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Turismo: studio, prenotare aerei 7 settimane prima conviene

Prenotare 7 settimane prima della partenza fa risparmiare circa l'11% rispetto alla tariffa media dell'anno. Emerge da uno studio realizzato da Skyscanner analizzando circa 250 milioni di voli prenotati dagli utenti negli ultimi 3 anni.

    Secondo la ricerca in generale la settimana più economica per viaggiare in aereo risulta essere la 46/a dell'anno (9-15 novembre 2015) e consente un risparmio di quasi il 20%. I risultati d'altra parte mettono in evidenza come il momento migliore per prenotare varia molto da destinazione a destinazione: per esempio, la Grecia in generale deve essere prenotata con solo 6 settimane di anticipo, mentre chi cerca un po' più lontano, ad esempio i molto amati Stati Uniti, dovrebbe prendere in considerazione la prenotazione con 23 settimane di anticipo se vuole avere maggiori opportunità di tariffe più economiche.
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Dormire nelle Grotte, l'esperienza mistica nei Sassi a Matera

di Federico Pucci

La coesistenza di cultura e natura, terra e spirito è una formula che si può applicare a molti luoghi nel mondo, ma solo Matera può vantarsi di proporla nella simbiosi assoluta dei Sassi. Le celebri caverne nel centro della città lucana sono il fiore all'occhiello di un territorio premiato lo scorso ottobre dalla designazione a Capitale Europea della Cultura 2019.

E se il processo dei prossimi 4 anni comporterà senz'altro investimenti sul futuro di Matera e sul suo contributo culturale contemporaneo, nessuno sguardo sul capoluogo delle Murge può prescindere da un salto nel passato millenario dei Sassi, come sarà capitato ai turisti che anche nelle recenti festività hanno premiato il centro della Basilicata. Sito Unesco dal 1993, le grotte materane si inseriscono in un sistema naturale di gravine scavate nel calcare dai venti e delle acque (Parco Naturale della Murgia Materana): la zona, abitata con continuità fin dal Paleolitico, è una testimonianza tangibile della capacità dell'uomo di reinventare un ecosistema.

Fino allo sfollamento del 1952 i Sassi hanno ospitato abitazioni, ma anche chiese e monasteri, in un equilibrio fra spiritualità e natura unico al mondo. Dopo l'abbandono dei Sassi, tuttavia, molte grotte furono colpite dal degrado: è qui che sono intervenuti imprenditori come Umberto Paolucci, che nelle sue Grotte della Civita propone a turisti giunti da ogni parte del mondo un tuffo nel passato con i piedi ancorati nel presente, ma prima ancora un'esperienza spirituale.

Le diciotto stanze dell'albergo sono state ricavate dagli ambienti di un monastero benedettino, fra celle dei monaci trasformate in suite, grotte del vicinato adattate in stanze e una chiesa sconsacrata del XIII secolo che funge da ristorante. Gli alloggi, che arrivano a misurare 160 mq, richiamano filologicamente il passato di frugale rifugio - un tempo dalle incursioni saracene, normanne o bizantine, oggi dallo stress quotidiano.

"Il senso di autenticità che pervade le Grotte della Civita nasce dal rigore e dal rispetto con i quali sono state portate a nuova vita", spiega Umberto Paolucci. Le stanze delle Grotte sono infatti arredate con sobria eleganza, nel massimo rispetto della forma originale: letti, vasche, lavandini poggiano sulla nuda pietra, con lo spettacolo del 'presepe' materano da una parte e della valle del torrente Gravina dall'altra a ristorare lo sguardo. "Il vero lusso è l'appagamento dei bisogni più intimi e veri del sé - continua Paolucci - La verità che si respira in queste grotte è uno strumento potentissimo di arricchimento spirituale".

