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12 chiese abbandonate ma magnifiche

Dagli Stati Uniti all'India, passando per la Francia e l'Armenia, urbane o situate in luoghi isolati, queste chiese sono state costruite su una buona porzione della superficie terrestre. Per la loro presenza, il loro nome e la loro bellezza, ci ricordano che in ogni tempo e in ogni luogo l'uomo ha cercato di costruire edifici sufficientemente solenni per raccogliere le preghiere dei credenti, nonché degne di accogliere la presenza di Cristo sulla terra.


1. La chiesa inondata di Geamăna, in Romania

Oggi il campanile della chiesa del villaggio di Geamăna emerge dalle acque tossiche di colore rosso dopo che la valle è stata inondata accidentalmente dalle acque inquinate di una miniera di rame.


2. La chiesa di Kazan Theotokos, in Russia

La chiesa di Kazan Theotokos è l'unica chiesa russa a doppia cupola ed è stata costruita dal conte e generale russo Zakhar Chernyshev.


3. La chiesa di St-Etienne-le-Vieux, a Caen

Le magnifiche rovine della chiesa di St-Etienne-le-Vieux sono visitabili ancora oggi. La chiesa e gran parte della città vennero distrutte dai bombardamenti americani durante la II Guerra Mondiale.


4. La chiesa di San Bonaventura, in Italia

Le rovine della chiesa di San Bonaventura si elevano su quello che una volta era il paese di Monterano, incendiato dall'armata francese di Napoleone nel 1799. Il luogo ha fatto da scenario a molti film.


5. La chiesa perduta di Ross Island, in India

Ross Island è una delle isole Andamane e Nicobare. È stata occupata dai britannici e utilizzata come centro penitenziario tra il XVIII e il XIX secolo. Nel 1941 un terremoto ha scosso l'isola, allora sotto dominazione britannica, comportando un indennizzo e l'inevitabile abbandono del luogo.


6. La chiesa metodista di Gary, nell'Indiana (Stati Uniti)

Culla del gruppo musicale dei Jackson 5, la città di Gary era in pieno sviluppo. In vent'anni, circa un terzo delle case e degli edifici pubblici è stato abbandonato, com'è avvenuto a questa maestosa chiesa.


7. La chiesa collegiale di Lincluden, in Scozia

Le magnifiche rovine di questa chiesa collegiale sono situate alla periferia nord di Dumfries, in Scozia. Fondata verso il 1160, la chiesa è stata abbandonata nel XVIII secolo. Oggi l'edificio è tra i patrimoni architettonici protetti e aperti al pubblico.


8. Una chiesa di Detroit, nel Michigan (Stati Uniti)

Una volta decima città più importante degli Stati Uniti, Detroit si è svuotata della metà dei suoi abitanti nell'arco di vent'anni in parte a causa della crisi economica. Oggi molti edifici della città, come questa chiesa del XIX secolo, sono abbandonati.


9. La piccola chiesa di Bodie, in California (Stati Uniti)

La città di Bodie, nelle montagne della Sierra Nevada californiane, come molte città dell'Ovest americano ha conosciuto il suo sviluppo maggiore in occasione della corsa all'oro del XIX secolo. Oggi è una città fantasma degna di un film western.


10. Il monastero di Tatev, in Armenia

Secondo una leggenda, l'architetto del monastero non riusciva più a scendere dalla cupola allora in costruzione. Allora gridò “Togh astvats indz ta-tev”, che significa “Potesse Dio donarmi le ali”. Questo fatto all'origine del nome “Tatev”, molto usato in Armenia.


11. Il monastero di Santa Clara-a-Velha in Portogallo

Il monastero portoghese venne costruito nel XIV secolo sul fiume Mondego, nella città di Coimbra. L'edificio venne abbandonato nel XVII secolo a causa di inondazioni ripetute.


12. La chiesa incompiuto di Saint George a Bermuda

La chiesa incompiuta testimonia quello che avrebbe potuto essere la città di Saint George. Iniziata nel 1874, la costruzione dovette essere abbandonata dopo una gigantesca tempesta, venne poi abbandonata definitivamente e la popolazione decise di riparare la chiesa precedente. Oggi è Patrimonio Mondiale dell'UNESCO.


[Traduzione dal francese a cura di Roberta Sciamplicotti]
sources: ALETEIA

Colori di Luce tra arte e poesia blog di Enkelejd Ruci: giovane artista albanese

Note biografiche Enkelejd Ruci


Enkelejd Ruci vive a Spinea (VE).
Ha 49 anni è sposato ed è l'autore dei quadri inseriti nel blog.... La maggior parte dei quadri ha una misura reale di 50x70 cm... 

