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Firenze, 5 buoni motivi per scoprirla con personaggi famosi

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Una città infinita come Firenze offre infinti spunti per un itinerario di visita. Basta semplicemente lasciarsi ispirare dalle preferenze del momento che siano storia, emozioni, arte, spettacolo, gastronomia, moda. Ogni angolo è capace di offrire momenti interessanti per ogni tipo di visitatore. Se poi chi arriva abbia voglia di esulare un po’ dai canonici circuiti turistici presi d’assalto e scoprire luoghi meno conosciuti magari ispirati a personaggi storici di spicco allora vale la pena seguire alcuni consigli. Ecco, quindi, 5 idee di visita a Firenze che svelano diverse curiosità.

MICHELANGELO - CASA BUONARROTI
Nonostante abbia trascorso la maggior parte della sua vita a Roma, Michelangelo si è sempre considerato un fiorentino. Non è un caso che proprio il capoluogo toscano esponga la maggior parte dei suoi capolavori. Esplorare la città in compagnia di Michelangelo significa ripercorrere le tappe della sua carriera artistica e visitare luoghi indissolubilmente legati alla sua memoria. Un affascinante palazzo seicentesco di via Ghibellina 70, poco lontano dalla Basilica di Santa Croce, è oggi Casa Buonarroti, luogo della memoria e della celebrazione del suo genio. Scopri di più su Casa Buonarroti.

GALILEO GALILEI - MUSEO GALILEO
In Piazza dei Giudici, vicino alla Galleria degli Uffizi, sorge un edificio dalle origini piuttosto antiche che all’epoca di Dante era conosciuto come Castello. E’ Palazzo Castellani, dove ha trovato sede il Museo Galileo, già Istituto e Museo di Storia e della Scienza, che conserva una delle raccolte di strumenti scientifici più importanti al mondo, in particolare gli strumenti originali di Galileo Galilei

COSIMO I DE’ MEDICI - PALAZZO VECCHIO 
Nato a Firenze nel giugno del 1519 Cosimo I de’ Medici è stato duca di Firenze e granduca di Toscana. Ricorrendo quindi i 500 anni dalla nascita sono diversi gli eventi a lui dedicati lungo tutto il corso dell’anno, mirati a raccontare, capire e ricordare chi è stato il fautore di una stagione particolarmente florida per Firenze. Ci sono anche dei tour alternativi come i Percorsi Segreti di Palazzo Vecchio. 

CATERINA DE’ MEDICI - OFFICINA PROFUMO FARMACEUTICA
A Firenze, all’epoca di Caterina de’ Medici, i profumi erano regolarmente indossati dalle dame di ricco lignaggio o nobile casato. Quasi tutti i conventi dei maggiori centri urbani d’Italia avevano almeno un frate alchimista che si dedicava alla lavorazione delle erbe e all’estrazione delle loro essenze. Non è un caso, dunque, che i frati domenicani diedero vita ad una farmacia storica che produsse il profumo Acqua della Regina dedicato proprio a Caterina de’ Medici. 

MARINO MARINI - MUSEO MARINO MARINI
Marino Marini è stato un artista, incisore pittore toscano conosciuto soprattutto come scultore. Ha segnato gran parte del secolo scorso e 183 delle sue opere tra sculture, dipinti e disegni sono conservate nella ex chiesa di San Pancrazio che oggi è diventata il Museo Marino Marini.


Cattedrale Santa Maria del Fiore, Firenze

Torino Parchi: Parco Cavalieri di Vittorio Veneto

Scorcio del Parco

La più nota delle piazze d’armi di Torino è quella che oggi ospita il Parco Cavalieri di Vittorio Veneto, realizzata nel 1904-1905 e rimasta in funzione fino al 1971, anno in cui venne ceduta al Comune di Torino. La piazza è stata utilizzata non solo come area di addestramento ed esercitazione, ma anche come spazio logistico e ospedale da campo per lo smistamento dei feriti nel corso della prima guerra mondiale. Nei primi Anni Cinquanta iniziarono le prime trattative tra il Comune e l’autorità militare per la dismissione dell’area che si conclusero solo il ventennio dopo, con un accordo che prevedeva che parte dell’area sarebbe rimasta a disposizione dell’Esercito, che poi vi ha stabilito il Complesso Sportivo Saverio Porcelli, parte avrebbe accolto un eliporto e parte sarebbe invece stata destinata a verde pubblico.

