Botticelli e Lippi per la mostra di Natale del Comune Milano

 

La Madonna col bambino di Botticelli, quella di Filippo Lippi, l'Adorazione dei Magi di Beato Angelico e la scultura della Carità di Tino di Camaino che per duecento anni è stata all'ingresso del battistero del Duomo di Firenze sono i quattro capolavori che il Comune di Milano esporrà gratuitamente, come regalo di Natale, dal 2 dicembre al 15 gennaio a Palazzo Marino.
    Per la prima volta l'iniziativa, che è arrivata alla quattordicesima edizione, coinvolge anche i municipi.

Nella biblioteca rionale di ciascuno sarà infatti esposta dal 13 dicembre un'opera che proviene dalla Galleria di Arte Moderna o da istituti milanesi che hanno costruito le loro collezioni grazie a donazioni come il Pio Albergo Trivulzio, le stelline, la Fondazione Ca' Granda Politecnico o i Martinitt. "Abbiamo voluto portare l'arte - ha spiegato l'assessore alla Cultura Tommaso Sacchi - in tutta la città".
    'La Carità e la Bellezza' è il titolo della mostra promossa dal Comune in collaborazione con il Comune e la città metropolitana di Firenze, il contributo di Intesa Sanpaolo e il sostegno di Rinascente. Tutti e quattro i capolavori arrivano infatti da Firenze. La Madonna col bambino, realizzata da Botticelli nell'ultima parte della sua vita, viene infatti dal Museo Stibbert, la Madonna col bambino di Lippi, eseguita negli anni Sessanta del Quattrocento prima che si trasferisse a Spoleto per affrescare l'abside del Duomo, è normalmente conservata a Palazzo Medici Riccardi. Il tabernacolo dell'Adorazione dei Magi di Beato Angelico (che a Milano arriverà il 20 dicembre perché ora esposta in una mostra a San Giovanni Valdarno) proviene dal museo di San Marco, mentre è consevata al museo Bardini la scultura della Carità, rappresentata come una donna che allatta due bimbi al seno.
    I visitatori della mostra, curata da Domenico Piraina e Stefano Zuffi, entrando nella sala Alessi del Comune avranno l'impressione di trovarsi in una basilica a un gioco di luci e tessuti e a un allestimento ideato dagli architetti Franco Achilli e Luigi Ciuffreda completamente ecosostenibile. (ANSA).

La quinta edizione della Giornata delle Catacombe

In occasione del XVIII Centenario dalla morte di papa Callisto (218-222), la Giornata delle Catacombe, giunta quest’anno alla sua quinta edizione, ha avuto come tema “Callisto e l’invenzione delle catacombe”.

Il ricco calendario di eventi si è aperto proprio il 14 ottobre, anniversario della deposizione di San Callisto con la solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da S. Em. il Cardinale Giovanni Battista Re, insieme al Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, S. Em. il Cardinale Gianfranco Ravasi, presso l’Istituto Scolastico San Giovanni Battista, che insiste esattamente sopra l’antico cimitero di Calepodio, in cui fu sepolto Papa Callisto, al III miglio della via Aurelia. Dopo la celebrazione è stato possibile visitare la catacomba, che è stata interessata da lavori di restauro e risistemazione proprio in occasione di questa importante ricorrenza.

Il 15 ottobre si è svolta la manifestazione nelle catacombe di Roma, il cui intento è stato quello di proporre una serie di percorsi attraverso le testimonianze archeologiche e artistiche sia per sottolineare la centralità della figura di papa Callisto, sia soprattutto per far ripercorrere ai visitatori le tappe che hanno portato alla nascita e allo sviluppo dei cimiteri sotterranei.

Molta risonanza è stata riservata anche alla figura dei fossori, coloro che si occupavano dello scavo e della gestione dei cimiteri, la cui immagine è stata scelta come emblema di questa quinta Giornata: con la dolabra, una sorta di “piccone”, davano forma al banco di tufo e con l’immancabile lucerna proiettavano la luce sulle storie e sui simboli lasciati dai primi cristiani per esprimere la fede in Cristo e la speranza nella vita eterna.

