Fotografia Europea premiata a New York

 

Non sarà famosa come la statuetta degli Oscar, ma è sicuramente il premio più stimato e ambito del settore, quello che Fotografia Europea si è aggiudicata nella notte del 25 ottobre durante la cerimonia di premiazione dei Lucie Awards. Il festival 2022, intitolato “Un’invincibile estate” -con le sue venti mostre, le dieci sedi aperte in tutta la città, gli eventi, le conferenze, gli ospiti- ha convinto, per la ricchezza della proposta culturale, una giuria internazionale.

Precisamente il festival reggiano è stato premiato come miglior Photo Festival of the Year nelle Support Category, i premi destinati a coloro che sostengono la comunità fotografica, in una cerimonia di gala che si è svolta a New York nella Zankel Hall della Carnegie Hall. Si tratta della cerimonia di premiazione che onora i migliori protagonisti del settore e in cui vengono assegnati premi di riconoscimento per le belle arti, i documentari, per l’eccellenza nelle categorie di supporto, dall’editoria alle mostre. Un evento ormai attesissimo, i Lucie Awards sono promossi dalla Lucie Foundation e si tengono ogni anno dal 2003 con lo scopo di onorare i maestri della fotografia, scoprire e coltivare i talenti emergenti e promuovere la fotografia in tutto il mondo. 


Lo annunciano con grande orgoglio il Sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, l’assessora alla cultura Annalisa Rabitti e Davide Zanichelli, direttore della Fondazione Palazzo Magnani, che insieme, instancabilmente, producono e organizzano il Festival. 

E’ una notizia splendida, che valorizza in ambito internazionale il grande lavoro che la città sta facendo, da molti anni, su questo appuntamento artistico – affermano il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi e l’assessore alla Cultura Annalisa Rabitti.
La scelta da parte di una Fondazione internazionale così importante, di premiare Fotografia Europea ci riempie di orgoglio: si tratta di un riconoscimento di grandissimo prestigio che vogliamo condividere con i vertici di Palazzo Magnani, il comitato scientifico, la direzione artistica, lo staff e tutti coloro i quali, dal 2006 a oggi, hanno lavorato e partecipato a una grande impresa collettiva.
E’, anche, la dimostrazione di come Reggio abbia intrapreso un percorso che ha saputo valicare i confini provinciali e affermarsi in un ambito internazionale sino ai massimi livelli. Otto anni fa scegliemmo di dare continuità a Fotografia Europea anche di fronte a chi sollecitava l’interruzione di quell’appuntamento. I risultati di questi anni ci confermano che la scelta responsabile di proseguire nel progetto si è rivelata chiara, lucida e lungimirante – affermano sindaco e assessore alla Cultura -.

Questo riconoscimento di livello mondiale è l’ulteriore prova di un percorso che ha teso in questi anni con la cultura, l’educazione, l’economia, in tanti settori, a rendere la città sempre più internazionale. Ricordo il dibattito dei primi anni, quando ancora non ero sindaco… le critiche di chi diceva: Fotografia Europea costa troppo… – conclude Vecchi – Ecco, proviamo a cogliere nel prestigio di certi risultati anche l’occasione per lasciarci alle spalle tentazioni di provincialismo che ogni tanto riaffiorano, di fronte ai progetti di innovazione e cambiamento. Cambiare la città attraverso la cultura e la conoscenza, significa guardare con coraggio al futuro dei nostri figli”.

Anche la direzione artistica dell’edizione 2022, composta da Tim Clark e Walter Guadagnini, la project manager Matilde Barbieri e gli staff della Fondazione Palazzo Magnani e del Comune di Reggio Emilia, che per mesi lavorano in team con straordinaria passione e sono già pronti ad annunciare le novità del 2023, festeggiano questo importante traguardo.

laliberta.info

Boom turisti per Ponte ma più che novembre sembra estate

 Pranzi all'aperto, tintarella e, per i più audaci, anche il bagno


di Cinzia Conti

Il travestimento di Halloween più azzeccato del 2022 sicuramente è stato quello del meteo.

Il lungo ponte del 1 novembre, affollato di turisti e gitanti nonostante rincari e crisi energetica, è iniziato con un novembre "mascherato" da maggio, anzi su certi litorali proprio da estate con tanto di bagnanti e irriducibili della tintarella stesi al sole.

E quindi se qualcuno ha festeggiato bevendo vino novello e mangiando zucca e castagne, in molti hanno preferito frittura di pesce e vino bianco fresco sui tavolini all'aperto vista mare oppure picnic in mezzo alla natura che più che per il foliage sembra pronta per una nuova primavera.

