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Da Genova all'Irlanda, 10 canzoni per 10 viaggi

GENOVA - Da Genova all'Irlanda, ecco 10 canzoni italiane che celebrano 10 luoghi in Italia e nel mondo.
Ragazzo della via Gluck
E’ una vera denuncia ambientalista quella che caratterizza la ballata folk, scritta e interpretata da Adriano Celentano al festival di Sanremo del 1966. Via Gluck, oggi vicino alla stazione centrale di Milano, era la strada dove Celentano viveva con la sua famiglia; nel testo emerge un rimpianto nostalgico di un mondo perduto, quello della sua infanzia e adolescenza, quando la via era ancora poco urbanizzata. Là dove c'era l'erba ora c'è una città e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà.
Via del Campo
Scritta e interpretata da Fabrizio De Andrè nel 1967, la canzone è un omaggio poetico a Genova, città natale del cantautore. Via del Campo è una strada lastricata del centro storico del capoluogo ligure che si perde tra i carruggi del cuore antico della città. Ai tempi in cui fu scritta era una tra le vie più povere e degradate di Genova, dove vivevano i ceti sociali più bassi e le prostitute C'è una graziosa gli occhi grandi color di foglia tutta notte sta sulla soglia vende a tutti la stessa rosa. La musica del brano venne scritta da altri due mostri sacri, Enzo Jannacci e il premio Nobel Dario Fo.
Messico e nuvole
Scritta dal paroliere Vito Pallavicini con Michele Virano e Paolo Conte, la canzone Messico e nuvole è stata interpretata da vari artisti, in particolare da Enzo Jannacci nel 1970, da Paolo Conte nel 1989 e da Fiorella Mannoia nel 2004, che l’hanno riproposta sempre con grande fortuna e successo. Il brano parla di un amore verso una donna che vive in Messico, un amore di contrabbando. L’uomo osserva con malinconia il cielo, pensando al suono di un’armonica e alla donna che vive la faccia triste dell’America.
Roma capoccia
E’ una dichiarazione d’amore di Antonello Venditti a Roma, la città natale, che l’autore descrive nel vecchio e nel nuovo, nel sacro e nel profano, con guizzanti immagini di vita vissuta dei quartieri. Il brano, scritto nel 1972 con il collega Francesco De Gregori per la trasmissione radiofonica Supersonic, regalò subito una grande notorietà al cantautore romano; tuttora la canzone rappresenta, come poche nella storia della discografia italiana, il profondo rapporto emotivo tra Roma e i suoi abitanti.
Napul’è
Scritta da Pino Daniele nel 1977, la canzone è un intimo e sofferto inno d’amore per la propria città, di cui il cantautore napoletano coglie bellezza e contraddizioni, indifferenza e profondità. Il brano ottenne subito un grande successo, testimoniato dal fatto che venne più volte riproposto dallo stesso autore e da altri artisti: toccanti sono le cover di Mina, Gino Paoli e Laura Pausini. Dal 2015, anno della scomparsa del grande cantante e musicista Pino Daniele, inoltre, il brano è diventato l’inno ufficiale della squadra di calcio del Napoli.
California
Scritta da Gianna Nannini nel 1979 con Roberto Vecchioni nell’album America, il brano California segna la notorietà internazionale della cantante senese. E’ una ballata folk dedicata a un Paese che per tante generazioni ha sempre rappresentato il sogno di libertà. Era California, era via di là verso cosa non sapevo ma lo respiravo… Siamo noi la California, siamo noi la libertà.
Firenze
Scritta nel 1980 da Ivan Graziani, personaggio originale e schivo della musica italiana, la canzone Firenze racconta una storia d’amore sfortunata di tre personaggi che vivono per ragioni di studio in una città non loro. La ballata è un dialogo tra il protagonista narrante e Barbarossa, studente irlandese di filosofia, rimasti senza la donna che si contendono; titolo del brano, infatti, è Canzone triste. Testimoni della storia sono l’Arno e Ponte Vecchio.
Il cielo d’Irlanda
Interpretato da Fiorella Mannoia nel 1992, il brano composto da Massimo Bubola è un grande omaggio all’Irlanda e al suo aspetto più caratteristico, il cielo. Dal Donegal alle isole Aran e da Dublino fino al Connemara dovunque tu stia viaggiando con zingari o re, il cielo d'Irlanda si muove con te, il cielo d'Irlanda è dentro di te. E’ una ballata che racconta la bellezza dell’isola verde, della sua luce e della sua potenza paesaggistica.
Primavera a Sarajevo
Presentato al Festival di Sanremo del 2002 da Enrico Ruggeri, Primavera a Sarajevo è un brano folk balcanico, scritto con la moglie Andrea Mirò, che racconta una storia d’amore ambientata nella città bosniaca, devastata dalla guerra degli anni Novanta. E’ un messaggio di speranza, di primavera appunto, tra i tormenti della città. C’è ancora sole a primavera, ti porto sopra la collina e tu verrai. Sopra Dobrinja, dopo Nedzarici, ci sono fiori dedicati a noi.
Vieni a ballare in Puglia
Pubblicato nel 2008 dal rapper Caparezza, il brano è stato un vero tormentone per molte estati; in realtà dietro l’apparente positività dell’invito al ballo, è una denuncia di alcuni temi scottanti, come le morti bianche sul lavoro, avvenute nella città di Molfetta, l’inquinamento ambientale che affligge Taranto e lo sfruttamento degli extracomunitari nei campi della Puglia. Famoso è anche il video, girato tra Egnazia, Fasano e Alberobello.
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Teatro. Siracusa, tragedie al tempo di oggi


«Quando si sta seduti fra queste pietre, anche se non c'è nulla sul palcoscenico senti forte la sensazione di trovarti davanti a uno spazio straordinario, unico, dove si misura l'essenziale, che ti consente ogni volta di confrontarti con una idea del teatro nel senso più grande. I greci si sono inventati un dispositivo per mettere in contatto se stessi e la città con gli dei, intrecciare la politica e i contatti umani. Uno stile ancora cardine nell'Occidente». Roberto Andò, regista trasversale, capace di spaziare dalla prosa al cinema fino alla lirica, è il direttore artistico della Fondazione Inda, l'Istituto nazionale del dramma antico promotore a Siracusa dello storico ciclo di spettacoli classici che lo scorso anno ha portato nella cavea del teatro greco quasi 120mila spettatori: quello che inizia oggi (il 53°) vede la "trilogia" Sette contro Tebe di Eschilo, Fenicie di Euripide e Ranedi Aristofane. Un ritorno a Siracusa per il regista palermitano che aveva diretto anni addietro l'Ortigia Festival. E proprio all'idea del festival guarda Andò anche per gli spettacoli dell'Inda: «La scommessa è far diventare questo ciclo di rappresentazioni un vero festival, per uscire dall'approccio più "museografico" del secolo scorso, e pensarlo come un palcoscenico che accolga lo sguardo della scena contemporanea sul mito e sul classico, un luogo in cui ci si ritrovi intorno a storie precise, dei tragici o della commedia, ma con la temperatura di oggi».

Serve un modo nuovo di animare la tradizione?
«La tradizione di cui spesso si parla è un'invenzione. Poi la tradizione si adatta a un tempo. Quello che non deve esserci è il "custode" della tradizione, che poi in realtà la fa morire. Il teatro permette di verificare ogni volta l'autorevolezza dell'umano: i classici si adattano in maniera speciale a questo. Allora il teatro greco di Siracusa può essere un cantiere con l'obiettivo di mostrare i linguaggi e le forme attraverso cui i registi di talento perpetuano e vivificano la tradizione e quella drammaturgia, e da cui nascano spettacoli in grado di far risuonare ancora più urgenti e vicine a noi le tante domande essenziali sul vivere, sull'amare, sul lottare, sul morire, consegnateci dai tragici».

Cosa raccontano Sette a Tebe Fenicie all'uomo di oggi?
«Sono due modi diversi di raccontare la stessa vicenda: i fatti cruciali coinvolgono i fratelli Eteocle e Polinice, figli di Edipo, e culminano nella loro reciproca uccisione. È una guerra fratricida, una lotta per il potere. Sullo sfondo c'è Tebe, una città assediata e contesa, che, interrogandosi sul proprio destino, si fa emblema di una strenua difesa della democrazia, un tema che oggi sembra riguardarci più che mai».

