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Biennale Venezia. Padiglione vaticano: poesia calata nella realtà dell'afflizione

 

The Woman in the Wall è una miniserie piuttosto recente, ambientata nel contesto disagiato di un piccolo paese irlandese in cui una working class dimenticata fatica non solo a tenere il passo con la contemporaneità feroce del decentramento di risorse e opportunità ma anche a fare i conti con trascorsi il cui strascico ha raccolto di tutto dai fondali oscuri di omertà ataviche. L’immersione nella realtà delle Magdalene Laundries e il racconto impietoso di cosa succedeva alle madri rimaste incinte fuori dal matrimonio e separate immediatamente dopo il parto dai propri figli nelle Mother and Baby Homes, svuota di energie e speranza una rabbia indefinita di cui si è insieme protagonisti e oggetti, fardello condiviso da tutti in gradi di omissione a vario titolo.

Nell’isola di smeraldo alcuni istituti cattolici sottraevano i neonati a ragazze opportunamente catalogate come incapaci di assolvere ai doveri della maternità visti i comportamenti impuri che la avevano determinata, vittime perfette per una eviscerazione affettiva disumana che permetteva ai vari intermediari di affidare i piccoli presso famiglie disposte a generose donazioni, dopo averne dichiarato il decesso, in modo da coprire il traffico di adozioni alla comunità consenziente e alle madri biologiche che non sarebbero più state in grado di ritrovarli.

La straniante solitudine di chi si trovava a vivere la nascita di un figlio come un brutto sogno da cui ci si risvegliava senza trovarne più traccia è talmente sofferta da instillare in chi guarda il senso di una giustizia annegata nel sopruso che si serve strumentalmente della religione amministrandone il lato punitivo, il cui diritto, va detto, non appartiene a nessuno se non ai sadici e ai carnefici. Il dolore è così intenso da portare la interprete principale vicino alla pazzia, il Dio perso nel silenzio piegato agli interessi perfino imperscrutabili dei suoi rappresentanti protempore.

Quando ho compreso la impostazione del nuovo padiglione vaticano per la Biennale d’arte 2024, The Woman in the Wall è stata la prima immagine che mi è venuta in mente. Osservo con totale disincanto la relazione tra religione e arte contemporanea, cui credo profondamente ma non nei termini dell’asservimento ai diktat di moda nella società bene, quella che, per intenderci, stira sempre le pieghe e storicamente si è distinta per il suo rapporto privilegiato con Santa Madre Chiesa, tanto meno nell’adozione della forma didascalica di artigianati devozionali dichiaratamente commerciali che con la poesia, con la spinta autentica al cammino interiore non hanno nulla a che spartire, rivolti unicamente a reiterare piuttosto che interrogare, a bloccare invece che aprirsi alle dinamiche faticose del credere. Sono anche estremamente scettico riguardo la commistione tra cariche istituzionali e pratiche artistiche, troppo spesso soggetta all’utilizzo strumentale da parte di funzionari di ogni sorta intenti perlopiù ad esaltare le proprie velleità servendosi del potere proveniente da questo o quell’incarico.

Tutte ragioni per cui la notizia di un altro padiglione vaticano alla Biennale di Venezia sulle prime mi ha visto decisamente scettico, incentrato più che altro sui nomi dei partecipanti cui le riviste del settore fanno riferimento come bandierine segnaposto della qualità. Poi ho incrociato un paio di articoli che illustravano meglio il tutto. Il carcere femminile, le donne perdute, la esclusione dei device digitali in un evento inevitabilmente glamour che rinuncia così alla diffusione banale e amplificata a favore di selfie. Il taglio impresso a tutta l’operazione mi è apparso sorprendentemente nuovo. Tutte le mie perplessità sono crollate lasciando spazio ad una sensazione di fermento interiore difficile da descrivere.

