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Notizie Turismo Culturale


Aggiornamento giornaliero

Le mostre del week end, da Pistoletto e Penone a Fellini A Roma Urbano VIII e i Barberini, a Lecco i Futuristi

 

ROMA - L'arte dei futuristi accanto agli scatti di Ruth Orkin, e poi due giganti come Penone e Pistoletto, fino alle opere della grande collezione Barberini, nell'omaggio a Papa Urbano VIII: sono le mostre di questa settimana.


    ROMA - È un grande tributo a uno dei più importanti artisti della contemporaneità la mostra "Michelangelo Pistoletto.
    Infinity", al Chiostro del Bramante dal 18 marzo al 15 ottobre.

A cura di Danilo Eccher, il progetto presenta 50 opere e 4 grandi installazioni site specifici in un percorso narrativo, che racconta più di 60 anni di arte e quasi 90 anni di vita. A Villa Medici dal 17 marzo al 21 maggio il fascino di un treno leggendario nella mostra "Orient-Express & Cie. Itinerario di un mito moderno": provenienti dagli archivi dell'antica Compagnie internationale des wagons-lits, gli oltre 200 pezzi dell'esposizione (Raccolte fotografiche, progetti, mappe, disegni tecnici e manifesti pubblicitari d'epoca) collocano l'Orient-Express nel suo contesto storico globale. Apre il 14 marzo alla Galleria Borghese la mostra "Giuseppe Penone. Gesti universali", in programma fino al 28 maggio e a cura di Francesco Stocchi. La mostra, allestita nei giardini e in una parte delle sale ubicate al piano terra, presenta lavori in cui l'artista, uno dei massimi esponenti dell'Arte Povera, mette in relazione - con innesti organici di figlie, cuoio e legno - la scultura all'osservazione della natura. A Palazzo Barberini la grande mostra "L'immagine sovrana. Urbano VIII e i Barberini", a cura di Maurizia Cicconi, Flaminia Gennari Santori, Sebastian Schütze: allestito dal 18 marzo al 30 luglio, il progetto espositivo celebra il quattrocentesimo anniversario dell'elezione al soglio pontificio di Urbano VIII Barberini. Nel percorso più di 80 opere provenienti dalla collezione del museo e da oltre 40 tra istituzioni museali e collezioni private italiane e internazionali.
    MAMIANO DI TRAVERSETOLO (Pr) - Due mostre alla Fondazione Magnani Rocca: dal 18 marzo al 2 luglio "Fellini. Cinema è sogno", a cura di Mauro Carrera e Stefano Roffi, che ripercorre la carriera del maestro i costumi, appartenenti allo CSAC di Parma, realizzati per i film e indossati da celebri attori come Marcello Mastroianni e Donald Sutherland, le locandine dei film stessi, vere pietre miliari della storia del cinema e della grafica, oltre a sorprendenti disegni del regista e a rare fotografie d'epoca. Nelle stesse date è allestita anche la monografica su Felice Casorati, "Il concerto della pittura", curata da Giorgina Bertolino, Daniela Ferrari, Stefano Roffi, che ricostruisce l'itinerario dell'artista, dagli anni d'esordio alla maturità, con oltre 60 opere - molti i capolavori assoluti - provenienti da istituzioni pubbliche e collezioni private.
    MODENA - "Nelle stanze dell'arte. Dipinti svelati di antichi maestri", a cura di Lucia Peruzzi, è in programma dal 17 marzo al 2 luglio alla Galleria BPER Banca. Dedicata alla pittura emiliana dal XIV al XVIII secolo, la mostra offre al pubblico l'opportunità di ammirare alcune opere solitamente non visibili.
    Tra gli autori presenti anche Annibale Carracci, Lippo di Dalmasio, Francesco Vellani e Giuseppe Maria Crespi.
    LECCO - L'esperienza futurista, nelle sue molteplici espressioni, attraverso le opere dei suoi più celebri rappresentanti, da Giacomo Balla a Luigi Russolo, da Gino Severini a Enrico Prampolini, da Filippo Tommaso Marinetti ad Antonio Sant'Elia, da Fortunato Depero a Tullio Crali, è al centro della mostra "Futuristi. Una generazione all'avanguardia", dal 18 marzo al 18 giugno a Palazzo delle Paure. A cura di Simona Bartolena, il percorso racconta il Futurismo nelle sue diverse generazioni e declinazioni e i suoi rapporti con la scena europea.
    TORINO - "Ruth Orkin. Una nuova scoperta" è la più completa antologica mai dedicata alla grande fotografa in Italia.
    Allestita dal 17 marzo al 16 luglio ai Musei Reali di Torino, a cura di Anne Morin, l'esposizione riunisce 156 fotografie, la maggior parte delle quali originali, che delineano la carriera dell'artista. Tra i lavori esposti alcune opere capitali come VE-Day, Jimmy racconta una storia, American Girl in Italy.
    (ANSA).
   

