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Toulouse-Lautrec oltre il mito, la sua Parigi a Rovigo


 Nel centro di Rovigo il rinascimentale palazzo Roverella custodisce come uno scrigno fino al 30 giugno il cuore della Parigi di fine Ottocento, straordinario concentrato di innovazione e distruzione, passaggio epocale per la storia dell'arte e non solo.

"Viene indicata come Belle Epoque solo per contrappasso dopo la prima guerra mondiale, in realtà epoca di stravolgimenti sociali", spiega Francesco Parisi.

A dominare quella metropoli c'era il nido di viuzze come paglia intrecciata di Montmartre dove Henri de Toulouse-Lautrec passò gli anni più intensi e distruttivi della sua breve vita.
Ora la multiforme creatività di questo artista scomparso ad appena 37 anni, segnato da una grave malattia genetica, travolto dall'alcolismo e dalle passioni, rivive in una grande mostra che ne porta il nome e non solo ne racconta i vari aspetti, ma li immerge nella realtà a cui si ispiravano in assoluta originalità superando il limite che lo vede consegnato alla storia come semplice, seppur geniale e assolutamente mitizzato, creatore di affissioni.
"Una mostra che rimette l'artista al centro del suo contesto", dice Fanny Girard. Si perché anche qui i suoi schizzi, i disegni, i manifesti, i dipinti dimostrano ancora una volta che l'aristocratico artista che aveva scelto il mondo bohemienne non apparteneva a nessuna corrente ma viaggiava sul filo intelligente quasi veggente dell'innovazione, intravedendo fili e temi del mondo che verrà. C'è il dinamismo gioioso delle ballerine del Moulin Rouge e la disperazione delle periferie del mondo industriale, c'è il tratto grafico della pubblicità e il colore assoluto e decontestualizzato dell'astrattismo.
Ma nelle 200 opere raccolte a palazzo Roverella non c'è solo lui. Ci sono i suoi maestri come Corman, i pittori che ha amato come Degas, i suoi compagni di studi come van Gogh e poi ci sono Boldini, De Nittis solo per citarne alcuni. La mostra è curata da Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard - che dirige il museo dedicato all'artista ad Albi - con la collaborazione di Nicholas Zmelty e propone svariati approfondimenti tematici che come spiega il pronipote Bernard du Vignaud alla presentazione di stamattina a Rovigo "aprono molte porte del tutto originali sul mio prozio e lo rimettono al centro della sua epoca". A partire da quello che racconta "Parigi 1885-1900", "Le Chat Noir" ovvero il caffè in cui si trovavano, "Toulouse-Lautrec e gli amici artisti" come van Gogh e "Il rinnovamento della grafica", poi quello sull'assenzio che porterà una generazione alla rovina fino ad essere vietato bel 1914.
Molto importante poi è la sezione inedita dedicata al movimento artistico francese "Les Arts Incohérents", anticipatore di tecniche adottate dalle avanguardie del Novecento. Questa sezione, a cura di Johan Naldi, presenta opere assolutamente inedite perché si pensavano smarrite e sono state ritrovate nel 2018 nella cantina di un discendente degli artisti e qui vengono per la prima volta esposte. Qui c'è la prima opera monocroma della storia. "Insomma - riassume Parisi - non una mostra superficiale come quelle su di lui che si sono succedute negli ultimi 30 anni, ma una mostra con solide basi scientifiche per fare di Palazzo Roverella un luogo di ricerca".
Questo grazie anche al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e di Intesa Sanpaolo. 

ansa.it

La mostra a Rovigo. Nell'Arcadia di Renoir l'alba del Novecento

 

Pierre-Auguste Renoir, “Roses dans un vase”, 1900 (particolare) - Pierre-Auguste Renoir, “La Baigneuse blonde”, 1882. Pinacoteca Agnelli, Torino Pierre-Auguste Renoir, “Roses dans un vase”, 1900. Kunsthaus, Zurigo

