Turismo. Luoghi imperdibili diventati invivibili: i giapponesi protestano


Turisti fanno una gita in barca al Suigo Sawara Ayame Park, nella città di Katori - Ansa

I tre milioni di visitatori accolti nel solo mese di aprile aprono il Giappone  a un record annuo di presenze superiore ai 31,9 milioni di visitatori del 2019, prima che il Covid affossasse nel 2020, insieme alle Olimpiadi spostate con poco fortuna l’anno successivo, la previsione di 40 milioni di visitatori.

La ripresa post-pandemica non è stata indolore per il Paese del Sol levante e il turismo è stata una risorsa immediatamente disponibile, sostenuta da ingenti investimenti negli anni precedenti, anche se inizialmente dimezzata dalle chiusure e limitata dalle misure di prevenzione. Aperto a un mondo in cerca di svago, esotismo e certezze, l’arcipelago ha favorito un affluso massiccio dall’estero.

Il sistema dell’accoglienza è stato ovunque messo alla prova dai 266 milioni di pernottamenti di giapponesi stimati nel 2023 (+91,2 per cento rispetto al 2019 con una spesa più che raddoppiata sul 2022 fino a sfiorare il valore di 60 miliardi di euro), ma è stato messo alle corde dall’arrivo di 25 milioni di visitatori esteri (sei volte quelli del 2022) che hanno aggiunto al bilancio turistico un cifra pari ad altri 33 miliardi di euro. Il Giappone comincia a soffrire di eccesso di turisti concentrato in poche aree e inizia a manifestare insofferenza. L’allestimento in corso di una barriera per limitare la vista del monte Fuji ai turisti che assediavano un’area commerciale e a alto traffico della cittadina di Fujikawaguchiko è il segno concreto di reazione veso un “overtourism” che sta segnando con aumento dei prezzi e minore cura una industria dell’accoglienza un tempo non proprio bonsai ma di elevato livello.

Significativo che a Kyoto nuovi cartelli esposti nel quartire di Pontocho esortino i turisti a mantenere pulizia e igiene e non sedersi dove non consentito lungo il canale che attraversa una delle aree dedicate allo svago. Pure sintomatica la chiusura all’attenzione morbosa dei visitatori di una parte del quartiere delle geisha di Gion dove le eredi di una tradizione di intrattenimento colto e raffinato sono ormai impossibilitate a circolare, così come molti anziani cittadini che non trovano più posto sui mezzi pubblici.  Si moltiplicano i ristoranti che d’ora in avanti accoglieranno soltanto la clientela abituale, su prenotazione. Reazioni limitate ma significative rispetto a una situazione che da imperdibili ha reso quasi invivibili luoghi-simbolo dell’arcipelago: le antiche capitali di Kyoto  Nara, il Tempio della Fenice (Byodo-in) di Uji, il parco Kenrokuen di Kanazawa, il castello più famoso del Giappone, quello di Himeji.

Ovviamente anche l’area del monte Fuji e la capitale Tokyo dove, ad esempio nell’ex mercato del pesce di Tsukiji o nell’area di pellegrinaggio di Asakusa, i giapponesi faticano a trovare spazio e la tradizionale atmosfera. Lo “tsunami” che sta travolgendo le principali aree turistiche dell’arcipelago sta rivelandosi in modo crescente negativo per ambiente e monumenti quanto distorsivo per la vita della popolazione.

In Giappone la tradizione di ospitalità risale a due principali tradizioni – l’antica pratica del pellegrinaggio verso templi e santuari; i viaggi periodici dei cortei dei feudatari a Tokyo per l’omaggio obbligatorio agli shogun Tokugawa – ai quali si sono aggiunte nel dopoguerra la necessità di alloggio provvisorio per tanti che si spostano per lavoro e, dagli anni del boom economico, le strutture necessarie a una industria del tempo libero che muove per brevi ma intensi periodi un gran numero di individui. Ragioni e condizioni diverse che però condividono una filosofia che ha nella previsione e soddisfazione delle necessità del cliente la sua essenza oggi minacciata. D’altra parte, nonostante i limiti evidenti e rischiando ulteriore impopolarità, il governo Kishida ha deciso di alzare ulteriormente la soglia dell’accoglienza indicando in 60 milioni di ingressi all’anno entro il 2030 il nuovo obiettivo-record.

Avvenire

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