Colori e suoni. Lo spartito del mondo di Kandinskij. A Rovigo il racconto del genio che ha cambiato l'arte moderna

 

ROVIGO - Capolavori da vedere e da ascoltare. L' uso formidabile del colore come le note di una partitura. L' intreccio di pittura e musica per svelare il mondo interiore. La complessità di Vasilij Kandinskij è a portata di mano a Rovigo nella mostra che riunisce fino al 26 giugno a Palazzo Roverella 80 opere, un numero eccezionale che arriva da musei internazionali, russi in particolare, e da collezioni private straniere e italiane. ''Kandinskij. L' opera 1900-1940'' curata da Paolo Bolpagni e Evgenija Petrova, è un viaggio cronologico affascinante con capitoli utili a comprendere come l' artista che ha rivoluzionato il Novecento non fosse guidato dal dogmatismo. Lo dimostrano quei cinque olii su vetro figurativi che si riallacciano alla tradizione iconografica russa realizzati nel 1918, nel pieno del suo primo periodo astratto, a cui è riservata una piccola sala. Già in apertura del percorso articolato in 12 sezioni, dopo le icone in legno e gli oggetti della cultura popolare contadina che avevano colpito l' artista nel 1889 nel viaggio in Siberia quando aveva 23 anni, ecco la prima pagina di Klange, ''Suoni'', una sorta di autobiografia del 1913 in cui dà conto attraverso incisioni in bianco e nero e a colori, favole, poesie e riflessioni, del suo percorso artistico e interiore nei dieci anni precedenti. Il titolo di questo testo considerato fondamentale esprime quel legame con la musica che partiva da lontano - lui, di famiglia agiata e colta aveva cominciato a studiare pianoforte e violoncello da bambino - e che sarebbe esploso con l' ascolto del preludio del Lohengrin di Wagner e dopo l' incontro folgorante nel 1909 con Arnold Schoenberg e la sua musica atonale codificata poi nella dodecafonia. Da lì Kandinskij sviluppò la riflessione sui colori collegabili ai suoni e alle emozioni che lo avrebbe portato a considerare le sue tele come una opera musicale a partire dai titoli, ''improvvisazioni'', ''composizioni'', ''impressioni''. Del resto anche nei suoi lavori di esordio a Monaco di Baviera aveva paragonato l' incisione alla musica, l' estrazione dalla matrice come quella del 'suono interiore' dei soggetti.
    I paesaggi dei primi dipinti 'espressionisti' raccontano natura, paesaggi e una terra da favola dai colori sgargianti che intorno al 1910 cambiano radicalmente. ''E' il periodo in cui scrive 'Lo spirituale nell' arte'- spiega Bolpagni - e prende coscienza del potere psicoattivo di ogni colore che ci condiziona e produce in noi una sensazione, una reazione visiva che è anche uditiva e quasi tattile''. La tavolozza quindi si smorza e si modula per evitare che tutto appaia monotono. ''Da allora il suo procedimento di creazione dell' opera d' arte ha molto a che vedere con la musica. Lui non si ispira alla musica ma è riuscito a interiorizzare in modo sorprendente i meccanismi costruttivi della musica applicandoli alla pittura''. A colpire è anche la rapidità esecutiva delle opere tanto da far pensare a una sorta di spontaneismo. "La sua pittura invece è studiatissima - osserva il curatore . E' un po' come il compositore che imposta una struttura armonica fondamentale con tema, sviluppo, ripresa alla quale aggiunge una melodia, una polifonia e infine l' orchestrazione". Un video del 1926 (con il sottofondo di strumenti diversi per ogni colpo di pennello) lo mostra dipingere in pochi minuti un' opera "con la sicurezza dell' idea che ha una base strutturale intimamente musicale". In mostra a spiccare è anche un piccolo quadro dipinto in Russia del 1920-21, un' opera rarefatta, linee, curve, forme geometriche scure che sembrano anticipare quello che qualche tempo dopo a Weimar avrebbero espresso lui e la scuola del Bauhaus.
    Kandinskij è il prototipo dell' artista europeo, hanno rimarcato i curatori, Russia, Monaco di Baviera, di nuovo in Russia poi ancora in poi Germania e infine la Francia, con viaggi in altri paesi del Continente. Nella sua pittura astratta - termine che odiava preferendo la definizione di "pittura senza oggetto" - affiora spesso qualche elemento concreto… un pesce, un cavallo, un uccello, una figura umana. La figurazione non si esaurisce con il passaggio all' astrattismo, va e viene nella sua produzione. Evgenija Petrova, direttrice del Museo Russo di San Pietroburgo, ha insistito sull' importanza nello sviluppo dell' astrattismo dei progressi scientifici dell' epoca. "La scoperta dell' atomo cambia tutto. Per gli artisti ogni cosa aveva una sua sensibilità. La realtà non poteva essere più rappresentata come una fotografia. Lui la espresse con il ritmo e il colore'' Kandinskij non solo aprì la strada a un intero filone del ventesimo e del ventunesimo secolo. Dal punto di vista storico ha segnato un prima e un dopo. ''C' è poi la qualità eccelsa della sua pittura e della sua arte più in generale che lo rende grandissimo proprio nell' aver saputo usare il colore.
    Pochissimi artisti nella storia hanno avuto la sua stessa padronanza e sensibilità. Non c' è mai qualcosa di sbagliato, tutto è sempre necessario. In lui c' è l' esigenza della libertà dell' artista da ogni condizionamento esterno. La necessità interiore lo rende contemporaneo. Ci parla ancora oggi. Le sue opere vanno guardate con tutte le nostre capacità sensoriali''.
    (ANSA).

