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Un Caravaggio da Roma in mostra a Minneapolis

 Un Caravaggio da Palazzo Barberini è volato a Minneapolis e in cambio, a Roma, è arrivato La Morte di Germanico di Nicholas Poussin che a lungo è stato parte delle raccolte della famiglia Barberini.

La mostra al Minneapolis Institute of Art, aperta da questo fine settimana, ha al suo centro l'iconico dipinto del 1599 ispirato alla storia biblica di Giuditta e Oloferne.
    "È un soggetto comune nell'arte dell'epoca, ma in questo quadro l'eroina della Bibbia è fermata nell'atto di decapitare il generale assiro", spiega all'ANSA Rachel McGarry, che ha curato la mostra in cui il quadro è accompagnato da altre 14 opere su un arco di 500 anni che esplorano le diverse interpretazioni date alla figura di Giuditta da artisti come Barthel Beham, Ludovico Carracci, Ignazio Collino e Lovis Corinth.

È una rara occasione di vedere un quadro di Caravaggio negli Stati Uniti: ce ne sono solo dieci, di questi nove in collezioni pubbliche.
    Il prestito del Giuditta e Oloferne riflette la forte relazione istituzionale del Minneapolis Museum of Art con musei e gallerie in Italia che, tra le altre cose, l'anno scorso diede vita a una mostra di opere di Botticelli dagli Uffizi. In cambio del Caravaggio, il museo ha mandato a Roma il Poussin, in occasione della mostra in corso fino a fine luglio su Maffeo Barberini, che 400 anni fa divenne papa col nome di Urbano Ottavo. Il quadro, originariamente commissionato dal cardinale Francesco Barberini, nipote del pontefice-mecenate, era rimasto con discendenti della famiglia fino al 1958 quando il museo lo aveva acquistato.
    "La collaborazione con palazzo Barberini porta in luce eccezionali opere d'arte, ma anche la legacy di una famiglia di straordinari mecenati", ha detto la direttrice del Mia Katie Luber. Ci sono voluti due anni di contatti per concretizzare i prestiti: il Poussin - ricorda la McGarry - aveva riattraversato l'Atlantico finora soltanto una volta, nel 1994, per la grande mostra organizzata al Grand Palais di Parigi in occasione dei 400 anni della nascita dell'artista. (ANSA).

La mostra a Bergamo. Cecco non è solo di Caravaggio

 Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, “Flautista”, 1615-1620. Oxford, Ashmolean Museum

Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, “Flautista”, 1615-1620. Oxford, Ashmolean Museum – opera esposta nella mostra all’Accademia Carrara di Bergamo

Cecco, o Checco come talvolta era chiamato, non è in verità soltanto il diminutivo di Francesco. In quel nomignolo, associato al nome di Caravaggio, si condensa una storia di mistero e di torbide passioni che lo stesso interessato non mancò di rendere palesi in certi suoi quadri, facendo come si dice oggi outing, termine usato dal suo maggior studioso e massimo esperto dei caravaggeschi, Gianni Papi, per sottolineare la franca irrequietezza del pittore. A dire il vero, il primo a farne oggetto di ritratti dalla chiara inclinazione erotica e omoerotica fu lo stesso Caravaggio, che lo ebbe come amico e collaboratore, in una storia che ha fondato, tra l’altro, il mito omosessuale del Merisi – su cui, per esempio, Giovanni Testori scommetteva senza remore –, ma la faccenda oltre a non essere chiarita va inquadrata in un clima storico, culturale e ambientale come quello romano, dove la “promiscuità” di comportamenti e di costumi mista a sofisticate allegorie venne indagata qualche anno fa in una mostra a Villa Medici intitolata ai “Bassifondi del barocco” dove si sollevarono questioni sociali e morali, ma ben poco quelle che segnano la vicenda e le dicerie su Cecco del Caravaggio. Resta il fatto che, come ricorda Gianni Papi, a metà Seicento, quando ormai si sono perdute le tracce di quel Francesco Boneri, poi soprannominato Cecco del Caravaggio, un viaggiatore inglese, tale Richard Symonds, ne scrive ricordando la fama di amante del Merisi (“That laid with him”, che giaceva con lui, oppure “his owne boy”, il suo ragazzo) in relazione al dipinto Amor vincitore di Caravaggio, che era nella collezione di Vincenzo Giustiniani e oggi si trova alla Gemäldegalerie di Berlino. Furono Herwarth Röttgen e lo stesso Papi a dedurre da queste e altre controprove che il quadro caravaggesco dall’eros più ostentato aveva avuto come modello Cecco. A Berlino l’esibizione del nudo di Amore ragazzino sorridente e ammiccante, aveva scatenato ancora nel 2014 una feroce polemica – che la “Berliner Zeitung” definì “postmodernismo iconoclasta” – fondata sul presupposto che rendendosi ammirabile e accattivante quel quadro trasformava lo spettatore in virtuale pedofilo. Erano anni, quelli, dove la caccia al pedofilo si accaniva sull’immaginario artistico colpendo fotografie come quelle che Balthus aveva scattato a una sua modella poco più che bambina, al punto da far saltare una esposizione che doveva metterne in scena ben duemila.