    Quanto ai numeri, spinti dalle ottime previsioni meteo ma anche dagli eventi (come la Fiera internazionale di Alba o LuccaComics), seppure con qualche differenza tutte le associazioni sono d'accordo: continua l'ottima ripresa del turismo sottolineata ieri anche dalla neo ministra del settore Daniela Santanchè. Traffico ragguardevole sia di italiani che di stranieri con una forte presenza dagli Stati Uniti, favoriti anche dalla debolezza dell'euro rispetto al dollaro, e la conferma di francesi, tedeschi e inglesi che sono tornati in forza a "vivere" le vacanze italiane.
    Secondo Federalberghi il break di Ognissanti coinvolge circa 11 milioni e 800 mila italiani, ovvero quasi il 20% della popolazione mentre Cna Turismo e Commercio ne conteggia 10 milioni (con 3 milioni di stranieri) e Federturismo 7 milioni.

    Per Assoturismo Confesercenti tra il 28 ottobre e il 1 novembre le strutture ricettive italiane dovrebbero registrare 5 milioni di pernottamenti, 1,2 milioni in più dello scorso anno, che però scontava ancora alcune limitazioni legate alla pandemia.
    Conferma il perdurare della ripresa anche l'Associazione Italiana Confindustria Alberghi: rispetto allo stesso periodo del 2019 le principali città d'arte fanno registrare un tasso di occupazione delle strutture alberghiere che supera il 70%, addirittura in aumento dell'1% rispetto al dato pre crisi. Tra partenze e arrivi, durante il Ponte ci saranno oltre 500 mila passeggeri solo all'aeroporto di Fiumicino. Più o meno il 90% dei vacanzieri è rimasto in Italia mentre i connazionali che hanno superato i confini sono nelle capitali europee (Parigi e Barcellona in vetta) oppure si godono gli sgoccioli di questa coda estiva alle Canarie e Malta.

    Da giorni sulle coste romagnole i telefoni degli alberghi e degli uffici di informazioni turistiche locali hanno ripreso a squillare dopo una stagione estiva decisamente positiva. A Rimini sono circa 350 gli alberghi pronti per il periodo di Halloween: i 280 annuali a cui si aggiungono diversi alberghi stagionali che riaperti in via straordinaria.
    Sul litorale romano l'"ottobrata romana" è quasi una cartolina da stagione balneare estiva con Ostia, Fiumicino e Fregene affollatissime tra chi passeggia e chi gira con biciclette o monopattini. Per i più audaci, oltre ai bagni di sole, ci sono anche bagni veri e propri oppure allenamenti con i sup in acqua.

    Bagni, sole e relax con temperature sui 25 gradi anche in Versilia.
    Ancora meglio a Napoli e nel resto delle zone costiere della Campania con bagni in acqua e gite in barca. Si profila un tutto esaurito con il 90% delle camere occupate negli alberghi e l'80% nei b&b. In Penisola sorrentina pienone negli alberghi di tutte le categorie. "La nostra idea - dice Costanzo Iaccarino, proprietario dell'hotel storico Imperial Tramontano e presidente della Federalberghi Campania - è quella di prolungare quanto più possibile la stagione turistica con l'apertura di tanti alberghi di ogni ordine e grado nel prossimo periodo invernale. Da noi arrivano tanti stranieri, soprattutto americani. Non a caso il neo ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, in visita a Sorrento, ha definito oggi la Costiera sorrentino-amalfitana la vetrina dell'Italia nel mondo". 

Ansa


Street art a Gravellona Toce per ricordare il partigiano Antonio Realini

 

 “Non sprecate il mio sacrificio” è il titolo dell’opera di street art firmata da Marco Clerici e inaugurata nell’ambito dell’Ottobre Culturale Gravellonese. Il murales, completato alla fine di luglio, rientra nel progetto nato grazie alla sinergia tra amministrazione comunale ed Enel Energia per riqualificare l’allora anonima cabina elettrica ubicata in via Realini. Lo scopo dell’opera non si limita all’estetica: si è voluto dare un significato alla via che porta, appunto, il nome del giovanissimo partigiano Realini.

«Antonio è stato un partigiano che ha combattuto per la libertà ed è morto per essa – arringa Mattia Nobili, consigliere comunale e presidente Anpi Gravellona Toce -. È stato un percorso abbastanza lungo anche a livello burocratico quello intrapreso per riuscire a realizzare quest’opera di street art, ma questo è solo l’inizio: noi oggi abbiamo fatto da apripista per una successiva realizzazione di diverse opere dedicate alla memoria dei partigiani attraverso la street art. Mi auguro che andremo a realizzare opere simili non solo a Gravellona Toce ma in tutta la provincia».

