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Sguardi. È estate, mandiamo la fede «in vacanza»


Al di là dei soliti messaggi ispirati ai buoni sentimenti, il tempo di riposo può essere occasione per riscoprire il dono degli altri, perché la bellezza non si trova soltanto nella natura e nell'arte

Arriva l’estate. E, immancabile, porta con sé il messaggio del “don”, del parroco, del direttore spirituale: ricordati che la fede non va in vacanza. E se invece ci andasse? Nel senso che il periodo di riposo serve anche a staccare da abitudini incrostate, da atteggiamenti spirituali stantii, da pesantezze non solo fisiche. Resettare, o meglio aprire le finestre dell’anima per fare entrare aria fresca può essere molto utile. Ben vengano allora, per chi ne ha la possibilità, la spiaggia, la gita in montagna, o anche solo lo stop cittadino, magari in compagnia, sorseggiando qualcosa di buono. Attenzione, però a non dimenticare chi siamo. Qualche anno fa, in un vero e proprio decalogo delle vacanze, i vescovi francesi avevano messo in guardia: spesso in estate «siamo meno cristiani, a volte non lo siamo affatto». Per esempio, si va meno a Messa, si dimentica la dimensione della comunità, si possono assumere atteggiamenti discriminatori e arroganti. Non a caso, molti rapporti proprio in vacanza si rivelano più difficili, perché lontani dalle incombenze, dai doveri quotidiani ci mostriamo per quel che siamo sul serio. L’estate allora, come tempo per andare dentro sé stessi, per guardarsi con gli occhi del cuore, per scoprire che ci sono spigoli nel nostro carattere da smussare. In questo ci aiuta il rapporto con gli altri. In un antico Angelus, il 25 luglio 1965 Paolo VI suggeriva: «date pure all'incontro con le altre persone qualche momento di buona conversazione, specialmente con quelle domestiche: le famiglie si ritrovano forse separate durante l'anno dagli impegni che ciascuno deve osservare con orari così stringenti. Concedetevi momenti di pace domestica e poi anche gli incontri con gli amici, e gli incontri con le poche persone, con i gruppi affini ai quali siete vincolati. Date davvero questa distensione della buona amicizia».

L’estate come tempo per rinsaldare buone relazioni è un invito suggestivo e importante. Da vivere e approfondire, magari alla luce di qualche bella pagina di riflessione o di scrittura, anche solo di romanzo. Il che può aiutarci anche a guardarci meglio intorno. In un suo augurio estivo, datato 24 giugno 2020, papa Francesco auspicava che questo periodo potesse e possa «essere tempo di serenità e una bella occasione per contemplare Dio nel capolavoro del Suo creato». Guardare il bello in cui siamo immersi è infatti la più suadente e per certi versi facile, scuola di fede. E di preghiera, nel senso che lo stupore, la meraviglia facilitano il ringraziamento. Ma il bello non si trova soltanto nella natura o nell’arte. Ma anche negli altri. Vedere il buono nelle persone con cui veniamo a contatto: ecco il compito delle vacanze. Un impegno che può persino spingersi a rovesciare lo stile del nostro riposo, magari sollecitandoci a vivere la dimensione del servizio là dove di solito ci piace che siano gli altri a soddisfare le nostre esigenze.
Ma forse non è neanche quello il punto: a fare la differenza è l’atteggiamento di fondo che anima i giorni di relax. Se non ci consideriamo superiori a nessuno, se non siamo solo impegnati a guardarci allo specchio, persino mettersi a disposizione anziché pretendere che siano agli altri a farlo con noi, può essere un’occasione di festa. «Il cristiano si rallegra di tutto - scrivevano i vescovi francesi – perché la sua gioia è innanzitutto in Dio». Vale anche, anzi soprattutto, per le vacanze. Il cui specchio, per parafrasare madre Teresa di Calcutta, è il sorriso, «che dà riposo alla stanchezza, che nello scoramento rinnova il coraggio». Buona estate dello spirito allora, con la speranza di tornare dai giorni di riposo con il cuore un po’ più felice. Consapevoli che se la fede va in vacanza, è per rafforzare i muscoli dell’anima, per pulire lo sguardo, per ritrovare nel vocabolario del cuore la parola “grazie”. Grazie per la vita, per la bellezza che circonda, per il dono degli altri.