Grande mostra di Ceruti a Brescia

 

Work in progress della grande mostra di Giacomo Ceruti a Brescia, che aprirà al pubblico da martedì 14 febbraiofotografie in esclusiva per ANSA (¸ Fondazione Brescia Musei / Foto di Alberto Mancini ) scattate durante i lavori che svelano il "dietro le quinte" dell'esposizione intitolata ''Miseria & Nobiltà. Giacomo Ceruti nell'Europa del '700''.

Si tratta della più importante esposizione dedicata a Giacomo Ceruti, a più di 35 anni della retrospettiva del 1987, sempre a Brescia, una mostra che intende donare, attraverso 100 opere, una nuova luce al pittore settecentesco non più come Pitochetto ma a tutti gli effetti come pittore europeo. Un progetto internazionale, in coproduzione tra Fondazione Brescia Musei e n J. Paul Getty Museum di Los Angeles, dove la mostra approderà in una seconda tappa dal 18 luglio 2023.
    Inutile dire che anche questo progetto è tra le iniziative culturali "di punta" dell'anno di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura.
    Pittore degli ultimi e ricercato ritrattista dell'aristocrazia, tra ombre e luci, dall'umanità sofferente a intonazioni serene, da scene di povertà fino alle più aggiornate e raffinate tendenze dell'arte europea del XVIII secolo. Miseria & Nobiltà è una doverosa rilettura dell'opera di Ceruti, che allarga i confini sul "pittore più avventuroso del Settecento". Originale interprete della sua epoca, capace di dare forma alle contraddizioni della società del tempo, vicine a quelle dei nostri giorni.
    Non più Pitocchetto dunque ma: Giacomo Ceruti, pittore europeo.
    Con oltre cento opere di Ceruti e di artisti che lo hanno preceduto o imitato, la mostra mette per la prima volta a confronto i più importanti capolavori dell'artista e non solo: dipinti provenienti da ricercate collezioni private e normalmente non accessibili, grandi prestiti museali internazionali, opere inedite e nuove attribuzioni, offrendo una panoramica coinvolgente e finalmente completa.
    Una mostra necessaria che, a più di 35 anni dalla retrospettiva che sempre Brescia gli dedicò nel 1987, supera i confini nazionali grazie alla partnership con J. Paul Getty Museum e la seconda tappa del progetto, che aprirà a Los Angeles il 18 luglio 2023.
    Una mostra dovuta, determinata dalle scoperte e dagli studi che hanno permesso una revisione radicale dell'artista, anche raccontando relazioni di Ceruti con autori precedenti e a lui contemporanei, grazie alla presenza di opere di Moroni, Bellotti, Monsù Bernardo, Ceresa, Todeschini, Sweerts, Ribera, Fra' Galgario, Snijers, Tiepolo, Piazzetta, Rigaud. Un progetto che dimostra, una volta di più, che la storia dell'arte è una materia viva, capace di evolversi e aggiornarsi.
    Oltre alla mostra, una serie di iniziative sono parte del calendario che, da più di un anno, Fondazione Brescia Musei sta dedicando a Giacomo Ceruti: _ dal 14 febbraio al 10 novembre 2023, sempre in Pinacoteca Tosio Martinengo: una visione assolutamente contemporanea, con la mostra fotografica originale David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land a cura di Denis Curti _ dal 14 febbraio al 28 maggio 2023, presso Museo di Santa Giulia: Immaginario Ceruti. Le stampe nel laboratorio del pittore. Un approfondimento sull'utilizzo che l'artista fece delle incisioni, a cura di Francesco Ceretti e Roberta D'Adda. 