La mostra ricostruisce in modo molto puntuale ed efficace questa dimensione di lunga portata della pittura di Renoir. In un certo senso l’artista è interprete ante litteram di quel fenomeno solitamente chiamato “ritorno all’ordine” – espressione un po’ sfortunata che suona come una Quaresima dopo un Carnevale – e che Bolpagni preferisce sostituire con il rappel à l’ordre di Cocteau, o meglio ancora con il “ritorno al mestiere” usato da de Chirico nella fase postmetafisica per contrassegnare il proprio desiderio di una pratica pittorica che guarda alla storia e che è certamente valido per un Renoir lettore, per scriverne più tardi una prefazione, del trattato di Cennino Cennini. L’artista francese infatti sente il bisogno di recuperare un gap culturale e tecnico, di rifondare la propria pittura su basi di una concretezza quasi arcaica. Questo conciso Grand Tour italiano, che da Venezia arriva a Palermo toccando Firenze, Roma, Napoli e la Calabria, ha esattamente questa funzione: il fatto poi che avvenga nella fase della piena maturità e non agli inizi della sua formazione gli consente un rapporto libero, da pari, con i modelli. In Italia Renoir scopre ciò che non poteva vedere al Louvre: la pittura veneta del Quattrocento di Carpaccio e il colorismo flamboyant di Tiepolo, il Raffaello affreschista, la pittura pompeiana. E scopre quella luce, lagunare o mediterranea, che a Parigi non c’è e che presto inseguirà trasferendosi, anche per ragioni di salute, nel Midi. Tutto questo si salda con il mai sopito amore per Ingres e quindi di Rubens a cui possiamo aggiungere più avanti la pittura guizzante e per segni dell’ultimo Delacroix. Il trait d’union con il momento impressionista, come sottolinea Bolpagni, è il problema «della luce, di come catturarla sulla tela: il tema è un altro, e concer il “metodo”, la via da seguire per raggiungere tale scopo». Non è un caso che l’esito sarà una pittura di sintesi, massiva, «fuori dal tempo » la definisce Bolpagni, lontana da sofismi simbolisti, compositivamente complessa e opulenta dal punto di vista cromatico. In mostra è rappresentata da un capolavoro assoluto, La bagnaise blonde della Pinacoteca Agnelli (1882), uno dei nudi più belli di tutto l’Ottocento, e da un nutrito gruppo di bagnanti. Allo stesso tempo non è un caso che approdi alla scultura, a cui l’artista si dedica incitato di Maillol. Renoir si riaggancia dunque al tema del classicismo che è una delle anime vere della cultura francese, ma lo fa con un approccio  anticlassico”, dove il mito del Mediterraneo e la forza delle forme prende il posto dei canoni e della mimesis. Una categoria di classicismo dunque che sarà propriamente novecentesca. È così che Renoir diventa un riferimento per gli artisti degli anni Venti e Trenta. Lo dimostrano i riscontri italiani, ben documentati in mostra, con de Chirico che si dichiara apertamente debitore del francese, ma anche di scultori come Marino Marini ed Eros Pellini, mentre è una piccola mostra nella mostra l’omaggio-riscoperta ad Armando Spadini. Non solo. C’è un Renoir che apre ulteriori prospettive attraverso generi di minore impegno e per questo campo per libere sperimentazioni come nature morte (qui messe a confronto con lavori più tardi di De Pisis, Tosi e Paulucci) e piccoli dipinti di paesaggi (a cui non sarebbe dispiaciuto vedere accostati gli analoghi di Sassu). Questi ultimi insieme a una serie di tardi ritratti femminili presentano tinte acide e forme liquide che sembrano aprire piste protoespressioniste. Ma è impossibile non pensare che la via tracciata verso il mito panico sarà poi percorsa dopo un fondamentale viaggio in Italia dal Picasso “richiamato all’ordine” (e tra l’altro collezionista del secondo Renoir) come pure da Matisse. D’altra parte anche nell’«eterna e soleggiata arcadia» di Renoir “ tout n’est qu’ordre et beauté, / Luxe, calme et volupté”.

avvenire.it

Colori e suoni. Lo spartito del mondo di Kandinskij. A Rovigo il racconto del genio che ha cambiato l'arte moderna

 