La mostra dedicata ora a Cecco del Caravaggio, evento temporaneo che tiene a battesimo, nel primo piano, la nuova organizzazione e l’ampliamento dell’Accademia Carrara a Bergamo, è la prima e unica antologica dedicata finora al pittore caravaggesco (fino al 4 giugno): raccoglie una ventina di dipinti, su un catalogo che, come ricorda Papi, ne conta se va bene meno di trenta (manca in mostra la Resurrezione oggi a Chicago, perché considerata troppo fragile, e poco altro). Papi corona con questa mostra trent’anni di ricerche. Ci sono artisti che diventano figure elettive a cui, in un certo senso, uno storico o un critico si votano per tutta la vita inseguendone le tracce fin nei più piccoli meandri. È come se lo storico cercasse il dna che gli consentirà di far risorgere un personaggio vissuto secoli fa, così da poterlo finalmente incontrare. Questa mostra più che scoprire il dna di Cecco del Caravaggio, insegue i “resti umani” che egli ha disperso là dove è stato: la data limite è il 30 giugno 1620, dopo la quale non si hanno più riscontri della sua presenza in qualche luogo, magari in Lombardia o a Bergamo – dove sarebbe nato, mentre fino a che Papi non ne ha documentato le tracce si pensava che fosse di origini nordiche, tant’è che Roberto Longhi lo definì «una delle più notevoli figure del caravaggismo nordico» attribuendogli il quadro su cui poi ha fondato una serie di altre attribuzioni, La cacciata dei mercanti dal tempio. Viceversa, in un primo momento, aveva assegnato uno dei quadri più “scandalosi” di Cecco, Amore al fonte, al fiammingo Louis Finson, e nel 1951 lo portò a Milano nella grande retrospettiva su Caravaggio. Papi sottolinea che questa anagrafe nordica sembrava possibile a Longhi perché non teneva conto della «clamorosa novità delle iconografie, l’aura misteriosa e anticonformista che così prepotentemente lo connota».