L’evento pensato dal cardinale Tolentino con il suo ufficio è un atto di poesia autentica, scevro da retoriche che si dissolvono nell’odore acre e caratteristico del carcere, che, come per l’obitorio, conosce solo chi vi è stato personalmente, il più sacro degli incensi, calato nella realtà dura dell’isolamento e dell’afflizione, libero dalla melassa di salvezze apocrife a portata di portafoglio. L’amaro ostico che caratterizza il progetto per il carcere della Giudecca ha preso per mano la morte senza appello che mi era rimasta dentro con la storia delle lavanderie, aprendo ad una Chiesa la cui misericordia si rivolge prima di tutto verso se stessa, sigillata in un patto nuovo rivolto ai sofferenti con cui si confronta senza interposizioni e tra i quali deve sapere sbocciare e morire con spirito leggero, se necessario.

Per quanto mi riguarda il padiglione del Vaticano 2024 è come se l’avessi già visto, scritto in una intuizione di quelle sfidanti ed epocali e, anche se ho letto di come verranno prodotte le opere da un parterre di artisti che non ha bisogno di presentazioni, l’idea bypassa e supera nella sua stessa concezione ogni opera che ci si possa mettere dentro, è già ogni opera, è tutta l’intenzione, unico viatico dei cambiamenti autentici. Non me ne vogliano gli artisti prescelti che certamente saranno all’altezza del compito, ma questo padiglione potrebbe accogliere chiunque, un idraulico, un falegname, uno spazzino, ogni singolo artista, da quello di strada al più accademico, rivoluzionario, pedante e decorativo senza perdere una sola frazione del suo potenziale rivoluzionario: una Chiesa che esce dalla comfort zone delle mura elette e si immerge nelle fragranze non sempre gradevoli di una umanità che chiede disperatamente ascolto e vicinanza, una umanità che è l’unica ragione della Chiesa stessa.

Il primo atto del cardinale Tolentino alla Biennale trascende le contingenze estetiche inscritte nei confini di un quadro, di una composizione, di una performance, di una scultura, per rivolgere lo sguardo a monte, verso il mistero dove tutte le ragioni dell’estetica e di tutto il resto vengono comprese e assolte dal proprio limite, qualunque sia. La finezza e la forza dirompente e delicata di questa operazione dicono che per certo al dicastero della Cultura è arrivato un poeta autentico, e nessuno era più scettico di me al riguardo. La Biennale di Tolentino vale molto più delle scuse dei vari “taoiseach” (il primo ministro irlandese) proferite a profusione per tentare di rimediare in qualche modo alla realtà feroce delle Magdalene laundries e a tutto il resto. Rinnega l’idea stessa di umanità perduta, da sempre alibi per abusi impronunciabili, custoditi gelosamente nella pavidità complice di tutti.

Le ragazze scaraventate nell’inferno delle lavanderie irlandesi non avevano commesso crimini, colpevoli solo di essere rimate incinte, alla Giudecca è diverso, obietterà qualche contabile di santità improbabili. Non fa alcuna differenza, la novità è un gesto che riscatta la Chiesa stessa, gesto vivo, in fuga dal palazzo come dal sepolcro per risorgere tra coloro che la società marchia ultimi da sempre, che non può non ritrovare nella poesia la sua gemella diversa, l’affioramento, le sue membra, la novità sublima tutte le opere nell’unica opera in cui valga la pena perdersi e ritrovarsi. Il dado è tratto, un dado dalle sfaccettature infinite che gli impediranno di fermarsi, così almeno spero, nel suo rotolare di umanità decidua, nostra salvezza.

Avvenire

Spettacolo sull'acqua in Arsenale illumina Carnevale Venezia

 

L'Arsenale di Venezia si è trasformato stasera in un teatro a cielo aperto per "Original Signs", la rappresentazione di danza, musica e spettacolo sull'acqua che ha segnato l'inizio del Carnevale 2023. Una performance live di musica, danza ed effetti speciali, firmata del direttore artistico del Carnevale Massimo Checchetto insieme alla regia di Enrica Crivellaro,.

L'esibizione di una trentina di performer ha raccontato il viaggio della continua ricerca comunicativa dell'uomo,, dalle origini ai giorni nostri. Gli artisti, ciascuno con il proprio linguaggio, sono sfilati a bordo di imbarcazioni che sono diventati palchi galleggianti, che hanno illuminato la notte nell'antica 'fabbrica' di navi della Serenissima. L'Arsenale come palcoscenico, per un viaggio di esplorazione nei movimenti, nei corpi, nei segni ancestrali della natura. (ANSA).
   

(Segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale)

L'acqua alta di Venezia diventa una mostra per ricordare Aqua Granda 2019

 

Una enorme mole di messaggi privati, scritti e vocali, di foto, video e post sui social network, hanno raccontato momento per momento quelle ore concitate e i giorni seguenti ed ora sono dientati una mostra grazie al progetto Aqua Granda 2019, realizzato dall'Università Ca' Foscari Venezia con Science Gallery Venice, in collaborazione con le istituzioni partner del Distretto veneziano di ricerca e innovazione (DVRI), la partnership scientifica del Centro Previsione e Segnalazione Maree del Comune di Venezia, Ismar-Cnr, Citizen Science Center Zurich e il patrocinio di Confartigianato.
    Un anno fa, nella notte del 12 novembre, Venezia è stata sommersa da 187 cm di acqua. Un disastro che ha ricordato l'Acqua Granda del '66 e il delicato equilibrio tra l'acqua, la città e la comunità che la abita. In quella notte di un anno fa le sirene non finivano mai di suonare, e non la smettevano neanche i telefonini.
    Da quilL'idea di costruire una memoria collettiva digitale è nata grazie all'impulso di Odycceus, un progetto di ricerca europeo coordinato da Ca' Foscari che si occupa di conflitti sociali in Europa analizzando i dibattiti online. È un modo per commemorare la catastrofe, comprendere la reazione della comunità, offrire nuovi spunti di riflessione critica su come affrontare future avversità.
    Centinaia di cittadine e cittadini hanno risposto in questi mesi alla call di Science Gallery Venice offrendo il loro materiale e tutti possono continuare a contribuire inviando la propria testimonianza.
    Con oltre 500 video, 4500 foto e 4500 altri tipi di testimonianze è stato creato un archivio digitale, presentato e navigabile nel sito web del progetto: aquagrandainvenice.it L'iniziativa proseguirà nel 2021. I contenuti raccolti saranno accessibili attraverso QR code da molti luoghi della città colpiti dalla marea. Verranno organizzati una serie di workshop e seminari e, il 21 aprile, si inaugurerà una mostra diffusa nella città, costituita da opere virtuali ispirate ai contenuti dell'archivio e realizzate da alcuni artisti internazionali. (ANSA).
   

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Mostra del cinema. Leone d'oro a Joker e Coppa Volpi a Marinelli. Polanski d'argento

A Luca Marinelli la Coppa Volpi come miglior attore (Lapresse)
Avvenire

L'Italia esce a testa alta dalla 76esima Mostra del Cinema di Venezia, conquistando la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, che va a Luca Marinelli, straordinario protagonista di Martin Eden, uno dei migliori film visti quest’anno in competizione, diretto da Pietro Marcello e ispirato al celebre romanzo di Jack London. Una consacrazione importante per un attore di grande talento e sensibilità che si impone così all’attenzione del pubblico internazionale con una performance che non ha lasciato indifferenti spettatori e addetti ai lavori.

Marinelli abbraccia Paolo Virzì, uno dei membri della giuria e dice: «Prima che vi rendiate conto dell’errore che avete fatto vi ringrazio tutti». E ringrazia davvero tutti, anche London «che ha creato la figura di Martin Eden, un marinaio. E perciò dedico questo premio a coloro che sono in mare a salvare altri esseri umani che fuggono e che ci evitano di fare una figura pessima con il prossimo. Viva l’umanità e viva l’amore», grida dal palco.

«La Coppa Volpi a Luca Marinelli – commenta Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema – consacra questo attore come uno dei più talentuosi del momento. Ha saputo dare corpo, spirito e passione ad un personaggio in continuo cambiamento con sorprendente naturalezza. Pietro Marcello lo ha guidato magistralmente all’interno di un’opera ambiziosa e libera. Il suo è un cinema di grande respiro internazionale che rimarrà nella memoria di questa edizione del Festival». Ma al cinema italiano va anche il Premio Speciale della Giuria per La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco che, superate le polemiche a proposito di Mattarella, si è fatto apprezzare anche dalla stampa internazionale.

