L’iniziativa è davvero originale: un concerto rock di (babbi)
musicisti professionisti per bambini. Dopo l’Hard Rock Firenze, il Notte
d'Oro di Ravenna, il “Baby Woodstock” a Legnaia, il Teatro Viper di
Firenze (patrocinato da Comune), il progetto Daddy Band sta avendo
sempre più successo. L’operazione culturale per raccontare il rock ai
più piccoli, con storie, aneddoti, cori e giochi dal palco, è un vero e
proprio spettacolo. “I genitori sono entusiasti di far conoscere ai
figli le canzoni della propria generazione e i bambini rispondono al
rock con anima e corpo”, spiega Laura Vaioli, Presidente
dell’Associazione Culturale MinaRock che ha ideato la Daddy Band.
Ed ecco che le gag si alternano alle canzoni, con brevi lezioni
sull'uso dei principali strumenti musicali, gesti da fare e ritmi da
imparare, fino alla lettura dei testi per sapere cosa dicono le canzoni
più famose della storia del rock. La band è guidata da Riccardo
Dellocchio ed è composta da Marco Morandi, Luca Bassani e Francesco
Bassi (batteria, chitarra, basso e voce), con Ilaria Boero special guest
in ogni show per cantare le canzoni di Minia, brani originali composti
da Marco Morandi.
I bambini, che vanno dai tre ai dieci anni, paiono entusiasti per la
gioia dei genitori che possono riascoltare i mitici Deep Purple, i Kiss,
i Queen, gli AC-DC e molti altri in un concerto di un’ora e un quarto.
“Ogni cover del rock viene raccontata come se fosse una storia, con dei
personaggi e delle avventure che insegnano i valori del rispetto, la
solidarietà, la difesa delle minoranze e delle differenze – continua
Vaioli. Abbiamo attualmente un repertorio di 15 brani, tutte cover
leggendarie della storia del rock alle quali abbiamo abbinato in chiave
divertente i seguenti valori: SMOKE ON THE WATER – cooperazione: tutti
insieme per spegnere un grande incendio; I WAS MADE FOR LOVING YOU -
simbolo del rock come messaggio di pace e amore; PEOPLE HAVE THE POWER –
solidarietà e rispetto del prossimo; JUMP – non aver paura della
propria unicità e saper portare innovazione; SUMMER OF 69 – poesia
dei ricordi; IT'S A LONG WAY TO THE TOP – impegno per raggiungere la
meta personale; SURFIN' BIRDS – libertà di espressione; START ME UP –
gioco tra genitori e bambini; HIGHWAY TO HELL – giocare è divertente ma
bisogna stare attenti; CAN'T STOP THIS THING WE STARTED - ogni giornata è
ricca di cose divertenti da scoprire; WE ARE THE CHAMPIONS – si vince
tutti insieme; WE WILL ROCK YOU – trasformare la rabbia in qualcosa di
creativo come la musica; MY SHARONA - esprimere i propri sentimenti
senza paura”. Le prossime date sono il 6 aprile a Sesto Fiorentino per
la “Festa di primavera” e il 13 aprile al Teatro Viper di Firenze, tutto
sempre rigorosamente gratuito. Per i curiosi, il video di presentazione
è su www.daddyband.net e le canzoni dei 2 CD sono ascoltabili su
SPOTIFY (In uscita 4 audiolibri “Fiabe Rock” editi da Lisciani Giochi,
interamente realizzati da DaddyBand).
Voglia di un sonnellino mentre
si è a spasso? Arriva un sito web anche per questo: si chiama Google
Naps ed è la parodia del celebre servizio mappe di Google, Maps appunto.
Una particolare versione web lanciata da due creativi olandesi:
attivando la geolocalizzazione, Google Naps segnala su mappa i posti
migliori per una 'pennica', per lo più parchi e panchine, in tutto il
mondo. A inventarla due ragazzi dell'agenzia creativa olandese Kakhiel,
che si firmano Venour e Biko. L'intento di parodia nei confronti di
Google Maps è palese e apertamente dichiarato, tanto che - onde evitare
eventuali ritorsioni legali da parte del colosso di Mountain View - i
creativi hanno lasciato sul sito un messaggio indirizzato ai fondatori
di Google e agli altri dipendenti specificando che si tratta di uno
scherzo.
''Non vogliamo danneggiare il vostro brand o altro, ma solo far
sorridere tutti i fan di Google - scrivono -. Quindi per favore non
citateci in giudizio, abbiamo solo pochi euro in banca. E non vogliamo
nemmeno andare in galera perché siamo troppo impegnati con altro al
momento''. I luoghi ''da pennica'' indicati da Google Naps vengono di
volta in volta aggiunti dagli utenti. Per lo più al momento si tratta di
panchine o spazi pubblici come parchi.