Vedremo fra poco che Amore al fonte è veramente un quadro scabroso e controverso. Ma a proposito delle allusioni del viaggiatore inglese a Cecco come “boy” di Caravaggio, alla luce del quadro Amor vincitore, è bene che si tenga a mente che il titolo riprende un verso della X Egloga di Virgilio che recita: “Amor vincit omnia” (Amore vince tutto), che ha una sfumatura ben diversa dal titolo che si è soliti trascrivere, e infatti il verso si conclude “et nos cedamus amori” (arrendiamoci anche noi all’amore). Nella Roma del tempo e con due figure “libertine” come quelle di Caravaggio e Cecco, dire che amore ha la meglio su tutto, da un lato può avere una sfumatura cattolica, e quindi prestarsi all’allegoria; dall’altro, qualcuno potrebbe obiettare che questo sia in contrasto con la sapienza e la forza dell’intelletto, e consenta dunque una fuga dalla morale nelle ragioni affettive. Fuor di metafora, Caravaggio dipinge Cecco come un ragazzino che, con quel sorriso accondiscendente, lo autorizza a farne il proprio amante sfidando l’autorità che riteneva certi comportamenti erotici come reati gravi e vizi perseguibili (il sesso orale, per esempio). La mostra che Papi ha composto, accostando a quelle del pittore alcune opere di altri artisti che, secondo lo studioso, hanno avuto con lui rapporti di ispirazione e di collaborazione o addirittura trovarono in Cecco il loro maestro – il grande caravaggesco francese Valentin de Boulogne –, resta però in gran parte una ricostruzione indiziaria: le opere esposte sono quasi tutte frutto di attribuzioni, ma le conferme nei documenti per ora latitano. Si tratta, insomma, di un catalogo fondato sull’occhio del conoscitore e sulle sue associazioni formali che confermano una sorta di “familiarità” fra dipinti riconducibili a una stessa mano. Non tutte le attribuzioni convincono, ma è così che si muove il conoscitore, e Papi ha lavorato pazientemente negli anni su intuizioni sostenibili alla prova dell’occhio.

Già trent’anni fa, lo studioso aveva colto le sembianze di Cecco in alcuni dipinti di Caravaggio: la Conversione di san Paolo (Odescalchi), il Sacrificio di Isacco (ora agli Uffizi) il David e Golia della Borghese e quello del Kunsthistorisches. Cecco, però, farebbe la sua prima apparizione nel Martirio di san Matteo della Contarelli: sarebbe il chierichetto urlante che fugge verso destra; nondimeno, questo è anche il quadro dove Caravaggio si è dipinto con aria perplessa, quasi fosse colto da un dubbio etico. Ma sono le numerose domande che lo storico si pone, nel saggio nel catalogo Skira, a proposito di Savoldo di cui sono esposte tre opere (Cecco lo vide prima di Caravaggio?); su Bartolomeo Manfredi, che si ritrae mesto accanto all’amico (un’ombra dettata dal ricordo funebre di Cecco?); sul soggiorno del pittore a Napoli (forse già quando vi era fuggito Caravaggio, dopo l’omicidio Tomassoni?); e ancora: su Agostino Tassi, l’influenza che Cecco ebbe su Pedro Núñez del Valle, il possibile riscontro del bergamasco Baschenis sugli strumenti musicali dipinti da Cecco; in generale, Papi s’interroga sull’importanza delle sue nature morte, che rivelano «una pittura così disperatamente votata all’iperrealismo». Un’ansia generata probabilmente dalla condizione omosessuale e dalla promiscuità esistenziale che fondano la fama di Cecco del Caravaggio, procurandogli una malinconia da emarginato: se è vero che i pittori lo chiamavano “Checco” o “Chechia” di Caravaggio, forse con tono dispregiativo, insinuando che fosse la “bardassa” del Merisi (del resto, quando si legge nei documenti di un “Francesco garzone” che abitava con Caravaggio in vicolo San Biagio nel 1605, forse s’intende qualcosa di più di un aiutante).

Sappiamo dai documenti che nella sua cerchia di amici e amiche Caravaggio era una sorta di “maschio alpha”: il Malvasia nel 1678 scrive a proposito di Leonello Spada: «Queste fur le cagioni per le quali poi così volentieri fu accolto e accarezzato dal Caravaggio, ch’ebbe a dire aver pur finalmente trovato un uomo secondo il cuor suo; non so se perché, buttadosegli sotto Leonello, non altro procurò che di compiacerlo in tutto, sino a farsi nudo e servigli di modello… » e via di questo tono. Non potendo essersi verificato l’incontro del Merisi con Spada, Gianni Papi ritiene che gli elementi documentari – fra cui l’affermazione secondo cui portò il suo modello a Napoli – corrispondano meglio alla figura di Cecco, e quindi che quello di Malvasia sia un equivoco. In ogni caso, le parole del Malvasia, dicono come Caravaggio si comportasse da maschio dominante con i suoi “ragazzi”, forse esprimendo anche una inclinazione sadica.