Due tragedie, e una commedia, le Rane: testo che critica la politica e la gestione del potere nella grande crisi di Atene del 405 a.C.. L'ultima volta che è stata messa in scena a Siracusa, nel 2002, il regista era Luca Ronconi. Con non poche polemiche per i cartelloni con le caricature dei governanti di allora, Berlusconi, Bossi e Fini... 
«Mi chiamò quasi spaventato... "Che faccio adesso?". Scelse di toglierli, ma era solo una chiave per indicare il potere, in quel momento. In realtà lui non era mai stato uno che soffiava sul fuoco dell'attualità e della politica. Si muoveva su rotte diverse. Era piuttosto alieno. Se lo fece è perché lo aveva sentito in quel testo, e c'era la necessità di farlo. Con le Rane Aristofane sfruculiava il potere. Persi i connotati della Atene di allora, il regista deve proporre un registro che aiuti lo spettatore a decifrare quelle parole. A partire dai testi. Senza forzature».

E quale sarà il registro di Giorgio Barberio Corsetti con Ficarra e Picone nei panni di Xantia e Dioniso, reduci dal film "politico" L'ora legale?
«Gli spettacoli vanno visti. Siamo ancora alle prime scene (il debutto sarà il 29 giugno, ndr). Il regista ha la possibilità di giocare con la forza comunicativa di due comici irresistibili. È un testo in cui il teatro fa uno sberleffo al potere. Dopo i due testi tragici che raccontano la lotta per il potere di due fratelli, secondo le visioni di Eschilo ed Euripide, ecco chiudere con l'esilarante contesa su chi è il miglior tragediografo fra i due, con l'opportunità di assistere a una disamina critica degli esiti morali e ideologici di quella stessa poetica. La tragedia come la politica. Lo spettatore può qui chiudere il cerchio».

E quando un comico conquista il potere?
«Ci sono comici involontari che lo conquistano. I veri comici stanno lontani dal potere. Il comico francese Colushe c'ha provato per dimostrare l'incapacità dei politici francesi, raccolse molte simpatie, ma fu poi osteggiato e non c'è riuscito...».

Sono temi che lei affronta nei suoi ultimi scritti e film. Il libro Il trono è vuoto, le pellicole con Toni Servillo protagonista di Viva la libertà e Le confessioni: qui abbiamo il monaco Roberto Salus al G8...Il silenzio che spiazza i potenti. C'è molto del suo lavoro in queste tragedie?
«Riprendendo una battuta di Bertrand Russell – "Tutta la filosofia occidentale è una postilla a Platone" – possiamo dire che "tutta la nostra immaginazione è una postilla alle tragedie". Qui troviamo tutto. Di teatrale nelle Confessioni c'è l'idea che un gruppo di potenti si riunisca in un luogo chiuso a ragionare con un uomo che li sorprende. Muto, in un silenzio devozionale. Un linguaggio che li mette all'angolo. Mette il potere di fronte a domande che stanno in un cielo più alto di quello che hanno costruito. La loro economia diventata teologia viene spiazzata. E vengono sconvolti dalla paura di non avere più il pallino del potere in mano».

In tutto questo c'è qualcosa di Sciascia, a cui lei è stato profondamente legato.
«Nelle Confessioni, anche senza rendermene conto sono finito per rimandare col pensiero a Todo modo. Sciascia è una voce unica nella capacità di declinare i temi politici attraverso la forma del giallo. Si sente il respiro di una coscienza inquieta. Innamorato della verità. Con un grande sentimento di pietà. Prendiamo L'affaire Moro: Sciascia ritiene di restituire autenticità a Moro e di credere alla sua verità, quella che non riconoscono i suoi amici, perché ritenuto non credibile, sotto scacco. Sciascia mostra la pietà. Per gran parte della mia vita ho pensato durante le grandi fasi dei rivolgimenti civili, che non ci fosse la necessità della pietà. Oggi rivendico questo sentimento come possibile. Un'eredità di speranza. Nelle Confessioni ho accettato il rischio di una ipotesi di bene».

E nelle tragedie?
«Ci sono il terrore, il dramma, la paura, ma poi c'è proprio la pietà. Nelle due vicende si insinua il personaggio di Antigone a cui è delegata la possibilità di una via di uscita, della speranza e della pietà. Le tragedie lasciano questo sentimento. È la pietà che spinge alla catarsi. Ed è la pietà che il pubblico cerca. L'interamente umano di fronte a storie e vicende che hanno qualcosa di disumano. Ieri come oggi».