Il legame fra Matera e l'anima del resto è un punto fermo dell'immaginario italiano, fra Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini che in letteratura e cinema hanno espresso la fascinazione mistica del luogo. Ora, da futura Capitale Europea, Matera punta a diffondere questo suo racconto spirituale ben oltre i confini nazionali: "Il cliente di questi luoghi non può non trovare soprattutto se stesso e il senso profondo del vivere, anche se non era venuto per cercarlo", dice Paolucci. Non a caso, a pochi passi dall'albergo, due delle chiese rupestri più antiche di Matera simboleggiano l'armonia di natura e spirito, passato e presente: la Madonna delle Virtù e l'adiacente cripta di San Nicola dei Greci, oggi prestigiose sale per mostre d'arte contemporanea e set cinematografico (ad esempio, per 'La Passione di Cristo' di Mel Gibson). E con il fermento per la nomina europea che scorre per le strade di Civita, del Barisano e del Caveoso, il viaggio nel tempo e nell'anima di Matera pare solo agli inizi.
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Gastronomia. Spezie, la cucina col pepe addosso


Macché mediterranea: la cucina degli antichi Romani ricordava piuttosto quella cinese d’oggigiorno. Per colpa – o merito – di un unico ingrediente: il pepe. La regina delle spezie ricorreva in tale quantità, nella cucina romana, da determinarne il carattere, principalmente attraverso due sapori fondamentali: l’agrodolce e l’agropiccante, oggi rari sulle mense occidentali ma appunto dominanti in quelle asiatiche. Il pepe è il protagonista del brillante saggio di Francesco Antinucci, ricercatore del Cnr, dedicato alla storia del commercio e dell’impiego delle spezie, attraverso la quale si può leggere in controluce la società europea nel corso degli ultimi due millenni.
 
Le spezie, e il pepe non fa eccezione, sono totalmente inutili dal punto di vista pratico: contrariamente a quanto in passato ha affermato molta storiografia – specie di scuola marxista, tesa a individuare moventi economici “razionali” per ogni azione umana – , non servono né a conservare gli alimenti, né a “coprire” il gusto di carni avariate (per farlo, osserva Antinucci, servirebbe talmente tanto di quel carissimo pepe, da rendere di gran lunga più conveniente macellare un altro animale). Già Plinio il Vecchio lamentava esterrefatto la passione dei suoi concittadini per il pepe, e il fatto che «la Penisola Arabica e il Seres [l’Asia centrale patria della seta, ndr] drenano ogni anno al nostro impero la cifra di cento milioni di sesterzi: tanto ci costa il nostro lusso». Un singolo carico di spezie indiane – come quello dell’Hermapollon, del quale Antinucci riporta i registri di navigazione – valeva almeno dieci milioni di sesterzi: cioè un terzo di patrimoni passati alla storia per la loro sconfinata misura, come quelli di Trimalcione o Plinio il Giovane.
 
La chiave è quella già indicata da Plinio: il lusso. Le spezie valgono proprio perché inutili, ma rare, costose, lontane. I tre fattori sono intrinsecamente legati, tant’è che quando uno di essi verrà meno, l’intero sistema economico fondato sulle spezie crollerà. Ma non senza avere nel frattempo segnato la nostra storia. I Romani – quelli ricchi, s’intende – vivevano di pepe: i loro ricettari ne prevedono tanto, e in tale quantità, da caratterizzarne il gusto, a discapito dei sapori locali – “mediterranei”, li chiameremmo oggi – sviliti poiché inefficaci sul piano simbolico.
 
È il noto meccanismo del bisogno indotto: quando un prodotto è inutile sul piano pratico, per smerciarlo occorre assegnargli valore sul piano simbolico. Ma poi in qualche modo va utilizzato: e se per i metalli e le pietre preziose c’è l’oreficeria, per le spezie c’è la cucina. Il saggio correda ogni capitolo – uno per ogni tappa della storia del commercio – con alcuni manicaretti estrapolati dai ricettari delle varie epoche, diventando così anche una storia del gusto (si fa per dire: la dice lunga il significato che ha assunto in italiano la parola che indicava uno degli ingredienti fondamentali della cucina romana, il liquamen: un liquido derivato dalla fermentazione di pesce salato).
 
Fornelli a parte, le spezie per secoli – scrive Antinucci – hanno rappresentato «ricchezza, potere, status sociale; appartenere ai pochi che stanno in alto». Su questa ambizione – una costante della storia umana, in ogni tempo e a ogni latitudine – Venezia, qualche secolo dopo Roma, avrebbe costruito la sua fortuna. Poi sarebbe stato il turno del Portogallo, con l’apertura della rotta che circumnaviga l’Africa. Poi dell’Olanda, che per mantenere il controllo dell’Indonesia produttrice di spezie rinunciò senza esitazione alla sua colonia americana – e Nuova Amsterdam divenne New York... –. Infine degli inglesi, con i quali – siamo già nel XVII secolo – il commercio delle spezie entrò in crisi, vittima del proprio stesso successo: l’ansia di riversarne sempre di più sul mercato portò alla svalutazione del prodotto, e la palma del lusso passò a nuove prelibatezze.  Questa volta da bere: tè, caffè, cioccolato.
 
