La Tate Britain dedica all’artista e poeta una grande retrospettiva. La sua visionarietà è stata spesso letta come anticipazione del ’900 ma è soprattutto la complessità a renderlo davvero “moderno”
William Blake "Pity" (1795 ca), particolare
In un suo autoritratto a grafite del 1802 William Blake pianta gli occhi dritti dentro quelli dello spettatore. È uno sguardo sfrontato, che come uno specchio interroga più di quanto riveli. Sincerità e mistero sono cifre che si rincorrono in tutta l’opera del grande artista inglese (17571827), poeta e pittore insieme, autore di incisioni, libri illustrati e di poche tele, per quanto abbia sempre aspirato al grande formato («acquerelli ovvero affreschi» diceva).
A lui Londra la Tate Britain dedica una grande retrospettiva che ne consente una visione completa. Il talento visionario di un outsider nel proprio tempo e poi divenuto figura centrale della cultura inglese, è testimoniato in oltre duecento tra stampe, acquerelli, disegni: opere in cui Blake raggiunge il grandioso nella pressione del piccolo formato. E i libri illustrati (su testi propri o altrui): un’opera d’arte complessa, totale, in cui la parola è visione e l’immagine, nel suo essere simbolo, parola; e in cui i disegni non illustrano i poemi ma si stratificano in livelli paralleli. Anche visivamente figura e parola non si compenetrano ma entrano in frizione producendo energia.
Blake fu artista antiaccademico per eccellenza, eppure ciò non significa che non abbia fatto tesoro degli anni di scuola. Come da prassi alla Royal Academy di Londra copia l’antico e i maestri del Rinascimento. In mostra è esposto uno studio che elabora la lunetta di Matthan, dalla Sistina. La serie degli antenati di Cristo è la meno celebre degli affreschi di Michelangelo, ma è anche la più densa, misteriosa e compositivamente complessa. È uno spunto che si riflette su tutta l’opera di Blake: le figure della Sistina (il Giudizio anche per la spazialità) sono un repertorio fondamentale e ricorsivo fino all’ossessione. Blake sceglie Michelangelo come modello per la forza visionaria ma anche perché è il genio fuori dagli schemi, l’artista titano che lotta contro la materia e contro il suo tempo. Ed è artista poeta.
Presto si aggiungono i suoi contemporanei: l’espressionismo di Füssli e il linearismo di Flaxman, artisti escono dai canoni estetici dell’accademia per esplorano un’arte dal forte impatto emotivo e bisognosa di una libertà e di strutture nuove. Gli acquerelli di Blake da una parte mantengono saldi alcuni degli elementi classici (la costruzione a fregio che comporta assenza di sfondo e prevalenza di profili, il sistema retorico dei gesti) dall’altra si fanno non solo più liberi ma anche più difficili da interpretare, l’iconografia esce dagli schemi tradizionali fino a diventare inedita.
L’impronta resta salda fino alla fine: Blake dimostra l’inconsistenza della scolastica separazione tra mondo neoclassico e romanticismo, che sono due registri, due chiavi interpretative e infine elementi di un dualismo sincrono, moderno prima di tutto per una complessità che non teme la contraddizione. Razionale e irrazionale si fondono: il contemporaneo Frankestein non è uno spettro ma il frutto della scienza.
Complessità è dunque la cifra di Blake, il cui mondo visivo di archetipi, di iperboli e di forze cosmiche in contrasto, non teme la compresenza di Bibbia, mitologia nazionale (Albion) e soprattutto auto-mitologia (il demiurgo Urizen, il ribelle Orc), scienza (Newton, deificato). Ci sono Shakespeare, Dante, Milton. C’è anche il clima dei Canti di Ossian,pubblicati nel 1760 da James MacPherson come un ritrovamento ma in gran parte frutto della sua penna: il mito autoctono è in realtà opera della contemporaneità.
Questo forse è lo sforzo più grande per il visitatore: capire Blake dentro la sua epoca. Perché Blake è spesso letto come il visionario anticipatore, il progenitore di espressionismo e surrealismo. Ma la sua libertà di creativa fu tale, e i confini concettuali e simbolici così incerti, che il rischio di manipolare Blake a partire dal Novecento è alto.
La mostra colloca Blake e la sua opera nei tempi e nei luoghi: dove e quando le opere sono state create, chi le ha viste e con quali reazioni, chi le ha sostenute e collezionate. Capire Blake nella sua epoca: e dentro la sua epoca Blake si colloca come un profeta biblico che usa il linguaggio di Genesi e Apocalisse per sferzare il presente. Una scelta che consente di spiegare la sua parziale marginalità e il fallimento su larga scala. Fino a che punto siamo allora autorizzati a leggervi i semi della modernità? Nella misura in cui siamo coscienti che il nostro è un riconoscimento retrospettivo. Blake non anticipa: sono i posteri che individuano in lui un modello da raccogliere e sviluppare.
Blake è innanzitutto moderno in quanto uomo di un tempo di transizione, nel quale nuove realtà e dimensioni devono essere espresse con mezzi storici oppure da forgiare in autonomia. Blake sceglie entrambe le vie. È moderno nel suo opporsi ad alcuni versanti della modernità, come il materialismo tecnologico. Il suo libro illustrato è anti-industriale: ogni pagina è un pezzo unico perché può essere stampata e colorata in modo differente, e i libri stessi esistono in multiple versioni. Allo stesso tempo però le sue immagini sono percorse da brividi elettrici.
La modernità di Blake, prima che nelle sue forme, è nell’indipendenza dalle regole definite dagli standard sociali e dell’arte, mercato compreso. È sintomatico della modernità anche nella costruzione di un personale religiosità, vincolata ma non sovrapponibile all’anglicanesimo. L’arte come critica, come profezia, come utopia: Blake è il prototipo dell’artista radicale.
Ed è moderno, in ultima istanza, in quanto la sua potenza fantastica è prima di tutto costruzione e affermazione della libertà dell’uomo nel regno dello spirito e della conoscenza. Lo chiariscono le immagini che aprono e chiudono la mostra. La prima è Albion Rose, un raggiante nudo maschile del 1793 che si erge danzando sopra la materia informe, alba di un uomo nuovo. L’ultima è The ancient of Days, il frontespizio di Europe, in cui Urizen sembra il dio creatore ma in verità è la scienza stessa che misura il cosmo con il suo compasso elettrico.
Londra, Tate Britain
WILLIAM BLAKE
Fino al 2 febbraio
da Avvenire