Possiamo pensare che Amore al fonte sia una risposta tardiva a quegli “abusi”. Per quanto Cecco fosse insofferente alle regole, disinibito e causa di inimicizie, secondo Papi egli fu «il più intellettuale fra gli artisti del secondo decennio»; e resta fedele al metodo caravaggesco di rendere tale e quale il modello che ha davanti. Forse è una conclusione un po’ generica, ma indubbiamente Cecco sposta il naturalismo caravaggesco verso un realismo più mentale. Concordo con Anne Marie Lecq che nel 1982 definì Amore al fonte «la pittura forse più impudica che l’epoca e l’ambiente abbiano prodotto»; d’altra parte lo studioso tedesco Julius Kliemann nel 1995 aveva tentato di leggere il quadro fuori dallo schema omoerotico, prevalente nella critica, vedendoci un’allegoria spirituale (del desiderio di Dio) rivolta a un pubblico ristretto di sapienti. Ma questo, secondo Fabrizio Rubini, renderebbe fallimentare il metodo di Caravaggio e Cecco, perché inadeguato a palati ipercolti. Troppo ambigua, sottolinea Rubini, la posa che Amore assume per abbeverarsi alla fonte, vista come immagine scabrosa. Certo i simboli sparsi ovunque sulla scena (Rubini nota che riprende la tradizione dei parergon) e la freccia che interseca il piano pittorico con l’illusione di entrare nello spazio reale, così il cartiglio bianco e senza scritte sopra la testa di Amore, questi simboli rimandano a pensieri non ancora svelati che innervano, da un’opera all’altra, questa mostra coraggiosa e importante.

avvenire.it

A Roma con Caravaggio e i Borgia


La Roma di intrighi e delitti dei Borgia, quella sorniona e amara del Marchese del Grillo, e ancora quella più antica delle catacombe con i primi cristiani.
    E poi la grande arte di Michelangelo e Caravaggio, che la Città Eterna custodisce da secoli. Fino al 30 settembre per conoscere la Capitale basterà fare una chiacchierata con i più grandi protagonisti della sua storia, grazie alle visite guidate teatralizzate organizzate da I Viaggi di Adriano e Kyo Art Productions che tornano anche quest'anno dopo il sold out della scorsa stagione. Il venerdì e il sabato sera, per un totale di ben 72 appuntamenti a tema (con guide e attori professionisti) inseriti nel programma dell'Estate Romana, il pubblico potrà scoprire tante curiosità imparando la storia di Roma. Si potrà andare a passeggio con il Conte Tacchia, Mastro Titta (novità di quest'anno), Trilussa, Claretta Petacci, legionari e martiri, mentre le strade e i monumenti della città fanno da scenografia, in una forma di intrattenimento artistico di sicuro divertimento, capace di annullare la distanza tra spettatore e artista. (ANSA).


Caravaggio torna alla 'sua' Milano. Esposti 25 capolavori a Palazzo Reale fino al 28 gennaio