Oltre alle catacombe aperte al pubblico, è stato possibile visitare gratuitamente alcuni siti resi accessibili per l’occasione: il cimitero di Calepodio, la Regione dei Fornai presso Domitilla, le Cripte di Lucina nel comprensorio callistiano, le catacombe di Pretestato, le catacombe di San Lorenzo e quelle di Commodilla, nel quartiere Garbatella. Proprio presso queste ultime si è svolto il primo dei momenti musicali che hanno accompagnato i visitatori nei loro percorsi, con la partecipazione della Banda Vaticana.

Nel comprensorio callistiano si sono esibite la Banda Musicale del Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale e la Filarmonica Città di Chiusi, mentre a chiudere la giornata sono stati i suggestivi concerti del trio d’archi “Trasimeno String Trio” nella basilica di San Silvestro a Priscilla e del coro “Vocalia Consort” nella basilica dei Ss. Nereo ed Achilleo a Domitilla. Grande partecipazione per le attività dedicate ai più piccoli, che nei vari laboratori hanno potuto cimentarsi nella riproduzione dei graffiti e degli affreschi conservati nelle catacombe, ma anche nella creazione di una lucerna, simbolo di luce e di speranza.

Domenica 16 ottobre, infine, le aperture straordinarie hanno interessato le altre catacombe d’Italia, con visite speciali, passeggiate culturali, momenti musicali e attività didattiche dedicate ai bambini. Durante la mattinata, presso la catacomba Ad decimum di Grottaferrata, inoltre, si è svolta la cerimonia di riconsegna di un’epigrafe trafugata e ricollocata nel suo luogo di provenienza da parte del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale - Sezione Archeologia.

Ha coronato la giornata la celebrazione solenne della Divina Liturgia, presieduta da S. Em. il Cardinal Gianfranco Ravasi, presso l’Abbazia Greca di San Nilo a Grottaferrata.
https://turismo.chiesacattolica.it/

(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale)

Musica. Francesco Guccini, la locomotiva sbuffa ancora

 Dieci anni dopo l’addio, l’82enne cantautore pubblica a sorpresa "Canzoni da intorto", solo in formato fisico: «Ignoro cosa sia lo streaming, ho scelto canzoni di perdenti e un inno ucraino»


L'82enne cantautore Francesco Guccini: da oggi nei negozi il suo nuovo disco “Canzoni da intorto”

Disco d’amore e d’anarchia. Forse i due principali sentimenti che hanno spinto l’82enne (e mezzo, precisa lui) Francesco Guccini a ridiscendere in campo dieci anni dopo il triplice fischio finale de L’ultima Thule con cui aveva detto addio al mestiere di cantautore. “Non sono più capace a scrivere canzoni, non mi riesce e non ho più nemmeno toccato la chitarra e senza strumento non riesco a comporre” torna a precisare. Una pietra tombale che fa ripiombare su di sé presentando l’inimmaginabile sorpresa di fine anno, un suo nuovo disco, Canzoni da intorto. Undici tracce, più una fantasma, che attingono al patrimonio popolare e socio-politico di un’Italia contadina, proletaria e un poco anarchica. Canzoni della tradizione e d’autore, cantate anche in diversi dialetti. “Da modenese ho un dialetto affine al milanese – spiega riferendosi a brani come Ma mi, El me gatt e Sei minuti all’alba di Enzo Jannacci -, ma ho cantato anche in piemontese con Barun litrun e mi dicono che me la sono cavata anche con il rovigotto di Tera e aqua. Ho evitato le canzoni francesi perché non lo so pronunciare bene e quelle tedesche perché il tedesco lo ignoro”.