ansa

(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - turismoculturale@yahoo.it)

Spettacolo sull'acqua in Arsenale illumina Carnevale Venezia

 

L'Arsenale di Venezia si è trasformato stasera in un teatro a cielo aperto per "Original Signs", la rappresentazione di danza, musica e spettacolo sull'acqua che ha segnato l'inizio del Carnevale 2023. Una performance live di musica, danza ed effetti speciali, firmata del direttore artistico del Carnevale Massimo Checchetto insieme alla regia di Enrica Crivellaro,.

L'esibizione di una trentina di performer ha raccontato il viaggio della continua ricerca comunicativa dell'uomo,, dalle origini ai giorni nostri. Gli artisti, ciascuno con il proprio linguaggio, sono sfilati a bordo di imbarcazioni che sono diventati palchi galleggianti, che hanno illuminato la notte nell'antica 'fabbrica' di navi della Serenissima. L'Arsenale come palcoscenico, per un viaggio di esplorazione nei movimenti, nei corpi, nei segni ancestrali della natura. (ANSA).
   

(Segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale)

Belzec, Sobibor e Treblinka, mostra sull'orrore

 

Belzec, Sobibor e Treblinka, ovvero i tre campi in cui tra il 1942 e il 1943 si è consumata un'operazione omicida senza precedenti, la cosiddetta Aktion Reinhardt, l'uccisione rapidissima e implacabile della popolazione ebraica concentrata nei ghetti del Governatorato Generale, il cuore dell'ex territorio della Polonia: racconta una storia poco nota al pubblico italiano la mostra "L'inferno nazista.

I campi della morte di Belzec, Sobibor e Treblinka", allestita alla Casina dei Vallati, sede espositiva della Fondazione Museo della Shoah a Roma, a partire dal 27 gennaio, Giorno della Memoria.

Giorno Memoria, a Roma inaugurata la mostra 'L'inferno nazista'

Un progetto di alto valore scientifico, a cura di Marcello Pezzetti, ma anche molto duro ed emozionante, che attraverso documenti, foto, filmati (anche materiale realizzato dai nazisti), interviste e ricostruzioni racconta per la prima volta in modo completo lo sterminio avvenuto, mediante gas di scarico, in questi campi. All'inaugurazione oggi, presenti le istituzioni, dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, al sindaco di Roma Roberto Gualtieri, da Mario Venezia, presidente Fondazione Museo della Shoah, a Sami Modiano, testimone sopravvissuto al lager, e poi l'ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar, Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma.

Se per Sangiuliano, che ha ammesso di essere stato provato emotivamente dal percorso, serve "ribadire l'unicità della Shoah, che è stata il male assoluto", per Gualtieri "Lo sterminio del popolo ebraico è stato un esercizio burocratico e inumano, lo condanniamo per rendere omaggio alle vittime e ai sopravvissuti ma anche per tenere tutta l'umanità in guardia".

    Toccanti le parole di Sami Modiano, 92 anni, sopravvissuto e ancora desideroso di testimoniare: "Fino a quando avrò forza e vita trasmetterò ai ragazzi quello che è stato", ha detto con emozione, "Ho fiducia e speranza in chi verrà dopo di noi".

    La mostra comprende inoltre una sezione multimediale e immersiva che documenta, anche presentando la ricostruzione di un plastico del campo di Treblinka, gli atroci procedimenti di messa a morte con il gas perpetrati nei tre lager. L'approccio scelto è quello della 'verità', senza nascondere nulla agli occhi del pubblico, neppure i materiali più drammatici: per questo, ha assicurato Mario Venezia, "Staremo attenti a non far entrare i bambini alla mostra. Io stesso, pur avendo visitato Treblinka, vedendo rappresentato il campo nella mostra sono stato colpito emotivamente".