La tecnica di realizzazione è spatola su tela con colori ad olio.

Per contatti, maggiori informaioni e richieste per mostre 
contattare ufficio.press@yahoo.it
cell. 3429464459

Ferrara la rosa purpurea di Barcellona


Basterebbe la coppia di specchi di Antoni Gaudí realizzati per Casa Milà, che nel 2002 sono stati donati al Museo d’Orsay di Parigi, a far capire che il genio, quand’è grande, porta dentro di sé tutte le stigmate della sua origine terragna ma riesce, in virtù del proprio élan vital a far dimenticare il peso di una storia che ci consegna, come fu per Barcellona, il ricordo di un fervore moderno il cui fuoco fu alimentato dalle vite perdute di tanti che la rivoluzione industriale bruciò nel forno della nuova ideologia della produzione.
Il piano urbanistico di Ildefons Cerdà, approntato nel 1860 e iniziato con un decennio di ritardo, ridisegnò la faccia di Barcellona, occupando la piana che era rimasta libera fin dal Settecento; si presentava come una griglia razionale espressione del verbo funzionalista che si stava imponendo sulla spinta della nuova economia. L’impulso maggiore si ebbe dal 1880 e già nel 1910 la popolazione di Barcellona era quasi raddoppiata, avvicinandosi ai seicentomila abitanti.
Questi numeri, appoggiati su una panoramica delle questioni sociali (pesanti) indotte dalla modernizzazione, sono riassunti dal curatore della mostra apertasi a Palazzo dei Diamanti, Tomàs Llorens, dedicata alla «rosa di fuoco» (il titolo riprende quello di un saggio di Joaquín Romero-Maura uscito nel 1989 e recentemente ristampato, che faceva la storia dell’operaismo barcellonese fino al 1909, anno della sanguinosa “settimana tragica”, quando la rivolta popolare venne repressa dai militari e annegò nel sangue il sogno rivoluzionario.
Maura aveva a sua volta mutuato il titolo da una definizione dell’anarchico Antonio Loredo, che ai primi del Novecento disse: «Il luogo dove il popolo lottò con coraggio, arrivando a imporsi per mezzo del terrore, fu Barcellona, la Rosa di Fuoco, come la chiamiamo noi in America».
Quando guardiamo le opere degli artisti barcellonesi dell’epoca (la mostra parte idealmente dal 1888, anno dell’Esposizione universale, e si chiude appunto sul 1909), dobbiamo tentare di cogliere la tensione che si cela tanto nelle forme, quanto nella scelta dei colori, tendenti allo scuro, alla tumefazione, all’efflorescenza di sostanze crepuscolari, di luci che sembrano venire dal ventre della materia; e il blu di Picasso, che dà il nome al suo celebre periodo che inaugura il Novecento (nel 1904, ricorda Llorens, aveva già abbandonato la città), ne diventa l’allucinato riscontro.
La crescita urbanistica della città è frutto di una scommessa imprenditoriale dove alla tradizionale industria tessile si affiancano cartiere, cementifici, officine, impianti chimici. Si assorbe manodopera dalle campagne e aumenta il conflitto fra la tradizionale economia agraria e quella imposta dalle fabbriche (in pochi anni erano diventate più di mille). Il divario tra ricchi e poveri aumenta paurosamente: poche garanzie per gli operai, alcuni costretti a vivere in condizioni inumane, altri “rinchiusi” nelle Company town, cittadelle, o colonie industriali, imperniate sulla fabbrica e concepite in modo che gli operai abbiano meno distrazioni possibili, favorendo così un più alto tasso di produttività (qualcosa del genere fecero anche le industrie tessili di Eusebi Güell, il maggiore mecenate di Gaudí).
Il modernismo catalano prende forma in quegli anni nella pittura di Ramon Casas, Santiago Rusiñol, Adrià Gual, Julio González e Lluís Masriera. Su tutti si aleva Joaquim Mir, seguito a ruota dalle femmes fatales di Hermen Anglada Camarasa e dalla tenebrosa serie delle gitane di Isidre Nonell. I miserabili di Picasso sono già figure di un teatro esistenziale novecentesco, testimoniato dall’acquaforte del «Pasto frugale» (1904).
L’immaginario che vediamo sulle tele esposte a Ferrara costringe il furore e il dolore su cui la Barcellona modernista ha eretto il proprio orgoglio, sottopelle; lo lascia covare come braci che dovranno, quanto prima, riprendere fuoco della rosa rivoluzionaria e segnare la riscossa dei “miserabili”; sappiamo com’è finita. Il terrore che l’anarchico Loredo diceva essere l’arma del riscatto popolare, generò la “settimana tragica”. Picasso era già altrove, Gaudí continuava l’opera alla Sagrada Família, che aveva intrapreso nel 1883, subentrando all’architetto di Alfondo XII, costruendo prima la cripta e poi l’abside, infine ponendo mano alla facciata della Natività; nel 1926 improvvisamente morì finendo sotto le ruote del tram.
E mentre si guarda, all’inizio della mostra, la Sagrada Família nelle foto d’epoca di Adolf Mas e di Adolfo Zerkowitz, si capisce che cosa intendesse Le Corbusier quando disse che Gaudí era uno «scultore della pietra, del laterizio e del ferro». La chiesa incompiuta, che forse vedrà la fine nel 2026, si prefigurava, sotto le sue mani, come un frutto del sentimento neogotico e della tradizione del barocco ispanico, un’architettura fantastica fatta di sapienza tecnica, genio ornamentale e iconografia sacra. Gaudí modificava le sue idee in opera, il cantiere era il banco di prova per correggere il tiro; per questo la Sagrada Familia sarà sempre un’opera incompiuta, anche se in essa alita il suo spirito. Non sapremo mai come l’avrebbe condotta in porto, e i suoi disegni sono simili a una notazione musicale consegnata all’interpretazione di un direttore d’orchestra (che non è il compositore).
Ma i due specchi, evocati all’inizio, da soli mostrano quanta libertà poetica ci fosse nella mente e nelle mani di Gaudí, quanto visionario coraggio e raffinato senso della forma fu capace di esprimere, quanta cultura e arcaico sentimento del rapporto tra uomo e mondo. Ecco l’eredità “rivoluzionaria” della Rosa di Fuoco.
Ferrara, Palazzo dei Diamanti
La Rosa di Fuoco
Fino al 19 luglio
avvenire

