificio e creano un movimento continuo e mutevole, accentuato dalla presenza di alberi e arbusti che - grazie a questa specifica struttura - possono svilupparsi liberamente in altezza, seguendo il design della facciata.
    Il complesso copre un'area di 4,54 ettari ed è composto da cinque torri, due delle quali residenziali (alte 80 m) e progettate sul modello del Bosco Verticale. In totale il verde assorbe 22 tonnellate di CO2 all'anno e produce 11 tonnellate di O2 all'anno.
    "La soluzione di facciata - spiega l'architetto Stefano Boeri - ci ha permesso di valorizzare al massimo il rapporto con gli alberi e il verde, presente sia nei balconi che nei bow-window.
    Gli abitanti delle torri hanno così la possibilità di vivere lo spazio domestico e il panorama urbano da una prospettiva diversa, godendo di una inedita prossimità con la natura vivente". 

I romantici a Padova, arte tra Svizzera e Germania

 

Ansa

 Il bianco abbacinante delle scogliere di Rugen, punta estrema della Germania, che aprono una squarcio sull'estendersi quasi all'infinito del mar Baltico, mentre tre figure di spalle si affacciano sul limite dell'abisso, con una donna seduta che indica un qualcosa verso il basso e, all'altro lato della tela di appena 90x70 centimetri, un uomo in piedi appoggiato a una roccia e con le braccia conserte che guarda l'orizzonte, forse le due barche a vela che punteggiano il mare.
    I sui piedi sembrano poggiare su rami che si protendono verso il vuoto.
    E', per il visitatore, l'immagine de "Le bianche scogliere di Rugen", dipinto da Caspar David Friedrich, nel 1818, che appare nella terza sala, quella che apre al trionfo della pittura romantica in Germania; un'opera che è una sorta di punto radiante di quel prima e di quel dopo che compone il racconto, in sei "capitoli", di 150 anni della storia della pittura in Germania e Svizzera "scritto" da Marco Goldin con la mostra "Dai romantici a Segantini. Storie di lune e poi di sguardi e montagne", in programma dal 29 gennaio al 5 giugno prossimi, al Centro San Gaetano, a Padova.
    L'esposizione, con 75 dipinti, di cui solo uno già esposto in Italia, provenienti dalla Fondazione Oskar Reinhart, facente parte del Kunst Museum di Winterhur, in Svizzera, costituisce il primo tassello del progetto ideato da Goldin, "Geografie dell'Europa. La trama della pittura tra Ottocento e Novecento", reso ad indagare attraverso specifiche mostre, secondo una divisione nazionale o per aree contigue, lo scenario artistico e storico sulla situazione della pittura in Europa lungo tutto il XIX secolo e parte del XX secolo.
    La mostra patavina, in accordo con l'amministrazione comunale, prende il via dalla sezione dedicata al paesaggio in Svizzera a fine '700, con lo sviluppo di una nuova visione della natura, non più luogo della paura ma spazio da scoprire ed ammirare, come è evidente nel dipinto di Caspar Wolf del 1778, "Il Geltenschuss nella valle di Lauenen con un ponte di neve" con due minuscole figure umane su una roccia che guardano la montagna.
    A scorrere i dipinti è la natura, il paesaggio, la " geografia", anche segnata dalla presenza dell'uomo, a segnare l'intero percorso. A fare da ideale guida è la rappresentazione del rapporto tra uomo e natura, con lo spirito della natura, attraverso le variazioni di visione artistica-filosofica, ma anche sociale, nei tempi presi in esame dal curatore. Un percorso espositivo, composto da nomi conosciuti e da artisti tutti da scoprire, che si snoda lungo le otto sale che passano dal romantico passano al realismo, ai tipici influssi impressionisti, dal simbolismo eccentrico di Arnold Bocklin ai ritratti e alla realtà rurale e sociale in Svizzera, fino all'esplosione della luce e del colore in Segantini o Hodler. A quest'ultimo sono dedicate le due ultime sale con le montagne, a chiudere quel discorso aperto da Wolf, e lo splendido "Sguardo verso l'infinito" del 1916. 