Per la prima volta i due segmenti emergenti
dell’export tentano una strada comune. Stamane, infatti, in anteprima
nazionale le cifre del Rapporto sul Turismo Natura. I due segmenti
emergenti del made in Italy, ovvero il vino ed il turismo di qualità,
stringeranno per la prima volta un’alleanza e lo faranno in Abruzzo. Per
l’edizione numero 24 di Ecotur, la ormai storica borsa internazionale
del turismo natura che oggi partirà a Lanciano nell'auditorium
Diocleziano, accanto ai 60 tour operator provenienti dai principali
mercati europei ci sarà infatti un «b2b» dedicato ad uno dei principali
ambasciatori del turismo «nuovo», il vino appunto, con la presenza di
buyer appositamente arrivati in Abruzzo da Stati Uniti, Giappone e
Germania. «Da alcuni anni ormai stiamo sperimentando con successo
l’allargamento degli orizzonti del turismo natura, stringendo sinergie
ed alleanza con i prodotti ed i servizi delle destinazioni: dai borghi
alla qualità ambientale – sottolinea Enzo Giammarino, presidente di
Ecotur e direttore regionale di Confesercenti – e in questa
sperimentazione abbiamo trovato un mercato estremamente attento al
settore food, con particolare interesse per il vino.
Da qui è nata l’idea di un grande workshop
specializzato in queste due macrovoci della nostra economia destinate
sempre di più ad integrarsi». Nello scenario dell’auditorium
Diocleaziono di Lanciano oggi arriveranno gli operatori della domanda
internazionale provenienti da Austria, Germania, Gran Bretagna, Italia,
Norvegia, Olanda, Polonia, Russia, Spagna e Ungheria, concentrati sui
prodotti principali del turismo natura, e che contratteranno le
opportunità dei nuovi cataloghi con le strutture ricettive del centro e
del sud Italia.
Domani, invece, le etichette di Abruzzo,
Basilicata, Calabria, Campania e Marche incontreranno un contingente di
importatori di qualità provenienti da Stati Uniti, Giappone e Germania.
«I numeri dell’undicesimo Rapporto Ecotur sul turismo natura, scritto
assieme a Istat, Enit e Università dell’Aquila e che presenteremo lunedì
mattina, ci dimostreranno quanto tra i punti di forza del turismo in
Italia ci sia sempre di più la qualità del vino e dei prodotti del
territorio – prosegue Giammarino – e siamo orgogliosi che sia proprio il
nostro Abruzzo, grazie ad Ecotur, a sperimentare questa strada
innovativa incontrando da subito il consenso di operatori internazionali
e di seller provenienti dalle principali regioni del centro e del sud
Italia». Anche la scelta della location, che quest’anno si sposta nel
centro storico di Lanciano, testimonia l’evoluzione del turismo natura:
«I centri storici sono destinati ad essere sempre di più porte dei
parchi e hub di servizi per il turismo natura – conclude il presidente
di Ecotur – e questo turismo nuovo sarà sempre di più destinato a far
rivivere le nostre città, a differenza di alcune tendenze del turismo
tradizionale che puntano invece a creare delle separazioni nette fra
villaggi vacanze e territorio. Noi invece crediamo in questa sfida».
La stagione della rinascita è alle porte e Merano si prepara a
un’accoglienza incentrata sul benessere psicofisico, offrendo
un’esperienza tra le più desiderate dagli italiani. Guardando dall’alto
l’area di Merano e dei suoi dintorni, si ha l’impressione di osservare
una stella, nel cui centro risiede la città e i cui raggi sono
rappresentati dalla Val Venosta, dalla Val Passiria e dalla Val d’Adige.
Lungo queste valli si sviluppano meravigliosi borghi e comuni che negli
anni hanno fatto del turismo la propria risorsa naturale, approfittando
delle particolarità della zona: qui, infatti, la vita di città incontra
quella rurale di paese, la flora mediterranea si riunisce con quella
alpina e gli stili architettonici si mescolano. L’importanza
dell’alimentazione per mantenersi sani, dell’attività fisica, degli
equilibri emozionali sono i fili conduttori della proposta della
località del Südtirol, dove aria pura, prodotti naturali, aree verdi e
sport rappresentano non solo elementi dell’offerta turistica ma sono un
vero e proprio stile di vita per chi vi risiede. Non a caso, è
intitolato “Merano Vitae” il festival della salute con il quale si dà
inizio alla nuova stagione: il risveglio della natura dal lungo inverno
coincide con la necessità, in ognuno, di trovare nuove energie per il
proprio benessere.