PALAZZO REALE (MILANO) - Apre il 29 settembre, giorno del compleanno dell'artista, una delle mostre più attese dell'anno: 'Dentro Caravaggio' che espone al Palazzo Reale di Milano una ventina di opere provenienti da alcuni dei musei più prestigiosi del mondo (dagli Uffizi al Met, passando dalla National Gallery al museo di Capodimonte). Un numero enorme che spiega perché, ancora prima dell'apertura della mostra, che sarà visibile fino al 28 gennaio, siano già arrivate oltre 60 mila prenotazioni a Palazzo Reale e il Comune di Milano abbia deciso di allungare gli orari di visita fino alle 22 e 30 quattro giorni la settimana.
La scelta del titolo è dovuta al fatto che qui si espongono i risultati dell'indagine diagnostica iniziata sulle 22 tele di Caravaggio conservate a Roma nel 2009 e poi continuata su altri 13 lavori grazie alla collaborazione del gruppo Bracco, che è stato insieme sponsor tecnico ed economico. Chi visita la mostra (costata 3,5 milioni di euro) può così entrare nei capolavori assoluti di Caravaggio, prima ammirandoli dal vivo e poi andando dietro ciascuna tela per vedere un video che mostra le scoperte delle analisi. Si nota così che nella Flagellazione di Cristo, Caravaggio aveva dipinto un frate all'altezza della spalla del flagellatore che poi ha cancellato. E si scopre che per 'velocizzare' il lavoro negli anni ha smesso di preparare le tele con un fondo bianco, preferendone uno scuro su cui poi dipingeva le parti in luce. Le novità riguardano anche la biografia di Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio.
Solo nel 2009 si è scoperto il suo certificato di battesimo, con la conferma della sua nascita a Milano, e resta da capire cosa abbia fatto dal 1592, quando lasciò la città, al 1596, quando arrivò a Roma. Anche per questo secondo l'assessore alla Cultura, Filippo Del Corno "sarebbe importante fondare a Milano un centro di ricerca sul Caravaggio" multimediale. "La mostra è un momento di sistemazione di quanto si sa sul Merisi - ha spiegato il direttore di Palazzo Reale Domenico Piraina - che spero dia avvio a nuove ricerche". Intanto darà il la a una nuova mostra già nei prossimi mesi. L'ultima opera di Caravaggio, Il martirio di Sant'Orsola - concesso da Intesa Sanpaolo che è main sponsor dell'evento di Palazzo Reale - dal 30 novembre si 'sposterà' infatti alle Gallerie d'Italia in piazza Scala per l'esposizione 'L'ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri'. Un esempio dell'impegno per la cultura dell'istituto bancario che, ha spiegato il presidente emerito Giovanni Bazoli, per quanto riguarda le acquisizioni spera di poter fare il prossimo anno "un annuncio importante non solo a livello nazionale". Anche il catalogo, come la mostra curata da Rossella Vodret con il Comune di Milano, Palazzo Reale e MondoMostre Skira - è multimediale: al catalogo cartaceo con tutte le opere è allegato un e-book con i video di tutte le scoperte fatte con le analisi diagnostiche.