Il Leone d’oro è invece tutto per gli Usa, che vincono questa edizione del festival con Joker di Todd Philips, visionaria "origin story" sul grande antagonista di Batman. Affidato al volto e al corpo di un istrionico Joaquin Phoenix, che ha accompagnato il regista sul palco per ricevere il premio, il film distribuito nelle sale da Warner il 3 ottobre e che a Venezia è stato tra le opere più amate e applaudite, inizia proprio dal Lido la sua corsa verso gli Oscar che da qualche anno a questa parte pescano i principali vincitori tra i film selezionati da Alberto Barbera e i suoi collaboratori.

Colpo di scena poi per il Gran Premio della Giuria che a sorpresa, e in barba a tutte le polemiche del primo giorno scatenate dalle incaute dichiarazioni della Presidente di Giuria Lucretia Martel a proposito della presenza in competizione di Roman Polanski, va proprio a J’accuse, che rievoca il caso Dreyfuss per puntare il dito contro errori giudiziari e persecuzioni di oggi. Per ritirare il premio è tornata al Lido la moglie del regista, Emmanuelle Seigner, che ha portato i ringraziamenti del regista.

Il miglior regista è invece lo svedese Roy Anderson che in About Endlessnesstraccia un surreale, poetico ritratto della fragilità umana attraverso una serie di tableau, dialoghi essenziali e una voce fuori campo che rievoca quella di Sherazade ne Le mille e una notte.

La francese Ariane Ascaride è poi la miglior attrice per Gloria Mundi di Robert Guediguian, dove interpreta una madre forte e coraggiosa che lotta come una leonessa per proteggere la propria famiglia minata da una crisi economica e da un disagio sociale che costringono i suoi componenti a toccare il fondo. «È come un sogno. Io sono nipote di migranti italiani che per fuggire la miseria sono arrivati a Marsiglia e questo premio che mi dà la possibilità di ritrovare le mie radici. La Coppa è dunque per tutti quelli che dormono per l’eternità sul fondo del Mediterraneo».

Il premio per la sceneggiatura va in Cina, al film di animazione N.7 Cherry Lane di Yonfan ambientato nella Hong Kong del 1967, mentre il Premio Marcello Mastroianni per un giovane attore emergente è per Toby Wallace, stralunato e tenero protagonista di Babyteeth di Shannon Murphy che ha commosso Venezia con la storia di una giovane malata terminale. Il Leone del Futuro per la migliore opera prima premia un film delle Giornate degli Autori, You Will Die at 20 di Amjad Abu Alala su un ragazzo sudanese colpito da una profezia che i suoi genitori tentano di non fare avverare, mentre i premi per la sezione Orizzonti vanno ad Atlatis dell’ucraino Valentyn Vasyanovych (miglior film), Blanco en blanco dello spagnolo Théo Court (miglior regia), Verdict del filippino Raymund Ribay Gutierrez (Premio Speciale), Revenir di Jessica Palud (sceneggiatura) e agli attori Sami Bouajila (Un fils) e Marta Nieto (Madre). Nella sezione VR vincono infineThe Key di Céline Tricart, A Linha di Ricardo Laganaro e Daughters of Chibok di Joel Kachi Benson.

Venezia chiede più rispetto ma sarà sempre città aperta

Turisti a Venezia (Ansa)