Durante il periodo primaverile, Merano propone esperienze dedicate alla
salute psicofisica con cadenza settimanale: tra queste, l’escursione
notturna alle cascate di Parcines, per godere dello spettacolo e
dell’energia dell’acqua in caduta libera muniti di torce e lampade
frontali. Nei dintorni di Lana, è possibile fare delle visite guidate ai
meleti per sapere tutto, dalla fioritura al raccolto, sulla produzione
del frutto simbolo della salute e per degustarne le diverse varietà. A
Lagundo gli appassionati di giardinaggio possono sbizzarrirsi con il
Mercato delle piante e dei fiori, scegliendo tra un vasto assortimento
di ortaggi ed erbe aromatiche. Per gli amanti dell’asparago, il momento
in cui dare sfogo alla propria passione è proprio la primavera: Nalles
propone piatti gustosi e fantasie culinarie a base del salutare
ingrediente. Non mancano gli appuntamenti con lo yoga, quest’anno
dedicato alle “vie del suono”: sono in programma seminari, incontri,
conferenze e lezioni gratuite con maestri internazionali ed esperti di
diverse discipline, accompagnati da musiche e canti. E poi c’è lo sport
nella natura: passeggiate, gite in bicicletta, l’escursione notturna al
“Knottnkino”, uno spettacolare sperone di roccia rossa, e la scoperta
della vie d’acqua protagoniste del sistema di irrigazione agricolo
locale. Da non perdere il Mercatino delle erb(acc)e a Scena, in cui
vengono esposte le erbe officinali e le malerbe, con vendita di sementi
anche di piante molto rare. La primavera culturale di Tirolo offre,
infine, una serie di concerti con gruppi che, rivisitando la musica
tradizionale e popolare, propongono interessanti miscele di strumenti e
note. Si esibiscono anche bande locali di strumenti a fiato, nella
cornice dei vecchi castelli e delle tradizionali osterie, dove si
possono assaporare i vini e le specialità del posto. Salute, benessere,
natura si traducono in un’unica esperienza che fa centro tra le nuove
abitudini.
http://www.online-news.it
Basta scegliere l'animale da uccidere. Pagare. E il macabro gioco è servito. E' l'ultimo crudele passatempo per gente senza scrupoli, senza cervello e senza cuore. Si chiama «Caccia in scatola». Persone, a volte intere famiglie con figli al seguito, pagano per partecipare a safari che si concludono con l'uccisione di uno o più animali, in base alle disponibilità economiche. Dietro l'organizzazione di queste battute di caccia ci sono privati che mettono a disposizione terreni e allevamenti. Un'attività che si sta rivelando molto redditizia. La pratica infatti è diffusa in molte zone dell'Africa.
Chi organizza gli spietati tour nella savana, si occupa dell'intero soggiorno del cliente. Mette a disposizione camere, cambio della biancheria, armi, guide, permessi, assistenza medica e mezzi di trasporto, come in un normale resort. Con tanto di tariffario.
E' possibile sparare praticamente a ogni specie animale del posto: leoni, scimmie, giraffe, coccodrilli, ippopotami. Ognuno di questi esemplari ha un prezzo. Si va dai 65 dollari per uccidere un babbuino o uno sciacallo, ai 900 per una zebra. Più cresce la taglia, più aumenta la richiesta economica: 2mila dollari per una giraffa, 6mila dollari per un coccodrillo, 8mila un ippopotamo, fino ai 15mila per un bufalo.
Il particolare davvero allucinante è che le prede vengono allevate proprio per finire nel mirino.
Nati e cresciuti in gabbie o recinti, sembra che gli animali siano persino narcotizzati per facilitare il lavoro dei cacciatori che poi possono scattare una foto-ricordo con il loro trofeo. In questa vicenda quindi non si nasconde nessuno, né gli allevatori né la clientela. L'associazione animalista "Animal Shame" raccoglie le immagini e le pubblica sulla sua pagina Facebook. Così gli attivisti intendono rendere pubblico e denunciare il dilagare della pericolosa tendenza.
Il fenomeno sta prendendo piede anche in altre zone del mondo. Le vittime sono sempre e ancora loro: gli animali che non hanno nessuna via di fuga. Anzi, crescono con l’inganno di potersi fidare degli esseri umani che li nutrono sin da piccoli per trasformarli in facili bersagli per clienti annoiati che arrivano da tutto il mondo. Nel 1997 erano 300 i leoni prigionieri della «canned hunting» - la caccia in scatola - ora rivela Animal Amnesty sono circa 6000.
Altro che evoluzione della specie. Quella umana sembra condannata ad un repentino ritorno al Paleolitico.