    Nel percorso i materiali restituiscono una tragedia che fa ancora rabbrividire: bambini denutriti e quasi nudi dei ghetti, una vita logorata da una quotidianità priva di dignità tra violenza e fame, la feroce e sistematica deportazione e infine le tante, troppe masse di uomini, donne e bambini mandate a morire nelle camere a gas, in luoghi senza più speranza né umanità: perché andare nei campi dell'Aktion Reinhardt (in onore del capo della polizia di sicurezza, Reinhardt Heydrich, giustiziato dai resistenti cechi) significava, come spiega all'ANSA il curatore Pezzetti, "essere ammazzati. Vi si entrava solo per quello. In soli 100 giorni nei tre campi sono state uccise più di un milione e mezzo di persone. L'attenzione in Italia è tutta concentrata su Auschwitz, perché lì ci sono stati deportati del nostro Paese, ma si dimentica che questa è stata la più grande operazione omicida compiuta dai nazisti, il cuore della Shoah".    

(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - turismoculturale@yahoo.it)

Le mostre del week end, da Warhol a Lotto, Romanino, Moretto e Ceruti

 

- La pittura di Lotto, Romanino, Moretto e Ceruti accanto alle opere pop di Andy Warhol e agli scatti di Inge Morath: sono alcune delle mostre di questa settimana.

BRESCIA - Sono 80 i capolavori selezionati per la mostra "Lotto, Romanino, Moretto, Ceruti. I campioni della pittura a Brescia e Bergamo", allestita dal 21 gennaio all'11 giugno a Palazzo Martinengo e a cura di Davide Dotti.

Parte del programma di "Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023", l'esposizione mette a confronto le opere dei grandi maestri bresciani del Rinascimento quali Foppa, Moretto, Romanino, Savoldo e Gambara con quelle dei bergamaschi Moroni, Palma il Vecchio, Cariani, Previtali e Lotto per comprendere il comune substrato culturale lombardo. Nel percorso anche 4 approfondimenti dedicati a temi caratterizzanti l'identità culturale e la storia delle due città, tra sculture, disegni, strumenti musicali, dipinti, cimeli storici, documenti antichi e fotografie d'epoca.
    GALLARATE (VA) - Andy Warhol con la sua multiforme carriera è protagonista al Museo MA*GA dal 22 gennaio al 18 giugno nella mostra "Serial Identity", curata da Maurizio Vanni ed Emma Zanella: nell'antologica sono raccolte oltre 200 opere, dai primi disegni realizzati per l'editoria e la moda, alle più importanti opere pop ai brand commerciali delle grandi aziende.
    Per la prima volta in Italia è inoltre esposta la video installazione del fotografo e regista americano Ronald Nameth nata dalla performance Exploding Plastic Inevitable orchestrata da Warhol con i Velvet Underground e Nico. Il percorso si completa poi alla Porta di Milano dell'aeroporto di Milano Malpensa, con un grande video wall e un'installazione.
    VENEZIA - Al Museo di Palazzo Grimani il 18 gennaio apre "Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi", a cura di Kurt Kaindle e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi: fino al 4 giugno, circa 200 fotografie con un focus specifico e inedito su Venezia (attraverso il celebre reportage che la fotografa austriaca realizzò in Laguna, quando l'Agenzia Magnum la inviò in città per conto de L'Oeil). Molte di queste fotografie veneziane, circa un'ottantina, non sono mai state esposte prima in Italia.
    ROMA - Una raccolta di oltre 20 immagini realizzate con Leica SL raccontano il Municipio 1, tra Pantheon e Foro Romano: è la mostra "Pietre" di Nicoletta Leni Di Ruocco e Massimiliano Pugliese, allestita dal 18 gennaio a fine febbraio presso il Leica Store Roma. Secondo appuntamento di Roma ChilometroZero, progetto di Leica Camera Italia in collaborazione con Contrasto, nato con l'obiettivo di trovare nuovi talenti e nuovi sguardi per i 15 municipi di Roma, attraverso l'uso di una fotocamera Leica. A Palazzo Braschi due gli appuntamenti in apertura il 20 gennaio nell'ambito di Quotidiana. Si tratta della mostra del duo artistico Eva & Franco Mattes (sezione Paesaggio, fino al 12 marzo) da una riflessione di Nadim Samman e della presentazione dell'opera Tana di Martina Biolo (sezione Portfolio, fino al 12 febbraio).
    MILANO - Sua Maestà la Regina Elisabetta II è la protagonista della mostra "Lilibet. The Queen", dal 19 gennaio al 20 febbraio 2023 presso Agostino Art Gallery, a cura di Cinzia Lampariello Ranzi. Esposta una selezione di pezzi unici e multipli realizzati da alcuni dei protagonisti della pop art e della street art internazionale (Endless, Marco Lodola, Mr. Brainwash, Raptuz, Jamie Reid, TVboy) che raccontano la regina come l'ultima vera icona pop del nostro tempo. "Acque chete" di Corrado Bonomi è allestita all'Acquario Civico dal 19 gennaio al 26 febbraio: a cura di Alberto Fiz, la personale presenta 20 opere, tra dipinti, sculture e installazioni che hanno come elemento unificante il mondo marino con i suoi abitanti, nelle quali l'artista riflette sui temi della diversità e della sostenibilità attraverso la lente dell'ironia.
    TERAMO - Al Castello Della Monica di Teramo appena riaperto la mostra "La camera delle meraviglie", ideata da Stefano Papetti e curata insieme ad Antonio D'Amico, in programma dal 21 gennaio al 7 maggio. Per la prima volta una selezione di preziosi e insoliti oggetti di arredo tardorinascimentali (suppellettili, armature, cassoni finemente decorati e intagliati, cofanetti in avorio), collezionati a metà Ottocento dai fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi per la loro casa di Milano, lasciano la sede museale per arricchire un'altra importante residenza d'epoca. (ANSA).