Cirque du Soleil: «Portiamo all'Expo la gioia della vita»

La compagnia prova a Milano il nuovo spettacolo “Allavita!” che debutterà il 13 maggio. Una produzione da 8 milioni di euro in scena fino al 30 agosto.
Siamo andati a vedere le prove e abbiamo intervistato i protagonisti.

Un’esclusiva festa per i sensi» promette il sottotitolo di Allavita! lo show che il Cirque du Soleil deposita dal 13 maggio tra i padiglioni dell’Expo con un’agenda di ottanta repliche che lo terrà a Milano fino al 30 agosto. E le prove in corso al Palaghiaccio di via Piranesi sembrano proprio dargli ragione. Acrobati che si lanciano da un trapezio all’altro traversando scroscianti pareti d’acqua, tappeti giganti, un elfo in volo sulle teste del pubblico appeso a grappoli di palloni aerostatici, gli “sway poles”, le lunghe pertiche flessibili che consentono agli acrobati formidabili coreografie ondeggianti, sono solo alcune delle sorprese di Allavita!, spettacolo in quattordici quadri in scena per cinque sere la settimana, con turni di riposo il lunedì e il martedì.

Questo sorprendente mix tra musical e circo racconta di un ragazzino che riceve in dono un seme magico da sua nonna. Da questo seme appare un amico immaginario che lo guida in un fantastico viaggio tra stupore, coraggio e speranza. Ovviamente è stato il tema di Expo Milano 2015, “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, ad avere ispirato la storia.

Pur discussa e criticata, la scelta dell’ensemble canadese risponde a quei criteri d’internazionalità con cui un evento di portata globale come l’esposizione universale è tenuta a confrontarsi. Davanti alla scelta dei circensi nordamericani alcuni addetti ai lavori nazionali hanno storto la bocca parlando di mortificazione della cultura italiana e di “provincialismo esterofilo”, di mancata valorizzazione della nostra eccellenza nello spettacolo e, per non farsi mancare proprio nulla, di trionfo dello show business sull’arte. Il Cirque ha risposto coi fatti, mettendo in campo un’organizzazione inesorabile; e mentre a Rho la costruzione dei padiglioni arrancava dilaniata dai ritardi, dai commissariamenti e dalle vertenze giudiziarie, nella “fabbrica del sogno” di Montréal l’organizzazione di Allavita! procedeva come un gioiosa macchina da guerra. Inizialmente l’Expo aveva progettato di ospitare come spettacolo residente un “must” della compagnia canadese già in tournée quale Amanluna, portato al debutto tre anni fa e liberamente ispirato a La tempesta di Shakespeare.Poi però si è preferito puntare su una produzione originale, realizzata con un investimento di otto milioni di euro, sei dei quali per il Cirque du Soleil e due per l’infrastruttura, ovvero un teatro sotto le stelle da seimila posti. Anche se presumibilmente queste cifre non tengono conto di delle spese accessorie di Allavita!, a cominciare da infrastrutture tecniche come l’impianto luci o quello di amplificazione, personale specializzato, addetti alla sicurezza, servizio catering e quant’altro. In totale altri quattro-sei milioni di euro, alleviati dall’intervento degli sponsor.