da Avvenire
Mentre rigira la bic tra le dita, la scappuccia, la picchietta – è come se tormentasse il turista maleducato – Andrea Molesini ricorda il protagonista del suo romanzo, Presagio, se non fosse proprio per quella biro, che dichiara morto e sepolto il tempo delle penne d’ebanite e dei Vacheron, della città «metà fiaba e metà trappola» ( Thomas Mann), ancora oggi, peraltro, «incompatibile con la modernità» (Massimo Cacciari). Nel romanzo, il nonno di Andrea, intrattenendo l’annoiata marchesa von Hayek nel lusso del Grand Hotel Excelsior, spiega che il segreto della noia consiste nell’«aver in tasca i denari per pagarsela». Una condizione rara tra i turisti che oggi sciamano da piazzale Roma e Santa Lucia nelle calli e nei campielli, sfidando questa «strana città traditrice», dove, scriveva Hemingway, «andare a piedi da un punto a un altro punto qualsiasi è più divertente che fare le parole crociate».
Stando alle statistiche, i visitatori dei musei sono in aumento, eppure per molti turisti Venezia non è Palazzo Grassi e non sarà mai Torcello. Gli arrivi in alberghi e affittacamere (4,6 milioni annui) sono solo un sesto del totale, anche a prender per buone le stime diffuse da Ca’ Foscari e non confermate dal Comune. Unico dato certo: la permanenza alberghiera è ferma a 2,3 giorni da decenni, come lamenta l’Associazione Veneziana Albergatori. Il resto è uno tsunami di sandali, voci e sudore. Italiani ma soprattutto stranieri che arrivano e ripartono in giornata, inarrestabili e inevitabili come l’acqua alta in piazza San Marco, che non sparirà neppure quando sarà terminato il Mose.
day tripper giungono all’alba, in treno o in autobus, coi loro zaini che sembrano cambuse, e subito si immergono in un cruciverba che non ammette soste, se non qualche bivacco nei sottoporteghi; quando il Canal Grande si screzia di rosso, che sarebbe d’obbligo un cicchetto nell’ennesima taverna di Casanova, loro sono già sulla via del ritorno. Molesini non li ama. I veneziani non li amano. «Noi siamo orgogliosi della nostra lentezza – ci spiega lo scrittore – perché tutto qui è stato fatto a mano; ogni pietra, ogni architrave; qui tutto è a misura d’uomo, della sua fisicità». Il mondo si divide tra Venezia e la terraferma perché l’acqua è il confine di tutto. «Insegna pazienza e prudenza, virtù dimenticate. Venezia invece ha una memoria e ancora si vergogna di aver consegnato Giordano Bruno alla Chiesa. Non tanto per un sentimento ghibellino, quanto perché il Papa aveva colto il nostro punto debole: siamo un popolo di mercanti e con i mercanti si viene sempre a patti». Debolezza che Guccini canzona – «la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia la vende ai turisti» – e sulla quale Salvatore Settis ha costruito il memorabile Se Venezia muore, che mette alla berlina il business della Serenissima.
La colpa, si usa dire, è dei cinesi, che hanno ucciso l’artigianato locale smerciando maschere e vasi Murano style a un quinto del valore. O delle navi da crociera, che sfruttano le magniloquenti scenografie veneziane per vendere emozioni. In realtà è la motivazione profonda del turismo mordi e fuggi che spinge la città alla deriva: «Macché goti, bizantini e Lega di Cambrai; ma quale barocco, rinascimento o rococò! Sono pochissimi i turisti che vengono qui per ammirare il nostro passato – conferma Molesini –. Tutti gli altri cercano suggestioni low cost'. Secondo l’Università Ca’ Foscari, questo tipo di turismo assorbe la maggioranza dei 77mila che ogni giorno calpestano le antiche palafitte, piantate per sfuggire ad Attila. Fanno ventimila più dei residenti e della capacità di carico del centro. Ogni anno, 28 milioni di persone si danno appuntamento in una città che ne potrebbe accogliere soltanto 19. I day tripper sono decuplicati in trent’anni, da 5.800 a 57.500 al giorno. Raddoppieranno entro il 2030, grazie al potenziamento delle tratte di Italo e Trenitalia. A dispetto delle polemiche sulle grandi navi, infatti, il turismo mordi e fuggi viaggia su treni scontati e charter bus, che aggravano il disallineamento tra domanda, offerta e capacità