Ischia. Non sembra conoscere fine la lunga storia d'amore che lega l’isola e Angela Merkel. Per il terzo anno consecutivo, infatti, la cancelliera tedesca ha scelto Ischia come meta per le tradizionali vacanze primaverili. La signora Merkel è attesa nei giorni che precedono la Pasqua: come da consuetudine, la data esatta del suo arrivo risulta ancora top secret, ma dovrebbe oscillare tra lunedì 14 e giovedì 17 aprile. Sembra invece certa la presenza sull'isola del marito Joachium Sauer, chimico e professore all'Università Humboldt di Berlino, che da anni accompagna la presidente dell'Unione cristiano-democratica nelle sue vacanze italiane.
I coniugi, come da tradizione, alloggeranno all'hotel Miramare di Sant'Angelo, albergo a picco sul mare che dal 1933 ha ospitato personaggi del calibro di Dwight Eisenhower, Gabriele D'Annunzio e tanti altri. Qui la coppia avrà la possibilità di ritemprarsi con le cure termali del giardino l'Aphrodite, con massaggi rilassanti e lunghe passeggiate ed escursioni. Il tutto con uno sguardo alla suggestiva baia dei Maronti, che fa da cornice all'incredibile tranquillità che caratterizza ancora oggi Sant'Angelo, borgo ischitano da anni riconosciuto a livello internazionale come meta preferita della Merkel. In qualche bar dell’isola sono già comparsi i manifestini di benvenuto.
Il rapporto tra la cancelliera tedesca e l'isola più grande del golfo di Napoli non nasce certo ieri. Per decenni, ancor prima che si imponesse tra gli esponenti di punta della politica mondiale, la scelta è sovente ricaduta su Ischia, a testimonianza dell'amore di una generazione di tedeschi per la tranquillità, la gente e il mare che caratterizzano la località nota per il Castello Aragonese e il Fungo. A guastare un amore che sembrava indissolubile ci hanno pensato i successi in politica a partire dal 2005 e le conseguenti attenzioni sempre più pressanti della stampa internazionale. Il legame con l'isola verde sembrava essersi incrinato nel 2007, conseguenza delle non poche polemiche scatenate dal servizio di un tabloid inglese, che pubblicò un'immagine della premier tedesca intenta – proprio a largo di Sant'Angelo - a cambiarsi il costume.
Ma i grandi amori non finiscono mai e, dopo l'assenza dell'anno seguente, la Merkel tornò nel 2009, poi nel 2012 e l'anno scorso, testimonianza di quanto apprezzi il calore e la riservatezza con cui da sempre è stata accolta dagli Ischitani. A dimostrarlo il singolare episodio dell'aprile scorso, con la cancelliera tedesca che fece visita al maitre ischitano Cristoforo Iacono, con cui nei tanti soggiorni ischitani aveva stretto un rapporto cordiale. Il dipendente dell'albergo era stato licenziato alcuni mesi prima, la Merkel non lo trovò nella struttura e decise così di andarlo a trovare a casa per fargli sapere la sua vicinanza. Episodi del genere dimostrano la profondità del rapporto che intercorre tra la leader tedesca e Ischia: un legame lungo decenni che anche quest'anno consentirà all'isola di fare il giro del mondo e magari di conquistare, gratis, nuovi vacanzieri.
Legambiente Castelnuovo di Porto insieme a Legambiente Lazio e in collaborazione con Atac ha realizzato oggi la prima edizione del Trenino Verde Veio-Tuscia, un viaggio da Roma Flaminio a Viterbo con il patrocinio della Regione Lazio e dell’Ente Regionale Parco di Veio.
Un’esperienza straordinaria pensata allo scopo di incentivare l’uso del treno per conoscere e valorizzare le realtà paesaggistiche e rurali in una giornata di turismo sostenibile ma anche di richiesta di miglioramento della tratta durante il servizio per i pendolari.
“C’è bisogno di promuovere e incentivare iniziative di riscoperta della bellezza del territorio anche attraverso la ferrovia e con modalità di turismo sostenibile, iniziando in tal modo la riqualificazione della tratta che da Roma Flaminio porta a Viterbo – dichiara Roberto Scacchi, direttore di Legambiente Lazio -, una linea con un servizio per i pendolari non certo di alto livello, ma con potenzialità straordinarie dovute anche allo splendido paesaggio che attraversa. Oggi abbiamo voluto realizzare questo viaggio insieme alla Regione Lazio e all’Atac proprio perché crediamo che anche dalla bellezza del territorio e in momenti come questo i cittadini, le istituzioni, i gestori possano e debbano insieme attivare la spinta necessaria per un netto miglioramento delle condizioni di viaggio.”
Durante il percorso gli oltre cento presenti hanno seguito le spiegazioni delle guide storiche sull’importanza dei luoghi attraversati, inoltre si sono alternati interventi di pro-loco, associazioni e cittadini dei comuni limitrofi al tragitto che, partendo da Piazzale Flaminio o salendo man mano, hanno portato avanti una promozione turistica e culturale con brevi letture e intermezzi musicali. I partecipanti all’arrivo a Viterbo hanno poi potuto seguire la visita guidata del centro storico a cura del circolo Legambiente Viterbo.