Una “folle operazione”, la definisce il Maestrone, che soltanto lui poteva permettersi nel 2022, oltretutto scegliendo il solo supporto fisico e rinunciando alla vendita attraverso le piattaforme digitali (“ignoro cosa sia lo streaming” ha detto Guccini suscitando compiaciuta ilarità in conferenza stampa). A sostenerlo il produttore Fabio Ilacqua, che ha curato tutti gli arrangiamenti, e l’etichetta Bmg con l’idea che questo particolare disco vada ascoltato dall’inizio alla fine, “ma anche con la convinzione che la qualità non si possa misurare in visualizzazioni”, spiega il managing director Dino Steward la scelta di evitare la distribuzione sulle piattaforme, “per ragioni artistiche e commerciali”.

Un progetto nato tanti anni fa, svela Guccini, con l’idea “di fare un disco di cover ma il mio produttore e amico Renzo Fantini era dubbioso. Comunque ai tempi avrei scelto altre canzoni, per esempio Come è profondo il mare di Dalla o Luci a San Siro di Vecchioni”. Ora invece ci sono le canzoni “che ho cantato con gli amici e le amiche in tantissime serate a Bologna passate a giocare a carte, dalla briscola al tressette al tarocco, senza mai giocarsi neanche un caffè”. E l’intorto del titolo? L’idea è stata della compagna Raffaella, venuta fuori durante un pranzo di lavoro con i discografici e subito piaciuta. “L’intorto nasce dal fatto che sono canzoni che nessuno conosceva, canzoni marginali che fai bella figura a spiegare, per esempio, a una ragazza. Questo è l’intorto, far vedere che sei un fighetto”.

Ad aprire il disco una ritmata versione quasi da balera de I morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei, scritta per ricordare i cinque uccisi dalla polizia durante una manifestazione sindacale il 7 luglio 1960. Poi brani anarchici come Addio a Lugano e Nel fosco fin del secolo quando “dal sangue spunterà la nuova istoria de l’Anarchia” e canzoni meneghine come la macabra e surreale El me gatt di Ivan Della Mea, Ma mi di Fiorenzo Carpi e Giorgio Strehler (cavallo di battaglia di Ornella Vanoni) e Sei minuti all’alba. E ancora Tera e aqua e il traditional inglese Green Sleeves che, racconta Guccini nel booklet, mezzo secolo fa era stata adottata come sigla di un programma della domenica mattina del primo canale nazionale, A come agricoltura, e lui ne era stato affascinato al pari della storia che ne attribuiva la paternità a Enrico VIII, dedicata alla moglie Anna Bolena che poi fece decapitare per averlo tradito.

Sfoggiando uno spesso maglione rosso, Guccini non può certo sottrarsi, davanti alla platea di giornalisti invitati per la presentazione alla milanese Bocciofila Martesana, alla sottolineatura di come questo anacronistico disco, commercialmente quasi improponibile, sbocci in un momento storico in cui al governo siede una parte politica che sembra l’ideale bersaglio di molte delle dodici canzoni presenti. “Per quanto riguarda la congerie politica attuale quando abbiamo fatto il disco non si sapeva, ma si intuiva – sottolinea - e mi fa piacere che alla fine le canzoni che ho scelto siano di un certo tipo. In questo disco ci sono tutte canzoni di perdenti, di chi al potere si oppone e lo combatte. C’è ancora quel mio spirito di ragazzo quando in classe ci si divideva tra chi teneva per i greci e chi per i troiani. Io tifo ancora oggi per i troiani”.

Tra perdenti e aspiranti vincenti, riferendosi a un altro brano di Carpi e Strehler, Quella cosa in Lombardia, Guccini risponde a una domanda sulle prossime elezioni regionali in Lombardia e dice: “Fa bene il Pd, o quello che ne resta, a non appoggiare” Letizia Moratti, mentre sul nuovo governo e su Fratelli d’Italia, che nel simbolo conserva la fiamma, sbotta: “Non mi piace che ci sia la fiamma, quella che ardeva a arde ancora sulla tomba di Mussolini. Ma pare che gli italiani siano contenti. Staremo a vedere. Come diceva mia nonna, ci vuole pazienza, e tanta”. Nel mirino dell’ex “simpatizzante anarchico" Guccini ("ma essere anarchici oggi sarebbe un po’ come arrampicarsi sugli specchi”), autore de La locomotiva simbolo di una sbuffante anarchia pronta allo scontro frontale con il potere costituito, ci sono ancora e sempre tutti i fascismi e gli stalinismi anche se, racconta, in virtù della sua onnivora curiosità e passione, un tempo ha cantato anche lui canzoni fasciste.

