La Settimana Santa della Diocesi di Macerata è ricca di eventi che esprimono la devozione e la pietà popolare nella Passione e Morte del Signore. Tra le più suggestive vi è la “Bara de notte” che si svolge il Venerdì Santo a Porto Recanati, cittadina turistica della costa adriatica con una rilevante attività marittima.
L’origine de “la Bara de notte” si fa risalire al medioevo, periodo in cui si svilupparono le sacre rappresentazioni riguardanti in particolare la Passione e la Morte di Gesù. Tuttavia, la data storica certa della sua nascita è quella relativa all'anno 1713 quando Mons. Lorenzo Gherardi, vescovo di Recanati promosse al Porto la costituzione di alcune confraternite. Tra queste quella del Cristo Morto che, oltre a svolgere opere di assistenza verso i poveri, aveva l'impegno di organizzare la partecipazione alla «Bara de notte». Difficile stabilire in che anno preciso si cominciò ad effettuare la processione con il catafalco che sembra sia stato donato dalla parrocchia recanatese di San Domenico alla parrocchia di San Giovanni Battista di Porto Recanati, allora ancora appendice di Recanati.
«La Bara» è una macchina in legno e tela alta 4,60 metri, del peso di circa 6 quintali. La sua intelaiatura, ricoperta di velluto nero e drappi celesti, occupa approssimativamente dodici metri quadrati. Fino al 1996 veniva allestita ogni anno dal lunedì al Giovedì Santo dai fratelli Bartolini, falegnami di professione ai quali era stato tramandato il segreto del montaggio da chi li aveva preceduti. Negli ultimi 28 anni la bara viene montata e allestita il mercoledì presso il cortile delle scuole elementari di Corso Matteotti dal Comitato Pescatori per essere poi portata alla chiesa di San Giovanni Battista il Giovedì Santo di buon mattino.
Al termine della processione si smonta (fatta eccezione per il corpo della bara e il tetto del baldacchino) e si ripone per ripetere l'operazione l'anno successivo.
Durante il tragitto è portata a spalla da dodici «sciabbegòtti» che indossano gli abiti della pesca con la sciabica, scalzi e con il «cullàru». Attorcigliata la «risa», alle traverse di sostegno e facendo forza, i dodici sollevano la macchina e camminano. I principali protagonisti della «Bara de notte» sono i pescatori, i loro figli, le loro mogli; i primi conducono il catafalco per le vie del paese sostenendo una fatica immane. Attaccano i loro «cullari» ai paletti della base e sotto la guida del più anziano eseguono i vari movimenti, tutti allo stesso passo.
All'esterno ci sono quattro pescatori, «i venti», che guidano il catafalco ma solo il capo bara dà l’esatto orientamento con un linguaggio che ha una stretta attinenza con la direzione dei venti. Lo stesso ordina la fermata dicendo «Ave Maria». Sono ancora pescatori i tre «cangiudei» che scalzi, indossano due tuniche nere ed una bianca portando sulle spalle una croce ai piedi della quale c'è una grossa catena ferrea che, strisciando sulla strada, produce un lugubre rumore.
I tre scalzi ed incappucciati rappresentano il Cristo e i due ladroni e sono membri di famiglie che da anni ed anni si tramandano questo compito.
Anche gli «sciabbegòtti» che portano la bara si tramandano di generazione in generazione l'onere e l'onore di trasportare il catafalco.
I figli dei pescatori portano invece, a spalla, il pesante trittico delle statue della Vergine Addolorata, San Giovanni e Maria Maddalena, mentre i giovani che frequentano l’Oratorio Don Bosco aprono la processione portando a spalla una grande croce di legno nera con tutti i simboli della Passione. Le donne dei pescatori accompagnano «La Bara» con canti mesti, lenti e lamentevoli, brani tradizionali particolarmente suggestivi. In chiesa, al termine della processione, insieme ai loro uomini e a tutta la folla intonano nuovamente il canto della Passione.
La processione: il pomeriggio del Venerdì Santo, nella chiesa di San Giovanni Battista, dopo la liturgia del Venerdì Santo, il simulacro del Cristo Morto viene adagiato sopra la «Bara» posta al centro della chiesa. Quindi all'Ave Maria, verso le otto e trenta di sera, si radunano i protagonisti e dopo gli ultimi preparativi si dà inizio alla processione. Davanti a tutti c'è una croce in legno, di dimensione naturale, munita di tutti gli strumenti della Passione: il calice, la corona di spine, i dadi, un coltello, la colonna ed un flagello, le tenaglie, la canna con la spugna, un martello e la lancia.
Seguono, su due file, i bambini ed i ragazzi, con in mano il flambeau. Al centro tre sacerdoti: i due laterali tengono i lembi del piviale rosso del celebrante che sorregge una reliquia della Croce Santa.
Quando tutti sono ai loro posti, dopo il saluto del Sacerdote, in un religioso silenzio, esce dalla Chiesa di San Giovanni Battista la «Bara». Allo spuntare delle lance la banda musicale “G. Verdi” rompe il silenzio con lo squillo delle sue trombe, ed inizia una solenne marcia funebre.
La «Bara», è seguita dai tre incappucciati e dalle donne circondati dalla folla orante. Dietro a loro, ad una distanza ragguardevole la portantina con la croce dove sono collocate la Sacra Sindone e il velo della Veronica; ai suoi piedi si ergono le tre statue chiamate impropriamente «le tre Marie», Maria la Madre di Gesù, Maria di Cleofa e Maria di Magdala.
Lungo il percorso vi sono 14 soste, durante le quali vengono proclamate le stazioni della Via Crucis con le meditazioni scritte dai membri delle varie associazioni cattoliche cittadine. Durante queste fermate si effettuano i cambi dei portatori della croce lignea e delle statue. Quando la Croce Santa giunge a Largo Porto Giulio, vi è il ricordo di tutti i pescatori che hanno perso la vita in mare. Arrivati nella piazza antistante il Castello Svevo si sosta a lungo per permettere a tutti i partecipanti di radunarsi attorno alla «Bara» ed ascoltare la “predica” che tradizionalmente si conclude con la benedizione su tutta la popolazione. Terminato il discorso la processione si ricompone per rientrare nella chiesa di San Giovanni Battista.
La conclusione avviene tra canti del «Miserere» e dello «Stabat Mater» eseguiti dai pescatori e dalle donne. Mentre lo sguardo si perde verso il corpo del Cristo morto, riecheggia fervente e commosso il mesto e lugubre canto corale del pentimento. È una processione che coinvolge i sentimenti più profondi della popolazione, empaticamente espressi nella poesia “Passa la Bara” di un grande portorecanatese, Emilio Gardini.
P. Roberto Zorzolo, Incaricato diocesano tempo libero, turismo e sport diocesi di Macerata
turismo.chiesacattolica.it
(post a cura di Giuseppe Serrone - turismoculturale@yahoo.it)