VENEZIA - Nel grande androne a pianoterra ci sono le porte d'acqua che fanno da filtro al rumore unico della città, mentre dalle finestre dei piani affacciati sulla fondamenta i tetti di Venezia paiono quasi portati dalla luce abbagliante dentro le stanze con parte dei soffitti coperti da un'arte che parla la lingua dell'oggi ma si confronta con il passato.
È a uno spazio aperto al continuo divenire dell'arte, a una creatura viva in dialogo con la vitalità mai spenta di Venezia, quello che il collezionista e filantropo Nicolas Berggruen pensa quando parla del presente e del futuro di palazzo Diedo.
Un palazzo a cinque piani del XVIII secolo realizzato da Andrea Tiralli per la famiglia Diedo, passato poi al Comune per diventare scuola elementare poi sede del Tribunale di Sorveglianza: chiuso per un decennio, è stato acquisito alcuni anni fa da Berggruen. Oggi, dopo due anni quasi di restauro, con gli ultimi ritocchi ancora in corso, il palazzo, sede della fondazione benefica creata dal collezionista per approfondire i rapporti tra l'arte contemporanea e i secoli passati, tra Oriente e Occidente, è stato riaperto per ospitare l'esposizione "Janus" (Giano). La mostra riunisce i lavori, temporanei e in parte permanenti, ideati da undici artisti in diretto rapporto con l'architettura dell'edificio e in dialogo con le tradizioni dei mestieri d'arte veneziani. L'esposizione, dal 20 aprile al 24 novembre, le stesse date della Biennale d'Arte, è stata l'occasione per aprire le porte, per dare il segno iniziale - è stato ricordato - di un palazzo vivo. Lo spirito è chiaro: non idee museali, ma luogo di produzione, di incontri, di residenze per artisti chiamati a operare in loco e in stretto contatto con la realtà lagunare. L'assaggio è una esposizione che presenta lavori di personalità come Urs Fischer - splendido il riflesso della luce veneziana sulle 600 gocce di vetro soffiato, "Omen" - Mariko Mori, Ibrahim Mahatma, Sterling Ruby, Jim Shaw, Liu Wei, Aya Takano. Sospesi nel tempo e nello spazio i monocromi che paiono fatti di luce di Hiroshi Sugimoto (c'è anche una teca con il libro di Newton del 1704 che dà il titolo alle opere). Ipnotici i lavori di Lee Ufan (suo su un soffitto un'opera permanente e sui soffitti le fermanti anche di altri artisti coinvolti nella mostra). Se Holler opera sulla scala e Ruby sull'illuminazione dell'androne, Pietro Golia, quasi a simboleggiare il divenire di un palazzo dell'arte, ha fissato per novembre la realizzazione di un lavoro-pavimento veneziano al pianoterra.
Intanto, per tutta la durata della mostra, ci saranno nella sala i sacchi con il materiale e gli operai che lo faranno.
L'esposizione si articola anche in due progetti speciali: uno dell'artista Rhea Dillon l'altro della Polaroid Foundation "20x24".
ansa.it
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