Dalla Tricarico del sindaco-poeta nato cent’anni fa alla Aliano di Carlo Levi: in Basilicata l’anima dei luoghi si intreccia profondamente con l’ispirazione

Arcaica ma al passo coi tempi, la silenziosa e timida Basilicata è entrata ormai negli itinerari dei moderni Grand Tour con i Sassi e le chiese di Matera, le spiagge di Maratea, i calanchi di Montalbano Jonico, le piccole Dolomiti della Val Basento, il parco archeologico di Metaponto, il borgo fantasma di Craco. Ma questa terra, che Carlo Levi definì «senza peccato e senza redenzione» e Rocco Scotellaro (di cui si celebra quest’anno il centenario della nascita) paragonò a un «regno quasi incontrastato della più dura fatica contadina», forse proprio per il suo sofferto background si rivela anche “fenomeno letterario”, con un’insospettabile schiera di scrittori, poeti e luoghi d’incanto legati tra loro strettamente da una comune identità. Dall’abbazia Incompiuta di Venosa, città di Orazio, il maestro dell’ars vivendi e dei latinisti, si passa in un balzo di secoli agli angoli più intimi di Matera e della Val d’Agri narrati da Mariolina Venezia nelle storie della stravagante pm Imma Tataranni: la poesia dell’età antica e il romanzo giallo sociale dei giorni nostri si saldano, entrambi corroborati dall’ironia, tanto per sfatare l’idea dei lucani dolenti. D’altra parte, come ricordava il brillantissimo Pasquale Festa Campanile, scrittore e regista di Melfi (città dove tornava spesso da Roma, a passeggiare in corso Ronca Battista e sotto il castello normanno): «commedia e comicità nascono sempre dal dramma».

Colpa, ma anche merito, dunque, di un passato di povertà, desolazioni e tormenti come quelli raccontati nel romanzo incompiuto L’uva puttanella e in tutta l’opera di Scotellaro, il sindaco ragazzo (fu eletto per la prima volta a 23 anni), poeta e lavoratore della vigna, simbolo dei miserrimi di quella terra un tempo isolata dal mondo. Nacque il 19 aprile 1923 a Tricarico, «dove le ultime propaggini delle montagne sono state raschiate dai boschi e si affacciano nude e gialle sulla nuda e gialla piana collinare di Matera». Nelle campagne intorno alla città arabo-normanna, nelle dure battaglie a difesa dei contadini e nel carcere che patì ingiustamente, si consumò il dramma di quel giovane socialista, rosso di capelli, che parla in mezzo alla sua gente, ai cafoni e ai vecchi intabarrati radunati in piazza, così come viene ritratto in Lucania ’61, l’enorme telero di Carlo Levi che si può ammirare nel Museo nazionale d’arte medievale e moderna a palazzo Lanfranchi di Matera. Sul romanzo capolavoro del torinese, Cristo si è fermato a Eboli, l’amico Rocco scrisse che è «il più appassionato e crudo memoriale dei nostri paesi». «Ci sono nel libro parole e fatti da fare schiattare le molli pance dei signori del sonno, meccanicamente, per la forza della verità – scrive Scotellaro ne L’uva puttanella –, ci sono morti e lamenti da fare impallidire i santi martiri». Ma non risparmia critiche al pessimismo del maestro: «Il mondo meridionale di Levi è come serrato nel dolore e negli usi, negato alla storia e allo Stato, eternamente paziente… il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, alla presenza della morte». Manca, nel Cristo, la speranza del socialismo, o di una fede anche laica che possa riscattare gli ultimi e i reietti dalla loro condizione disumana.

Ad Aliano, il posto del confino di Levi, adagiato in cima a una piramide tronca di pietra e calcare, sembra che nelle piccole «case con gli occhi» costruite con sembianze di mostri per spaventare il malocchio e la sfortuna, abitino ancora i personaggi del romanzo: la vedova, don Trajello, la levatrice, il sarto Pizzilli, l’ammazzacapre, donna Caterina. Accanto a loro lo scrittore ha deciso di farsi seppellire, «sul poggio dal quale si guardano i calanchi i tetti gli olivi, svettanti di qua e di là dalle cime del Pollino », scrive Raffaele Nigro, melfitano, autore de I fuochi del Basento vincitore nel 1987 del Campiello, che racconta le storie di una famiglia di braccianti del Vulture nella seconda metà dell’Ottocento. Ma c’è anche la Basilicata più intima del poeta Albino Pierro, nato nella Rabatana di Tursi, quel paese che gli dava «il respiro del cielo» e che dovette abbandonare per andare a insegnare a Roma. Le sue liriche, scritte nel dialetto tursitano attraverso un sistema fonetico- grafico da lui stesso inventato, sono state tradotte in nove lingue, tra cui il persiano e l’arabo. Il Nobel gli sfuggì per tre volte solo perché, dicono, fu osteggiato da colleghi più smaliziati, ma alla fine anch’essi perdenti.