Amaluna approderà in Italia con il suo tendone solo a primavera 2016. «Storicamente ogni edizione dell’Expo ha fatto del tema e del contesto in cui si svolgeva il suo elemento caratterizzante, quindi sarebbe stato difficile adattare al tema dell’alimentazione uno spettacolo già esistente» spiega Krista Monson, regista di Allavita!. «Ho diretto a Las Vegas One day One drop, evento unico a sostegno dell’omonima organizzazione [impegnata a garantire a tutti l’accesso ad un bene primario della vita quale l’acqua, ndr] che aveva un messaggio altrettanto forte e un soggetto ugualmente importante. Il tutto fondendo, anche in quella circostanza, spettacolarità e poesia. Qui abbiamo puntato ad uno show internazionale che avesse però un sapore italiano. Molta musica e molta passione, quindi. Pure il finale, a sorpresa, è molto italiano». 


Claudio Giuliani, 41 anni, marchigiano, è uno dei 23 italiani impegnati in un cast di 48 artisti. Viene da Corinaldo, il paese dell’anconetano in cui è nata santa Maria Goretti. «Con altri tre colleghi, cooptati pure loro nello spettacolo, sono uno sbandieratore nel gruppo storico Combusta Revixi, ma la velocità e la contrazione degli spazi imposti dagli alti ritmi di Allavita! rendono tutto molto più spettacolare e complicato» ammette. «Lo scorso ottobre, alle selezioni, la prima cosa che ci hanno chiesto la regista e i suoi collaboratori è stata quella di uscire dall’area protetta in cui siamo abituati ad operare, per stupire loro e noi stessi. Ovviamente non utilizziamo le nostre bandiere abituali ma dei drappi che evocano l’inafferrabilità di un elemento naturale come il vento. Abbiamo iniziato a lavorare qui al Palazzo del ghiaccio il 30 marzo; nove ore al giorno con solo qualche momento di pausa. La settimana prossima iniziano le prove a Rho e da quel momento sarà vietato sbagliare. Krista – aggiunge – ci chiede di non aver paura di mostrare quel che ci portiamo dentro soprattutto quando abbandoniamo la manualità dei nostri strumenti per trasformarci ora in ballerini ora in attori. È entusiasmante vedere dal di dentro come nasce un mega-show del genere, anche perché finora in Italia il Cirque uno spettacolo di queste dimensioni non l’aveva mai prodotto».
avvenire

Sarà il Papa ad "aprire" l'Expo il 1° maggio



Non sarà presente fisicamente, ma farà sentire la sua voce. In occasione dell'inaugurazione dell'Expo di Milano Papa Bergoglio interverrà venerdì 1° maggio con un collegamento in diretta reso possibile dalla collaborazione tra la Rai e il Ctv, Centro televisivo vaticano. La decisione del Pontefice di partecipare all’apertura dell’Esposizione universale ribadisce il coinvolgimento della Chiesa nei confronti dei temi evocati da “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” cui è dedicata questa edizione dell’Expo. 

La Chiesa cattolica, infatti, partecipa all’evento in diverse forme. La Santa Sede è presente in Expo 2015 ufficialmente come Paese espositore, con un proprio Padiglione intitolato “Non di solo pane” all’interno del quale si sviluppa un percorso espositivo basato su diversi linguaggi artistici, dai più tradizionali a quelli innovativi, suddiviso in quattro grandi capitoli: “un giardino da custodire”, “un cibo da condividere”, “un pasto che educa”, “un pane che rende presente Dio nel mondo”. Per conoscere i dettagli della presenza della Santa Sede in Expo, sono stati attivati dei canali specifici di comunicazione: un sito internetwww.expoholysee.org, un profilo Twitter @expoholysee e la pagina Facebook Chiesa in Expo.