Da Santa Sofia a Caravaggio l'arte a rischio in Ucraina

 

Dalla suggestiva Cattedrale di Santa Sofia a Kiev, con le sue cupole dorate, alle testimonianze archeologiche di Sebastopoli con i resti di una città fondata dai greci sulle rive del Mar Nero.

Ma anche il centro storico medievale di Leopoli a Cernivci, la favolosa residenza dei metropoliti bucovini e dalmati con la sua ottocentesca e opulenta sinergia di stili architettonici, il museo di Odessa che tra i suoi tesori vanta persino un Caravaggio. A rischio distruzione, nell'Ucraina invasa dalle truppe russe, ci sono pure i capolavori dell'arte e i tanti siti patrimonio dell'Umanità. Testimonianze di tutte le epoche storiche a cui si aggiungono le meraviglie della natura, come le faggete, che l'Unesco ha già inserito nella sua prestigiosa lista, o la steppa, che risulta tra i siti candidati. Pagine di storia e di bellezza che ora potrebbero essere cancellate dai bombardamenti, sacrificate dalle esigenze della guerra, devastate, razziate. Nel Paese i siti certificati dall'Unesco sono in tutto sette, ma altri se potrebbero aggiungere nei prossimi anni se venissero accettate le 17 candidature , dai resti dell'antica città di Tyras, antico porto commerciale del mondo antico fondato alla fine del VI secolo a.C., alla foce del Dnestr, al complesso di monumenti della fortezza medievale di Sudak, dall'osservatorio astronomico di Mykolayiv, ritenuto il più antico osservatorio navale dell'Europa sudorientale, alle città rupestri della Gotia crimeana.

E se tra i progetti di candidatura a patrimonio dell'umanità c'è l'intero centro storico di Odessa, con la sua raffinata struttura urbana ottocentesca dove sono cresciuti Trotsky e Kandinsky , ma anche la mitica "scalinata Potemkim" icona dei cinefili, il museo dell'arte occidentale di questa citta così fascinosa e multiculturale è uno scrigno di tesori dell'arte che vanno da Caravaggio a Rubens, da Gerad David a Guercino. Una quantità impressionante di opere dell'arte europea che il regime russo aveva confiscato a nobili, commercianti, collezionisti della grande regione di Odessa che a quel tempo si estendeva dalla Romania alla Crimea.
    Rubata nel 2008, ritrovata nel 2010 e quindi oggetto di un delicato restauro, la tela attribuita a Michelangelo Merisi vanta tra l'altro una storia avvincente e tormentata, ricostruita qualche anno fa dalla studiosa Nataliia Chechykova.

 Con tutta probabilità acquistata a Parigi da Alexander Petrovich Basilewsky, un grande collezionista russo di origini ucraine, la tela, che all'epoca si intitolava Le Baiser de Judas, venne offerta in regalo nel 1870 al fratello dello Zar, Vladimir Alexandrovich Romanov e quindi approdò in Russia dove però, proprio tra rivoluzione e guerre, ha avuto una vita tutt'altro che facile. Donato all'Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo, il quadro di Caravaggio venne trasferito nel 1916 nel museo di Odessa insieme ad altre 28 creazioni dei grandi maestri europei. Solo un anno dopo però la città fu investita in pieno dalla rivoluzione del 1917 e poi dalla guerra civile, conquistata e persa dall'Armata rossa più volte. Durante la seconda guerra mondiale poi Odessa fu bombardata pesantemente e poi occupata dalle truppe romene e naziste e della Cattura di Cristo (come oggi viene intitolato il quadro) per un po' non si seppe più nulla, tanto più che inspiegabilmente la tela non risultava nell'elenco delle opere messe in salvo dal museo. Data per persa, la tela ricomparve "miracolosamente" nel giugno del 1945, 14 mesi dopo la liberazione della città, riconsegnata alle autorità sovietiche dalla Chiesa Cattolica Romana. (ANSA).