Presenti all’inaugurazione oltre all’amministrazione comunale anche Mattia Taramino , responsabile di unità territoriale Verbania di Enel distribuzione, Flavio Maglio in rappresentanza dell’Anpi provinciale, e Paolo Cattaneo, presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Novara, che sottolinea l’importanza dell’evento sia per quanto concerne il recupero della cabina Enel, sia per il significato di memoria che il murales vuole esprimere.

sdnovarese.it

La mostra a Milano. Lo "psichiatra" Ernst apre la testa di Narciso

 

Dal momento della scoperta folgorante di De Chirico nel 1919, dall’esperienza Dada e l’applicazione del collage, alla pratica del frottage (passava la matita su un foglio appoggiato su assi di legno la cui venatura era molto evidente o su altre superfici scabre lasciandone emergere figure e forme strane), a quella del grattage (grattava la superficie di quadri dipinti su una tela poi appoggiata su un supporto ligneo scabroso), fino alla serie dei microbi, cioè quadri in miniatura, di pochissimi centimetri: nei Sette microbi visti attraverso un temperamento del 1953 ciò che emerge è la volontà di unire insieme condizioni mentali che precedono la normalizzazione culturale: folli e bambini, per esempio. I microbi mi fanno ricordare alcune piccole opere di Burri, viste qualche mese fa nella mostra allestita dalla sua Fondazione sul tema del nero. Miniature dei quadri maggiori a comporre un “Museo portatile”, che l’artista aveva regalato ogni anno a Natale a James Johnson Sweeney, il direttore del Guggenheim di New York, e che gli eredi del critico americano hanno reso in dono alla Fondazione Burri. Come scrive Martina Mazzotta, che con Jürgen Pech cura la mostra su Max Ernst apertasi qualche giorno fa a Palazzo Reale (fino al 26 febbraio), «in un grande stipo-libreria sono disposte le opere in miniatura, grandi come un’unghia, che a uno sguardo ravvicinato dischiudono arcani e meravigliosi paesaggi-decalcomanie, indicati dall’artista come “batteri” che attivano il funzionamento del cervello, in un fluido gioco tra micro e macrocosmo».

In questa sintesi c’è parecchio, se non proprio tutto, dell’intelligenza “operativa” di Ernst, della sua attitudine di antropologo- scienziato. Ma in questo caso è l’antitesi al metodo operativo dei moderni di cui scriveva Maurice Merleau-Ponty nel suo saggio-testamento – L’occhio e lo spirito – come modus (appunto) operandi tipico del Novecento. Per Ernst operativo vale come ostetrico delle idee profonde, e infatti qualcuno ricorda che inizialmente avrebbe voluto fare lo psichiatra. Prima di entrare nel merito, plaudo alla scelta di proporre a Palazzo Reale per una volta una mostra diversa dal solito. Il solito si riassume nel “taglia copia incolla” come metodo della programmazione di questi spazi, ovvero la scelta di prelevare un nucleo ampio di opere da un museo straniero e trasferirle negli spazi milanesi, una prassi contraria alla logica (ma direi anche all’etica) con cui dovrebbero essere pensate e programmate le mostre, cioè in una logica culturale e non soltanto mercantile, come verifica pubblica di studi, idee e scoperte critiche. Vale a dire, come crescita del sapere collettivo, insomma. La mostra dedicata a Max Ernst non si propone dunque l’obiettivo caro all’“industria culturale”, ma il più utile fine di far capire come funziona la mente di un artista che ha dato forma a un universo parallelo a quello reale, non disdegnando il ricorso all’ispirazione che gli offrivano le forme naturali. In questo, com’è stato ben detto, egli aveva trovato nel tardo medioevo tedesco e nella prima modernità alcune ispirazioni, per esempio le forme “mostruose” che talvolta compaiono in Schongauer e Grünewald.