Francesco Antinucci
Spezie - Una storia di scoperte, avidità e lusso
Laterza. Pagine 162. Euro 16,00
avvenire.it

PARVA NATURALIA Modena città del biologico sabato 7 e domenica 8 marzo 2015



a cura di Vitaliano Biondi ed Andrea Reggianini

festa del risveglio della natura al declinar dell'inverno,
festa delle colture biologiche, tipiche e dimenticate,
festa della ruralità, della "rosina perduta", del magalasso, del Tasso e del Tassoni,
festa del bensone e dell'aceto balsamico,
festa dei giardini letterarari, degli animali fantastici e dei libri perduti
  

Modena gennaio 2015 - Due giornate interamente consacrate alle eccellenze biologiche del Bel Paese, impreziosite da un programma di eventi: incontri tematici, degustazioni, dimostrazioni di antichi mestieri, visite guidate, attività per bambini, mostre. Tutto questo si potrà trovare sabato 7 e domenica 8 marzo a “Parva Naturalia” - Modena città del biologico - manifestazione dell’eccellenza biologica certificata, dedicata alle produzioni e colture biologiche, tipiche e dimenticate, al mondo rurale ed ai sapori di un tempo, che si svolgerà nella città dell’Emilia, capitale del Ducato Estense per quattro secoli.
La rassegna, che non a caso trae il suo nome dall’opera di Aristotele, sulla collaborazione fra corpo ed anima, per la realizzazione delle funzioni vitali, si candida a diventare una delle più significative vetrine in Italia del biologico di qualità, grazie alla presenza di produttori biologici certificati. A cura di Vitaliano Biondi ed Andrea Reggianini, è organizzata dall’Associazione Salviamo il Biologico con il patrocinio del Comune di Modena.
“Siamo ciò che mangiamo”, affermava nell’Ottocento il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. Se dunque il cibo è alla base della nostra vita, non solamente fisica, ma anche in senso culturale, è ampio il ventaglio delle argomentazioni proposte da “Parva Naturalia”. Nell’anno di Expo, che ha per titolo “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, la manifestazione, con modalità diverse, intende valorizzare le produzioni provenienti dall’agricoltura biologica, favorire un rapporto diretto fra produttore e consumatore, salvaguardare la biodiversità, rappresentare un nuovo approccio all’educazione alimentare in senso umanistico, stimolando nelle nuove generazioni l'interesse per uno stile di vita più rispettoso della natura e dell’ambiente.
Agricoltori, piccoli produttori ma anche artigiani e vivaisti, metteranno in mostra i loro saperi antichi ed i prodotti della terra e delle loro mani. Innanzitutto si insedieranno in piazza Grande che con la Cattedrale, capolavoro mondiale del Romanico e la Torre campanaria Ghirlandina è stata dichiarata nel 1997 dall' Unesco Patrimonio Mondiale dell'Umanità; poi saranno presenti in piazza Torre, sulla quale si affaccia il bellissimo campanile e al cui centro è posta la statua del poeta modenese Alessandro Tassoni (1565-1635), autore del poema eroicomico La secchia rapita, sulle vicende della guerra trecentesca con Bologna. Infine, saranno in piazza XX Settembre, vivace anticamera di piazza Grande, da cui si può accedere alla ‘galleria del panedel mercato coperto Albinelli, esempio di architettura in stile liberty, dove trovare le specialità della famosa cucina tipica modenese.
Parva Naturalia presenterà, anche una selezione di piante antiche, che un tempo popolavano le nostre campagne e i giardini, salvate dalla passione dei vivaisti e dei collezionisti.
Protagonisti in egual misura saranno l'artigianato tradizionale e di qualità, mentre il programma sarà arricchito da diverse iniziative per bambini e ragazzi.