Avvenire

Venezia. Alla Biennale l'arte diventa neohippie

È un augurio, quasi un brindisi il titolo della Biennale 57 che si sta inaugurando in questi giorni a Venezia: Viva arte viva. Una Biennale che dunque vuole presentarsi diversamente dalle precedenti, nelle quali l’idea era mostrare l’attitudine dell’arte a creare mondi o immaginarne i futuri. Questa modellata dalla francese Christine Macel, dal 2000 curatore capo del Centre Pompidou di Parigi, si concentra, almeno a parole, sulla celebrazione della vitalità dell’arte, un inno alla sua capacità di essere, spiega la curatrice, «movimento di estroversione, dall’io verso l’altro, verso lo spazio comune e le dimensioni meno definibili ». Si propone quindi una visione cosmica del ruolo dell’arte nella società, un ruolo più vicino a quello ancestrale. È come se Macel volesse ricordare che l’artista, più che essere un operatore sociale, ha un compito profetico, sapienziale, maieutico, in un’ottica di rifondazione dell’umanesimo. Alla prova dei fatti, però, si rivela non lontana dalla precedente, solo con uno scarto di campo elettivo, ma comunque in qualche modo nostalgica. Tutte le scelte della linea di Macel si radicano sistematicamente nel decennio che corre dal 1967 al 1977, individuandovi temi (l’ambiente, la collettività, il femminismo) e pratica (soprattutto la performance). Questo gettare una luce a che arriva da mezzo secolo fa fatica però a riconoscere che fenomeni apparentemente simili vivono e danno luogo a dinamiche e problematiche differenti. E il rischio del déjà vu – estetico e ideologico – è ricorrente. Il difetto nel manico non è diverso da quello della Biennale 2015 di Okwui Enwezor, dalla quale sembra a parole staccarsi: quanto quella era “neomarxi-sta”, tanto questa è “neohippie”. Ne è sintomatico il modo con cui è sottolineata la centralità del tema del sacro, sistematicamente separato dalla religio. È il sacro degli elementi, considerato come collante comunitario – ma più spesso è una spiritualità dai contorni incerti; condiscendente con la tradizione buddhista e sufi è, a volte, feroce con quella cristiana. Nella mostra di Macel sembra però aleggiare Les Magiciens de la Terre,andata in scena nel 1989 al Pompidou. Viva arte viva sembra quasi esserne una risposta e insieme il tentativo di rileggerne i paradigmi. Abbondano gli artisti provenienti da Sud America, Africa, Asia. Persino l’alto numero di artisti dall’Est europeo sembra indicare la preferenza per uno sguardo periferico, mentre in molti casi la scelta della Macel cade su artisti che interpretano l’arte come un rituale in grado di “fare” comunità attraverso la partecipazione. E così in apertura all’Arsenale alcuni video con riti di indio amazzonici sono accostati a strutture cubiche minimaliste di Rasheed Araeen (uno dei principali contestatori di Les magiciens de la Terre), messi a disposizione dall’artista perché gli spettatori li ricompongano a loro piacimento per creare forme nuove. L’arte come rito laico.
Per dare coerenza alla sua idea Macel costruisce la sua Biennale come un percorso iniziatico in nove tappe che dal Padiglione dei libri e degli artisti, esaltazione dell’arte come otium rispetto al ne-È gotium, passa per quello della Gioia e delle Paure (la necessità di recuperare alla ragione l’importanza delle emozioni) quindi per quelli dello Spazio Comune, della Terra, delle Tradizioni, degli Sciamani, del Dionisiaco, del Colore e infine del Tempo e dell’Infinito. Un percorso che si avvia ai Giardini. L’inizio è in medias res con l’artista americana Dawn Kasper che ha trasferito il proprio studio armi e bagagli nella Sala Chini (ma la fusione arte-vita a distanza di decenni rischia il cliché) mentre subito dopo Olafur Eliasson propone un workshop per la costruzione di lampade modulari. Seguono molte cose già viste (artisti che riciclano, artisti che accumulano, artisti che dipingono copertine di libri...) e insieme delle belle sale personali che valorizzano il medium pittorico, tra recuperi importanti (John Latham), conferme (l’omaggio a Raymond Hains, Kiki Smith) e personalità interessanti ma poco note come l’americano McArthur Binion, il siriano Marwan, le tavole anatomiche del praghese Luboš Plný. All’Arsenale regnano le installazioni. Uno degli elementi che attraversa questi padiglioni è la metafora del cucire e del tessere. Come nei lavori di Maria Lai, che appaiono insuperati nell’individuare poeticamente nei legami la trama di un terreno comune. È storico anche A stitch in time (1968) del filippino David Medalla che invita il pubblico a intervenire su un grande telo condividendo l’atto creativo del ricamo. Appare così una variazione sul tema la performance di Lee Mingwei in cui l’atto di rammendare un vestito portato dal pubblico diventa spunto per “cucire” rapporti personali. Il Padiglione della Terra oscilla tra ambientalismo, ecologismo esoterico, apocalisse. Se c’è uno scarto tra i decenni è che i timori un tempo erano legati alla deflagrazione istantanea di una crisi atomica mentre oggi c’è la coscienza del rischio di una lenta agonia (come le “torri” di sale e litio di Julian Charrière) dovuta al consumo del pianeta. Tra gli apici della mostra, i disegni dell’artista inuit Kananginak Pootoogook che, con un approccio che ricorda il naif del doganiere Rousseau, documenta in modo fedele e allo stesso tempo poetico e ironico una civiltà a rischio ambientale e culturale. Tessuti e tessitura riemergono, non senza il rischio del decorativo, nel padiglione delle Tradizioni, anche se qui l’opera più interessante è l’installazione dell’albanese Anri Sala che combina gli stessi segni su un walldrawing e su un tamburo di carillon, così che la musica è la precisa traduzione sonora dell’elemento grafico e viceversa. C’è confusione anche nel padiglione degli Sciamani (che chiama Beuys a nume tutelare), tra totem decorativi, residui surrealisti e artisti che evocano spiriti di uccelli estinti. Molto bello però il video Un hombre que camina del cileno Enrique Ramirez, girato nel deserto di sale di Uyuni in Bolivia, sul senso di passaggio proprio dello sciamanesimo, sottolineando però la fusione di culti e di tradizioni in una nuova forma complessa di cultura. Il padiglione Dionisiaco è una celebrazione della sessualità femminile (completata dal Leone d’Oro alla carriera alla performer Carolee Schneemann) che si diffonde «nella musica, nella danza nel canto e della trance attraverso cui accedere a nuovi stati di coscienza».
Dopo avere lavorato sul corpo, Christine Macel sembra dimenticarlo nel salto al penultimo padiglione, dedicato ai Colori. Anche qui sono molti i déjà vu. Si staccano l’opera di Karla Black, un’ascensione leggera di fogli di carta, e soprattutto Venice Stream di Takesada Matsutani, ottantenne maestro del Gutai. Un lavoro monumentale, tra i pochi veri capolavori in mostra, realizzato a grafite su una tela lunga 16 metri trasformata del-l’artista in una specie di lastra di metallo. Da una sacca gocciolano inchiostro e acqua che colorano lentissimamente una sfera di legno e una tela bianca. Questo respiro tra immobilità e cambiamento apre nelle intenzione di Macel il capitolo finale, Tempo e Infinito. La curatrice cerca l’approccio metafisico dell’arte contemporanea, ma in una spiritualità immanente come quella indagata fino a ora il mistero latita o al massimo si trasforma in un limbo senza scampo ( Pasajes IV di Sebastián Diaz Morale). Almeno due opere, però, lo raggiungono. One thousand and one night di Edith Dekyndt, che sovrappone un rettangolo di luce, in costante lento movimento, e un uno di sabbia bianchissima, che necessita di essere ciclicamente adeguato nella forma. Il secondo, che chiude con un balzo in alto la Biennale, un po’ defilato in un deposito nel Giardino delle Vergini, è Clock Work di Attila Csörgö. Un gioco di ombre e di riflessi, un meccanismo artigianale, e un orologio si mette a disegnare il tempo dell’infinito. 
avvenire

A Cinecittà World. In scena la sfida tra una Ferrari e la biga di Ben Hur


Per la prima volta una Ferrari sfiderà una biga romana trainata da due cavalli. L'appuntamento con la strana corsa è per giovedì 11 a Cinecittà World, a Castel Romano, e più precisamente nella ricostruzione del Circo di Massenzio dove è stata girata la scena della corsa delle bighe nel remake del film "Ben Hur" del 2016, con Jack Huston e Morgan Freeman. Una Ferrari 458 Italia pilotata da Fabio Barone - il presidente del Ferrari Club Passione Rossa già detentore di due record del mondo di velocità - sfiderà l'originale biga guidata da Charlton Heston nello storico film del 1959, che si aggiudicò

ben 11 premi Oscar. «L'idea è nata dopo aver visto il remake di Ben Hur - spiega Fabio Barone - e l'ho proposta a Stefano Cigarini, che oggi è amministratore delegato di Cinecittà World, ma che è stato a lungo senior vice president entertainment and events della
Ferrari. Così siamo partiti subito con l'organizzazione». La sfida fra la Ferrari e la biga può apparire sbilanciata, ma Barone spiega che non è proprio così. A trainare la biga c'è infatti una coppia di esemplari dell'antica razza Gelder, caratterizzata da forza e grande resistenza, purosangue docili ma di carattere, che da sempre vengono utilizzati per le carrozze e per la sella durante mostre ed esibizioni. «I due cavalli sviluppano una potenza corrispondente a 35 Cv ciascuno - spiega il presidente del Club Passione Rossa - e la loro velocità massima è di 60 km/h, mentre io avrò a disposizione 600 Cv, ma la sfida non sarà impari, perché se è vero che gli animali perdono in rettilineo, guadagnano nelle curve dove possono affrontare una traiettoria strettissima. Inoltre, dalle
prove che abbiamo fatto ho notato che dopo due giri sullo sterrato la Ferrari frena con estrema difficoltà e questo mi costringerà a rallentare». Comunque, «l'obiettivo non è quello di battere la biga, ma di far vincere lo spettacolo. Partiremo a percorsi invertiti e non affiancati. Abbiamo organizzato tutto nei minimi dettagli affinché i bellissimi purosangue siano sempre in sicurezza».

