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Le mostre di Pasqua, da Leonardo al tatuaggio. A Roma Raffaello, Tiziano e Rubens, a Milano Pascali


Dal genio di Leonardo ai capolavori di Raffaello, Tiziano e Rubens, da Pascali alla storia del tatuaggio: sono alcune delle mostre della settimana di Pasqua.

TORINO - Ai Musei Reali dal 28 marzo al 30 giugno "L'autoritratto di Leonardo.

Storia e contemporaneità di un capolavoro": l'esposizione presenta oltre 60 opere, delle quali 15 originali di Leonardo, tra cui spiccano 6 fogli del Codice Atlantico realizzati in Francia, nel periodo in cui disegnava il suo celebre Autoritratto. Arricchito da numerosi prestiti, e con testimonianze originali dell'attività di Leonardo negli ultimi anni della sua vita, il percorso è completato da una nutrita selezione di dipinti, disegni, incisioni, matrici calcografiche e fotolitografie che documentano la fortuna del celebre disegno di Torino.

ROMA - Si intitola "Raffaello, Tiziano, Rubens. Capolavori della Galleria Borghese a Palazzo Barberini" la mostra che segna l'inedita collaborazione tra le Gallerie Nazionali di Arte Antica e la Galleria Borghese: dal 29 marzo al 30 giugno infatti 50 dipinti della Pinacoteca della Galleria Borghese saranno esposti nell'Ala Sud del piano nobile di Palazzo Barberini. Tra i dipinti esposti, alcuni capolavori assoluti, quali il Ritratto d'uomo di Antonello da Messina, il Ritratto di giovane donna con unicorno di Raffaello, Susanna e i vecchioni di Peter Paul Rubens, l'Amor Sacro Amor Profano di Tiziano.

Fino al 22 aprile alle Case Romane del Celio "Fiero di te.
Opere di Emilio Conciatori", a cura di Romina Guidelli e Tanja Mattucci. La mostra, primo omaggio all'artista che con la luce "divina" e i colori ipnotici delle sue tele conquistò persino Hollywood (tanto che Stanley Kubrick volle che fosse proprio lui a creare la prima locandina del film "2001: Odissea nello spazio"), riunisce 10 opere appartenenti all'ultima produzione di Conciatori.

MILANO - "Tatuaggio. Storie dal Mediterraneo", dal 28 marzo al 28 luglio al Mudec e a cura di Luisa Gnecchi Ruscone e Guido Guerzoni, racconta la lunga storia del tatuaggio. Dalla preistoria al contemporaneo, il percorso ha un taglio antropologico che guarda all'Italia e all'area del Mediterraneo, e presenta reperti originali o riproduzioni e proiezioni di fotografie e filmati percorrendo oltre 7mila anni di storia umana.
Dal 28 marzo al 23 settembre alla Fondazione Prada un'ampia retrospettiva su Pino Pascali, a cura di Mark Godfrey.
Articolato in 4 sezioni, il percorso include 49 opere di Pino Pascali, 9 lavori di artisti del secondo dopoguerra; una selezione di fotografie e un video che ritraggono l'artista con le sue opere.

VENEZIA - A Le stanze della fotografia dal 28 marzo all'11 agosto la mostra "Out of focus", che presenta gli ultimi dieci anni di ricerca fotografica dell'artista Patrick Mimran attraverso 30 fotografie inedite e mai esposte in Italia.
Sempre il 28 marzo apre anche "Helmut Newton. Legacy" (fino al 24 novembre), l'ampia retrospettiva curata da Matthias Harder e Denis Curti che ripercorre la vita umana e professionale del grande fotografo.

ORANI (NU) - Al Museo Nivola "Chimere", prima personale di Siro Cugusi in una istituzione italiana. A cura di Luca Cheri e Camilla Mattola, allestita dal 30 marzo al 3 giugno, la mostra è un viaggio nella produzione più recente dell'artista, caratterizzata da grandi tele che rivisitano i generi tradizionali del paesaggio, della natura morta, del nudo e del ritratto.

ALESSANDRIA - A Palazzo Monferrato fino al 6 ottobre "Alessandria Preziosa. Un laboratorio internazionale al tramonto del Cinquecento", a cura di Fulvio Cervini: articolata in 7 sezioni, e realizzata in collaborazione con gli Uffizi di Firenze, la mostra svela la civiltà creativa tra Cinque e primo Seicento della città e del suo territorio, focalizzandosi in particolare sulle arti suntuarie, a ridosso dell'avvento del Manierismo internazionale negli anni della Controriforma cattolica.
ansa.it

Raffaello, Tiziano e Rubens, 50 dipinti a Palazzo Barberini. Dal 29 marzo al 30 giugno

 

A Roma, in occasione dei lavori di rinnovamento della Pinacoteca della Galleria Borghese, 50 dipinti verranno trasferiti al piano nobile di Palazzo Barberini per permettere al pubblico di continuare a fruire del patrimonio conservato al primo piano della Galleria.