“Abbiamo voluto mostrare che il treno Roma-Civita Castellana-Viterbo non è solo ritardo, disservizio, incuria e incidenti, ma anche bellezza del territorio – commenta Mita Pippa, presidente del circolo Legambiente Castelnuovo di Porto – pensiamo infatti che il rilancio della linea passi dalla riscoperta della bellezza che attraversa e dal considerare il treno un bene comune da rispettare. Le amministrazioni lungo la tratta facciano poi tutto quanto è possibile per mettere in sicurezza una ferrovia intorno la quale si è cementificato troppo e male, con pessime condizioni nelle aree parcheggio intorno alle fermate e drammatiche situazioni nei passaggi a livello che vanno assolutamente risolte perché abbiamo visto troppi drammi consumarsi a causa di standard di sicurezza inesistenti.”
Allo splendido viaggio del Trenino Verde, oltre ai 300 viaggiatori di Legambiente, hanno partecipato la consigliera regionale Cristiana Avenali, gli esponenti dell’amministrazione di Fabrica di Roma, dell’Ente Regionale Parco di Veio e di Atac.
L’abbazia di santa Giustina a Padova, la corte benedettina di Correzzola e l’abbazia di Praglia, a Teolo, sono le tre principali tappe della Via delle Chiese, itinerario alla scoperta del territorio padovano attraverso i luoghi di culto più belli e antichi. E’ un percorso turistico-religioso promosso dalla provincia di Padova grazie al finanziamento europeo del progetto Thetris che tutela i monumenti sacri, valorizzando il turismo religioso che nel nostro Paese lo scorso anno ha raggiunto 5,6 milioni di presenze.
Questo dato, secondo un’indagine dell’Istituto nazionale di ricerche turistiche, è in continua crescita. Lo ribadisce anche Barbara Degani, presidente della provincia di Padova, convinta che il progetto attragga turisti e pellegrini di tutta Europa alla scoperta del patrimonio architettonico della provincia di Padova, ricco di chiese, monasteri, eremi, abbazie, conventi e santuari: “Buona parte della crescita futura del nostro territorio – dice Degani - si giocherà sul turismo e quello religioso rappresenta senza dubbio un segmento strategico.
Parliamo infatti di una città conosciuta nel mondo per il Santo dove sorge anche un’altra bellissima chiesa, santa Giustina, che pochi sanno che custodisce le spoglie di san Luca evangelista. E parliamo di un’area che da nord a sud racchiude alcune delle abbazie e corti più belle d’Italia”. L’itinerario religioso - che completa la già ricca offerta culturale, artistica e paesaggistica del padovano - parte dall’abbazia di santa Maria Assunta di Praglia, immersa nel verde dei colli euganei di Teolo, a una decina di chilometri da Abano Terme. E’ un complesso benedettino fondato nel XI secolo e ricostruito nel XV in stile rinascimentale, famoso per la biblioteca e il laboratorio di restauro dei libri antichi e dei codici miniati. La sua struttura, celebrata anche da Fogazzaro nel suo Piccolo Mondo Antico, si articola in quattro chiostri quadrangolari ai quali si affiancano il refettorio monumentale, quello ordinario, la basilica e la prestigiosa biblioteca antica, dichiarata monumento nazionale italiano, costruita in seguito alla riedificazione del monastero.
La biblioteca ha un patrimonio librario di circa centomila volumi con moltissime opere rare, restaurate nel laboratorio dell’abbazia dagli stessi monaci che qui vivono secondo l’antica regola dei Benedettini, ora et labora. Da qui una breve deviazione conduce alla vicina località di Torreglia, dove sorge l’eremo del Monte Rua, oasi camaldolese e luogo di meditazione e preghiera risalente al XIV secolo, soggetto a una rigida clausura: i visitatori, infatti, possono accedere solo alla piccola chiesa. Dal parco regionale dei Colli Euganei, tra vigneti, casolari e stazioni termali, ci si sposta verso est in direzione Padova, la città della basilica di Sant’Antonio, luogo di pellegrinaggio di milioni di fedeli e pellegrini da tutto il mondo, e di santa Giustina, complesso benedettino che si affaccia come la più celebre basilica sulla grandiosa piazza settecentesca di Prato della Valle. L’imponente chiesa di santa Giustina, riconoscibile per le tante cupole, è costituita da tre chiostri e una basilica al cui interno sono ospitate opere d’arte di grande pregio tra cui la pala di Paolo Veronese raffigurante il martirio di santa Giustina.