E se la poesia è lo svelamento dei segreti più profondi di sé e del proprio mondo, l’essere basilisco sembra un privilegio tanti sono i poeti che la regione ha generato. Ricordiamo tra tutti Leonardo Sinisgalli (1908-1981), nato a Montemurro, critico e saggista, detto “il poeta ingegnere” e il giornalista Mario Trufelli, di Tricarico, che con la raccolta Prova d’addio si aggiudicò nel 1992 il Premio Flaiano. E come dimenticare Isabella Morra di Valsinni? Un’eroina del ’500, poetessa che anticipò i temi di Leopardi, considerata una seguace di Petrarca e Bembo: fu rinchiusa adolescente nel castello di Favale dai fratelli per gelosia e uccisa a 25 anni dagli stessi per una relazione epistolare clandestina con un barone spagnolo di Nova Siri, che fece la stessa fine. Scrissi con stile amaro, aspro e dolente è il titolo di uno dei suoi dieci sonetti, di marca tutta lucana come le tre toccanti canzoni.

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“The Hungriest Eye. The Blossoming of Potential” è il primo progetto dell'Art Studio della Casa di The Human Safety Net. Rielabora graficamente coi raggi laser la personalità dei visitatori a Venezia

Si intitola “The Hungriest Eye. The Blossoming of Potential” la nuova opera dell'artista americano Arthur Duff che da domani al 10 marzo 2024 accoglierà i visitatori dell’Art Studio, lo spazio dove l’arte dialoga con il sociale, nella Casa di The Human Safety Net alle Procuratie Vecchie di Piazza San Marco.

Curata da Luca Massimo Barbero, che con questa installazione inaugura il suo progetto di curatela biennale dell’Art Studio, l'opera di Duff integra e completa il percorso della mostra permanente e interattiva “A World of Potential”, espressione della missione e dei programmi della fondazione The Human Safety Net. L’opera di Arthur Duff intende rendere visibili i punti di forza di ciascuno grazie all’utilizzo di un sistema laser che crea forme uniche in un caleidoscopio di luci. L’ispirazione nasce dalle xilografie giapponesi ottocentesche raffiguranti i fuochi d’artificio, emblema di un ideale di bellezza effimera e transitoria, pensati per sbalordire e sorprendere l’occhio di chi guarda. Un occhio "affamato" – da qui il titolo dell’opera - che ambisce non solo ad essere il punto di passaggio di uno stimolo percettivo, ma vuole essere partecipe dell’elaborazione dell’esperienza.

“The Hungriest Eye” è un’esperienza al tempo stesso individuale e collettiva. La composizione laser della rappresentazione dei punti di forza richiede infatti circa due minuti, ma dopo trenta secondi può lasciare spazio alla composizione di una nuova immagine al sopraggiungere di un altro visitatore. Chi entra nell’Art Studio è così chiamato inconsapevolmente a sperimentare dinamiche interattive con gli altri: la condivisione di uno spazio e di una esperienza, la libertà di esprimersi nell’interazione con gli altri.

L’apertura di “The Hungriest Eye” è l’occasione per celebrare il primo anno della Casa di The Human Safety Net presso le Procuratie Vecchie, restaurate grazie ad un progetto rispettoso e innovativo firmato da David Chipperfield Architects Milan: "Uno spazio aperto al dialogo e al confronto, anche attraverso il linguaggio privilegiato dell’arte, con l’obiettivo di generare innovazione sociale con un impatto positivo sulla comunità" ha osservato Gabriele Galateri di Genola, Presidente della Fondazione The Human Safety Net: “Mai come in una fase storica come questa, caratterizzata dall’incertezza e dal cambiamento, la missione della fondazione può incidere sul welfare delle persone. Dalla sua istituzione nel 2017 a fine 2022, la Fondazione The Human Safety Net ha raggiunto più di 210mila persone, tra genitori, bambini e rifugiati, collaborando con 77 Ong partner in 24 Paesi in cui il Gruppo opera”.