La mostra. Rubens e Genova: così nacque il barocco

 L’artista fiammingo era di casa nella città legandosi alle famiglie più potenti. Qui mette a punto la sua pittura rivoluzionaria che cambia le sorti dell’arte italiana

Nel 1622 ad Anversa, dove ormai era tornato a risiedere da tempo, Pieter Paul Rubens dava alle stampe un volume in folio dedicato ai Palazzi di Genova. È un omaggio alla città che aveva costituito per lui quasi una seconda patria durante la sua giovanile, rivoluzionaria permanenza in Italia (16001608). Il quarto centenario della pubblicazione è lo spunto per una mostra (fino al 22 gennaio), a cura di Nils Büttner e Anna Orlando, che racconta proprio il rapporto tra Rubens e Genova, tappa di un percorso che – ad esempio con “Superbarocco” a Roma – sta rifocalizzando la centralità del contributo genovese, spesso lasciato fuori mappa, a un’intera epopea estetica. Nelle sue molte visite a Genova, vi giunge la prima volta da Mantova dove è al servizio di Vincenzo I Gonzaga, il quale è legato mani e piedi ai banchieri della Superba, Rubens libera tutte le sue potenzialità. Il sillogismo non è esplicito ma possiamo ricostruirlo con facilità. Se Rubens è “invenzione” (anche) genovese allora lo è pure il barocco. Non è un azzardo. Le nostre storie dell’arte preferiscono una genealogia italica, ma è difficile capire Bernini come il prodotto della faticosa transizione del tardomanierismo romano. Se le date non sono un’opinione (le sue pale sono collocate sugli altari di Genova nel 1605 e di Roma nel 1602 e nel 1608, per intenderci a Caravaggio vivente mentre Gian Lorenzo è un bambino) è il fiammingo Rubens, e con largo anticipo, il padre del barocco italiano. Non a caso la mostra, che ha un punto di riferimento nel metodo di Francis Haskell, il primo a mettere al centro il rapporto tra arte e società e il ruolo della committenza, si dirama nella città, a partire dalla chiesa del Gesù – a due passi da palazzo Ducale, sede dell’esposizione – dove si trovano due capolavori rubensiani. D’altronde Rubens dovette trovare a Genova un clima familiare rispetto alla sua Anversa. Qui la dimensione mercantile e finanziaria restava il nerbo della città. Nonostante la trasformazione in aristocrazia e le pulsioni egemoniche interne, la sua classe dirigente non aveva generato una signoria, conservando invece il regime oligarchico della Repubblica, governato da un complesso equilibrio di poteri. Rubens è un acuto osservatore e nei Palazzi rileva che lo spazio urbano, specchio della struttura politica e sociale, definisce un unicum nella penisola – anche rispetto a Venezia (per altro all’epoca ormai ini contrazione, come anche la stessa Anversa, mentre Genova è all’apogeo), dove ad esempio manca lo scenario compatto di una Strada Nuova, manifesto del sistema gedenziate novese e della sua trasformazione in senso moderno in seguito alla riforma della Repubblica da parte di Andrea Doria nel 1528. L’artista fiammingo osserva come gli edifici rispecchino la classe dirigente, mentre Palazzo Pitti a Firenze, le fabbriche farnesiane di Roma e Caprarola e “infiniti altri per tutta l’Italia... tutti eccedono di grandezza di sito e spesa le facoltà di gentilhuomini privati”. Rubens coglie in sostanza la qualità della struttura politico- economica di Genova rispetto al resto agli staterelli italiani dove vige un “principe assoluto”, ed è difficile che non pensi alla sproporzione tra le ambizioni oltre ogni tempo massimo di Vincenzo I nella periferia padana e il sistema della Repubblica genovese.