L'iniziativa offre un percorso espositivo straordinario dal titolo 'Raffaello, Tiziano, Rubens.

Capolavori dalla Galleria Borghese a Palazzo Barberini', con l'allestimento di capolavori assoluti, quali 'Ritratto d'uomo' di Antonello da Messina, 'Madonna col Bambino' di Giovanni Bellini, 'Madonna con Bambino, san Giovannino e angeli' di Sandro Botticelli, 'Ritratto di giovane donna con unicorno' di Raffaello, 'Susanna e i vecchioni' di Peter Paul Rubens, 'Amor Sacro Amor Profano' di Tiziano, 'Predica del Battista' di Paolo Veronese e molti altri ancora.
    Le collezioni delle due gallerie - Borghese e Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini - condividono una storia simile, legata a due figure cruciali della vita politica e culturale romana del '600, Maffeo Barberini e Scipione Borghese, in un'ideale vicinanza storica e culturale.
    "Nel solco tracciato da Scipione Borghese e Maffeo Barberini, che oggi avrebbero gioito per questa iniziativa - ha commentato Thomas Clement Salomon, direttore delle Gallerie Nazionali di Arte Antica - speriamo che il pubblico possa ammirare i capolavori borghesiani a Palazzo Barberini e celebrare questa mostra difficilmente ripetibile nei prossimi decenni". "Nello svolgimento di interventi importanti del Pnrr che cambieranno l'aspetto della Pinacoteca - ha spiegato Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese - con uno sforzo eccezionale la Galleria non chiuderà mai e durante i lavori rimarrà visitabile".
    Dopo il restauro delle facciate, i lavori alla Galleria Borghese comporteranno la sostituzione delle tappezzerie e l'ammodernamento degli infissi per un efficientamento energetico, l'ampliamento dell'accessibilità, l'aggiornamento dei depositi e il restauro di alcune grandi tele.
   

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La mostra. Rubens e Genova: così nacque il barocco

 L’artista fiammingo era di casa nella città legandosi alle famiglie più potenti. Qui mette a punto la sua pittura rivoluzionaria che cambia le sorti dell’arte italiana

Nel 1622 ad Anversa, dove ormai era tornato a risiedere da tempo, Pieter Paul Rubens dava alle stampe un volume in folio dedicato ai Palazzi di Genova. È un omaggio alla città che aveva costituito per lui quasi una seconda patria durante la sua giovanile, rivoluzionaria permanenza in Italia (16001608). Il quarto centenario della pubblicazione è lo spunto per una mostra (fino al 22 gennaio), a cura di Nils Büttner e Anna Orlando, che racconta proprio il rapporto tra Rubens e Genova, tappa di un percorso che – ad esempio con “Superbarocco” a Roma – sta rifocalizzando la centralità del contributo genovese, spesso lasciato fuori mappa, a un’intera epopea estetica. Nelle sue molte visite a Genova, vi giunge la prima volta da Mantova dove è al servizio di Vincenzo I Gonzaga, il quale è legato mani e piedi ai banchieri della Superba, Rubens libera tutte le sue potenzialità. Il sillogismo non è esplicito ma possiamo ricostruirlo con facilità. Se Rubens è “invenzione” (anche) genovese allora lo è pure il barocco. Non è un azzardo. Le nostre storie dell’arte preferiscono una genealogia italica, ma è difficile capire Bernini come il prodotto della faticosa transizione del tardomanierismo romano. Se le date non sono un’opinione (le sue pale sono collocate sugli altari di Genova nel 1605 e di Roma nel 1602 e nel 1608, per intenderci a Caravaggio vivente mentre Gian Lorenzo è un bambino) è il fiammingo Rubens, e con largo anticipo, il padre del barocco italiano. Non a caso la mostra, che ha un punto di riferimento nel metodo di Francis Haskell, il primo a mettere al centro il rapporto tra arte e società e il ruolo della committenza, si dirama nella città, a partire dalla chiesa del Gesù – a due passi da palazzo Ducale, sede dell’esposizione – dove si trovano due capolavori rubensiani. D’altronde Rubens dovette trovare a Genova un clima familiare rispetto alla sua Anversa. Qui la dimensione mercantile e finanziaria restava il nerbo della città. Nonostante la trasformazione in aristocrazia e le pulsioni egemoniche interne, la sua classe dirigente non aveva generato una signoria, conservando invece il regime oligarchico della Repubblica, governato da un complesso equilibrio di poteri. Rubens è un acuto osservatore e nei Palazzi rileva che lo spazio urbano, specchio della struttura politica e sociale, definisce un unicum nella penisola – anche rispetto a Venezia (per altro all’epoca ormai ini contrazione, come anche la stessa Anversa, mentre Genova è all’apogeo), dove ad esempio manca lo scenario compatto di una Strada Nuova, manifesto del sistema gedenziate novese e della sua trasformazione in senso moderno in seguito alla riforma della Repubblica da parte di Andrea Doria nel 1528. L’artista fiammingo osserva come gli edifici rispecchino la classe dirigente, mentre Palazzo Pitti a Firenze, le fabbriche farnesiane di Roma e Caprarola e “infiniti altri per tutta l’Italia... tutti eccedono di grandezza di sito e spesa le facoltà di gentilhuomini privati”. Rubens coglie in sostanza la qualità della struttura politico- economica di Genova rispetto al resto agli staterelli italiani dove vige un “principe assoluto”, ed è difficile che non pensi alla sproporzione tra le ambizioni oltre ogni tempo massimo di Vincenzo I nella periferia padana e il sistema della Repubblica genovese.