Grandi mostre. Arte, politica e seta: l'epopea di Vicenza

 

Avvenire

Quando nel settembre 1543 il cardinale Nicolò Ridolfi entrò a Vicenza per prendere possesso della cattedra episcopale fu come per lui rientrare a Roma: la città gotica è scomparsa dietro un trionfale apparato effimero all’antica, con archi, pronai, statue colossali, obelischi, grisaille come bassorilievi. L’operazione ha due grandi registi: l’umanista Giovan Giorgio Trissino e l’architetto Andrea Palladio. Sono le prove generali di una delle più grandi imprese del Cinquecento italiano: la completa trasfor-mazione di Vicenza in chiave classica. “Impresa” a buona ragione. Perché si trattò di un fenomeno reso possibile dalla convergenza di progetto culturale, possibilità economiche, volontà politica, talenti artistici. Non a caso è “Processi creativi, mercato e produzione a Vicenza” il sottotitolo della mostra, tra le più riuscite degli ultimi anni, che nella Basilica palladiana racconta “La fabbrica del Rinascimento” (fino al 18 aprile).

L’architettura di Palladio, la pittura di Paolo Veronese e Jacopo Bassano (protagonista di un vera e propria monografia che da cui esce come pittore superbo e, retrospettivamente, persino di maggiore modernità rispetto al collega), la scultura di Alessandro Vittoria – il meno noto del gruppo ma artista di prima grandezza anche nel panorama della penisola – sono i prodotti oggi più visibili e la chiave per entrare nella complessità di un sistema. Vicenza è nel Cinquecento una della città più facoltose della Terraferma veneta e d’Italia. Nel suo territorio si produce gran parte della seta della Serenissima, che viene esportata dalla sua classe di aristocratici mercanti in tutta Europa. In parallelo a quello economico la città vive un boom demografico. Ma ha perso la sua autonomia: dal 1404 è proprietà veneziana. L’orgoglio cittadino cerca uno sfogo, e lo trova nel progetto culturale di ripristino delle radici romane offertogli da Trissino e tradotto anche politicamente in immagine utopica da Palladio. Sarebbe servito a poco se contestualmente, come scrivono in catalogo (edito Marsilio Arte, che produce anche la mostra con il Comune di Vicenza) i curatori Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Mattia Vinco, la metà del Cinquecento non rappresentasse «un momento cruciale per il progressivo affermarsi degli artisti nella società, i quali passano dal ruolo di artigiani a quello di personaggi dotati di dignità intellettuale pari a quella fino a quel momento riconosciuta solo ai letterati».

La mostra ricostruisce bene questa fase, rimuovendo ogni aura romantica da queste figure per ricollocarle nelle dinamiche del tempo e persino del momento attraverso una precisa selezione di documenti che ci riportano nel farsi degli eventi, tra libri contabili (di nobili e di artisti), registri, studi (seguiamo Palladio nel processo creativo), bozzetti. Ecco allora la circolazione dei modelli e in particolare il peso della cultura raffaellesca, diretta o mediata da Giulio Romano e Parmigianino; il rapporto con i committenti; il disinteresse nei confronti dell’unicità dell’opera in favore dell’invenzione replicabile; i meccanismi produttivi della bot- tega; la natura imprenditoriale dell’artista. In questo senso è di grande interesse la sezione sul valore dell’arte, realizzata grazie agli studi di Edoardo Demo che in catalogo firma il saggio dedicato all’economia vicentina.

Gli schei in arte non sono mai stati argomento secondario. Per risolvere i problemi di lettura della contabilità antica la mostra propone efficacemente come unità di misura di confronto il “mezanotto”, ossia il maiale di medie dimensioni. Si apprende così che un libro illustrato costava mezzo maiale, un dipinto di genere di Bassano poco meno di uno intero, una sua piccola pala d’altare con molte figure quasi tre, un mese di salario di Palladio come architetto della Basilica era pari a 1,8 maiali ma per costruirla ce ne vollero 20mila. A far salire il prezzo è il materiale: la scultura in pietra è cara (un busto di Vittoria: 25 maiali) ma il bronzo di più (due bassorilievi dell’Aspetti: 90 maiali). Carissimi i pezzi antichi – 100 maiali un busto romano, con conseguente pullulare di falsi - a testimonianza che il desiderio era anche allora fattore che incideva sul “valore” dell’arte.