Il percorso della mostra si preoccupa quindi di collocare la presenza e il lavoro di Rubens in un preciso contesto, tanto largo – la Superba in generale – quanto nel campo più stretto delle relazioni, perfino amicali, che l’artista stringe con i potentati cittadini. Per altro a Genova la presenza di artisti fiamminghi è consolidata. La stessa immagine urbana ci è stata consegnata da figure specializzate provenienti dalle Fiandre. Negli anni di Rubens opera in città Jan Roos, che si italianizza in Giovanni Rosa. Né si può dimenticare poi Antoon Van Dyck, l’allievo prediletto di Rubens, che a Genova sarà di stanza. Ma la loro presenza nel percorso espositivo è sempre strumentale al racconto. Ad esempio, i dipinti dei fratelli De Wael sono chiamati a documentare le pratiche caritative verso le masse di indigenti, certo con la funzione di mantenere la pace sociale (gli scontri in città avvengono tra vecchi e nuovi nobili, mentre non si registrano rivolte popolari) ma d’altra parte la prodigalità dell’aristocrazia genovese verso le classi più disagiate, esercitata attraverso lasciti a opere di carità e ospedali per i poveri, va ben oltre una politica meramente opportunistica. Un albero genealogico ricostruisce i legami tra le principali famiglie di Genova e le loro relazioni con Rubens, evi attraverso i ritratti e le committenze (anche extracittadine: l’intervento alla Vallicella, a Roma, ha origine nel cardinale genovese Giacomo Serra). Tra le casate più legate al pittore c’è quella dei Pallavicino (creditori e feudatari del Gonzaga), responsabile in tempi diversi delle due committenze per la chiesa del Gesù, o ancora i Doria e soprattutto Ambrogio Spinola, condottiero militare avvolto dal mito, del quale Rubens afferma di averlo “praticato familiarmente” e di averlo “trovato sempre uomo fermo e sodo et di buonissima fede” nonostante, rivelando un interessante pregiudizio, “contra la mia prima opinione (avendole sospetto per essere italiano e genovese)”. Le singole famiglie e i loro membri aiutano a spiegare le iconografie, come il San Sebastiano commissionato dallo Spinola, o il tema del sacrificio nel dittico di Ercole e Deianira voluto da Pietro Maria Gentile, per cinque anni prigioniero dei Savoia. Genova è città coltissima, dove gli aristocratici si dilettano a scrivere, recitare, dipingere. Giulio Pallavicino, di nascita cadetta, si dedica alle lettere e vanta una biblioteca di duemila volumi. L’artista genovese Bernardo Castello, con cui Rubens ha stretti, rapporti, pubblica a proprie spese tre edizioni illustrate della Gerusalemme Liberata dell’amico Torquato Tasso, di grande successo. In questo clima, infine, Rubens sviluppa la sua rivoluzione del ritratto, svincolandolo dalle formule irrigidite diffuse da Madrid fino a Praga per improntarlo a un carattere vivo, scattante, singolare. L’innovazione non nasce dal nulla. Rubens ha per modelli Tiziano e il genovese Luca Cambiaso. E poi Tintoretto (l’altro vero inventore del barocco prima del barocco) ma anche i ritratti di Sofonisba Anguissola, cremonese sposa di un nobile genovese. E ancora Guilliam Van Deynen, suo coetaneo di Anversa che arriva a Genova nel 1602, e Frans Pourbus il Giovane, ritrattista di corte a Mantova. Ma è Rubens a condensare, nel giro di soli tre anni, tra il 1604-1607, tutto in una nuova maniera, imprimendo il suo sigillo all’intero genere per secoli.