avvenire

I santi del 11 Maggio 2017


Sant' IGNAZIO DA LACONI   Frate cappuccino
Laconi, Nuoro, 17 dicembre 1701 - Cagliari, 11 maggio 1781
Devotissimo e dedito alla penitenza fin da giovane, indossò il saio francescano, nonostante la sua gracile costituzione, e fu dispensiere ed umile questuante nel convento di...
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San FABIO E COMPAGNI   Martiri in Sabina
Nicomedia, III sec. – Curi in Sabina, 305
Il martirio di questo santo è accomunato a quello di un gruppo di martiri e confessori, radunati attorno al maestro, sant'Antimo. Le notizie pervenuteci si leggono nella «Passio sa...
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Santi ANASTASIO, TEOPISTA E FIGLI   Sposi e martiri
† Camerino, Macerata, 251
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Santi 14 MARTIRI MERCEDARI DI CARCASSONA   
† Carcassona, Francia, XVI secolo
A Carcassona in Francia, 14 Santi mercedari, furono messi a morte in diversi modi, per la difesa della fede cattolica dagli eretici Ugonotti. Gloriosi salirono in cielo lodando il ...
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Sant' EVELIO (EVELLIO)   Martire di Roma
† Roma, I secolo (27 aprile 69?)
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San NEPOZIANO   Sacerdote
Aquileia, 360 - Altino, 11 maggio 387
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Sant' ILLUMINATO   Monaco
Sec. XIII
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Santa STELLA (EUSTELLA)   Martire
Gallia, III secolo
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San MOCIO (MOZIO)   Sacerdote e martire
† Bisanzio, Turchia, 295
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San MAIULO   Martire
sec. II ex./III in.
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San MAMERTO DI VIENNE   Vescovo
m. 475 circa
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San MAIOLO   Abate di Cluny
Avignone, 906 c. - Souvigny, Francia, 994
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San GUALTIERO (GUALTERIO) DI ESTERP   Sacerdote
† 11 maggio 1070
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Santi GUALBERTO E BERTILLA   Sposi
VII secolo
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San MATTEO LE VAN GAM   Martire
Long Dai, Vietnam, 1813 - Saigon, Vietnam, 11 maggio 1847
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Sant' ANTIMO E COMPAGNI   Martiri
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San FRANCESCO DE GERONIMO   Sacerdote
Grottaglie (Taranto), 17 dicembre 1642 - Napoli, 11 maggio 1716
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San GENGOLFO   Martire
m. Avallon (Borgogna, Francia), 11 maggio 760
Nacque da una delle più illustri famiglie della Borgogna. I suoi genitori furono i principali fautori della sua educazione cristiana, e quando morirono, il santo dovette iniziare a...
www.santiebeati.it/dettaglio/92374
Beato SERAFINO (GJON) KODA   Sacerdote francescano, martire
Janjevo, Serbia, 25 aprile 1893 – Lezhë, Albania, 11 maggio 1947
Padre Serafin Koda, al secolo Gjon, fu missionario nelle zone montagnose dell’Albania del Nord e, in seguito, parroco a Lezhë. Fu arrestato nel 1947 con il pretesto di u...
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Beato VINCENZO L’HéNORET   Sacerdote e martire
Pont l’Abbé, Francia, 12 marzo 1921 – Ban Ban / Muang Kham, Laos, 11 maggio 1961
Vincent L’Hénoret iniziò gli studi secondari tra i Missionari Oblati di Maria Immacolata e, dopo aver riconosciuto la propria vocazione alla vita religiosa, pro...
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Beati GIOVANNI ROCHESTER E GIACOMO WALWORTH   Sacerdoti certosini, martiri
† York, Inghilterra, 11 maggio 1537
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Beato DIEGO DE SALDANA   Mercedario
† Avila, Spagna, 1493
Al mercedario, Beato Diego de Saldana, si deve la fondazione del celebre convento di Conxo presso Santiago di Compostella (Spagna), del quale ne fu commendatore perpetuo e la fonda...
www.santiebeati.it/dettaglio/94135
Beato GREGORIO CELLI DA VERUCCHIO   Religioso
Verucchio, Rimini, 1225 ca. - Fonte Colombo, Rieti, 1343
Nato a Verucchio nel 1225, a quindici anni vestì l'abito degli eremiti di S. Agostino. Dieci anni più tardi si ritirò a vita eremitica sul Monte Carnerio (nei ...
www.santiebeati.it/dettaglio/91601

Beato ZEFFIRINO NAMUNCURà   Aspirante salesiano
Chimpay, Argentina, 26 agosto 1886 - Roma, 11 maggio 1905
Zeffirino Namuncurà nasce il 26 agosto 1886 a Chimpay, sulle rive del Rio Negro. Suo padre Manuel, ultimo grande cacico delle tribù indios araucane, ha dovuto arrende...
www.santiebeati.it/dettaglio/90072

Beni culturali: Mibact-Enea, ora tagli a bolletta da 200 mln

(Di Daniela Giammusso) (ANSA) - ROMA, 10 MAG - "Si stima che la bolletta energetica del Mibact sia di 200 milioni l'anno. Vanno bene i risultati positivi, ma la buona pubblica amministrazione si vede anche nella gestione quotidiana". A dirlo, il ministro di beni culturali e turismo, Dario Franceschini, oggi al convegno #patrimonioculturaleinclassea, sulla valenza strategica dell'efficienza energetica, riqualificazione e messa in sicurezza del patrimonio culturale. Promosso nell'ambito del Protocollo d'intesa Mibact/Enea firmato nel 2016, l'evento segna anche l'avvio della campagna Patrimonio culturale in Classe A nell'ambito della più ampia campagna Italia in classe A, che l'Enea sta sviluppando in attuazione del Piano triennale di informazione e formazione sull'Efficienza energetica. "Un'opportunità importante per il nostro paese - dice il presidente dell'Enea, Federico Testa - Spesso non si hanno le risorse immediate, ma bisogna entrare nell'ottica che sul medio-lungo periodo queste cose si pagano da sole". Il Protocollo con il Mibact, che segue già le Linee guida del 2015, riguarda check up energetici, diagnostica, restauro laser e protezione antisismica. E permetterà di avviare progetti per la valutazione dell'impronta energetica degli edifici storici, con interventi che, secondo le stime Enea, potrebbero abbattere fino al 30% i consumi per la climatizzazione e fino al 40% quelli per l'illuminazione grazie a lampade a Led e tecnologie smart lighting. "La buona Pubblica Amministrazione - spiega il ministro Franceschini - è anche quella che sa dare il buon esempio. Anzi, bisogna che sia avanti, un punto di riferimento". Quello dei beni culturali, "è un settore enorme - spiega - e ha un consumo energetico altissimo, che in alcuni casi può toccare il 70% del bilancio di un museo o di un'istituzione. Investire sul patrimonio culturale significa anche intervenire sui costi di gestione riducendo i consumi. In tre anni gli investimenti del Mibact sono passati da 40 milioni di euro a oltre 2 miliardi, mentre la bolletta energetica" per il complesso di musei, archivi, biblioteche, siti archeologici "è ancora stimata in 200 milioni di euro". E i consumi, raccontano i numeri, sono in salita del 50% rispetto agli anni '80. A gravare maggiormente, illuminazione, climatizzazione, sicurezza ICT e servizi essenziali per la fruizione e conservazione di strutture e opere d'arte. "Il dovere dell'amministrazione - prosegue il ministro - è dare il buon esempio anche nel risparmio energetico e in questo i musei sono un ottimo banco di prova". Il Protocollo d'intesa, infatti, "si inserisce nella filosofia su cui abbiamo impostato la riforma" del Mibact, introducendo "il bilancio in ogni singolo museo che permette di fare emergere le spese per migliorarle. Finora si è parlato dei meriti della riforma in termini di entrate", conclude citando "i visitatori dei musei statali passati in tre anni da 38 a 45 milioni e mezzo" e "gli incassi cresciuti di 50 milioni, passando da 125 milioni del 2013 a 177. Ora ė tempo di guardare le uscite, intervenendo sui costi per i servizi, grazie alle gare Consip, e per l'energia con questo importante progetto". (ANSA)

'Cantine Aperte' fa 25 anni,attesi un milione di 'winelover'


(ANSA) - ROMA, 10 MAG - Attività en plein air tra trekking, eco e mountain bike; poesia arte e fotografia ma anche musica pop, rock, jazz e folk; degustazioni enogastronomiche tipiche dei territori regionali e tanta solidarietà. È il cartellone di Cantine Aperte 2017, l'evento del Movimento Turismo del Vino (MTV) che quest'anno traguarda la 25esima edizione. Circa 800 le cantine aderenti in tutta Italia per il lungo week end enoturistico di MTV. 