avvenire.it

Il progetto a Lucca. Arte e fede, il "tesoro" dei martiri del Giappone


Interpretare la cultura cristiana in Giappone è un percorso accidentato: ogni ragionamento analitico di stampo cartesiano è destinato a cercare invano spiegazioni razionali per situazioni che trovano invece radici profonde nell’invisibile. Entrare in dialogo con la cultura cristiana nel Sol Levante significa confrontarsi con una realtà complessa, in cui non si trova un soggetto che funga da centro dominante, ma convivono una pluralità di situazioni, con sensazioni, emozioni e percezioni che cambiano in relazione al modo in cui ciascun individuo percepisce in un dato momento, chi si trova dinanzi e il luogo in cui si colloca. Tutto ciò che a noi occidentali appare come una condizione statica, costituisce invece un processo dinamico, proprio della tradizione culturale giapponese, radicato nello strettissimo rapporto con la natura e la comunità. La comprensione della cultura cristiana in Giappone presenta pertanto difficoltà interpretative; del resto con questo stesso problema si sono confrontati i numerosi missionari occidentali che a partire dalla metà del XVI secolo sono giunti nel grande arcipelago “dove sorge il sole”. Il geografo tedesco Ferdinand von Richthofen (1833-1905) nell’opera Tagebucher aus China (1877), descrive come il primo incontro tra Oriente e Occidente avvenne lungo la Via della Seta, rete di strade che si stendevano dai paesi dell’area Mediterranea a tutto il continente asiatico, deviando anche nel sud dell’India e raggiungendo talvolta il Giappone. Su queste rotte alcuni Italiani compirono imprese epiche, come quella di fra Giovanni da Pian del Carpine, francescano umbro, che nell’aprile 1245, su incarico di papa Innocenzo IV, iniziò il suo itinerario in Oriente per convertire i mongoli; come il viaggio dei commercianti veneziani Matteo e Niccolò Polo e del figlio di quest’ultimo, Marco; come le eroiche avventure del gesuita abruzzese Alessandro Valignano, che arrivò in Giappone nel 1579, e del domenicano Angelo di Bernardino Orsucci, nato a Lucca l’8 maggio 1573 e morto martire a Nagasaki nel 1622. Questi primi incontri hanno creato i presupposti per instaurare una prima importante “rete di scambi”; i rapporti da essi inaugurati hanno fatto sì che la Via della Seta sia ancora rimasta come sinonimo storico dell’incontro tra Occidente e Oriente.
Già alla fine del XVI secolo diversi missionari italiani avevano intrapreso spedizioni oltreoceano; tra questi anche l’Orsucci: dopo lunghe permanenze tra Messico e Filippine, nell’agosto del 1618 era giunto a Nagasaki per soccorrere le comunità locali, sottoposte a feroce persecuzione. L’editto emanato da Toyotomi Hideyoshi il 24 luglio 1587 aveva anche bandito i missionari cristiani, onde evitare che diffondessero la loro “perniciosa dottrina”. Nonostante i numerosi tentativi di dialogo intrapresi dagli ordini religiosi presenti in Giappone, supportati anche dalle lettere che giungevano dalla Santa Sede, il martirio (attraverso crocifissioni o raffinate forme di tortura) fu l’unico esito del contrasto dei signori feudali giapponesi con le comunità cristiane. Ebbe da qui inizio il lungo cammino del “cristianesimo nascosto”, che in parte continua ancora oggi, nonostante le proibizioni siano state abolite nel 1873 dall’imperatore Meiji. Nel 2018 il valore immateriale di questa straordinaria eredità religiosa è stato riconosciuto Patrimonio dell’Umanità. Trascorsi 470 anni dalla morte di Francesco Saverio (1552-2022), 400 anni dalla sua canonizzazione e dal martirio di Angelo Orsucci (1622-2022), a pochi anni dal viaggio apostolico di sua santità Francesco in Giappone (novembre 2019), il progetto “Thesaurum Fidei. Missionari martiri e cristiani nascosti in Giappone: 300 anni di eroica fedeltà a Cristo” ripercorre il complesso e travagliato cammino del “cantiere missionario” nel Sol Levante. Promosso dall’arcidiocesi di Lucca all’indomani del viaggio diocesano nella prefettura di Nagasaki (settembre 2022), intende ridare voce a quanti hanno donato la propria vita per la fede e la diffusione del Vangelo in Giappone, attraverso un convegno storico e una mostra, visitabile in questo mese di maggio. “Thesaurum fidei” darà modo di approfondire gli studi e di far conoscere al grande pubblico l’opera religiosa e diplomatica svolta dai missionari che, pagando anche con la vita, hanno consentito di tessere un filo che, più forte che mai, continua ad unire il mondo intero. Sarà presentata anche la straordinaria esperienza evangelica dei kakure kirishitan (cristiani nascosti), durata 250 anni (sette generazioni) e capace di tramandare la fede cattolica e la memoria dei màrtiri e dei luoghi degli imprigionamenti e delle uccisioni. Tutto ciò aiuterà a riflettere sul valore e sul significato che il cristianesimo ha avuto ed ha oggi nel Sol Levante, e sulle prospettive dell’azione evangelizzatrice che ancora continua, attraverso tanti missionari laici e religiosi, impegnati a diffondere la parola di Cristo.
avvenire.it