Da Caravaggio alle rovine, i tormenti di Guido Reni a Roma

 

La Roma delle grandi committenze legate al Giubileo del 1600, l'impatto stravolgente con l'archeologia, il confronto con Caravaggio e i rapporti non facili con gli altri grandi del suo tempo, l'urgenza di trovare un linguaggio nuovo e davvero suo, per la pittura religiosa, ma anche per le scene di paesaggio che tanto piacevano ai ricchi committenti.

Colto, raffinato, perfezionista, il grande Guido Reni, a dispetto di come la storia lo ha sempre raccontato, era anche un uomo irrequieto e tormentato, una personalità non meno complessa e in certi tratti non meno ombrosa di quella dichiaratamente maledetta del coetaneo Michelangiolo Merisi.

"Un pittore che abbiamo sempre considerato uno straordinario interprete della pittura religiosa, con profondi riferimenti classicisti, ma che è stato pure uno straordinario sperimentatore", spiega appassionata la direttrice della Galleria Borghese Francesca Cappelletti presentando la piccola grande mostra che a più di trent'anni dall'ultima grande esposizione italiana darà il via dal 1 marzo alla prima di una serie di iniziative internazionali dedicate al Maestro del Seicento italiano. Intitolata 'Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura', curata da Cappelletti (con la collaborazione di un team di studiosi tra cui Raffaella Morselli e Maria Cristina Terzaghi), l'esposizione ruota al "ritorno a casa" della Danza Campestre, una tela della collezione Borghese, dispersa nell' 800, che il prestigioso museo romano è riuscito a ricomprare. E proprio questo olio che racconta una festa da ballo all'aperto sotto un cielo dalle mille gradazioni di blu, si è rivelato un tassello fondamentale per ricostruire i primi anni romani dell'artista, i conflitti, le sperimentazioni, la messa a punto di un suo personale e particolarissimo linguaggio. "Non un percorso di formazione perché Reni arriva a Roma sull'onda di una carriera già brillante", spiega Cappelletti. "Era un pittore che già sapeva troppo e che in città resta un isolato di grande successo". Piuttosto, allora, il racconto di quello che il maestro ha preso dalla sua esperienza romana e del segno che ha lasciato. E anche un invito a riscoprirlo con un itinerario di luoghi romani che si affiancherà al catalogo. (ANSA).

Dante Ferretti al Museo degli Oscar per l'omaggio a Pasolini

 

(ANSA) - NEW YORK, 18 FEB - Avendo costruito le scene per tanti film di Pier Paolo Pasolini, Dante Ferretti ha sfidato il Covid per essere presente, il 17 febbraio al Museo dell'Academy di Los Angeles, alla proiezione di 'Accattone', il primo film della retrospettiva sull'amico ed artista con cui collaborò per nove dei suoi film, dal primo, quando era ancora giovanissimo, 'Il Vangelo secondo Matteo', passando per 'Medea', fino a 'Salò', l'ultimo e più controverso, che uscì brevemente nelle sale poche settimane dopo l'omicidio irrisolto di Ostia.

Ferretti ha una memoria fotografica di quel drammatico 2 novembre 1975: "Ero con Elio Petri sul Lungotevere all'altezza di Via Tomacelli, in un bar a prendere un caffè.

La tv era accesa e abbiamo sentito che l'avevano trovato morto. Corremmo all'obitorio e lì un legale della famiglia mi chiese di andare sul posto a fare una piantina, prendere le misure del luogo dove era stato ammazzato", racconta all'ANSA lo scenografo tre volte premio Oscar per 'Aviator', 'Sweeney Todd' e 'Hugo': "Fu un doppio shock per me. Pasolini era stato la prima persona che aveva dato a questo ragazzo di provincia la possibilità di fare cinema. Il 'San Matteo', per cui venni chiamato come assistente scenografo ma in realtà feci tutto il lavoro, fu il secondo film della mia carriera". Intitolata 'Conoscenza carnale' e organizzata per il centenario dalla nascita il 5 marzo 1922 a Bologna, la retrospettiva all'interno dell'edificio disegnato da Renzo Piano è una iniziativa tricolore targata Cinecittà: "Pasolini aveva per gli Stati Uniti una grande curiosità, era attratto dagli estremi dell'America", spiega l'ad Nicola Maccanico, che inaugura con questa rassegna il patto quinquennale con il Museo dell'Academy per portare a Los Angeles i classici del cinema italiano. Ed ecco dunque che fino al 12 marzo l'intera opera di Pasolini sarà presentata in copie restaurate in 35 mm.
    Per Ferretti la rassegna è lo spunto per evocare un sodalizio di oltre dieci anni, da quando assistente scenografo di Luigi Scaccianoce lavorò al 'Vangelo secondo Matteo' del 1964, poi 'Uccellacci e Uccellini' e 'Edipo Re'. E poi Medea, il primo film firmato da scenografo, fino a Salò. (ANSA).