di carico. Oggi si installano varchi e telecamere, ma in passato si rendeva tutto più accessibile: meno ristoranti e più take away, meno artigianato e più paccottiglia. Con il risultato che, come ha scritto Settis, oggi «Venezia rischia di restare senza popolo», giacché sfondare la capacità di carico di una piccola isola (il centro si estende su 798 ettari rispetto ai 15.700 del Comune) porta inevitabilmente a sottrarre spazio e servizi ai residenti, che in mezzo secolo si sono dimezzati. «Quand’ero ragazzo c’erano più di venti cinema: oggi due. E questa è la città del festival...» commenta amaro Molesini.
Contro la turistificazione dei centri storici è sorto un movimento europeo (la rete Set) ma il sindaco Luigi Brugnaro ha una strategia diversa. Con #EnjoyRespectVenezia punta a riqualificare il turismo e qualche risultato l’ha ottenuto. La città, ammette Molesini, è più pulita «mentre prima i sacchetti erano abbandonati sull’uscio di casa, alla mercé dei gabbiani e dei ratti». La Giunta è riuscita a risolvere il problema delle code ai vaporetti, suddividendo turisti e residenti. Con i varchi mobili disincentiva a invadere la città nei giorni da bollino rosso, deviando verso zone meno affollate i day tripper e lasciando passare residenti, lavoratori e ospiti delle strutture ricettive. Non basterà però il pragmatismo del Sindaco a risolvere il problema del moto ondoso. «Questa è una città di cose rovesce – ci avvisa Molesini, sfoderando il tipico sarcasmo veneziano – dove la fisica fa l’inchino alsior paròn e la spinta di Archimede vale per una barchetta ma non per un transatlantico». La polemica sulle navi da crociera che manovrano nel bacino di San Marco è di lunga data. Nel 2000 erano 200, nel 2016 già 529. Ognuna poteva entrare dalla bocca di porto del Lido, attraversava il Bacino di San Marco e lungo il canale della Giudecca approdava alla stazione Marittima per poi compiere il percorso inverso. Contro quest’andirivieni è nato un comitato popolare e solo a fine 2017 si è raggiunto un accordo che prevede di creare un hub a Marghera, dove far attraccare le grandi navi (200mila tonnellate di stazza lorda), consentendo a quelle di dimensioni più ridotte (55mila) di attraversare il canale della Giudecca e alle intermedie il canale Vittorio Emanuele, opportunamente dragato.
Gli armatori – che controllano il 40% del terminal alla Marittima (160 milioni di investimenti) – non sono entusiasti e dal 2015 hanno iniziato ad autolimitare il traffico, sperando che tutto resti com’è. Dal primo luglio sono in vigore i nuovi parametri della Capitaneria di porto che limiteranno il traffico dei giganti del mare del 20% entro il 2020. Alessandro Santi, presidente di Assoagentiveneto (Federagenti) sta preparando uno studio secondo cui, nel 2017, il traffico crocieristico ha portato in laguna 1.427.000 passeggeri, il 5% dei 28 milioni censiti da Ca’ Foscari, e non tutti hanno visitato la città, visto che una parte ha utilizzato il porto di Venezia per imbarcarsi o sbarcare. I visitatori sono stati solo 400mila: in media 1.000 sui 77mila visitatori al giorno stimati da Ca’ Foscari. Lo studio di Federagenti confermerà anche che le grandi navi sono sicure e che hanno un impatto trascurabile sul moto ondoso e sulle fondamenta della città. Archimede se ne faccia una ragione.
È chiaro che non esiste ancora una ricetta condivisa per trasformare la sovrabbondanza di turismo low cost in permanenze alberghiere, alleggerendo e valorizzando il flusso turistico, così com’è chiaro che su un solo punto sono tutti d’accordo: «Venezia deve restare una città aperta ai turisti», come ripete Brugnaro. Già, perché, disagi o no, se quelli sparissero, la città lagunare morirebbe veramente. È successo e lo rievoca Presagio, descrivendo la notte in cui i turisti si trasformarono in «profughi che scappavano», il Grand Hotel si fece spettrale, si svuotarono le celle frigorifere, le cucine e le lavanderie degli alberghi, le camere e gli alloggi del personale di servizio. Era il 28 luglio del 1914. In Europa iniziava la prima guerra mondiale. E per i veneziani la fame.