Per Carlo Pietrasanta, presidente del Movimento Turismo del Vino: "E' la solidarietà il fil rouge della 25esima edizione di Cantine Aperte. Infatti per questo compleanno il Movimento Turismo del Vino sostiene i territori colpiti dal terremoto con il progetto "Bottiglia Solidale" di MTV Marche, per l'acquisto di un'ambulanza destinata alle zone del sisma. Non solo. La grande festa del vino chiuderà l'iniziativa MTV per Amatrice, la raccolta fondi lanciata nell'appuntamento di settembre mentre prosegue la collaborazione con Airc, l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro, a cui doneremo tutto il ricavato proveniente dalla vendita dei calici griffati Cantine Aperte 25". Tra le ulteriori iniziative benefiche promosse dalle singole cantine o dalle sedi regionali del Movimento, anche quelle a favore dell'Associazione Fibrosi Cistica (Trentino Alto Adige, 27 e 28 maggio) e dell'Unicef, quest'ultimo sostenuto da MTV Friuli Venezia Giulia (59 cantine, 27 e 28 maggio) a favore della campagna 'Bambini in pericolo'. Qui spazio anche alla sostenibilità ambientale, con il mercato bio per scoprire il gusto autentico dell'agricoltura biologica, dalla vigna all'orto fino al frutteto. Una novità esclusiva della 25^ edizione di Cantine Aperte arriva dalla Toscana (70 cantine, domenica 28 maggio) che inaugura la collaborazione con la Scuola Internazionale di Comics di Firenze, la più importante accademia per la formazione di fumettisti. Per l'occasione, in ogni cantina un artista racconterà il vino attraverso il fumetto. Concorso artistico en plein air, safari tra le vigne con mountain bike o in trenino e visita al Parco regionale dei Colli Euganei. Sono alcune delle proposte delle 70 aziende del Veneto (27 e 28 maggio). C'è molto sport nelle Cantine Aperte del cuore verde d'Italia, l'Umbria (56 aziende, 27 e 28 maggio) che propone pacchetti sport and wine, passeggiate a cavallo, nordic walking ma anche voli in elicottero, parapendio e rafting, senza dimenticare la tradizionale cena 'a tavola con il vignaiolo'. Scuola di cucina, wine&cheesebar e barbeque in vigna per la Campania (27 e 28 maggio) che offre anche un laboratorio di pasta fatta in casa. Nel Lazio (27 e 28 maggio) la festa del vino si abbina all'arte, alla scultura e all'antiquariato, con un mercatino contaminato dall'artigianato e dai prodotti tipici locali. Le 'sardine non sardine' del Lago d'Iseo, presidio Slow Food, rappresentano la Lombardia (54 cantine, 28 maggio) da gustare in abbinamento con i vini della regione. Binomio vino-bici per la Puglia (solo domenica 28 maggio) che festeggia il 25° compleanno di Cantine Aperte anche con un press tour nelle terre del Primitivo (dal 26 al 30.05). Anche in Sicilia (27 e 28 maggio) i winelover fanno il pieno di energia con attività all'aria aperta, dal trekking alla mountain bike, ma anche con la musica dal vivo nelle cantine e lo 'Street Art Wine Fest' con artisti di fama internazionale. Tra gli eventi in calendario in Piemonte (27 e 28 maggio) la visita ai 'crotin', le cantine sotterranee scavate a mano nel tufo alla scoperta della vinificazione in anfora. Non solo arte in esposizione. Infatti tra le varie mostre spicca anche quella sui trattori d'epoca. I più giovani potranno degustare succhi di mela e uva al 100% frutta senza conservanti e fare amicizia con gli asini. Parte in anticipo Cantine Aperte in Abruzzo (27 e 28 maggio) con l'anteprima nazionale del Treno del vino (14 maggio), la Transiberiana d'Italia. Degustazioni, abbinamenti tipici vino e cibo, visite in cantina sono gli ingredienti principali dei programmi anche in Basilicata (28 maggio), Emilia Romagna (60 aziende, 27 e 28 maggio), Calabria (domenica 28 maggio), Liguria (domenica 28 maggio), Marche (78 cantine, 27 e 28 maggio), Molise (28 maggio), Sardegna (27 e 28 maggio) e Valle D'Aosta (28 maggio).

Torna Giornata Nazionale della cultura del vino e dell'olio


ROMA, 10 MAG - Scoprire il meglio dei vini del territorio laziale sotto gli amorini vendemmianti affrescati dal Venale a Villa Giulia. O gli olii campani nel barocco della Reggia di Caserta. E ancora la robustezza dei rossi piemontesi al Castello di Santena, dove Cavour meditava sul futuro dell'Italia unita, i profumi della Villa romana del Varignano a Portovenere o le più intense uve siciliane all'Oratorio di Santi Elena e Costantino a Palermo, fino al derby a distanza tra le olive toscane al Museo nazionale del Bargello di Firenze e le pugliesi al 36/o Stormo dell'Aeronautica militare di Gioia del Colle. 

Per la prima volta saranno 15 siti museali e archeologici a ospitare il 13 maggio la 7/a Giornata Nazionale della cultura del vino e dell'olio, evento dell'Associazione Italiana Sommelier quest'anno dedicato a 'Vitigni e cultivar tradizionali: un'identità da preservare, un patrimonio da valorizzare'. 

Una festa "per un patrimonio di conoscenza", spiega il presidente dell'AIS Antonello Maietta, citando "i 500 vitigni italiani censiti e le più di 300 cultivar". Fondamentale, aggiunge il direttore generale dell'Ispettorato repressione frodi, Oreste Gerini, "non solo per l'enogastronomia, ma per il suo valore culturale". Un settore, ricorda il sottosegretario al Turismo, Antimo Cesaro, da "5 miliardi di fatturato e un milione e mezzo di occupati, solo per il vino. Nell'immaginario collettivo - dice - l'Italia non è solo paesaggio o patrimonio culturale, ma anche territorio d'eccellenza per i suoi prodotti. Dobbiamo immaginare nuove forme di valorizzazione e questo è uno dei filoni su cui concentrarci". 

Da Nord a Sud, la Giornata, realizzata con Mipaaf, Mibact e Rai, offrirà degustazioni, convegni e visite guidate, come al Museo nazionale etrusco di Roma dove scoprire il legame tra vino e costruzione delle prime città nell'VIII secolo a.C. I funzionari del Mipaaf illustreranno il Testo Unico sul vino, mentre i sommelier Ais proporranno percorsi organolettici. Info: www.aisitalia.it. (ANSA).

Week end: Musica; i concerti dai Kiss a Patty Smith. A Parma Mannoia a Roma il Volo a Napoli Francesco Renga

di Paolo Biamonte) (ANSA) - ROMA, 10 MAG - Arrivano i Kiss per due concerti: lunedì al Pala Alpitour di Torino e martedì alla Unipol Arena di Casalecchio di Reno (BO). Solo una data per Brian Ferry: domani al teatro degli Arcimboldi di Milano. Patti Smith si esibisce venerdì al teatro Auditorium Manzoni di Bologna e sabato all'Auditorium Parco della Musica di Roma. The Giornalisti al MediolanumForum di Assago (MI) domani. Nek sarà venerdì al teatro Verdi di Firenze, sabato al teatro Creberg di Bergamo, lunedì al teatro degli Arcimboldi di Milano e mercoledì al teatro delle Muse di Ancona. Marco Masini canta sabato al teatro Colosseo di Torino, domenica al teatro Verdi di Pisa, martedì al teatro Politeama Greco di Lecce. Fiorella Mannoia domani è in cartellone al teatro Regio di Parma, sabato e domenica al teatro Verdi di Firenze, martedì all'Auditorium Parco della Musica di Roma. Ron in concerto venerdì al Roof Garden del Casinò di Sanremo. Salmo sarà domani al teatro della Concordia di Venaria (TO), venerdì all'ObiHall Teatro di Firenze, domenica al Gran Teatro Geox di Padova. Il Volo in concerto venerdì e sabato al PalaLottomatica di Roma, lunedì al PalaPrometeo Estra Liano Rossini di Ancona, mercoledì al Modigliani Forum di Livorno. Francesco Renga martedì comincia il tour dal Palapartenope di Napoli. Cristiano De André domani si esibisce al teatro Auditorium Santa Chiara di Trento, venerdì al Gran Teatro Geox di Padova, lunedì al teatro Nazionale di Milano. Doppio appuntamento con Samuel domani e venerdì all'Hiroshima Mon Amour di Torino. Umberto Tozzi venerdì suona all'Auditorium della Conciliazione di Roma, sabato al teatro Verdi di Montecatini Terme (PT), lunedì al teatro Filarmonico di Verona. Levante venerdì è al New Age Club di Roncade, sabato al teatro della Concordia di Venaria (TO), martedì all'Alcatraz di Milano. Zen Circus in concerto al Foro Italico di Roma domenica. Benji & Fede sabato e domenica sono all'ObiHall Teatro di Firenze. Ermal Meta domenica canta all'Hiroshima Mon Amour di Torino, martedì all'Auditorium Parco della Musica di Roma, mercoledì al teatro Acacia di Napoli. Marc Ribot suona domenica alla Basilica Palladiana di Vicenza. Domenica al teatro San Carlo di Napoli Vittorio De Scalzi, storico tastierista fondatore dei New Trolls, festeggia 50 anni di carriera. Tra gli ospiti: Gino Paoli, Patty Pravo, Katia Ricciarelli, Clive Bunker (il primo batterista dei Jethro Tull), Sal Da Vinci. Almamegretta live al Monk Club di Roma martedì. Paola Turci canta martedì al teatro dell'Aquila di Fermo e mercoledì al teatro Auditorium Santa Chiara di Trento. Mercoledì Dee Dee Bridgewater è in concerto al teatro Comunale di Vicenza. Pee Wee Ellis è in cartellone al Blue Note di Milano. Geri Allen suona al teatro Asioli di Correggio (RE) mercoledì. Jacob Collier, il giovanissimo super talento multi strumentista mercoledì si esibisce al teatro delle Alpi di Porto Sant'Elpidio (FM).