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Fino al 29 aprile lo Spazio Pime di Milano ospita una esposizione dedicata alle opere dei maestri italiani e stranieri che hanno illustrato la vicenda e la figura di San Francesco

Francesco d’Assisi? Lo hanno fatto a strisce. E non c’è santo che abbia avuto lo stesso trattamento. «Sì, il Poverello d’Assisi è senza dubbio il santo più rappresentato a fumetti, e ha saputo attirare un’attenzione trasversale, dunque non solo da parte di autori ed editori di ispirazione cristiana. Certo, c’è chi ha saputo essere più fedele alla sua figura, al suo carisma, alle fonti, alla storia, c’è chi ha “romanzato” di più, chi ha toccato vertici d’arte, chi è rimasto più sul “didascalico” e chi è andato addirittura fuori dal seminato. Ma tutti, per vie diverse, confermano quanto sia profonda la traccia lasciata da san Francesco nella cultura popolare». Parola di Paolo Guiducci, caporedattore della rivista Il Ponte e direttore della rivista Fumo di China. Da anni direttore organizzativo del festival Cartoon Club di Rimini, è autore di saggi dedicati al mondo del fumetto e organizzatore di mostre. E ora figura – con padre Stefano Gorla, barnabita – come curatore della mostra “Nostro Fratello d’Assisi - Storia di una esperienza di Dio. San Francesco a fumetti”, ospitata fino al 29 aprile allo “Spazio esposizioni temporanee” del Pime, in viale Monterosa 81, a Milano.

L’esposizione è a ingresso libero ed è aperta tutti i giorni (tranne le domeniche e il 25 aprile) dalle 9 alle 18,30. Cosa vi si offre? Un percorso per immagini che allinea pannelli illustrati e albi originali restituendo un viaggio affascinante fra grandi autori italiani come Dino Battaglia e maestri stranieri – come, presenza sorprendente, il John Buscema colonna della Marvel con le sue interpretazioni di super eroi come l’Uomo Ragno, Silver Surfer, Conan il Barbaro, Thor e i Fantastici Quattro.

Ecco: ci sono tanti modi per fare “a strisce” Francesco. «Quelli di Dino Battaglia e di Luca Salvagno sono due “pilastri” per come hanno saputo coniugare qualità artistica e fedeltà alla storia restituendo i tratti veramente cristiani del Poverello», spiega Guiducci illustrando i materiali in mostra. «Battaglia, con la sua opera di altissimo livello, ha lavorato sui “Fioretti” del santo usciti sul Messaggero dei Ragazzi nel 1974 e poi raccolti in un volume pubblicato anche all’estero. Il suo è un Francesco a 360 gradi come quello di Salvagno: anche il suo lavoro, pubblicato sul Messaggero dei Ragazzi nel 2000 e poi in volume, è in bianco e nero. E invece delle tradizionali “strisce” ha costruito grandi tavole orizzontali su due pagine, concepite come affreschi dentro i quali si muovono i personaggi e la storia».

“Francis Brother of the Universe” s’intitola il Poverello “secondo Buscema”, «pubblicato dalla Marvel nel 1980 e arrivato in Italia con scarso successo solo pochi anni fa – riprende il curatore –. Qui abbiamo lo stile classico del Buscema dei super eroi e anche Francesco appare come una persona, a suo modo, con super poteri. Fra parentesi: la Marvel ha pubblicato anche versioni a fumetti di figure della Chiesa come Giovanni Paolo II e Madre Teresa». Operazione analoga, con altro stile ed esiti, l’ha fatta la francese Bayard Jeunesse «con la collana Les Chercheurs de Dieu che ha dedicato albi a figure anche del nostro tempo come l’Abbé Pierre, dom Helder Camara e Teresa di Calcutta. Non poteva mancare Francesco, narrato con taglio asciutto e con grande attenzione agli anni giovanili. Il volume finisce con il santo debole, malato, che saluta i suoi frati cantando».

Tornando agli autori italiani: «Ci sono fumetti storici come “Rose fra le torri” (1946) e “la leggenda della pietra bianca” (1963) disegnati da un altro grande maestro, Franco Caprioli – dove Francesco è collocato dentro una vicenda romanzata. E ci sono esperienze recenti molto interessanti: come il Francesco di Maurilio Tavormina uscito a puntate sul Messaggero dei Ragazzi nel 2015. Qui Francesco si vede solo alla fine, e tutta la storia è raccontata dal punto di vista di un suo nipote, Piccardo, che con i suoi amici si mette alla ricerca del Poverello, tutti affascinati dal carisma del santo. E c’è “La conversione di san Francesco” della giovane toscana Astrid Lucchesi, lavoro recentissimo, del 2018, dove si passa dalle prime tavole molto cupe alle successive, sempre più dominate dalla luce».

La mostra fa spazio anche all’irriverente Altan «col suo Francesco improbabile e cinico ribattezzato Franz, che decide di farsi santo per ripicca verso il padre padrone e prepotente. Ma qui siamo nel campo della satira», annota Guiducci. E santa Chiara? «Ahimé, ha poco spazio, quando va bene la sua figura e la sua vicenda sono risolte in due o tre pagine». Potevano mancare i frati? No: «E uno degli albi più popolari di sempre, Tex, ne mette tanti, fin dal numero 15 della collana. E c’è una storia, “I cospiratori”, nella quale Tex e Kit Carson si travestono proprio da frati». Insomma: quando c’è di mezzo il “Padre Serafico”, si può anche scherzare con i santi. E farli a strisce. Purché a fin di bene.