Per fare le proporzioni, una pagnotta di pane fresco era pari a 1/167 di mezanotto, una spada un suino, una veste di seta 8 maiali. La paga di una domestica era 3 maiali all’anno, un operaio non specializzato nella seta 6, un operaio specializzato 20, un grande avvocato ne guadagnava 133, uomini d’affari internazionali come i committenti di Palladio dieci volte di più. Questa commistione essenziale di modernità e forme del passato è qualcosa che si rileva più profondità nel caso vicentino, dove sotto il candore palladiano sembra persino pulsare una dimensione “comunale”.

A muovere la trasformazione della città, come invece altrove, non è la corte ma l’oligarchia cittadina. E non a caso il progetto simbolo della nuova Vicenza è la Basilica, ossia il ristrutturato Palazzo della Ragione. «C’è solo un altro caso parallelo ed è Brescia con la Loggia – spiega Beltramini, direttore del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio –, anche se gli esiti estetici non sono paragonabili. In queste due città, ricchissime e divenute veneziane nello stesso periodo, c’è un’idea di difesa delle “piccole patrie”. Quando arriva la Serenissima le aristocrazie urbane sono quelle che pagano di più la perdita dell’autonomia: famiglie qui nobili da secoli in laguna non conteranno mai nulla. L’appello all’identità cittadina diventa forte e il richiamo alle radici romane ha l’eco di dinamiche comunali».

Questo orgoglio identitario, che passa anche attraverso il ripristino dei luoghi pubblici, non è il solo elemento che accomuna Vicenza e Brescia. Entrambe sono tra i centri del Nord Italia in cui maggiormente circolano le idee riformate. Tra i committenti di Palladio e Veronese ci sono i da Porto, sospettati di eresia dall’Inquisizione, e i Thiene, alcuni dei quali fuggono Oltralpe. Germano Maifreda in catalogo sottolinea come il vettore possa essere ricercato nel dinamismo commerciale che mette in contatto gli uomini d’affari vicentini con territori europei passati al protestantesimo oppure con idee e testi eterodossi. E Beltramini ricorda come «per spiegare la diffusione del calvinismo a Vicenza una delle ragioni portate dagli studiosi è il fascino esercitato dalle città-stato svizzere, un ulteriore richiamo all’autonomia ». L’epopea si avvia con un trionfo effimero e si conclude cinquant’anni dopo con il Teatro Olimpico, dove per la prima volta nella storia moderna si solidifica una architettura altrimenti temporanea.

Quella di Vicenza è la storia di una pietrificazione della scena urbana. Anche oltre la volontà dei protagonisti. Nel teatro le scene realizzate da Scamozzi per l’inaugurale Edipo re non sono mai state toccate. Dopo la morte di Palladio il laboratorio si fissa in tradizione. Cosa è accaduto? «Prendiamo il caso di Montano Barbarano – risponde Beltramini – che spende tutti i suoi soldi per far costruire da Palladio un palazzo alla romana. Alla sua morte i figli vendono il palazzo per comprare le cittadinanza veneziana. La battaglia culturale sembra avere senso per la generazione dei padri, mentre quella dei figli si sente più veneziana. Nello svilupparsi del secolo quella che era una spinta civile diventa retorica». Nel caso dell’Olimpico una retorica fuori tempo: più che il primo teatro moderno è l’ultimo antico. «Lo spunto è il teatro all’antica disegnato da Raffaello per Villa Madama. Ma una cosa è pensarlo nel 1519, un’altra nel 1580, in un momento in cui il teatro sta cambiando: l’Olimpico è incompatibile con la nascente drammaturgia barocca, che necessita di scene mobili e macchine. Non a caso dopo l’inaugurazione per duecento anni non verrà più utilizzato come teatro. C’è in tutto questo una dimensione malinconica, ben colta da Guido Piovene che vede nell’operazione di Trissino e Palladio una natura chimerica. Poi arriverà la peste del 1630: la città crolla e non si rialzerà più».