Capitale italiana cultura 2020, online bando candidatura


E' online sul sito del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo www.beniculturali.it il bando per la Capitale italiana della cultura 2020. 

Dopo il successo di Mantova nel 2016 destinato a essere eguagliato quest'anno da Pistoia e l'assegnazione del titolo a Palermo per il 2018, da oggi e fino alle 12:00 del 31 maggio le città che desiderano candidarsi per l'anno successivo a quello di Matera Capitale Europea della Cultura del 2019 possono presentare una manifestazione di interesse, sottoscritta dal sindaco, riportando i dati richiesti dalle linee guida allegate al bando. Entro il 30 giugno, pena esclusione, le città candidate dovranno inviare un dossier di candidatura secondo le modalità previste dalle stesse linee guida. 

"Si apre un'altra sfida appassionante - dichiara il ministro Dario Franceschini - per divenire nel 2020 la prossima Capitale italiana della cultura. Le comunità sono così chiamate a sviluppare una visione di sé capace di far leva sul proprio patrimonio culturale, creativo e paesaggistico per promuovere una crescita sostenibile del territorio. Una competizione virtuosa che ha già coinvolto decine di città stimolando idee e progettualità". 

Il bando è consultabile su www.beniculturali.it/capitaleitalianadellacultura2020. (ANSA).

Parigi. Scoperto un disegno di Leonardo: è un San Sebastiano


Per gli esperti d’arte, quasi increduli, è una scoperta rarissima. A Parigi, è stato presentato per la prima volta pubblicamente un piccolo disegno a inchiostro di Leonardo da Vinci sul tema del martirio di san Sebastiano, opera giovanile (realizzata verosimilmente fra il 1482 e il 1485) scoperta per caso da un medico della provincia francese che desidera restare anonimo. L’uomo ha ritrovato il disegno fra le carte del padre, che l’avrebbe acquistato presso un libraio. La scoperta risale allo scorso ottobre. Di un valore stimato di 15 milioni di euro, il disegno sembrava destinato alla vendita presso una casa d’aste, ma lo Stato francese ha esercitato il proprio «diritto di prelazione», dichiarando il disegno «tesoro nazionale». Lo Stato avrà adesso 30 mesi di tempo per versare la contropartita milionaria al proprietario. Il disegno proviene quasi certamente da uno dei taccuini di Leonardo, come mostrano anche le dimensioni ridotte: 19,3 cm di altezza e 13 di larghezza. La presentazione è avvenuta presso la casa d’aste Tajan, che aveva chiesto una perizia a vari esperti dell’opera leonardesca, in particolare Carmen Bambach, specialista americana presso il Metropolitan museum of art di New York. Oltre allo stile, tipico di un artista mancino, a permettere l’autentificazione sono state anche due annotazioni sul retro del disegno, realizzate nella tipica «scrittura speculare» (facilmente leggibile tramite uno specchio) spesso impiegata dal genio.

Si tratterebbe dunque del terzo san Sebastiano ritrovato sugli 8 menzionati nel Codex Atlanticus redatto dallo stesso Leonardo. Per il ministero della Cultura francese, il disegno, in ragione anche di due schizzi abbozzati sul retro, rappresenta «un nuovo elemento nella conoscenza dell’evoluzione della composizione fra le serie dei san Sebastiano e delle esperienze scientifiche di Leonardo da Vinci». L’opera, confermano anche vari esperti, offre nuove informazioni sulla riflessione leonardesca sul tema, in vista di un quadro di cui non si sa nulla, neppure se sia mai stato realizzato.
Avvenire

La mostra. Gli antichi papiri di santa Caterina


Ci sono storie che si tramandano nei secoli e che sconfinano nella leggenda. Esemplare è il caso di santa Caterina d’Egitto, una delle sante più venerate al mondo, a cui sono intitolate chiese addirittura negli Usa e nelle Filippine, luoghi che Caterina nemmeno si immaginava esistessero. Senza andare troppo in giro per il mondo, vicino a Firenze, si trova l’Oratorio di santa Caterina delle Ruote, dove è conservato un ciclo di affreschi del 1300 dipinti da Spinello Aretino, che raccontano le vicissitudini della santa, fra cui il terribile supplizio delle ruote a cui fu sottoposta (e per cui è ancora oggi famosa). In questo ambiente suggestivo, dove è narrata per immagini la storia della giovane Caterina, sarà allestita una mostra di antichi papiri, testimonianze provenienti per la maggior parte dal luogo e dall’epoca in cui “visse” Caterina: l’Egitto attorno all’anno 300 d.C. Le virgolette sono d’obbligo in questo caso, perché le notizie storiche su questa santa sono così incerte, che gli studiosi nel XX secolo (e per primi i Bollandisti, gli 007 dell’agiografia cattolica) hanno messo in discussione la sua esistenza. 

La stessa Chiesa in anni recenti ha segnalato che le fonti sono poco attendibili: quindi l’esistenza di santa Caterina d’Egitto è problematica ed è possibile che si tratti di una storia fantastica che si perde nella notte dei tempi. Invece il problema dell’esistenza non si pone per l’Egitto di quei tempi, cioè la società attiva verso il 300 d.C. in particolare nella città di Alessandria, metropoli già famosa e illustre per molte ragioni (basti citare la biblioteca e il faro), prima di essere la patria della nostra santa Caterina. Ecco l’origine del titolo della mostraSanta Caterina d’Egitto. L’Egitto di santa Caterina, allestita proprio all’interno dell’Oratorio di Bagno a Ripoli, che sarà aperta da domani all’11 giugno 2017. L’esposizione, curata dall’Istituto papirologico “Girolamo Vitelli” dell’Università di Firenze, raccoglie documenti risalenti proprio al III e IV secolo d.C. Per quest’epoca i testi scritti su papiro sono abbastanza numerosi e costituiscono fonti di prima mano su molti aspetti della vita quotidiana: per esempio possiamo sapere quanto costava una casa, che cosa portava in dote una giovane moglie, qual era il programma degli spettacoli all’ippodromo e possiamo avere informazioni su tanti altri dati concreti (compreso, ovviamente, quante erano le tasse da pagare, allora come oggi argomento spinoso per tutti). Inoltre abbiamo anche molte informazioni sulla vita culturale dell’Egitto in questo delicato periodo di transizione fra paganesimo e cristianesimo: sono gli anni delle ultime persecuzioni nei confronti dei cristiani, che precedono di poco l’editto di Costantino (313 d.C.) che concederà la libertà di culto in tutto l’impero romano, di cui l’Egitto all’epoca faceva parte.

Come risulta da diverse testimonianze non ci furono solo scontri (ancora circa un secolo dopo, nel 415 d.C., sempre ad Alessandria, la filosofa Ipazia venne uccisa durante tafferugli fra opposte fazioni), ma anche incontri: nelle aule dell’università cristiani e non cristiani insegnavano e studiavano uno accanto all’altro, confrontando le loro idee e le loro fedi. Libri simbolo della cultura greca, come l’Iliade con tutti i suoi dei, e libri contenenti riflessioni sulla nuova religione, come i trattati dei padri della Chiesa, erano scritti e letti dalle stesse persone: in mostra sono visibili testi greci originali appartenenti ad entrambe queste categorie. La figura di santa Caterina, come ci è descritta nei racconti quasi leggendari molto diffusi dal medioevo in poi, è perciò collocabile in un contesto storico molto preciso attraverso i papiri, ma anche attraverso i reperti archeologici, cioè oggetti concreti, come vestiti, contenitori e giocattoli risalenti a circa 1700 anni fa, e recuperati da scavi in Egitto. Si tratta di prodotti simili a quelli con cui una ragazza, ricca, elegante ed istruita, come Caterina, avrebbe potuto avere a che fare: reperti preziosi e testimonianze uniche che gli esperti del-l’Istituto papirologico di Firenze sono in grado di connettere fra loro e di collocare nello stesso contesto sociale, religioso e storico. Il fascino della storia, insomma, prima che si trasformi in leggenda. Un episodio su tutti: il momento terribile del supplizio inflitto alla giovane, il tormento delle ruote, è raccontato attraverso le immagini dei dipinti dell’Oratorio ed è parallelamente narrato attraverso le parole di un frammento di papiro in greco del 500-600 d.C. Ecco perché venire a visitare una mostra di questo tipo: per comprendere il valore di reperti unici e non sempre accessibili (come la trentina di papiri greci esposti e gli altrettanti oggetti provenienti da scavi archeologici di solito chiusi in magazzini) e per compiere un viaggio in un mondo lontano, ma ricostruito in tutti i suoi vividi dettagli e secondo angolature differenti.
da Avvenire