Ha un proprio spazio espositivo anche Caritas Internationalis, organismo che raccoglie tutte le Caritas del mondo, che ha aderito ad Expo 2015 come “Civil Society Participant”. Cuore di questo percorso è il messaggio “Dividere per Moltiplicare. Spezzare il pane” che declina la campagna mondiale di Caritas contro il dramma della fame. Sono attivi un sito internet www.expo.caritasambrosiana.it, un blog www.expoblogcaritas.com e due profili di twitter @expoblogcaritas e @caritas_milano. 

Sia la Santa Sede sia Caritas Internationalis proporranno, inoltre, un ampio palinsesto culturale lungo tutto il semestre espositivo incentrato sulle molteplici dimensioni, culturali, spirituali, sociali, ed economiche che il cibo assume. Inoltre anche la Chiesa ambrosiana guidata dal cardinale Angelo Scola, nella cui Diocesi Expo si svolge, fin dall'annuncio di Milano come città prescelta per l'edizione 2015 ha guardato con attenzione a questa manifestazione cogliendola come opportunità pastorale, dedicando interventi e riflessioni per interrogare e arricchire la vita quotidiana e i percorsi di fede. All’indirizzo www.chiesadimilano.it/expo il sito ufficiale della Diocesi in Expo, al quale si aggiunge l’account di Twitter @chiesadimilano. Un ricco programma di incontri di sensibilizzazione si è già svolto e continuerà nei prossimi mesi nelle 1.107 parrocchie in cui è articolata la Chiesa ambrosiana.
Avvenire

Il calendario di Expo giorno per giorno Resi noti tutti gli eventi organizzati lungo i sei mesi


 Oltre 160 eventi sono già inseriti nel calendario di Expo, reso pubblico oggi alla tappa di Pompei dell'Expo delle Idee. Quando il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha visitato il sito dell'esposizione ha spiegato che all'inaugurazione del primo maggio ci saranno diversi Capi di Stato stranieri anche se la Farnesina ha fatto in modo che siano presenti soprattutto nei giorni (115) che il calendario dell'esposizione universale dedica ai loro Paesi. Nel caso della Russia, ad esempio, il giorno è il 10 giugno e Matteo Renzi dopo il suo incontro con Vladimir Putin, ha annunciato che il presidente verrà per l'occasione a Milano. Francois Hollande dovrebbe invece arrivare nel giorno della Francia che è il 21 giugno, mentre il giorno della Germania sarà il 18 giugno e quello degli Stati Uniti il quattro luglio. A farla da padrone in questo calendario è però soprattutto la Cina che, oltre a una giornata sul turismo cinese il 22 maggio, e al giorno nazionale l'8 giugno può contare anche su una settimana dedicata a Pechino e una a Shanghai fra maggio e giugno. Nell'elenco non è segnata la giornata dell'Italia, anche se non ci sono altri appuntamento per la festa della Repubblica il 2 giugno, quando dovrebbe essere inaugurato al completo l'allestimento realizzato per Expo dal premio Oscar Dante Ferretti. In realtà tutti gli eventi in cartellone seguono quattro filoni, e quello delle giornate nazionali è solo uno. Un altro riguarda i giorni di approfondimento in vista della consegna al segretario Onu Ban-Ki Moon della Carta di Milano, che avverrà ad Expo il 16 ottobre. Si parte con la giornata dell'Europa il 9 maggio (con eventi anche fuori dal sito come il concerto dell'Orchestra Verdi dedicato alla Nona di Beethoven organizzato con il Parlamento e la Commissione Europea), passando per la giornata internazionale delle famiglie, il convegno dell'organizzazione mondiale degli agricoltori, il 3 giugno, e gli appuntamenti sulla lotta al lavoro minorile, la giornata mondiale degli indigeni, il forum dei ministri della Cultura, con partecipanti da 140 Paesi, e il Nelson Mandela International Day. A Women for Expo, e quindi al mondo femminile, invece, sono dedicati incontri come il forum Aspen su 'Sicurezza alimentare, nutrizione e salute globale' e soprattutto la riunione del 10 luglio organizzata a 20 anni dalla conferenza delle donne di Pechino, organizzata dall'Onu, nel 1995, a cui potrebbe partecipare Hillary Clinton. Spazio anche per le feste, con una notte bianca del cinema e del teatro il 20 giugno e appuntamenti dedicati a prodotto e produttori come latte, pane, pizza, vino, olio e pescatori. ''Una grande notte bianca il 20 giugno, 115 giornate nazionali, 26 internazionali e 11 feste dei sapori a Expo2015": ha sintetizzato in un tweet il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina, che ha la delega ad Expo.(ANSA).
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