Sono i più giovani a preferire questa formula. Nuovi modi di viaggiare: è boom del camper sharing

Viaggiare su e giù per lo stivale o andare in Spagna o in Portogallo. Sono sempre più gli Italiani e i giovani a decidere di partire per un viaggio in camper: è quello che emerge dai dati sull’andamento delle prenotazioni di Yescapa piattaforma leader europea di camper sharing con 10 anni di storia. I dati si riferiscono nel periodo compreso tra gennaio e dicembre 2021 su 40.000 utenti locali attivi (il doppio rispetto all’anno precedente).

A quasi quattro anni dal lancio in Italia di Yescapa, si sta delineando sempre meglio l’identikit del viaggiatore Italiano che decide di partire all’avventura in camper. In particolare, si è gradualmente registrato un abbassamento dell’età media per quanto riguarda sia i viaggiatori sia i proprietari: rispettivamente di 37 e 44 anni, tra le più basse in Europa. Un segno di inversione di tendenza che fa ben sperare e che dimostra l’interesse anche delle fasce più giovani per questa tipologia di viaggio. Il 46% dei viaggiatori del 2021 ha prenotato un camper per un on the road di coppia; a seguire, il 30% dei camperisti ha optato per una vacanza family friendly su quattro ruote, mentre il 20% è partito in gruppo con gli amici.

I dati raccolti evidenziano anche le mete più scelte nel 2021 per un viaggio in camper: il 52% degli italiani camperisti ha viaggiato all’estero, prenotando un veicolo oltre frontiera, prediligendo i territori oltralpe rispetto al Belpaese. L’Italia si difende comunque bene con il 48% delle prenotazioni. Tra le destinazioni di partenza più gettonate dagli italiani spiccano Milano e Roma, scelte come tappa da cui cominciare il su e giù per lo Stivale. A queste si aggiungono ben due basi sarde, Alghero e Olbia. Le posizioni centrali confermano invece il forte interesse per l’estero degli Italiani: in ordine, Gran Canaria, Fuerteventura, Lisbona e Lanzarote. Non stupisce come ben 3 delle 8 destinazioni più scelte siano state isole delle Canarie, tra le poche destinazioni aperte al turismo estero in mesi di chiusure dovute al Covid, e per questo diventate meta d’elezione degli Italiani nel 2021.

Sul fronte delle prenotazioni, la scorsa stagione ha evidenziato un vero e proprio boom del camper sharing, rispetto a un 2020 segnato dalla diffusione della pandemia e da ripetuti lockdown locali e globali. Con oltre 15.000 richieste, lo scorso anno Yescapa Italia ha inoltre toccato il record di prenotazioni, registrando una crescita del +160% del numero di prenotazioni confermate sul sito. In particolare, nell’ultimo trimestre 2021 ha raggiunto un picco straordinario, con un +800% delle prenotazioni di veicoli. Tra questi, i più richiesti sono stati i van (31%), seguiti dai camper mansardati (23%) e dai furgoni camperizzati (19%).

Yescapa camper sharingConsiderando tutti i mercati, le oltre 55.000 prenotazioni del 2021 hanno creato un volume d’affari di quasi 40 milioni di euro. L’impatto economico è stato positivo anche per i proprietari italiani che hanno messo il proprio veicolo a disposizione sulla piattaforma: il loro guadagno totale percepito nel 2021 si attesta a 1,7 milioni di euro. “Il camper sharing di Yescapa si conferma una formula vincente per rilanciare il settore dei veicoli ricreazionali e di autofinanziamento del nuovo”, spiega Dario Femiani, Country Manager. “Sono infatti sempre più i proprietari di camper interessati a condividere il proprio mezzo sulla nostra piattaforma nei periodi di inutilizzo, mettendolo a disposizione di terzi sporadicamente e quindi senza improvvisarsi noleggiatori di professione”. Sono sufficienti 6 settimane di condivisione del proprio veicolo per ammortizzare totalmente il costo annuale relativo al suo mantenimento (bollo, assicurazione, revisione e manutenzione): il compenso medio di un proprietario attraverso la piattaforma di camper sharing è di circa 575€ a settimana (poco più di 80€ al giorno), mentre quelli annui si aggirano intorno ai 4.000€.

Rai News

(Segnalazione Web a  cura di Giuseppe Serrone e Albana Ruci - Turismo Culturale)