Nel testo del 1936, intitolato Oltre la pittura, Ernst ripercorre quella sorta di imprinting che fin dagli anni dell’infanzia – era nato nel 1891 a Brühl in Renania – lo spinge a elaborare “ossessioni” (visive, tecniche, materiche, oniriche), che lo porteranno a comporre la sua Storia naturale, titolo di una splendida serie di disegni a frottage, dove – non è strano per un artista di origini tedesche, il retroterra è la foresta. In quel testo Ernst tocca molti punti della sua poetica, e a proposito del frottage ricorda il potere ipnotico (qui penso ai sogni di Desnos) della foresta, evocando quindi la soglia immaginativa che Leonardo descrive quando parla delle associazioni che vengono alla mente osservando le macchie spontanee che si presentano su un muro. Ernst è un visionario? Lo è nella misura in cui immaginazione e alchimia si sostengono vicendevolmente: l’ermetismo concettuale e semantico delle immagini di Ernst nasce da una magia naturalis che, parlando del collage, lo associa alla «collocazione sotto whisky marino. Qualcosa come l’alchimia dell’immagine visiva». Era un riferimento già presente nel motto di una sua personale del 1921 a Parigi: «La messa sotto whisky marino / si fa in cachi e in 5 anatomie / Viva lo sport!». Ermetismo come automatismo delle associazioni: sarà un tema caro al surrealismo, anche nella poesia, ma nel caso di Ernst è l’alchimia il terreno delle sensazioni miste che «la trasfigurazione totale degli esseri e degli oggetti» genera come sinestesia attraverso lo sguardo. È, a suo modo, il cavallo di troia di Narciso che non riconosce se stesso nello specchio ma comincia a elaborare nella propria mente pensieri che lo rendono simile al bambino, un habitus che vorrebbe riscattare l’uomo ma progredisce verso la propria fine (Ernst se ne rende conto con l’esperienza della Grande Guerra).

Sorprende pensare che ogni nuova relazione con le quattro donne con cui ha vissuto comincia nell’istante in cui finisce quella che l’ha preceduta, come se il legame di Ernst con le donne – dalla prima moglie, la storica dell’arte Luise Straus-Ernst, passando dalla pittrice francese Marie-Berthe Aurenche e, durante la Seconda guerra mondiale, dalla collezionista Peggy Guggenheim, fino all’ultima coniuge, l’artista americana Dorothea Tanning – dovesse essere nel segno del continuum e rappresentasse una sorta di dipendenza creativa dal femminile: la necessità di essere capito e al tempo stesso di esibirsi per chi, in modi differenti, aveva il ruolo di musa. La mostra di Milano media fra due esigenze: quella del pubblico generico interessato a conoscere uno dei geni assoluti non soltanto del dadaismo e del surrealismo, ma dell’arte novecentesca (l’unico mi pare che, pur senza diventare un identico mito, sta a fianco a Duchamp per libertà di scelte e profondità d’intuizioni); e l’esigenza di un pubblico più specifico di cultori dell’arte tra le due guerre e del surrealismo in particolare. Per questa ragione, credo, la mostra di Palazzo Reale si propone come una scelta di materiali, spesso inediti, raccolti in vetrine e teche secondo analogie, cronologie, tecniche, sequenze, che accompagnano il visitatore negli spazi allestendo ogni volta vere e proprie stanze tematiche, anche con evocazioni diacroniche. Così ci viene narrata la continuità o la persistenza dei temi e della fertilità immaginativa di Ernst, la sua abilità in varie tecniche, spesso adattate alla ricerca ma anche al suo stato interiore (era intelligente e vitale, tuttavia la sua ironia ha sempre un retrogusto tragico, tra melancolia e senso della sconfitta umana davanti alla storia).

Questa caleidoscopica costruzione umana che si rispecchia nella sua opera, e che è anche il fondamento della sua leggendaria capacità di tenere in pugno la metamorfosi del mondo attraverso il processo “illusionistico”, ha calamitato l’interesse, anche speculativo, di compagni di viaggio come Éluard, Desnos, Aragon e Breton, ma anche di un antropologo-filosofo come Lévi- Strauss, e continua a suscitare nuove attenzioni all’interno di questo nostro tempo che sembra cercare nel mondo onirico e surreale una casa dove l’immaginazione possa esorcizzare il totalitarismo tecnologico che domina le nostre vite. Una considerazione conclusiva sul catalogo, concepito come uno strumento di lavoro e approfondimento che rende fedelmente il metodo per accumulazione e associazione visiva fra i diversi materiali esposti. Organizzato secondo periodi storici come una cronologia commentata (Germania, Francia, America e ritorno in Europa), offre preziose informazioni biografiche assieme a puntuali letture dei curatori e altri testi, tra cui un importante saggio di Rosalind Krauss del 1973, la quale a proposito della Ruota della luce, un gigantesco occhio, si sentì rispondere da Ernst: «È l’occhio dell’artista ». Si tratta, dunque, di un volume necessario, edito da Electa. La stessa casa editrice ripropone a distanza di anni due volumi antologici curati da Paola Dècina Lombardi, una delle maggiori esperte di questa materia, dedicati a La donna, la libertà, l’amore e a Ribellione e immaginazione. Surrealismo 1919-1969. Il fascicolo 42 della rivista “Riga”, infine, aveva anticipato questa mostra di qualche mese dedicando a Ernst alcune centinaia di pagine con saggi classici e nuovi, da cui emergeva la condizione di precursore che egli ebbe nell’indagare l’avvento attuale della post-verità.