Galleria Accademia 3 opere Giorgione

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VENEZIA - Tre dipinti di Giorgione, un tempo appartenenti alla collezione del patrizio veneziano Gabriele Vendramin (1484-1552), riuniti in un'unica sala alle Gallerie dell'Accademia, a Venezia. Per un mese, i visitatori potranno vedere assieme la famosa "Tempesta" e la "Vecchia", già presenti alle Gallerie, e il dipinto "Concerto o Davide Cantore", opera data in comodato quinquennale, proveniente da un collezionista privato.

Peggy Guggenheim, mostra-omaggio del '48

 © ANSA

VENEZIA - Apre da oggi al pubblico a Venezia la mostra-omaggio per il 70/o anniversario dell'esposizione della collezione di Peggy Guggenheim alla XXIV Biennale di Venezia, nel padiglione greco, evento dirompente nella storia dell'arte del XX secolo, prima esposizione pubblica di una collezione privata di arte moderna in Italia, dopo 20 anni di regime dittatoriale. L'esposizione, allestita nelle project rooms del museo sul Canal Grande si intitola "1948: la Biennale di Peggy Guggenheim", è curata da Gražina Subelytė. Sarà aperta fino al 25 novembre. "1948: la Biennale di Peggy Guggenheim" mira a ricreare l'ambiente del padiglione attraverso documenti, fotografie, lettere e una maquette che per la prima volta ne ricostruisce spazi e allestimento originario del '48, seguito dall'architetto veneziano Carlo Scarpa, che collaborò con la Biennale dal 1948 al 1972. Non mancano alcune delle opere allora in mostra, oggi parte della Collezione, insieme ad altre in seguito donate. (ANSA).

'Non solo museo', itinerari per Venezia

VENEZIA - Una visita a Palazzo Mocenigo per immergersi nelle fragranze e nei colori della Venezia del Settecento; un viaggio nel tempo nella Venezia della Belle Époque; una passeggiata da Campo Santo Stefano al Museo Correr che riporta al periodo dell'occupazione francese e austriaca; un tour dalla Casa di Carlo Goldoni alla scoperta della Venezia dei teatri. Sono solo alcune delle proposte di "Non solo museo", l'iniziativa attraverso otto itinerari tematici promossa dal Comune di Venezia, dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e dalle Guide ufficiali abilitate della Città di Venezia. Per l'assessore Paola Mar, "grazie a 'Non solo Museo', frutto del lavoro di rete tra Comune di Venezia, Fondazione Musei civici veneziani e associazioni delle guide turistiche abilitate, sarà possibile offrire ai visitatori, ma anche ai residenti, proposte culturali di qualità e nello stesso tempo indirizzare gli ospiti alla scoperta degli angoli più nascosti, ma non per questo meno degni di visita, di Venezia".
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Apre Biennale Architettura, 65 paesi

 Con la presenza di 65 Paesi, di cui cinque presenti per la prima volta, è stata aperta la tre giorni di vernice della Biennale d'Architettura di Venezia. "Reporting from the front", questo il titolo della 15/a edizione della mostra, è diretta da Alejandro Aravena e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta. La rassegna, che sarà aperta al pubblico da sabato 28 maggio a domenica 27 novembre 2016, ai Giardini e all'Arsenale di Venezia, vede la partecipazione di new entry come Filippine, Lituania, Nigeria, Seychelles e Yemen. Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dal Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, è stato affidato al team TaMassociati composto da Massimo Lepore, Raul Pantaleo, Simone Sfriso.
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Carnevale: Venezia, all'insegna fasti e mestieri Serenissima

 Sarà un Carnevale all'insegna delle tradizioni, delle arti e dei mestieri della Serenissima quello che vivrà Venezia dal 23 gennaio al 9 febbraio. Il regista Marco Maccapani ha puntato sulla celebrazione delle eccellenze veneziane, di quelle arti che da sempre sono legate alla storia della città. In Piazza San Marco si ricostruiranno squarci della vita veneziana di un tempo: gli artigiani si cimenteranno nella costruzione di una gondola in undici giorni, nella realizzazione di maschere e altri oggetti, mentre a fondo piazza il palco non sarà quello tradizionale, ma allestito su un ponte, recuperato nei magazzini de La Fenice che lo adoperò per un'opera.
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