La città veneta regala numerose altre testimonianze religiose, come il santuario di san Leopoldo Mandic, custode delle spoglie e della cella del santo cappuccino di origine dalmata, e il santuario dell’Arcella, dove morì sant’Antonio. Prima di lasciare la città per tornare sul percorso religioso, merita senz’altro una visita la centrale e ampia piazza del Duomo che ospita la cattedrale, capolavoro del Trecento, e l’adiacente battistero con i preziosi affreschi di Giusto de’ Menabuoi. Lasciata Padova, e percorrendo la strada che porta a sud, verso Mantova, si giunge alla città fortificata di Monselice, abbarbicata su un colle e circondata da mura volute dagli Estensi. Il suo centro storico è ricco di palazzi gentilizi, piccole case medievali e cappelle ed è dominata da un antico castello; da qui parte la Via delle sette Chiese, un suggestivo itinerario votivo che permette di visitare sei cappelle che la famiglia Duodo fece costruire tra il 1605 e il 1615 per accedere alla propria villa. Ognuna è intitolata a una basilica romana e, grazie alla concessione di papa Paolo V, i pellegrini che percorrono questo tratto di strada ottengono l’indulgenza plenaria. Viaggiando lungo la strada che da Padova arriva a Chioggia, si raggiunge Correzzola dove si trova la Corte benedettina, simbolo della cultura monastica e del sistema agrario benedettino, immerso nei boschi e vicino all’ansa di un grande fiume navigabile. Il fondo dove sorge la Corte venne acquistato dai monaci di santa Giustina di Padova nel 1129, che cedettero piccoli appezzamenti a famiglie di coloni per incrementare le attività agricole. La Corte divenne il centro direzionale benedettino: l’ala più a ovest era adibita a foresteria e residenza dei monaci, mentre il lato sud ospitava granai e fienili; all’interno c’erano pozzi, depositi e un locale per la tessitura mentre tra orti e giardini sorgeva una grande e attiva scuderia.
Nei secoli il complesso monastico subì trasformazioni e ampliamenti, ma anche lunghi periodi di incuria e di degrado; fu soltanto verso la metà del XVIII secolo che si riprese a bonificare il territorio e a migliorare gli edifici, la cui proprietà passava di famiglia in famiglia. Dopo la prima guerra mondiale i possedimenti finirono nelle mani dei cittadini del comune di Correzzola, che oggi ha recuperato le attività agricole del monastero e che organizza visite guidate all’interno della bellissima Corte benedettina. Per maggiori informazioni: www.provincia.pd.it
Gli appassionati della neve
aumentano, ma diminuiscono quelli che si fermano per più giorni, a causa
dell'aumento della spesa media pro-capite. Leggero aumento per il giro
d'affari complessivo
di Redazione Il Fatto Quotidiano
La settimana bianca è sempre più un lusso. I vacanzieri nelle località di montagna, secondo i dati di Federalberghi
relativi al periodo gennaio-marzo, sono diminuiti del 4,3%, mentre gli
sciatori sono aumentati del 6,4 per cento. Gli appassionati della neve
prediligono quindi per il 68% i week end e solo il 32% sceglie ancora la
formula della settimana bianca.
A favorire la tendenza sono stati
i costi, aumentati per le vacanze di più giorni e invariati per i
weekend. Per quanto riguarda le settimane bianche è infatti in leggera
crescita la spesa media pro-capite ottenuta
considerando tutte le voci di spesa (viaggio, vitto, alloggio, impianti e
corsi di sci, divertimenti): 636 euro, rispetto ai 628 euro registrati
nel 2013 (+1,3% in lieve crescita rispetto all’inflazione). Invariata,
rispetto alla rilevazione dello scorso anno, la spesa media pro-capite
per chi ha fatto weekend sulla neve (anche di chi ha fatto la settimana
bianca) ottenuta considerando tutte le voci (viaggio, vitto, alloggio,
impianti e corsi di sci, divertimenti): pari a 375 euro.
Il giro d’affari complessivo del “turismo bianco” nel 2014, considerando tutte le voci di spesa, è stato pari a 4,96 miliardi di euro (rispetto
ai 4,66 miliardi di del 2013). Il giro d’affari delle settimane bianche
è stato di 2,31 miliardi di euro, rispetto ai 2,37 miliardi di euro del
2013, mentre quello generato dai week end sulla neve è stato di 2,64
miliardi di euro (rispetto ai 2,29 miliardi di euro del 2014).