Pittura. Plautilla, la suora «pictora»


Ne scrive Vasari, e dunque dobbiamo drizzare le antenne quando leggiamo di una certa «Suor Plautilla». Di lei dice che era monaca e priora del monastero di Santa Caterina da Siena a Firenze, su piazza San Marco, e aggiunge che «cominciando a poco a poco a disegnare et ad imitar coi colori quadri e pitture di maestri eccellenti ha con tanta diligenza condotte alcune cose, che ha fatto maravigliare gl’artefici». Nota poi che era maestra nella miniatura, tanto da far cose più belle di quegli artisti da cui prendeva esempio. Il fatto è che Plautilla Nelli, al secolo Polissena de’ Nelli (1524-1588), si formò da autodidatta e continuò, vestendo molto presto l’abito di suora domenicana, a esercitare il suo talento di pittrice assieme alla vocazione religiosa. Molto celebrata già in vita – è probabile che facesse a tempo a leggere l’elogio di Vasari – di lei però si perde un po’ notizia fra Sei e Settecento, e verrà recuperata solo a partire dall’Ottocento. Non è un destino solamente suo. Diverse sono le artiste rimaste per secoli in ombra nelle memorie degli storici o addirittura cadute nell’oblìo. Il caso emblematico oggi è Artemisia Gentileschi la cui riscoperta è diventata una sorta di vessillo della riscossa femminista, ma è appunto l’esempio clamoroso di un’avanzata femminile nell’arte che conta altri nomi: nell’ambito bolognese, Properzia de’ Rossi, grande scultrice rinascimentale sulla quale lo scorso anno è uscita una monografia; dopo di lei Lavinia Fontana e la sublime Elisabetta Sirani, che nel suo atelier si circondò di allieve e collaboratrici, come Ginevra Cantofoli il cui corpus è stato ricostruito in anni recenti. A parte la figlia di Tintoretto, Marietta, morta prematuramente; e ancor prima la figlia di Paolo Uccello, Antonia la “pittoressa”, anche lei suora carmelitana, si stanno ritrovando le tracce di Lucrezia Quinistelli, allieva di Alessandro Allori, della discepola di Tiziano, Irene di Spilimbergo, mentre alle cronache sono ben note Sofonisba Anguissola e Fede Galizia. Ma anche all’estero non mancano artiste che hanno fatto concorrenza ai colleghi maschi: Lavinia Benning Teerlinc, miniaturista; Caterina van Hemessen; Roldana, alias Luisa Ignatia Roldan scultrice spagnola vissuta fra Sei e Settecento e autrice di veri capolavori; lo stesso si potrebbe dire della pittrice sivigliana Josefa de Ayala Figueira morta a Obidos, in Portogallo, nel 1684; più o meno nella stessa epoca in Francia si distinse per le sue straordinarie nature morte la pittrice Louise Moillon; e se vogliamo concludere questo elenco provvisorio, a monte di tutte sta quella Caterina de’ Vigri, clarissa bolognese vissuta nella parte centrale del XV secolo, che oltre a essere badessa era assai colta e aveva fin da giovane appreso a Ferrara l’arte della miniatura e della copiatura. 

Dunque Suor Plautilla. Un simposio nel 1998, a Fiesole (gli atti uscirono un paio d’anni dopo), rilanciò la misconosciuta pittrice; poi ancora un volume di saggi nel 2008; ora la prima mostra a lei dedicata, agli Uffizi, a cura di Fausta Navarro con l’apporto di Catherine Turrill Lupi, fra le maggiori studiose della “pictora” (come talvolta si firma). È stata proprio Catherine Turrill a fornirmi l’elenco esatto delle opere conosciute di Plautilla: comprese quelle indicate in documenti ma perdute o ignote persino nel soggetto, quelle attribuitele nell’Ottocento ma che oggi le sono state tolte e assegnate ad altri pittori, e quelle che sono passate in asta nel Novecento sotto il suo nome su cui però non c’è accordo: a voler stare larghi si tratta di 40-50 opere, ma è un lavoro in fieri , suscettibile, sottolinea la studiosa, di continue aggiunte e cambiamenti perché non esiste ancora un catalogo esaustivo dell’opera di Plautilla.

Naturalmente, viene la curiosità di cercare tracce della suora pittrice fuori dai nostri confini, vuoi anche per i rami europei dell’ordine domenicano; e allora si scoprirà che Plautilla nell’Ottocento non era un nome del tutto dimenticato: un rapido sondaggio nella pubblicistica francese, per esempio, testimonia della sua fama. Per esempio, in un numero della “Gazette des Beaux-Arts” del 1860, Léon Lagrange, compagno di studi di Hippolyte Taine e autore di saggi su Pierre Puget e Joseph Vernet, parla Du rang des femmes dans les arts, e cita appunto Marietta, Lavinia, Elisabetta, Artemisia e... Plautilla. Le chiamo per nome, come vorrebbe Vasari in segno d’eccellenza artistica. Qualche lustro dopo, nel 1874, il Grand Dictionnaire Universel di Pierre Larousse registra il nome di Plautilla e le dedica una trentina di righe (non poche tutto sommato): si dice di questa «donna interessante, che ha vero talento». Si aggiunge che non potendo invitare uomini a posare per le sue opere, quando doveva eseguire figure maschili si avvaleva dei disegni lasciati da Fra’ Bartolomeo al convento, e si fa notare che nel Compianto il Cristo sembra ispirato a quello della Deposizione di Daniele da Volterra. Si dice anche che nel disegno delle teste rivela una certa « grace naïve non priva di originalità» e si conclude che nell’insieme mostra una scienza, un vigore e un’audacia non comuni per una donna. A proposito dell’interdetto all’uso di modelli maschili, nel 1827 una guida in francese dell’Accademia fiorentina di Belle Arti, precisa che non potendo servirsi per i suoi quadri di modelli maschi, coinvolge le sue consorelle e per questo i santi «hanno forme e fisionomie femminine». 

La ricostruzione del caso Plautilla è soltanto agli inizi. Ma se è vero che si sentiva la necessità di una mostra che consentisse di vedere l’una accanto all’altra le opere certe e quelle riapparse recentemente e a lei attribuite, è anche vero che questa degli Uffizi è poco più che un antipasto, un assaggio in un pranzo sostanzialmente di magro. Pare che siano mancati prestiti importanti, anche di opere conservate in Italia e custodite da comunità religiose. Come mai? C’è poi da aggiungere che L’ultima cena al Convento di

Santa Maria Novella è in restauro: si tratta, quanto al soggetto, di una delle opere più grandi mai dipinte. IlCompianto è invece al Convento di San Marco, è una delle opere più riuscite di Plautilla, restaurata una decina d’anni fa. Anche le due lunette nel Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto con la Consegna del Rosario a san Domenico e di Santa Caterina che riceve la visione di 

Cristo, sono state restaurate nel 2007: di qualità difforme vengono giustamente assegnate a Plautilla e bottega. Infine, le due Annunciazioni: non sono di straordinaria bellezza pittorica, e quella dei Musei Civici Fiorentini per ora è un’attribuzione (Catherine Turrill però è favorevole all’autografia). 

La questione della “bottega” è centrale per dirimere il caso Plautilla, come osservano sia Catherine Turrill sia Fausta Navarro. Fin da piccola eccelle nel disegno (arte che affina potendo avvalersi dei disegni di Fra’ Bartoloneo passati in eredità a Fra’ Paolino e infine al convento della “pictora”); entrando nell'ordine e divenendo priora (tre volte a intervalli prolungati) organizza una vera e propria squadra coinvolgendo le consorelle nel lavoro pittorico, un’opera collettiva al servizio della devozione per Santa Caterina da Siena e, in sovrapposizione, per l’altra santa Caterina, la de’ Ricci, morta a Prato nel 1590, con la quale viene persino a sposarsi nella fisionomia (volutamente).