Ecco, dunque, che nel 1974 nasce il Parco Cavalieri di Vittorio Veneto, anche se per molti torinesi ancora oggi rimane conosciuto con l'antico nome di Piazza d’Armi. L'attuale parco è oggi è uno degli spazi verdi pubblici più grandi della città, vera oasi di pace nel caos del traffico. Una fascia centrale dedicata all'addestramento sportivo dei militari e pertanto non accessibile al pubblico lo divide in due porzioni, nord e sud. Indicato per ogni tipo di fascia d’età, il parco è circondato da filari di platani e bagolari oltre che da una pista ciclabile di due chilometri. Ospita tre aree gioco bimbi ed adolescenti e alcuni impianti sportivi tra cui campi da bocce e un'area basket.

E’ il luogo ideale per praticare jogging, andare in bicicletta e intraprendere rilassanti passeggiate poiché ricco di alberi d'alto fusto e di angoli ombrosi rilassanti. Nella zona umida creata appositamente si ammira una vegetazione arbustiva e arborea igrofila, per la salvaguardia del rospo smeraldino. Il parco ha la caratteristica di essere in stretta connessione con gli impianti sportivi ed è stato soggetto di lavori di riqualificazione per leOlimpiadi invernali del 2006. Si estende infatti per oltre 40 mila mq con un grande prato proprio di fronte al Palasport Olimpico e in asse alla Torre Maratona si trova una fontana a lame d’acqua che ricorda un canale, di circa 150 metri. A sud del parco, antistante lo Stadio Olimpico, spiccano le tre colonne bronzee dello scultore Tony Cragg “Punti di vista” realizzate proprio in occasione dei Giochi Olimpici invernali. 

AL PARCO CAVALIERI DI VITTORIO VENETO CON UBER EATS
Nata nel 2014 a Los Angeles come progetto sperimentale, con 350 città raggiunte in 36 paesi nel mondo, la piattaforma di food delivery di Uber consente di prenotare da app o all’indirizzo: www.ubereats.com e dà accesso ad un’ampia selezione di ristoranti in grado di soddisfare ogni genere di palato: dai puristi della cucina tradizionale italiana o di quella salutare e vegana agli amanti dello street food.

UBER EATS IN ITALIA
In Italia Uber Eats è presente in 9 città (Milano, Roma, Torino, Napoli, Firenze, Bologna, Trieste, Rimini e Reggio Emilia) ed offre il servizio a 2.500 ristoranti, per un totale di 165.000 piatti disponibili sulla piattaforma
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Darfo Boario Terme è famosa per le sue acque benefiche che sgorgano in cinque differenti qualità

monte altissimo<br>

Darfo Boario terme può essere definita a tutti gli effetti come la città dell'acqua. Il parco termale è noto ed apprezzato sin dall'antichità per la cura ed il trattamento di numerosi disturbi dell'organismo attraverso le acque preziose che sgorgano dalle sue fonti. Ciò che rende Boario Terme unica è la ricca varietà di acque differenti che vengono spillate dalle sue sorgenti. Il segreto di una tale abbondanza e di un tale assortimento è lo splendido Monte Altissimo che veglia sulla cittadina del bresciano veicolando le acque nel suo sottosuolo ricchissimo di rocce diverse che caricano l'oro blu delle preziose componenti che lo trasformano in un elisir di buona salute.

L'acqua che nasce sul Monte Altissimo scorre per chilometri nel sottosuolo fino a giungere a valle dopo aver affrontato un dislivello di 1.500 metri. Attraverso le fratture del monte, che rappresentano una sorta di imbuto naturale, le acque raggiungono differenti profondità acquisendo caratteristiche diverse in base alla composizione delle rocce che attraversano. Alla fine del loro viaggio le acque sgorgano dalle fonti del parco in cinque diverse qualità. Le rocce carbonatiche, ad esempio, sono ricchissime di calcio e carbonato, al di sopra di esse, invece, le rocce dolomitiche sono un concentrato di calcio, magnesio, solfato e carbonato. Negli strati più profondi del sottosuolo si trovano, invece, le antichissime anidridi, compatte e ricche di solfato e magnesio.