Caravaggio e la natura morta

GALLERIA BORGHESE (ROMA) - C'è anche un capolavoro assoluto come la 'Canestra di frutta', raro da vedere in mostra e prestito eccezionale della Pinacoteca Ambrosiana, nell'importante esposizione che da domani al 19 febbraio racconta alla Galleria Borghese la rivoluzione di Caravaggio e la nascita della Natura morta, genere diventato tra i più amati in pittura, e germinazione dell'arte moderna. Allestite circa 40 opere, tra cui il 'Bacchino malato' e il 'Ragazzo con canestra di frutta', alcuni dei più famosi dipinti del Merisi conservati alla Borghese, nonché le tele del Maestro di Hartford, attribuite negli anni '70 da Federico Zeri a un giovane Caravaggio, e la celeberrima 'Fiasca spagliata con fiori' del Maestro della fiasca di Forlì, di suprema fattura, però ancora senza attribuzione certa, affiancata da un'inedita seconda versione.
Con il titolo 'L'origine della Natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford', la mostra (interamente realizzata dal museo romano) costituisce la prima occasione per ammirare una serie di opere non solo bellissime, ma fondamentali per la comprensione filologicamente corretta del processo concettuale che ha portato Michelangelo Merisi, appena giunto a Roma, a compiere fino in fondo una profonda trasformazione dell'arte del tempo partendo dal naturalismo lombardo. E' proprio da lì che prende il via il percorso espositivo: dalla 'Fruttivendola' di Vincenzo Campi (dalla Pinacoteca di Brera), dove ancora la figura umana è preponderante, da 'L'ortolano' di Giuseppe Arcimboldo, che è in realtà un tegame con le verdure rovesciato, e la prima Natura morta realizzata in Italia, vale a dire 'Piatto metallico con pesche e foglie di vite', dipinto in modo sublime tra il 1590 e il 1594 da Giovanni Antonio Figino, tanto da ispirare alcuni madrigali nel segno delle Vanitas.
Ed ecco il 'Bacchino malato' e il 'Ragazzo con canestra di frutta', due dei Caravaggio della Borghese in cui i brani di Natura morta inseriti dal pittore nella scena fecero scalpore nella città eterna alla fine del '500. Si dice infatti che, una volta giunto a Roma, il Merisi trovasse posto nella bottega del Cavalier d'Arpino che l'avrebbe destinato a fare fiori e frutta.
Per questo, quando Federico Zeri tornò a studiare la raccolta di Scipione Borghese e a fianco dei due ritratti di giovane del Caravaggio, trovò le quattro grandi Nature morte del cosiddetto Maestro di Hartford, ipotizzò (non senza tumultuose polemiche) che anche queste ultime potessero essere tra le prime opere romane del genio lombardo. Grazie alla curatela di Davide Dotti e della direttrice del museo Anna Coliva, per la prima volta è possibile vedere le opere perfettamente affiancate, in un allestimento che rende lampante l'estrema diversità delle due mani: "più secca e legnosa" quella dell'artista ancora sconosciuto, piena della poesia del naturalismo quella di Caravaggio.
Ad ogni modo, aggiunge Dotti, il Maestro di Hartford è il primo a dedicarsi interamente a questo genere, mentre il Merisi lo usa per fare la sua personalissima rivoluzione della pittura.
Come è evidente nella 'Canestra di frutta' dell'Ambrosiana, che troneggia a metà percorso. "Ha una monumentalità straordinaria, come se fosse una Madonna, ha l'identica dignità di una figura", sottolinea la Coliva, spiegando che qui la Natura morta "non è un incidente, un topos, né un banco di prova del talento del pittore", bensì diventa "volontà d'arte". Non a caso, lo stesso Caravaggio dice che per lui dipingere una figura o un frutto è la stessa cosa, "il valore di ciò che fa è trasferito dal soggetto in questione alla pittura stessa". L'arte, dunque, prosegue Anna Coliva, già per Michelangelo Merisi, "non riproduce semplicemente la realtà, ma è una sorta di mondo parallelo", proprio come nelle concezioni delle prime Avanguardie storiche all'inizio del '900.
La mostra prosegue indugiando sui numerosi maestri che nel '600, in seguito alla lezione di Caravaggio, hanno dedicato parte della loro produzione al cosiddetto 'Still Life'. Opere di grande importanza tra cui spicca la 'Fiasca spagliata con fiori' del Maestro della fiasca di Forlì, attribuita anche al Cagnacci per la sua bellezza. Per l'occasione la tavola è stata sottoposta a indagini diagnostiche e si è visto che sotto lo strato di pittura c'era un ritratto preesistente. Forse il proprietario si era stancato di quel soggetto e ne ha voluto uno nuovo. Infine, il capolavoro dei Musei civici di Forlì è stato allestito accanto a una sua seconda versione, esposta qui per la prima volta, che conferma l'estrema maestria dell'autore.
"Probabilmente - ha concluso la Coliva - si tratta di un importante pittore di figura che ha fatto solo qualche incursione nella Natura morta". 
ansa

La mostra / A Londra l'irresistibile fascino di Caravaggio

Alla National Gallery la mostra "Beyond Caravaggio" mette in luce l'influenza esercitata da Michelangelo Merisi sui pittori del suo tempo, in Italia e all'estero