Nel
1950 i viaggiatori stranieri che avevano scelto il nostro Paese erano
il 19%, oggi sono appena il 4,4. E l’Italia è scivolata al quinto posto
tra le mete mondiali
di Gian Antonio Stella
Il Colosseo (Omniroma)
Uno
su cinque veniva da noi, dei turisti internazionali, nel 1950: adesso
uno su ventitrè. È cambiato il pianeta, d’accordo, ma una frana così non
l’ha subita nessuno. Andiamo giù nonostante il boom mondiale. Andiamo
giù nonostante il turismo sia «l’industria del futuro». Nonostante
l’Italia, coi suoi tesori e la sua cucina e i suoi paesaggi, resti in
cima ai sogni di tutti. E non serve a nulla, se si usano male, avere il
record di siti Unesco: lo dicono i tracolli di visitatori alla Reggia di
Caserta o a Villa Adriana. Sarebbe ora che il turismo diventasse sul
serio, per la politica, uno dei temi per uscire da questi anni bui.
Serve un’occasione per parlarne? Eccola: l’uscita dei dati per il 2013
del ministero dei Beni Culturali e di un rapporto scomodo
dell’associazione «italiadecide» presieduta da Luciano Violante che sarà
presentato lunedì a Montecitorio, davanti a Giorgio Napolitano. Titolo
ambizioso: «Turismo: dopo trent’anni, tornare primi».
Ed eravamo davvero i primi, una volta. La tabella che pubblichiamo, costruita dal Touring club italiano su dati dell’Unwto,
l’organizzazione mondiale per il turismo, dice che la nostra quota
planetaria in quella che Jeremy Rifkin ha definito «l’espressione più
potente e visibile della nuova economia dell’esperienza» destinata a
diventare «rapidamente una delle più importanti industrie del mondo»,
era nel Dopoguerra davanti a tutti. Su poco più di 25 milioni di
viaggiatori internazionali, poco meno di cinque venivano allora in
vacanza da noi.
Da allora, la nostra quota si è ridotta di decennio
in decennio dal 19% del 1950 al 15,9% del 1960 e poi al 7,7% del 1970
(quando eravamo comunque i primi davanti al Canada, alla Francia, alla
Spagna e agli Stati Uniti) e giù giù, dopo una breve risalita nel 1980,
fino al 6,1% del 1990 (rimasto tale fino al 2000) per poi calare ancora
al 4,6% del 2010 e infine al 4,4% di oggi. Certo, si sono aperti nuovi
mercati, si sono spalancati nuovi Paesi, si sono arricchiti e messi in
movimento nuovi popoli di viaggiatori. E c’è poco da piangere sul
destino cinico e baro. Era un destino ineluttabile. Del quale hanno
fatto le spese anche la Francia, la Spagna o gli Stati Uniti. Quello che
fa rabbia, però, è che nessuno è andato giù quanto siamo andati giù
noi. E soprattutto che nessuno ha approfittato poco quanto noi del boom
del turismo mondiale. Un boom mai visto.
Due
numeri: dal 1950 ad oggi i turisti stranieri che vengono in Italia si
sono moltiplicati per 10 volte: da 4,8 a 47,8 milioni. Ma l’immenso
popolo di turisti del mondo, grazie all’impetuoso arricchimento
soprattutto della Cina, della Corea e altri Paesi asiatici si è
moltiplicato per quasi 43 volte. Il che significa che noi siamo riusciti
a fare nostra soltanto una fetta molto piccola della torta.
Dicono
le classifiche del «Country Brand Index 2012-2013» che misura la
popolarità dei «marchi» di 118 Paesi, che l’Italia è primissima o ai
primissimi posti nell’immaginario di tremila importanti opinion leader
di tutto il mondo (e dunque dei potenziali visitatori stranieri) per la
ricchezza culturale, la gastronomia, la moda. E, come ricorda in
«Destination Italy» Silvia Angeloni, «l’Italia è la prima destinazione
dove i turisti vorrebbero andare». Eppure, se negli ultimi tre anni si
sono affacciati alle frontiere 137 milioni di turisti mondiali in più
rispetto al 2010, uno scoppio di salute impensabile solo trent’anni fa,
noi siamo rimasti al palo. O siamo andati addirittura indietro. Come
spiega in una delle relazioni del dossier di «italiadecide» il direttore
del centro studi del Touring club Massimiliano Vavassori, «i dati sui
flussi turistici diffusi dall’Istat, e relativi al 2012, hanno
registrato 98,1 milioni di arrivi (- 5,4% rispetto al 2011) e 362
milioni di presenze totali (- 4,8% rispetto al 2011)». E le cose non
sembrano essere migliorate nel 2013: «Secondo le stime del Wttc (World
Travel & Tourism Council), il valore aggiunto dell’industria
turistica in Italia - le attività che possono considerarsi core business
- è stato di 63,9 miliardi di euro, ovvero pari al 4% del Pil
nazionale». Una quota bassissima. Che calcolando il valore aggiunto
dell’intera economia turistica (dalle pasticcerie che forniscono i
croissant agli alberghi alle sartorie che fanno le camicie per i
camerieri) sale fino a «161 miliardi che corrispondono al 10,2% del
Pil». Una percentuale assai lontana dai proclami guasconi di vari
premier del passato, un po’ tutti concordi nel promettere «un turismo al
20% del prodotto interno lordo».