In questo modo le acque che attraversano gli strati carbonatici si arricchiscono di oligoelementi e vengono imbottigliate dal gruppo Ferrarelle con il nome di Vitasnella. Le acque che attraversano le rocce dolomitiche, medio minerali particolarmente ricche di sali minerali, vengono imbottigliate dal gruppo Ferrarelle con il nome di Boario e Igea. Tra le rocce più antiche e profonde, infine, scorrono le acque che, nel Parco Termale, sgorgano dalle sorgenti Antica Fonte e vengono imbottigliate con il nome Fonte Essenziale. Tutte queste acque, dalla differente composizione, si rivelano particolarmente preziose per la salute favorendo la digestione e i processi fisiologici dell'organismo.

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Arte. Leonardo: il segreto della Vergine delle Rocce è sulla punta del dito


Un volume di Andrea Dall’Asta rilegge il dipinto leonardesco della “Vergine delle Rocce” a partire dall'intrigante domanda: cosa sta indicando davvero l’angelo con la mano?


Leonardo da Vinci, “Vergine delle Rocce” (1483-1486), olio su tavola, particolare. Parigi, Louvre / WikiCommons

Molto si è detto e si è letto in questo anniversario leonardesco. Molta retorica (il “genio”), tanto sensazionalismo, altrettanto sfruttamento commerciale. Meno, o meno visibile nella massa delle proposte, l’aderenza alla realtà che è soprattutto storia e rigore. Ed è proprio sul filo della chiusura del cinquecentenario che arriva una delle proposte più interessanti e convincenti di rilettura di uno dei capolavori di Leonardo: perché è calata nei problemi del tempo, è teologicamente consapevole e fondata, e soprattutto è una chiave di lettura attraverso la quale tutti i pezzi del puzzle, anche quelli già “trovati”, finiscono al loro posto. È l’indagine iconografica sulla Vergine delle rocce offerta da Andrea Dall’Asta in La mano dell’angelo (Àncora, pagine 80, euro 17,00). Il volume sarà in libreria dal 19 novembre, ma il gesuita presenterà i risultati della sua ricerca questa sera al Centro San Fedele di Milano nell’incontro “La Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci. Il segreto svelato” (nell’occasione saranno disponibili alcune copie del volume). 


Esistono due versioni della Vergine delle rocce. La prima, ora al Louvre, è certamente di mano di Leonardo, ma la sua storia appare sfuggente. L’altra versione, ora alla National Gallery di Londra, che presenta variazioni iconografiche, è forse più documentata, ma la completa paternità di Leonardo è dibattuta. Dall’Asta ricostruisce la storia delle due versioni e si concentra poi sul dipinto del Louvre e le interpretazioni formulate in questi ultimi decenni: l’episodio evangelico della Visitazione? L’incontro tra Gesù e il Battista al ritorno dalla fuga in Egitto, come riportato da fonti letterarie? O ancora sarebbe da mettere in relazione alle visioni di un mistico francescano, il beato Amedeo Mendes da Sylva, sostenitore delle tesi dell’Immacolata Concezione? Il dipinto infatti fu commissionato da parte della Confraternita milanese dell’Immacolata Concezione, con sede nella chiesa di San Francesco Grande (demolita da Napoleone), officiata dai frati minori. Nel contratto firmato da Leonardo è richiesto di rappresentare una Madonna col Bambino. È un punto importante. 


L’intuizione di Dall’Asta è semplice, ma così forte da sbalestrare l’abitudine del nostro sguardo sul dipinto. L’angelo a fianco di Maria con l’indice della mano destra non indicherebbe il Battista, il precursore, l’ultimo e il più grande dei profeti, come si è sempre affermato. Una lettura che muove il dipinto verso una riflessione sulla passione e sulla morte di Cristo (il Battista è colui che riconosce Gesù come l’Agnus Dei che toglie il peccato del mondo). Così facendo la Vergine passa in secondo livello rispetto al piano percorso dai vettori Angelo-Battista-Gesù. Ecco il punto. Per Andrea Dall’Asta l’angelo dal volto dolcissimo indicherebbe il grembo di Maria. «È questo un dettaglio che non è mai stato osservato – commenta Dall’Asta – forse perché non sempre prestiamo oggi attenzione agli aspetti teologici e biblici o semplicemente perché non abbiamo più le categorie interpretative per riflettere su un’immagine sacra. Se guardiamo infatti la sua mano ci accorgiamo che questa è vista leggermente di scorcio, orientata verso il grembo di Maria, e non verso il Battista. Se la mano indicasse il Precursore dovrebbe essere vista di profilo, come quando come quando indichiamo con sicurezza un oggetto di fronte a noi. Insomma, l’indice della mano dell’angelo non è perpendicolare al Battista, ma leggermente ruotato, in quanto sta indicando il grembo della Vergine». 


