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La Via Crucis: da Domodossola al Sacro Monte Calvario, un percorso tra fede, arte e natura

Località dell’escursioneDomodossola

Periodo Tutto l’anno

Accesso stradale: Per raggiungere la località di partenza, percorrere l’autostrada A26 in direzione Confine di Stato e uscire a Domodossola. Seguire le indicazioni per il Sacro Monte Calvario.


Descrizione dell’itinerario
Dal Borgo della Cultura di Domodossola, percorrendo la centrale Via Rosmini e spostandosi lungo Via Mattarella verso la parte più esterna della città si giunge in pochi minuti la caratteristica via crucis cittadina: un percorso ideale per tutte le stagioni, che vi porterà al Colle di Mattarella (400 m.s.l.m), su cui è stato edificato, nella metà del 1600, il Sacro Monte Calvario di Domodossola. Il percorso è costituito da quindici cappelle, con all’interno statue di grandezza naturale che rappresentano e narrano il percorso della Passione di Cristo: una vera raccolta d’arte sacra di grande valore che vi permetterà di scoprire un angolo di pace e tranquillità non lontano dalla cittadina ossolana. E
dalla terrazza panoramica del parco del Sacro Monte la vostra vista spazierà lungo tutto l’arco alpino che circonda Domodossola, un vero e proprio belvedere naturale… Il colle di Mattarella, su cui sorge il complesso del Sacro Monte Calvario, ha una storia molto antica. Lo testimoniano alcune coppelle ed affilatoi individuati su una roccia affiorante all’interno dei giardini dei Padri Rosminiani. Già alla fine dell’800 erano state rinvenute, durante lavori agricoli, alcune tombe coperte da lastre di pietra contenenti scheletri, spade, dardi e lance. Nel 1977 è stato inoltre rinvenuto un frammento di lapide paleocristiana in marmo, risalente al 539 D.C., il documento più antico attestante la presenza del Cristianesimo in Ossola. Dal 1991 il Sacro Monte Calvario è una riserva naturale speciale della Regione Piemonte e recentemente è stato riconosciuto come patrimonio dell’UNESCO.
tratto da distrettodeilaghi.it