- Segnalazione web a cura di https://viagginews.blogspot.com

Fede e turismo. Lourdes «paga» l'effetto pandemia. Dimezzato il flusso dei pellegrini

 Complice la crisi internazionale la città di Bernadette stenta a riprendersi Calano le visite organizzate, mentre aumentano quelle “mordi e fuggi”. Tanti alberghi hanno chiuso

Lourdes «paga» l'effetto pandemia. Dimezzato il flusso dei pellegrini

L’Ambassedeurs è l’ultimo grande hotel alla fine di Boulevard de la grotte, prima del ponticello che porta alla spianata del santuario, però è malinconicamente chiuso da due anni, come almeno altri 50 alberghi su un totale di 140 di questa che è la seconda mèta turistica di tutta la Francia. E proprio salendo lungo Boulevard de la grotte, fino al centro della cittadina, è tutto un susseguirsi di saracinesche tirate giù di negozi, bar e ristoranti: La Providence, i magazzini St Charles, A la Protection de Marie, la Patisserie de boulevard, Pirenes souvenir… e l’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito. Solo la boutique Da Pasquale fa sapere che si è trasferita, ma lì vicino due barboni si sono appropriati degli scalini ormai privi di turisti dell’hotel D’Orleans, mentre i locali appresso espongono solo la scritta 'qui si parla italiano, tedesco e spagnolo' perché di pellegrini non ce ne sono.

La pandemia si è abbattuta su Lourdes e, complice la crisi economica internazionale, la città di Bernardette stenta a riprendersi. «Il flusso di pellegrini e visitatori è sceso del 50% rispetto al periodo pre pandemia», afferma con cognizione di causa Mathias Terrier, responsabile del Dipartimento di accoglienza del santuario, giornalista e a lungo già direttore del Polo di comunicazione di Lourdes, che poi snocciola per Avvenire gli ultimi dati ufficiali in suo possesso: «Il 15 agosto, giorno dell’Assunta, sono entrate nel santuario 76.200 persone, ma di queste solo 4.500 facenti parte di pellegrinaggi organizzati ».

E quest’ultimo è un dato che ha la sua importanza nel calderone della crisi, come Terrier spiega: «I pellegrinaggi organizzati, anche quelli dall’Italia come l’Opera Romana, l’Unitalsi o le singole diocesi, sono diminuiti di molto, mentre sono aumentati i pellegrini di un giorno, anche asiatici e africani. Ma questi stanno qui poche ore, mangiano un panino al volo, e non fanno muovere l’economia di ristoranti e hotel, mentre i pellegrini organizzati stanno qui almeno 4-5 giorni e spendono anche nei negozi di souvenir». Una crisi economica senza precedenti, che ovviamente non ha nulla a che fare con la fede e la spiritualità di quanti arrivano alla grotta delle apparizioni.

Ma è fin troppo evidente che tutto ruota attorno ai milioni di pellegrini in meno che ogni anno arrivano qui: se nel 2019 erano stati ben 3,5 milioni, nel 2020 sono scesi ad appena 800mila (con un perdita di fatturato per le varie attività pari a 300 milioni di euro), l’anno scorso si è risaliti a 1,6 milioni ma quest’anno le stime dicono che non ci si discosterà molto da questa cifra, come reso noto anche da David Torchala, direttore della comunicazione del santuario. E quindi di ripresa vera ed effettiva per ora neanche a parlarne, tanto che dalla municipalità di questa cittadina di 15mila abitanti fanno sapere che le imprese commerciali a rischio sono circa 500, con un crollo dell’80% del fatturato complessivo.

«E in tutto questo, io non riesco neppure più a trovare camerieri e cuochi, perché erano soprattutto italiani, spagnoli e portoghesi che con la pandemia sono andati via e non vogliono tornare in questo clima di incertezza», racconta un albergatore che ci tiene a mantenere l’anonimato per quello che aggiunge subito dopo: «Io e altri miei colleghi stiamo per forza abbassando lo standard dei servizi, cercando di risparmiare sul cibo e perfino su saponette e shampoo». Al santuario invece si guarda con fiducia al futuro, cercando di riorganizzarsi al meglio e lasciando le porte aperte alla speranza, anche con una importante iniziativa economica, che Mathias Terrier racconta così: «Noi abbiamo 220 dipendenti fissi e 40/60 stagionali.

Per forza di cose abbiamo fatto ricorso alla cassa integrazione, fino a gennaio 2023. Qui lo Stato la paga al 75% ma noi abbiamo deciso comunque di integrare il restante 25%, in modo che i dipendenti prendano comunque lo stipendio di prima, anche se non lavorano per alcuni giorni».

Avvenire