Ricalibrando l’oggetto della deissi, molti interrogativi ritrovano congruenza. Al centro del dipinto è collocato il grembo della Vergine, la caverna simbolica della nascita, il luogo dell’Incarnazione, il nucleo di senso per cui ogni altro elemento assume ora significato. Come scrive Dall’Asta: «La relazione Grotta-Grembo della Vergine è ora immediata. Se l’angelo indica infatti il grembo materno, è per significare che il grembo di Maria è la vera grotta, la caverna della fecondità, il luogo dell’Incarnazione. Quella grotta è lo spazio dell’origine, degli “inizi”. Maria, la fanciulla benedetta sin dal ventre materno, è colei che genera e nell’oscurità di una caverna, nel ventre verginale di una donna, Dio nasce. La redenzione si origina da quel ventre da cui viene alla luce il figlio di Dio. Avvolta dal mantello stesso del cielo che copre la scena nello sfondo, specchio del firmamento celeste, quella fanciulla è la Madre». Certo, la critica ha più volte notato come il ventre della Vergine abbia una centralità nel dipinto, ma il fatto che l’angelo lo indichi come luogo del “mistero” chiarifica ed esplicita.

Il luogo del mistero non è il Battista, ma quel grembo materno. Leonardo non ha allestito, senza necessariamente escluderla, la messa in scena di una storia, quanto piuttosto elaborato una vera e propria riflessione teologica. Da questa intuizione, il gesuita nel volume fa discendere il senso del paesaggio dei ghiacciai che si fondono in laghi e fiumi, del panneggio dorato che cinge il grembo di Maria, il perché del suo mantello aperto e del fermaglio con la pietra preziosa, dei fiori e delle piante presenti nella caverna. Anche il pilastro centrale che sorregge la grotta acquista un’inedita densità di senso. L’ultimo enigma: perché la mano dell’angelo è stata soppressa nella versione ora a Londra? I documenti tacciono. Secondo Dall’Asta la centralità del ventre di Maria potrebbe aver sollevato dubbi per l’ambiguità con i miti pagani legati al grembo della Madre Terra, ancora presenti in alcune zone della Lombardia nel XV secolo. D’altronde è stato questo il motivo per cui un secolo dopo è stata abolita l’iconografia tanto popolare della Madonna del latte. In ogni caso, il fascino dellaVergine delle rocce del Louvre resta intatto.

Avvenire

La mostra. A Galleria Borghese i fasti dei Valadier, orafi per l'Europa neoclassica

Da Andrea a Giuseppe si dipana la parabola di una bottega d’arte in cui spicca l’opera di Luigi, artista molteplice che segnò la storia del neoclassicismo


Luigi Valadier, "Erma di Bacco" (1773) bronzo, particolare)


Sono trascorsi esattamente 260 anni da quando, nel 1759, Luigi Valadier rilevò, alla morte del padre Andrea, la bottega di orafo che il genitore aveva aperto a Roma nel 1714 in via del Babbuino. È probabilmente questa, una delle ragioni, ossia la ricorrenza, che ha spinto Anna Coliva – direttrice della Galleria Borghese – a dedicare al grande orafo l’elegante mostra di cui è la curatrice.

Infatti, mancava al ventaglio d’iniziative che la studiosa ha organizzato nella splendida villa romana dal 2006 (quando s’insediò) a oggi, un evento dedicato a questa figura che deve considerarsi uno degli esponenti di spicco di quel gusto raffinato ed estetizzante che si era palesato sull’ultimo scorcio del XVIII secolo.