Come
mai? Perché, accusa lo studio del Touring, «il comparto si avvale da
anni di rendite di posizione ancorate al grande “turisdotto” delle città
d’arte o delle aree costiere» ma c’è da sempre una «cronica assenza» di
strategie: «Il turismo non è mai stato, e non è tuttora, un’opzione di
sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica».
Tutta colpa del Palazzo? No: il dossier infila infatti il dito nella
piaga della mancanza anche di una «cultura dell’ospitalità». Troppi
bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso chi viene a
trovarci. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto «Paese più bello del
mondo». Peccato, perché quella che è la nostra carta migliore, e cioè
il nostro patrimonio culturale, potrebbe godere dei frutti di una
stagione eccezionale. Spiega infatti Emilio Becheri, coordinatore del
rapporto di Turistica.it , che «nel 2011 (ultimo anno con dati
definitivi) la maggiore quota di arrivi di turisti in Italia è
determinata dal turismo delle città di interesse artistico e storico
(d’arte) con il 35,6%, davanti al turismo delle località marine
(balneare) con il 21,5%». Di più: «L’analisi dei differenziali rivela
che l’aumento complessivo degli arrivi verificatosi nel periodo
2000-2010, pari a 23,692 milioni è imputabile in gran parte, per il
42,5%, all’aumento del turismo culturale, per il 20,2% alle località non
classificate come turistiche, per l’11,3 alle località balneari, per il
10,9% alle località montane e per il 7,3% a quelle lacuali».
Le potenzialità sono enormi. Ma
come vengono trattati, gli ospiti? Siamo onesti: così così. Se non
proprio malamente. Al punto di spingere moltissimi visitatori,
spaventati dai prezzi, ad andare a dormire fuori mano. Un esempio?
«Calenzano è un Comune industriale e di servizi di circa 17.000 abitanti
vicino a Firenze che nel 2012 ha raccolto 183.207 arrivi di turisti,
tre quarti dei quali stranieri, che visitano Firenze e la Toscana».
Pistoia e Arezzo sono più belle? Sarà, ma «rilevano solo 129.308 e
49.475 arrivi, cioè, rispettivamente, il 70,6% e il 27%». Colpa dei
turisti brutti e cattivi? Ma va là...
Non basta avere belle piazze e
bei monumenti e bei musei. Non basta neppure avere il «bollino» di sito
Unesco. Siamo i primi in assoluto, con 49 «bollini»? «Valgono poco»,
sospira Vavassori, «se le notizie e le immagini sul degrado e la
quotidiana rovina di Pompei, ad esempio, fanno il giro del mondo».
E
siamo ai dati del ministero dei Beni Culturali. I quali dicono che
negli ultimi dieci anni, mentre i turisti nel mondo crescevano di circa
50%, i visitatori di tutti i nostri musei, siti archeologici, gallerie
d’arte statali messi insieme (tolti la Valle d’Aosta, il Trentino Alto
Adige e la Sicilia, anch’essa al palo) sono cresciuti da 30 milioni e
mezzo a poco più di 38. Con un aumento del 25%: la metà. Se poi contiamo
solo i paganti, l’incremento è ancora più basso: da 14 milioni e mezzo a
17 e mezzo: +22%.
Vanno benissimo il Colosseo e i Fori imperiali
(+79%), molto bene Venaria Reale che dieci anni fa era ancora in fase
di restauro, bene la galleria degli Uffizi e il Corridoio Vasariano
(+25% ma troppa gente non può ospitarne) e benino nonostante tutti i
nostri dolori Pompei, che cresce del 17%.
Mettono i brividi, al
contrario, i numeri ad esempio di Villa Adriana. Nel 2003 era al 14º
posto tra i luoghi più visitati ed ebbe tra paganti e non paganti 322
mila ospiti: nel 2013 solo 207 mila. Peggio ancora la Reggia di Caserta:
era sesta con 687 mila visitatori, è precipitata al 10º posto con 439
mila. Un crollo del 36% nel decennio del boom. C’era da aspettarselo. I
tesori vanno curati con amore. Non possono essere abbandonati a se
stessi. Sono la nostra ricchezza. Potrebbero essere il nostro futuro.
Tenere insieme la tutela e il turismo è possibile. Deve essere
possibile. E forse, come dice il rapporto del Touring, «se l’Italia
credesse di più nel turismo, sarebbe un Paese migliore».