“PARVA NATURALIA” - MODENA CITTÀ DEL BIOLOGICO

Info:  www.parvanaturalia.it  -  www.salviamoilbiologico.com

Officina di Progettazione Architetto - Vitaliano Biondi, tel.(+39) 0522 922111 (+39) 335 6128094

Associazione Salviamo Il Biologico - tel.(+39) 059 798971 (+39) 335 5228854


Ufficio stampa: Patrizia Paterlini tel. 348 8080539/348 7352352 ppaterlini@alice.it
COSA VEDERE A MODENA

“Parva Naturalia” - Modena città del biologico - si svolge alle porte della primavera, il periodo migliore per concedersi anche una visita culturale e artistica di Modena. Modena offre al turista numerose  bellezze, concentrate nel suo centro storico, che raccontano i fasti di una città per lungo tempo capitale di un ducato, quello dei Signori d'Este, che qui risiedettero dal 1598. L'Unesco ha riconosciuto il valore universale dei suoi tesori dichiarando Il Duomo, Piazza Grande e la Torre Ghirlandina Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Piazza Grande è il cuore della vita modenese e il luogo in cui sono riuniti i monumenti più significativi e più amati: il Duomo, opera del grande architetto Lanfranco e dello scultore Wiligelmo, uno dei massimi capolavori del Romanico europeo;  il Palazzo Comunale, la cui costruzione ha conosciuto diverse fasi a partire dal Medioevo; a poca distanza dalla Ghirlandina, il seicentesco Palazzo Ducale, opera di Bartolomeo Avanzini, oggi sede della prestigiosa Accademia Militare. Lungo la via Emilia, la grande arteria romana che attraversa la città, in Piazza Sant'Agostino si affacciano l'omonima Chiesa, che conserva il  "Compianto del Cristo morto" del Begarelli, scultore modenese del 1500, e il Palazzo dei Musei, sede di numerosi istituti culturali tra cui il Museo Civico d'Arte e quello Archeologico – Etnologico; la Galleria Estense, importante collezione che testimonia l'interesse della Signoria per le più diverse arti e la Biblioteca estense, con i preziosi codici miniati dal XIV al XVI secolo chiusa per restauri a seguito del sisma del 2012. Nella sede del Palazzo Santa Margherita, è ospitato inoltre il Museo della Figurina; nato dalla appassionata opera collezionistica di Giuseppe Panini.  Da segnalare anche il MEF-Museo Casa Enzo Ferrari. Un avveniristico padiglione dove vivere, tra le automobili più significative della sua vita, la storia di Enzo Ferrari pilota, creatore della Scuderia negli anni ‘30 e costruttore dal 1947.
Da visitare, previo appuntamento, anche la Sinagoga, una delle maggiori in Italia, segno della popolosa comunità ebraica che seguì i Duchi da Ferrara.
Modena, fu importante nella produzione e circolazione del pensiero cabalistico. Grazie all’attività di Mordekhay ben Yehudah Dato fin dal Cinquecento vennero poste le basi di una sensibilità mistica.
La presenza della Sinagoga a Modena in questo luogo è anche il simbolo della pacifica convivenza in città di tutte le minoranze religiose.
A pochi passi da Piazza Grande c’è il Mercato Albinelli, mercato coperto di generi alimentari  inaugurato nel 1931, per ospitare  il commercio che sino ad allora si teneva in Piazza Grande. L’Albinelli fa parte delle botteghe storiche della città di Modena,
qui, si può ancora acquistare il Bensone, dolce che è abitudine inzuppare nel lambrusco o nello spumante nei giorni di festa.

Papa Francesco riceve in Vaticano il mondo del vino

A cura di ANDREA DI BELLA


Sommelier, produttori, enologi da Papa Francesco: la data? Il 21 gennaio 2015, e riceverà in dono un tastevin speciale.

Come si sa il Santo Padre è nato a Buenos Aires ma ha radici nell’astigiano: proprio il nonno Giovanni possedeva un antico cascinale a Portacomaro Stazione, in provincia di Asti, a Bricco Marmorito, che da quelle parti, un tempo, chiamavano Bricco Bergoglio.

Questa è terra di Grignolino e forse per questo motivo il Pontefice è attaccato al mondo del vino e non ha mancato, in alcune occasioni, di accostare il vino alle occasioni di gioia.

“Il vino più è vecchio, più migliora” aveva detto riferendosi alle qualità della vecchiaia, mentre proprio sul legame stretto tra vino e gioia, commentando la parabola delle nozze di Caana: “Immaginatevi finire la festa bevendo tè … senza vino non c’è festa!”.
E che dire dello stemma pontificio di Papa Francesco dove a sinistra è rappresentato un grappolo d’uva d’oro!