Caravaggio e la natura morta

GALLERIA BORGHESE (ROMA) - C'è anche un capolavoro assoluto come la 'Canestra di frutta', raro da vedere in mostra e prestito eccezionale della Pinacoteca Ambrosiana, nell'importante esposizione che da domani al 19 febbraio racconta alla Galleria Borghese la rivoluzione di Caravaggio e la nascita della Natura morta, genere diventato tra i più amati in pittura, e germinazione dell'arte moderna. Allestite circa 40 opere, tra cui il 'Bacchino malato' e il 'Ragazzo con canestra di frutta', alcuni dei più famosi dipinti del Merisi conservati alla Borghese, nonché le tele del Maestro di Hartford, attribuite negli anni '70 da Federico Zeri a un giovane Caravaggio, e la celeberrima 'Fiasca spagliata con fiori' del Maestro della fiasca di Forlì, di suprema fattura, però ancora senza attribuzione certa, affiancata da un'inedita seconda versione.
Con il titolo 'L'origine della Natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford', la mostra (interamente realizzata dal museo romano) costituisce la prima occasione per ammirare una serie di opere non solo bellissime, ma fondamentali per la comprensione filologicamente corretta del processo concettuale che ha portato Michelangelo Merisi, appena giunto a Roma, a compiere fino in fondo una profonda trasformazione dell'arte del tempo partendo dal naturalismo lombardo. E' proprio da lì che prende il via il percorso espositivo: dalla 'Fruttivendola' di Vincenzo Campi (dalla Pinacoteca di Brera), dove ancora la figura umana è preponderante, da 'L'ortolano' di Giuseppe Arcimboldo, che è in realtà un tegame con le verdure rovesciato, e la prima Natura morta realizzata in Italia, vale a dire 'Piatto metallico con pesche e foglie di vite', dipinto in modo sublime tra il 1590 e il 1594 da Giovanni Antonio Figino, tanto da ispirare alcuni madrigali nel segno delle Vanitas.
Ed ecco il 'Bacchino malato' e il 'Ragazzo con canestra di frutta', due dei Caravaggio della Borghese in cui i brani di Natura morta inseriti dal pittore nella scena fecero scalpore nella città eterna alla fine del '500. Si dice infatti che, una volta giunto a Roma, il Merisi trovasse posto nella bottega del Cavalier d'Arpino che l'avrebbe destinato a fare fiori e frutta.
Per questo, quando Federico Zeri tornò a studiare la raccolta di Scipione Borghese e a fianco dei due ritratti di giovane del Caravaggio, trovò le quattro grandi Nature morte del cosiddetto Maestro di Hartford, ipotizzò (non senza tumultuose polemiche) che anche queste ultime potessero essere tra le prime opere romane del genio lombardo. Grazie alla curatela di Davide Dotti e della direttrice del museo Anna Coliva, per la prima volta è possibile vedere le opere perfettamente affiancate, in un allestimento che rende lampante l'estrema diversità delle due mani: "più secca e legnosa" quella dell'artista ancora sconosciuto, piena della poesia del naturalismo quella di Caravaggio.
Ad ogni modo, aggiunge Dotti, il Maestro di Hartford è il primo a dedicarsi interamente a questo genere, mentre il Merisi lo usa per fare la sua personalissima rivoluzione della pittura.
Come è evidente nella 'Canestra di frutta' dell'Ambrosiana, che troneggia a metà percorso. "Ha una monumentalità straordinaria, come se fosse una Madonna, ha l'identica dignità di una figura", sottolinea la Coliva, spiegando che qui la Natura morta "non è un incidente, un topos, né un banco di prova del talento del pittore", bensì diventa "volontà d'arte". Non a caso, lo stesso Caravaggio dice che per lui dipingere una figura o un frutto è la stessa cosa, "il valore di ciò che fa è trasferito dal soggetto in questione alla pittura stessa". L'arte, dunque, prosegue Anna Coliva, già per Michelangelo Merisi, "non riproduce semplicemente la realtà, ma è una sorta di mondo parallelo", proprio come nelle concezioni delle prime Avanguardie storiche all'inizio del '900.
La mostra prosegue indugiando sui numerosi maestri che nel '600, in seguito alla lezione di Caravaggio, hanno dedicato parte della loro produzione al cosiddetto 'Still Life'. Opere di grande importanza tra cui spicca la 'Fiasca spagliata con fiori' del Maestro della fiasca di Forlì, attribuita anche al Cagnacci per la sua bellezza. Per l'occasione la tavola è stata sottoposta a indagini diagnostiche e si è visto che sotto lo strato di pittura c'era un ritratto preesistente. Forse il proprietario si era stancato di quel soggetto e ne ha voluto uno nuovo. Infine, il capolavoro dei Musei civici di Forlì è stato allestito accanto a una sua seconda versione, esposta qui per la prima volta, che conferma l'estrema maestria dell'autore.
"Probabilmente - ha concluso la Coliva - si tratta di un importante pittore di figura che ha fatto solo qualche incursione nella Natura morta". 
ansa

Splendore del '400 di Giovanni dal Ponte dal 22 novembre a Firenze

 Dall''Incoronazione della Vergine', splendido trittico appena restaurato, all'imponente pala dell''Annunciazione e quattro santi', i capolavori di Giovanni dal Ponte, affermato rappresentante dell'arte toscana del primo '400, sono riuniti in una grande monografica allestita a Firenze dal 22 novembre al 17 marzo, negli spazi della Galleria dell'Accademia. Circa 50 opere, molte delle quali provenienti dai maggiori musei italiani e del mondo, raccontano e fanno riscoprire le meraviglie del tardo-gotico fiorentino.
    Intitolata 'Giovanni dal Ponte (1385 - 1437/38). Protagonista dell'umanesimo tardo gotico fiorentino' l'importante rassegna ha infatti lo scopo sia di colmare una carenza di studi e conoscenza dell'artista sia di favorirne una classificazione critica più adeguata. Infatti è ormai accertato che il dal Ponte occupò un ruolo non marginale negli sviluppi della pittura fiorentina del primo Rinascimento, soprattutto per la creazione di un linguaggio individuale ed estroso, aggiornato sull'attività dei maestri attivi a Firenze in quell'epoca, da Gherardo Starnina a Lorenzo Monaco e Lorenzo Ghiberti fino a Masaccio, Masolino e Beato Angelico. La mostra è stata curata da Angelo Tartuferi e Lorenzo Sbaraglio, autori di una straordinaria selezione attraverso la quale è possibile ricostruire l'intera produzione di Giovanni di Marco, detto dal Ponte, dagli esordi alla felice maturità.
ansa