Quindici città in lizza per conquistare il titolo di Capitale della Cultura 2025

Archeologia. Scoperti i resti di un ponte romano lungo la Via Tiburtina

 La struttura, a una prima analisi di epoca imperiale, serviva alla antica Tiburtina ad attraversare il Fosso di Pratolungo, poco prima del punto in cui il corso d'acqua confluisce nell'Aniene


I resti di un ponte romano sono venuti alla luce durante le indagini archeologiche condotte sotto la direzione della Soprintendenza Speciale di Roma per i lavori del Comune di Roma di allargamento della Tiburtina, all'altezza dell'undicesimo chilometro della via moderna e al VII miglio di quella antica. La struttura, a una prima analisi di epoca imperiale, serviva alla antica Tiburtina ad attraversare il Fosso di Pratolungo, poco prima del punto in cui il corso d'acqua confluisce nell'Aniene. «Roma ci sorprende sempre con le testimonianze della sua storia millenaria - dichiara Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma -. Il ponte appena ritrovato ci mostra i resti di una pregevole opera dell'ingegneria romana e permetterà di comprendere meglio la topografia antica della zona ed i suoi sviluppi nel corso dei secoli. Lo scavo e la conservazione del ponte non saranno comunque di ostacolo all'allargamento in corso della via Tiburtina».

Gli scavi, condotti con la direzione scientifica di Fabrizio Santi, archeologo della Soprintendenza Speciale di Roma, dalle archeologhe Stefania Bavastro e Mara Carcieri della Land Srl, hanno messo in luce la porzione centrale dell'arcata a tutto sesto del ponte realizzata con possenti blocchi di travertino messi in opera a secco, fissati tra di loro mediante incavi rettangolari connessi a sporgenze dalle medesime caratteristiche e dimensioni, e rinforzati esternamente da uno spesso strato di cementizio.

L'arcata è stata rinvenuta priva della parte centrale: l'assenza della chiave di volta è da attribuire alla risistemazione dell'area in età medioevale e rinascimentale, quando il ponte venne parzialmente demolito e chiuso da due muraglioni di oltre tre metri di altezza. Tali strutture, rivestite con intonaco solo all'esterno, sembrano aver sostenuto una rampa funzionale ad attraversare il Fosso.

È in corso di studio il rapporto di questo ritrovamento con un'altra porzione di ponte rinvenuta quest'inverno a una distanza di appena 25 metri sul versante opposto del Fosso di Pratolungo e di epoca anteriore (III-II secolo avanti Cristo). La cartografia storica di quest'area riporta la convergenza di più rami del Fosso e di piccoli affluenti, il cui corso aveva andamenti variabili a seconda delle epoche, inoltre i notevoli strati alluvionali venuti alla luce nella campagna di scavo attestano come il ponte attraversasse il fosso in un punto critico, soggetto fin dall'età romana a frequenti esondazioni e impaludamenti. Al termine delle indagini archeologiche i resti del ponte, che si trovano a 4 metri sotto l'attuale livello stradale all'interno di una falda acquifera, saranno consolidati e ricoperti in modo da garantirne la tutela e la perfetta conservazione.

Avvenire