180 tra vignaioli, sommelier, enologi e ristoratori saranno ricevuti in Vaticano. L’iniziativa è della Fondazione Italiana Sommelier, nella persona del suo presidente Franco Ricci. “Il Papa ama il vino e lo beve a tavola a Santa Marta – ha dichiarato Ricci – io gli ho scritto chiedendo di fargli visita con un vasto gruppo del nostro settore e Padre Georg mi ha risposto”.

Gli assaggiatori della bevanda, porteranno in dono al Papa un tastevin, la piccola ciotola d'argento usata per la degustazione dei vini, simbolo dei sommelier, che per l'occasione indosseranno la loro divisa tipica.

All'udienza ci saranno cinquanta produttori prestigiosi tra cui Angelo Gaja, Antinori, Biondi Santi, enologi di fama, rappresentanti dell’università, della stampa di settore, di Gambero Rosso e di Slow Food.

Il vino compare ben 224 volte nella Bibbia e allora… che festa sia! 
mondodelgusto.it

Per Rothko l’arte possiede un’intima sacralità.

Attinge all’origine della vita e della storia, è espressione di trascendenza, è attesa dell’Assoluto. In un dipinto del 1954 (o forse del 1959, gli storici non concordano sulla data), Untitled (White on Maroon), una forma bianca, spessa, vaporosa, soffice come massa di cotone, sfumata ai bordi e dalla forma vagamente rettangolare campeggia su di un piano rosso su cui si staglia altra sagoma, in basso, colore su colore. La sensazione di un luogo del mistero sacro dominato dalla bellezza, dal puro invisibile e spirituale, è fortissima.

La conclusione tragica della vita di Rothko, che morì suicida nel 1970, non deve far pensare a una aridità spirituale, semmai a una drammatica crisi. Certe sue opere dell’ultimo periodo, tutte giocate su toni scuri, su neri e rossi profondi, sono crocifissi della coscienza dilacerata. Crocifissi senza speranza. Che altresì riguardavano non solo la sua coscienza religiosa ma anche il ruolo che eticamente aveva assunto in sé, quello di un maestro non solo dell’arte ma anche dello spirito. Ci si può chiedere infatti se, al di là della depressione conseguente alla salute oltremodo precaria che tormentò l’uomo negli ultimi anni della vita, il suo drammatico gesto abbia configurato la cifra peraltro inverosimile di un fallimento morale.

Certo è che l’arte di Rothko ha un suo cammino di progressiva essenzializzazione che non riguarda solo l’aspetto stilistico, ma che attiene al senso stesso della sua opera e della stessa arte. Nel tempo i cromatismi perdono ogni frangia o sfumatura dei sensi rapportati alla realtà e si pongono nudi al cospetto dell’infinito. Alcune opere conclusive, soprattutto i neri, i colori scuri comunque uniformi, sono la testimonianza non di una povertà di espressione sopraggiunta nel tempo della crisi ma di una personale sintesi del linguaggio maturata sul filo di una ricerca estrema, drammatica e definitiva.

Rothko ha puntato, come si è scritto, lungo il suo cammino d’artista, a due obiettivi: il primo inerente al valore comunicativo dell’arte intesa come luogo del dialogo tra l’opera e lo spettatore; il secondo più intrinseco all’opera stessa, percepita come espressione originaria di un altrove imprescindibile e misterioso.

Riguardo al primo obiettivo, l’opera è universo che esiste in funzione dell’osservatore, è pensata dall’artista perché esso ne faccia parte e possa compiervi un’avventura d’anima. Sicché l’intera esperienza dell’artista è tesa a predisporre tale avventura. Lo spettatore è chiamato a essere in qualche misura comprimario non della redazione dell’opera ma di un comune progetto spirituale.

Il secondo obiettivo riguarda invece il senso del viaggio dentro l’opera e implicitamente il suo originario significato, come avvertimento ed esplorazione di quell’oltre a cui tendono i sensi e l’anima. Una rilettura del cammino artistico di Rothko può essere in tal senso interessante, dando riprova del dramma umano e spirituale del maestro. Il significato dell’opera di Rothko si esemplifica nell’ultimo grande e significativo lavoro del maestro, la Cappella di Houston.