Organizzando un atelier già moderno nel modus, dove il segno del maestro viene gestito, come oggi nella moda, quasi fosse un brand (interprete supremo del genere fu il divino Raffaello), anche Plautilla realizzò qualcosa di molto simile a una factory dell’immagine devozionale: in mostra troviamo subito dopo alcune miniature a lei attribuite, una batteria di ritratti della “duplice” Caterina (da Siena / de’ Ricci). La santa appare chiusa nel suo abito chiaro, col velo bianco, di profilo con le mani incrociate sul petto che mostrano i segni delle stigmate e portano l'attenzione sul la ferita al costato (tema di dibattito nella Chiesa dell’epoca), tiene in pugno il crocifisso, e versa lacrime. Il suo aspetto non è drammaticamente lacerato, ma come introverso in una meditazione sul dolore di Cristo. Solo le lacrime testimoniano la compassione della santa traslando la percezione della sua sofferenza su quella di Cristo (un interessante gioco di empatia per immagine). La Santa stringe in pugno il crocifisso e in quella posa appare anche Savonarola in una medaglia di Fra’ Mattia della Robbia. La mostra, infatti, vuole illustrare il tema dell’arte e la devozione «sulle orme di Savonarola», il testimone che lega le due Caterine sottintese nei dipinti. 

Come nota Fausta Navarro questi ritratti tutti molto simili (anche se non tutti della stessa qualità pittorica) e vennero realizzati probabilmente a partire da un unico cartone che Plautilla aveva predisposto; a unirli il verde dello sfondo, su cui si spande una luminosità che sembra emanare dal corpo della santa, «come se fossero raggi di luce». Nella bottega o atelier che dir si voglia della priora domenicana si faceva infatti largo uso di cartoni, si ricorreva alla tecnica dello spolvero e al repertorio ereditato da Fra’ Bartolomeo. Forse nella serie notevole dei disegni esposti agli Uffizi c’è soltanto la mano di Plautilla, o forse può esserci, in sottofondo, anche quella di altri, magari qualche abbozzo in quei fogli ereditati su cui lei stessa potrebbe essere intervenuta. Aspettiamo le adeguate conferme dagli storici su questo caso degno di detective come Giovanni Morelli.

Avvenire

#SwissPop Art Mostra. Quando la #Svizzera a sorpresa fece Pop

Ha aperto sabato scorso, sino al 6 agosto, alla Kunsthaus di Aarau – cittadina capoluogo del cantone svizzero Argovia – l’antologica, curata da Madeleine Schuppli, “Swiss Pop Art. Forme e tendenze della pop art in Svizzera dal 1962-1972”. Cinque anni di preparazione, cinquantuno artisti presenti, dai più anziani Jean Tinguely e Friedrich Kuhn, a Markus Müller (1943 Suhr) e Barbara Davatz (1944 Zurigo). Tinguely (Friburgo 1925-Berna 1991) apre con la scultura Frigo Duchamp( 1960) di grande forza espressiva – si dedicherà solo più tardi alle macchine dada e ludiche. Kuhn dalla breve vita (Gretzenbach 1926Zurigo 1972) è la presenza più originale dell’intera mostra. Eccentrico al movimento pop, in polemica si direbbe con il movimento stesso e la “servitù” americana dei contemporanei, Kuhn carica l’immagine di forti venature melanconiche, di ironia e disincanto e inventa forme. Markus Müller – forte anche di una formazione italiana – è, in questa mostra, con Peter Stämpfli (Deisswil/Stettlen 1937) l’artista svizzero più proprio al movimento internazionale.
A Müller e Stämpfli i curatori della mostra dedicano gli spazi più ampi, sia per la loro importanza di merito sia per le dimensioni delle loro opere, sia infine perché le due appartenenze artistiche più esplicite alla poetica pop. Stämpfli più concettuale. Müller più pittore, carico di proprie autonome invenzioni. Qualcosa ancora in questo preambolo per la pittrice Davatz. Barbara Davatz è, non l’unica, ma la più esplicita leader di una pittura swiss pop, di un pop-cartolina elvetica (oh mia patria, oh mia Elvetia) tutto coniugato sulla manipolazione delle icone e loghi abusati dalla folk-art della piccola patria. Boschi carichi tuttavia di inquietudine, montagne, animali da cortile, fattorie immerse nel silenzio e nel mistero. In mostra c’è un polittico della Davatz che si apre con un uomo in costume tradizionale (il trachtpangermanico: calzoni di cuoio, cappello con la piuma eccetera), e procede, con un rovesciamento iconico dell’Heimatschutz, per quadretti con paesaggi, animali da cortile, che diventano immagini cariche di suspense, mondo chiuso, xenofobico, incestuoso anche, anteprima del delitto.
Sì, c’è una “via elvetica” alla pop. È quella della Davatz, di Emilienne Farny che spostatasi a Parigi ne dipinge le periferie con un approccio quasi naif, del più anziano e autorevole Samuel Buri qui presente con le tele condotte per pixel: montagne, montanari nudi e atletici alla Hodler che soffiano dentro il corno della Alpi al sole di un avvenire. Allora, per mettere ordine, c’è voluto un notevole coraggio a imbarcarsi in questa impresa. Se c’è uno spazio del mondo anti- pop questo si chiamerebbe Svizzera, se c’è un assenza di panorama urbano questo è per i laghi, gli alpeggi e per le valli svizzere, le tante tal. Il pop è – di contro – la resa artistica della oggettificazione del mondo, il panorama urbano dove dominano i manufatti d’uso comune (la bottiglia di Coca, la scatola di spaghetti, l’interno dell’automobile, il vagone della metropolitana...) e attorno a loro si genera un racconto, un’epica addirittura, del quotidiano. Lo sguardo – nostro, del pittore – non può che fermarsi sull’artificio. Bob Indiana, artista pop americano in mostra a Locarno, dipinge segnali, frecce, numeri, e dice: «Ci sono più segnali che alberi in America. Ci sono più segni che foglie. Per questo penso a me stesso come a un pittore del paesaggio americano».
Il pop va in parallelo allo sviluppo industriale degli anni Sessanta e lo dipinge. Dopo il rifiuto di ogni dato oggettivo del linguaggio informale, dopo l’insorgenza anarchica e antistorica della fine anni Quaranta e anni Cinquanta (Gorky, Wols, Pollock), l’arte si accende negli anni Sessanta di una nuova rappresentazione della oggettività. L’immagine muta intrinsicamente, alla radice. Il processo di modificazione della immagine del dato reale (lo sguardo attorno a noi) inizia a fine Ottocento con la fotografia, procede con le sequenze del cinema e infine con i frames e la trasmissione per pixel televisiva. Giustamente il catalogo curato dalla Schuppli inizia il racconto-pop nel 1957, con la installazione della televisione in bianco e nero in circoli, luoghi pubblici collettivi, poi a colori nove anni dopo. Molti degli artisti presenti ad Aarau aderiscono sia alle modalità di una “immagine televisiva”, come alle cronache e all’iconologia del tempo. E sono automobili, traffico, frigoriferi, grandi pomodori e pudding. Si partecipa alle cadenze del movimento internazionale ma non se ne vive la condizione.
Sono qui – ma indistinti, usurati dal tempo – gli storyteller, i partecipi della figurazione in voga: l’allunaggio, i piloti dello spazio con caschi e tute, l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, di Martin Luther King, la guerra in Vietnam con pure intense immagini e una impaginazione concitata. In un anfratto della mostra – si snoda per due piani – è collocato un juke-box d’antan: monumentale, simbolo, icona e oggetto del tempo. E sono i Simon&Garfunkel con le musiche per Il laureato, i Rolling Stones, i Beatles con Yellow submarine e Sgt. Pepper,John Lennon con Imagine… Americana e inglese la musica pop così come fu prima di tutto americana e anche londinese la pittura, l’opera pop. Nel 1964 la Biennale di Venezia sancisce la vittoria dell’opera d’arte dell’oggetto sulla pittura esistente (informale, materica, espressionismo astratto). Il padiglione americano è dei grandi artisti pop e il premio della Biennale è per Robert Rauschemberg, caposcuola pop e mediatore. Milano e Parigi da sempre poli di formazione e gravitazione per gli artisti svizzeri – o direttamente negli Usa come per lo scultore Metzler – favoriscono l’approccio al nuovo movimento artistico. Così è per il ticinese Renzo Ferrari (Cadro 1939) formatosi a Milano, presente in mostra con una propria partecipazione alla immagine- oggetto e alla vicenda pop: riflette sulla mutazione bionica della figura umana e sarà questa una costante del suo lavoro.
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