Il percorso della mostra si preoccupa quindi di collocare la presenza e il lavoro di Rubens in un preciso contesto, tanto largo – la Superba in generale – quanto nel campo più stretto delle relazioni, perfino amicali, che l’artista stringe con i potentati cittadini. Per altro a Genova la presenza di artisti fiamminghi è consolidata. La stessa immagine urbana ci è stata consegnata da figure specializzate provenienti dalle Fiandre. Negli anni di Rubens opera in città Jan Roos, che si italianizza in Giovanni Rosa. Né si può dimenticare poi Antoon Van Dyck, l’allievo prediletto di Rubens, che a Genova sarà di stanza. Ma la loro presenza nel percorso espositivo è sempre strumentale al racconto. Ad esempio, i dipinti dei fratelli De Wael sono chiamati a documentare le pratiche caritative verso le masse di indigenti, certo con la funzione di mantenere la pace sociale (gli scontri in città avvengono tra vecchi e nuovi nobili, mentre non si registrano rivolte popolari) ma d’altra parte la prodigalità dell’aristocrazia genovese verso le classi più disagiate, esercitata attraverso lasciti a opere di carità e ospedali per i poveri, va ben oltre una politica meramente opportunistica. Un albero genealogico ricostruisce i legami tra le principali famiglie di Genova e le loro relazioni con Rubens, evi attraverso i ritratti e le committenze (anche extracittadine: l’intervento alla Vallicella, a Roma, ha origine nel cardinale genovese Giacomo Serra). Tra le casate più legate al pittore c’è quella dei Pallavicino (creditori e feudatari del Gonzaga), responsabile in tempi diversi delle due committenze per la chiesa del Gesù, o ancora i Doria e soprattutto Ambrogio Spinola, condottiero militare avvolto dal mito, del quale Rubens afferma di averlo “praticato familiarmente” e di averlo “trovato sempre uomo fermo e sodo et di buonissima fede” nonostante, rivelando un interessante pregiudizio, “contra la mia prima opinione (avendole sospetto per essere italiano e genovese)”. Le singole famiglie e i loro membri aiutano a spiegare le iconografie, come il San Sebastiano commissionato dallo Spinola, o il tema del sacrificio nel dittico di Ercole e Deianira voluto da Pietro Maria Gentile, per cinque anni prigioniero dei Savoia. Genova è città coltissima, dove gli aristocratici si dilettano a scrivere, recitare, dipingere. Giulio Pallavicino, di nascita cadetta, si dedica alle lettere e vanta una biblioteca di duemila volumi. L’artista genovese Bernardo Castello, con cui Rubens ha stretti, rapporti, pubblica a proprie spese tre edizioni illustrate della Gerusalemme Liberata dell’amico Torquato Tasso, di grande successo. In questo clima, infine, Rubens sviluppa la sua rivoluzione del ritratto, svincolandolo dalle formule irrigidite diffuse da Madrid fino a Praga per improntarlo a un carattere vivo, scattante, singolare. L’innovazione non nasce dal nulla. Rubens ha per modelli Tiziano e il genovese Luca Cambiaso. E poi Tintoretto (l’altro vero inventore del barocco prima del barocco) ma anche i ritratti di Sofonisba Anguissola, cremonese sposa di un nobile genovese. E ancora Guilliam Van Deynen, suo coetaneo di Anversa che arriva a Genova nel 1602, e Frans Pourbus il Giovane, ritrattista di corte a Mantova. Ma è Rubens a condensare, nel giro di soli tre anni, tra il 1604-1607, tutto in una nuova maniera, imprimendo il suo sigillo all’intero genere per secoli.