ROVIGO - Capolavori da vedere e da ascoltare. L' uso formidabile del colore come le note di una partitura. L' intreccio di pittura e musica per svelare il mondo interiore. La complessità di Vasilij Kandinskij è a portata di mano a Rovigo nella mostra che riunisce fino al 26 giugno a Palazzo Roverella 80 opere, un numero eccezionale che arriva da musei internazionali, russi in particolare, e da collezioni private straniere e italiane. ''Kandinskij. L' opera 1900-1940'' curata da Paolo Bolpagni e Evgenija Petrova, è un viaggio cronologico affascinante con capitoli utili a comprendere come l' artista che ha rivoluzionato il Novecento non fosse guidato dal dogmatismo. Lo dimostrano quei cinque olii su vetro figurativi che si riallacciano alla tradizione iconografica russa realizzati nel 1918, nel pieno del suo primo periodo astratto, a cui è riservata una piccola sala. Già in apertura del percorso articolato in 12 sezioni, dopo le icone in legno e gli oggetti della cultura popolare contadina che avevano colpito l' artista nel 1889 nel viaggio in Siberia quando aveva 23 anni, ecco la prima pagina di Klange, ''Suoni'', una sorta di autobiografia del 1913 in cui dà conto attraverso incisioni in bianco e nero e a colori, favole, poesie e riflessioni, del suo percorso artistico e interiore nei dieci anni precedenti. Il titolo di questo testo considerato fondamentale esprime quel legame con la musica che partiva da lontano - lui, di famiglia agiata e colta aveva cominciato a studiare pianoforte e violoncello da bambino - e che sarebbe esploso con l' ascolto del preludio del Lohengrin di Wagner e dopo l' incontro folgorante nel 1909 con Arnold Schoenberg e la sua musica atonale codificata poi nella dodecafonia. Da lì Kandinskij sviluppò la riflessione sui colori collegabili ai suoni e alle emozioni che lo avrebbe portato a considerare le sue tele come una opera musicale a partire dai titoli, ''improvvisazioni'', ''composizioni'', ''impressioni''. Del resto anche nei suoi lavori di esordio a Monaco di Baviera aveva paragonato l' incisione alla musica, l' estrazione dalla matrice come quella del 'suono interiore' dei soggetti.
    I paesaggi dei primi dipinti 'espressionisti' raccontano natura, paesaggi e una terra da favola dai colori sgargianti che intorno al 1910 cambiano radicalmente. ''E' il periodo in cui scrive 'Lo spirituale nell' arte'- spiega Bolpagni - e prende coscienza del potere psicoattivo di ogni colore che ci condiziona e produce in noi una sensazione, una reazione visiva che è anche uditiva e quasi tattile''. La tavolozza quindi si smorza e si modula per evitare che tutto appaia monotono. ''Da allora il suo procedimento di creazione dell' opera d' arte ha molto a che vedere con la musica. Lui non si ispira alla musica ma è riuscito a interiorizzare in modo sorprendente i meccanismi costruttivi della musica applicandoli alla pittura''. A colpire è anche la rapidità esecutiva delle opere tanto da far pensare a una sorta di spontaneismo. "La sua pittura invece è studiatissima - osserva il curatore . E' un po' come il compositore che imposta una struttura armonica fondamentale con tema, sviluppo, ripresa alla quale aggiunge una melodia, una polifonia e infine l' orchestrazione". Un video del 1926 (con il sottofondo di strumenti diversi per ogni colpo di pennello) lo mostra dipingere in pochi minuti un' opera "con la sicurezza dell' idea che ha una base strutturale intimamente musicale". In mostra a spiccare è anche un piccolo quadro dipinto in Russia del 1920-21, un' opera rarefatta, linee, curve, forme geometriche scure che sembrano anticipare quello che qualche tempo dopo a Weimar avrebbero espresso lui e la scuola del Bauhaus.
    Kandinskij è il prototipo dell' artista europeo, hanno rimarcato i curatori, Russia, Monaco di Baviera, di nuovo in Russia poi ancora in poi Germania e infine la Francia, con viaggi in altri paesi del Continente. Nella sua pittura astratta - termine che odiava preferendo la definizione di "pittura senza oggetto" - affiora spesso qualche elemento concreto… un pesce, un cavallo, un uccello, una figura umana. La figurazione non si esaurisce con il passaggio all' astrattismo, va e viene nella sua produzione. Evgenija Petrova, direttrice del Museo Russo di San Pietroburgo, ha insistito sull' importanza nello sviluppo dell' astrattismo dei progressi scientifici dell' epoca. "La scoperta dell' atomo cambia tutto. Per gli artisti ogni cosa aveva una sua sensibilità. La realtà non poteva essere più rappresentata come una fotografia. Lui la espresse con il ritmo e il colore'' Kandinskij non solo aprì la strada a un intero filone del ventesimo e del ventunesimo secolo. Dal punto di vista storico ha segnato un prima e un dopo. ''C' è poi la qualità eccelsa della sua pittura e della sua arte più in generale che lo rende grandissimo proprio nell' aver saputo usare il colore.
    Pochissimi artisti nella storia hanno avuto la sua stessa padronanza e sensibilità. Non c' è mai qualcosa di sbagliato, tutto è sempre necessario. In lui c' è l' esigenza della libertà dell' artista da ogni condizionamento esterno. La necessità interiore lo rende contemporaneo. Ci parla ancora oggi. Le sue opere vanno guardate con tutte le nostre capacità sensoriali''.
    (ANSA).

25 Aprile e 1° Maggio: un’occasione per visitare la Mostra “IL DIVISIONISMO”

Grande successo per la Mostra “IL DIVISIONISMO – La Luce del Moderno”: con una serie di appuntamenti d eventi ben pianificati e la nutrita collezione di opere in mostra a Palazzo Roverella a Rovigo, la mostra si conferma una delle più importanti della stagione artistica italiana. Una serie di iniziative per i prossimi mesi di apertura: promozioni per la festa della mamma, laboratori creativi per bambini, aperture serali speciali e aperitivi con visite guidate, rendono la mostra “IL DIVISIONISMO” un appuntamento immancabile non solo per gli appassionati d’arte, ma per chiunque desideri passare del tempo ammirando le opere di artisti italiani della corrente divisionista, artisti più o meno rinomati, ma che sanno dipingere un’epoca storica con abilità e coinvolgimento: non resterete delusi. Non perdete l’occasione di visitare “Il DIVISIONISMO” a Rovigo: approfittate di questi giorni di vacanza, il 25 Aprile o il 1°Maggio, date in cui la Mostra rimane aperta al pubblico: una chance per ammirare i capolavori di un’epoca tra le più emozionanti dell’arte italiana.

IL DIVISIONISMO – La Luce del Moderno
Palazzo Roverella
Via Giuseppe Laurenti, 8
45100 Rovigo
Tel. 0425.460093
Cell. 348-3964685
info@palazzoroverella.com
http://www.mostradivisionismo.it/


segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone e Albana Ruci
turismoculturale@simail.it
http://turismoculturale.altervista.org


segnalazione struttura dove dormire
Via dello Zuccherificio
45021 BADIA POLESINE (Ro)
Tel. 0425.51666 - Fax 0425.594283