Arte. Leonardo: il segreto della Vergine delle Rocce è sulla punta del dito


Un volume di Andrea Dall’Asta rilegge il dipinto leonardesco della “Vergine delle Rocce” a partire dall'intrigante domanda: cosa sta indicando davvero l’angelo con la mano?


Leonardo da Vinci, “Vergine delle Rocce” (1483-1486), olio su tavola, particolare. Parigi, Louvre / WikiCommons

Molto si è detto e si è letto in questo anniversario leonardesco. Molta retorica (il “genio”), tanto sensazionalismo, altrettanto sfruttamento commerciale. Meno, o meno visibile nella massa delle proposte, l’aderenza alla realtà che è soprattutto storia e rigore. Ed è proprio sul filo della chiusura del cinquecentenario che arriva una delle proposte più interessanti e convincenti di rilettura di uno dei capolavori di Leonardo: perché è calata nei problemi del tempo, è teologicamente consapevole e fondata, e soprattutto è una chiave di lettura attraverso la quale tutti i pezzi del puzzle, anche quelli già “trovati”, finiscono al loro posto. È l’indagine iconografica sulla Vergine delle rocce offerta da Andrea Dall’Asta in La mano dell’angelo (Àncora, pagine 80, euro 17,00). Il volume sarà in libreria dal 19 novembre, ma il gesuita presenterà i risultati della sua ricerca questa sera al Centro San Fedele di Milano nell’incontro “La Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci. Il segreto svelato” (nell’occasione saranno disponibili alcune copie del volume). 


Esistono due versioni della Vergine delle rocce. La prima, ora al Louvre, è certamente di mano di Leonardo, ma la sua storia appare sfuggente. L’altra versione, ora alla National Gallery di Londra, che presenta variazioni iconografiche, è forse più documentata, ma la completa paternità di Leonardo è dibattuta. Dall’Asta ricostruisce la storia delle due versioni e si concentra poi sul dipinto del Louvre e le interpretazioni formulate in questi ultimi decenni: l’episodio evangelico della Visitazione? L’incontro tra Gesù e il Battista al ritorno dalla fuga in Egitto, come riportato da fonti letterarie? O ancora sarebbe da mettere in relazione alle visioni di un mistico francescano, il beato Amedeo Mendes da Sylva, sostenitore delle tesi dell’Immacolata Concezione? Il dipinto infatti fu commissionato da parte della Confraternita milanese dell’Immacolata Concezione, con sede nella chiesa di San Francesco Grande (demolita da Napoleone), officiata dai frati minori. Nel contratto firmato da Leonardo è richiesto di rappresentare una Madonna col Bambino. È un punto importante. 


L’intuizione di Dall’Asta è semplice, ma così forte da sbalestrare l’abitudine del nostro sguardo sul dipinto. L’angelo a fianco di Maria con l’indice della mano destra non indicherebbe il Battista, il precursore, l’ultimo e il più grande dei profeti, come si è sempre affermato. Una lettura che muove il dipinto verso una riflessione sulla passione e sulla morte di Cristo (il Battista è colui che riconosce Gesù come l’Agnus Dei che toglie il peccato del mondo). Così facendo la Vergine passa in secondo livello rispetto al piano percorso dai vettori Angelo-Battista-Gesù. Ecco il punto. Per Andrea Dall’Asta l’angelo dal volto dolcissimo indicherebbe il grembo di Maria. «È questo un dettaglio che non è mai stato osservato – commenta Dall’Asta – forse perché non sempre prestiamo oggi attenzione agli aspetti teologici e biblici o semplicemente perché non abbiamo più le categorie interpretative per riflettere su un’immagine sacra. Se guardiamo infatti la sua mano ci accorgiamo che questa è vista leggermente di scorcio, orientata verso il grembo di Maria, e non verso il Battista. Se la mano indicasse il Precursore dovrebbe essere vista di profilo, come quando come quando indichiamo con sicurezza un oggetto di fronte a noi. Insomma, l’indice della mano dell’angelo non è perpendicolare al Battista, ma leggermente ruotato, in quanto sta indicando il grembo della Vergine». 


Ricalibrando l’oggetto della deissi, molti interrogativi ritrovano congruenza. Al centro del dipinto è collocato il grembo della Vergine, la caverna simbolica della nascita, il luogo dell’Incarnazione, il nucleo di senso per cui ogni altro elemento assume ora significato. Come scrive Dall’Asta: «La relazione Grotta-Grembo della Vergine è ora immediata. Se l’angelo indica infatti il grembo materno, è per significare che il grembo di Maria è la vera grotta, la caverna della fecondità, il luogo dell’Incarnazione. Quella grotta è lo spazio dell’origine, degli “inizi”. Maria, la fanciulla benedetta sin dal ventre materno, è colei che genera e nell’oscurità di una caverna, nel ventre verginale di una donna, Dio nasce. La redenzione si origina da quel ventre da cui viene alla luce il figlio di Dio. Avvolta dal mantello stesso del cielo che copre la scena nello sfondo, specchio del firmamento celeste, quella fanciulla è la Madre». Certo, la critica ha più volte notato come il ventre della Vergine abbia una centralità nel dipinto, ma il fatto che l’angelo lo indichi come luogo del “mistero” chiarifica ed esplicita.

Il luogo del mistero non è il Battista, ma quel grembo materno. Leonardo non ha allestito, senza necessariamente escluderla, la messa in scena di una storia, quanto piuttosto elaborato una vera e propria riflessione teologica. Da questa intuizione, il gesuita nel volume fa discendere il senso del paesaggio dei ghiacciai che si fondono in laghi e fiumi, del panneggio dorato che cinge il grembo di Maria, il perché del suo mantello aperto e del fermaglio con la pietra preziosa, dei fiori e delle piante presenti nella caverna. Anche il pilastro centrale che sorregge la grotta acquista un’inedita densità di senso. L’ultimo enigma: perché la mano dell’angelo è stata soppressa nella versione ora a Londra? I documenti tacciono. Secondo Dall’Asta la centralità del ventre di Maria potrebbe aver sollevato dubbi per l’ambiguità con i miti pagani legati al grembo della Madre Terra, ancora presenti in alcune zone della Lombardia nel XV secolo. D’altronde è stato questo il motivo per cui un secolo dopo è stata abolita l’iconografia tanto popolare della Madonna del latte. In ogni caso, il fascino dellaVergine delle rocce del Louvre resta intatto.

Avvenire

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