Le parole che l’artista scrisse nel 1965 a John e Dominique de Menil, allorché fu incaricato di realizzare i dipinti per la celebre Chapel di Houston sono di entusiasmo, di gratitudine profonda. L’artista intravedeva nel lavoro commissionato l’opportunità di una totale avventura dello spirito.

«Mi insegna a librarmi in alto», scrive commosso. È con questi sentimenti e con una tensione psicologica estrema che l’artista si accinge a lavorare. È un’avventura che assume il tono di un’esperienza religiosa. Fu lo stesso Rothko a dichiararlo. Commentando l’effetto che i dipinti della cappella avevano sul pubblico, disse: «Quando [i visitatori] piangono davanti ai miei quadri vivono la stessa esperienza religiosa che ho vissuto io quando li ho dipinti». Anche il clima della cappella, concentrato e mistico, al di là della scelta di una iconografia aconfessionale, pare restituire «un versante religioso che porta l’artista a semplificare tutto, quasi cercasse il dio unitario della Bibbia contro ogni vitello d’oro». Di fatto la teologia monoteista e Jung furono i suoi pilastri.

L’artista venne incaricato di indirizzare anche la progettazione architettonica e per essa scelse una forma ottagonale, simile a quella di un battistero, quasi volesse suggerire al visitatore un rito di iniziazione. A Huston Rothko realizzò 14 opere di grande formato, tre trittici e cinque quadri singoli. La luce proviene dall’alto, è indiretta e diffusa. I trittici furono collocati sui due lati principali, a destra e a sinistra. Tra di essi un grande pannello centrale leggermente rialzato. Il trittico posto sul fondo, invece, collocato in una nicchia, è assolutamente regolare. 

Qui il movimento irregolare, si direbbe a onda, dei trittici laterali si arresta, ha una pausa. Singole tele sono poste sui lati obliqui, fanno da contrappunto ai trittici. Lo spazio è studiato nel suo insieme e così il suo apparato iconografico: le tele sono parte del tutto ed è l’insieme a restituire il senso di un’atmosfera sospesa e contemplativa, che scava dentro, che immette nel mistero. Le stesse piccole porte ricavate sulle pareti laterali sono pensate in relazione all’intera tensione emotiva e psicologica della cappella; di fatto non sembrano più porte, ma si collegano visivamente alla teoria delle tele. La cappella è chiusa in sé, abbandona il mondo, immerge in un universo ulteriore. Lo sguardo è come «inaspettatamente invischiato, intrappolato tra le presenze cieche e mute che sono i pannelli murali».

Il colore delle tele è tendente al viola scuro ed è cangiante a seconda della luce e dei momenti della giornata. Tutto appare nella cappella come lungamente studiato. Del resto l’artista aveva riprodotto la cappella nel suo studio, innalzando pareti di cartone di identiche misure, per poter lavorare nel concreto di un mimetico effetto visivo. Sembra che gli stessi committenti abbiano suggerito all’artista l’idea di una cappella ecumenica, ma l’opera nel suo complesso interpreta piuttosto un invito ad un viaggio personale, al di là di ogni confessione. Il nero dei suoi ultimi lavori, i vari Untitled del 1969, della serie Black on Gray, restituisce il senso di un mistero portato all’estremità del buio. È la zona alta dell’opera ad essere compatta, impetrabile. Il primo piano è di un grigio lievemente variegato, di un colore opalescente. Di chi, ormai distante dalle cose del mondo, sia sul confine della vita, pronto all’esodo. Questa condizione appare singolarmente segnata dal bordo del dipinto. Una sorta di cornice bianca chiude lo sguardo ed è una novità rispetto al passato, allorché i dipinti non avevano fine, continuavano anche sui bordi, annettevano lo spazio.

D’altra parte se tutta l’opera di Rothko si può interpretare come immersione ed esplorazione muta dell’oltre, come confronto tra il qui e l’altrove, nelle ultime opere questo confronto sembra perduto. Siamo ormai sulla soglia. Che l’oltre si presenti come mistero invisibile e inconosciuto, non toglie che il cammino risulti tracciato. È una condizione dell’anima che l’artista stigmatizza, certamente connessa con il suo stato psichico, non in senso depressivo, ma nella maturata convinzione di essere alla fine. È il silenzio di Dio che lo porta alla depressione? Quel buio così prossimo alla notte mistica narrata dai santi? È difficile dire. Il suo buio non è assenza, semmai presenza incombente, persino luminosa.
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