Lunedì 17 aprile lincontro con i curatori Gorla e Guiducci

Lunedì 17 aprile alle 18,30 nello “Spazio esposizioni temporanee” del Pime di Milano (viale Monterosa 81) si terrà un incontro con padre Stefano Gorla e Paolo Guiducci, i curatori della mostra “Nostro Fratelli d’Assisi - Storia di una esperienza di Dio. San Francesco a fumetti”, ospitata nella stessa sede fino al 29 aprile. Padre Gorla, barnabita, già direttore del settimanale “Il Giornalino”, si occupa di fumetti, cinema d’animazione, e critica dei media e linguaggi giovanili. Guiducci è direttore della rivista “Fumo di China” e direttore organizzativo del festial “Cartoon Club” di Rimini.

Tempo di “Centenari Francescani in Lombardia”

La mostra “Nostro Fratello d’Assisi” è uno degli eventi del progetto “Francesco 2023-2026. Centenari Francescani in Lombardia” promosso dalla Fondazione Terra Santa col sostegno di Fondazione Cariplo. Un percorso triennale e una trama di iniziative per celebrare e attualizzare gli 800 anni dell’approvazione della Regola Bollata e del presepe di Greccio (1223), dell’evento delle stimmate (1224), della stesura del Cantico delle Creature (terminata nel 1225) e della morte di Francesco (3 ottobre 1226). Evento d’apertura del percorso, la mostra “Si è fatto nostra via: la Regola e la vita”, al Museo dei Cappuccini di Milano (via Kramer 5) fino al 17 giugno.

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Ammirare un tramonto riduce lo stress

AGI - Non c’è nulla quanto un’alba o un tramonto in grado di offrire suggestioni assolute e inchiodare una persona nella contemplazione. Ora una ricerca ci dice che “i tramonti sono tra i più bei fenomeni meteorologici passeggeri che si verificano durante una giornata” e che “le persone trovano albe e tramonti il ​​momento più bello e potente del giorno”. Lo scrive il Washington Post.

Tuttavia, la stessa ricerca sostiene anche che se “un cielo azzurro e limpido può migliorare lo stato mentale” di sicuro “guardare un tramonto o un'alba può offrire un’emozione in più”. Inclusu i ritratti d’un quadro o le immagini in bella mostra sui nostri salvaschermi tecnologici. “Lo stupore è in genere un sentimento difficile da evocare”, ha affermato l'autore principale dello studio, Alex Smalley, dottorando all'Università di Exeter in Inghilterra. Tuttavia “i sentimenti di stupore possono anche migliorare l'umore, aumentare le emozioni positive e diminuire lo stress”, chiosa il Post.

Sottolinea però Smalley: “Quando vediamo qualcosa di così profondo e travolgente che inchioda, i problemi sembra possano svanire o comunque ridursi nella loro proporzione, quindi alla fine non ci si preoccupa poi più di tanto". Albe e tramonti danno sollievo, insomma.

Tuttavia non tutti i giorni offrono questi spettacoli. Allora, qual è il periodo migliore dell'anno per vedere un tramonto? Cosa rende un'alba e un tramonto così vividi? E possiamo prevederli?, si chiede il quotidiano della capitale americana. Per esempio, cosa succede nell’atmosfera quando il sole sorge o tramonta? La risposta è che la luce solare “segue un percorso breve e abbastanza diretto attraverso l'atmosfera fino al suolo” ma “la sua posizione si sposta tangenzialmente al suolo e il percorso dal sole a terra s’allunga” ed è qui che “entrano in gioco le varie sfumature di colore”, analizza il Post, come si trattasse d’un filtro che si applica alla macchina fotografica.

Qual è la stagione migliore per i tramonti? Secondo il giornale, “l'estate è un tempo critico per vedere i tramonti” perché c'è un aumento dell'inquinamento atmosferico a causa dei frequenti incendi. Il risultato è che le particelle che si disperdono nell’aria “agiscono fondamentalmente come tanti mini specchi, riflettendo la luce al sole oppure decisamente bloccandola” mentre “il momento migliore è durante il tardo autunno e l'inverno” quando l'aria è più pulita, tersa nelle giornate fredde e ventose. Ma anche le nuvole possono contribuire a migliorarne l’effetto, “riflettendo ulteriormente la luce solare sul terreno”.

E se si perdono i tramonti insieme alle albe, cosa succede? Non è facile cogliere l’attimo giusto. Anche perché si tratta di momenti “molto effimeri”, tant’è che pure quando si osservano le loro sfumature cambiano nel corso dei minuti se non dei secondi. Quindi prevedere un tramonto da brividi e irripetibile non è né facile né programmabile. Bisogna saper cogliere l’attimo…, quello giusto.