Adesso, l’esposizione intitolata Valadier. Splendore nella Roma del Settecento, risarcisce tale mancanza anche alla luce del fatto che la collezione del museo romano custodisce alcuni dei capolavori del grande artista, come l’Erma di Bacco (divenuta icona della mostra) e due tavoli dodecagonali.

Si tratta di oggetti che rappresentano bene quale fosse il gusto dominante intorno alla metà del secolo a Roma. Il fatto interessante è che – per molto tempo – si ritenne che l’erma fosse di antica fattura e soltanto approfondite ricerche documentarie d’archivio dimostrarono che l’aspetto di tipo anticheggiante era stato voluto da Valadier che aveva prodotto artificialmente la patina verde e i residui dorati. I tavoli, invece sono stati disegnati da Antonio Asprucci, l’architetto autore del pittoresco tempietto dedicato a Esculapio che si specchia nel laghetto di Villa Borghese. A Valadier si devono le belle teste delle quattro stagioni che si trovano sotto il ricco piano d’appoggio.

Del resto, l’artista-orafo, già come suo padre, ebbe un ruolo privilegiato proprio con la famiglia Borghese, grazie alla quale contribuì a dar forma all’idea estetica del neoclassicismo romano. Lo dimostrano le splendide e ricchissime caraffe in argento dorato per il servizio da tavola della famiglia, pure esposte in mostra. Infatti, il valore aggiunto (e irripetibile) dell’esposizione, è quello di presentare i capolavori di Valadier all’interno di un ambiente che si configurò come espressione pure di tale nuovo gusto. Il quale, per esempio, ebbe la plastica dimostrazione di quell’innovativo percorso artistico nelle bronzee applicazioni ornamentali, realizzate dall’orafo, per il camino di quella che oggi è la sala XVI della Galleria.

Per questo, per avere la giusta impressione e sondare il reale valore culturale di questa meritoria operazione, è necessario visitare questa mostra, dove troneggiano le monumentali lampade d’argento realizzate per il santuario di Santiago di Compostela. Si tratta di meravigliose “ampolle” trasparenti lavorate a racemi dalle dimensioni monumentali che sono esposte in sospensione a enormi staffe di legno realizzate appositamente per l’occasione. Ci sono poi altri capolavori, come le imponenti, anche se di ridotte dimensioni, statue in metallo e argento dorato, della basilica cattedrale di Santa Maria Nuova a Monreale o il San Giovanni Battista proveniente dal Battistero Lateranense che, per la prima, volta lasciano la loro collocazione originale.

La capacità di Valadier gli permetteva di affrontare con la stessa grazia oggetti monumentali e addirittura statue come le copie di capolavori antichi, quali per esempio la traduzione in bronzo dell’Antinoo Capitolino(oggi Louvre), realizzata per Madame du Barry e il conte d’Orsay, oppure la straordinaria copia in bronzo dell’Arianna addormentata (poi dettaCleopatra) dei Musei Vaticani scolpita per re Gustavo III di Svezia, ma anche temi assai diversi. Valadier sembra onnivoro delle forme, capace d’imitare l’antico come un falsario, oppure d’inventare vasi come quello in marmo rosso proveniente dalla Frick Collection di New York o, ancora, la tazza in porfido sostenuta dalle Tre Grazie che fu realizza per la Casa Reale Svedese.

Del resto, il rango e il numero dei committenti dell’artista rivelano lo straordinario successo della sua carriera di orafo e argentiere, esaltando la vastità di campo, l’originalità e l’impronta internazionale della sua produzione, che la mostra intende rappresentare con importanti testimonianze.

Figura eclettica, Luigi Valadier non aveva alcuna difficoltà nel passare all’invenzione di opere di tutt’altro genere (pure in mostra) come la ricostruzione del tempio di Iside a Pompei commissionata da Maria Carolina d’Austria. È allora interessante e utile fare i confronti con i disegni e i progetti esposti e avvantaggiarsi degli strumenti didattici (totem multimediali) che accompagnano il visitatore in un percorso di grande suggestione, anche attraverso i luoghi di Roma che saranno resi poi ancora più belli dal figlio di Luigi, Giuseppe Valadier.

Roma, Galleria Borghese
Valadier. Splendore nella Roma del Settecento
Fino al 2 febbraio

da Avvenire