“La mia conoscenza di canti e canzoni spazia da destra a manca - spiega il Maestrone -, ma per una ragione personale preferisco manca. Anche se, contrariamente a quanto si è sempre pensato della mia collocazione politica, non sono mai stato comunista, non ho mai sostenuto il Pci, a differenza per esempio di De Gregori. Semmai dico la mia parte politica non in maniera violenta o sbandierata”. Quindi una stoccata a Mogol con i suoi testi innocui e soprattutto a Maurizio Vandelli che, quando Guccini a metà anni Sessanta non era ancora iscritto alla Siae e le sue prime canzoni oltre che ai Nomadi le faceva eseguire all’Equipe 84, “non mi ha mai dato una lira”.

Erano i tempi della guerra del Vietnam e della guerra fredda, con l’incombente pericolo di una nuova atomica dopo quelle follemente lanciate vent’anni prima su Hiroshima e Nagasaki, quando Guccini scrisse Noi non ci saremo portata al successo dalla voce di Augusto Daolio. Ed è così che ora il re dei nostri cantautori ha deciso di chiudere il suo ultimo disco con un inno alla Ucraina che sotto le bombe russe sta vivendo dal 24 febbraio, con l’Europa e il mondo costretti a tenere il fiato sospeso con le minacce nucleari all’orizzonte. Fantasmi che aleggiano sull’umanità e speranze che echeggiano nella traccia fantasma che contiene Sluga Naroda, sigla della serie di Zelensky Servitore del popolo, che Guccini canta in ucraino concludendo con il saluto nazionale Slava Ukraini. Sperando che questo brano possa essere l’unico non perdente del suo ultimo disco.

da Avvenire

(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale)

San Casciano come Riace, dall'acqua emergono 24 bronzi di epoca etrusca e romana. Il più grande deposito di statue dell'Italia antica. Gli archeologi: 'Una scoperta che cambierà la storia'

 


Adagiato sul fondo della grande vasca romana, il giovane efebo, bellissimo, sembra quasi dormire.

Accanto a lui c'è Igea, la dea della salute che fu figlia o moglie di Asclepio, un serpente arrotolato sul braccio.

Poco più in là, ancora in parte sommerso dall'acqua, si intravvede Apollo e poi ancora divinità, matrone, fanciulli, imperatori. Protetto per 2300 anni dal fango e dall'acqua bollente delle vasche sacre, è riemerso in questi giorni dagli scavi di San Casciano dei Bagni, in Toscana, un deposito votivo mai visto, con oltre 24 statue in bronzo di raffinatissima fattura, cinque delle quali alte quasi un metro, tutte integre e in perfetto stato di conservazione. "Una scoperta che riscriverà la storia e sulla quale sono già al lavoro oltre 60 esperti di tutto il mondo" annuncia in anteprima all'ANSA l'archeologo Jacopo Tabolli, il giovane docente dell'Università per Stranieri di Siena, che dal 2019 guida il progetto con la concessione del ministero della Cultura e il sostegno anche economico del piccolo comune. Un tesoro "assolutamente unico", sottolinea, che si accompagna ad una incredibile quantità di iscrizioni in etrusco e in latino e al quale si aggiungono migliaia di monete oltre ad una serie di altrettanto interessanti offerte vegetali. Insediato da una manciata di giorni, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha già visitato il laboratorio di restauro che ha appena accolto le statue e ora applaude: "Un ritrovamento eccezionale che ci conferma una volta di più che l'Italia è un paese fatto di tesori immensi e unici.La stratificazione di diverse civiltà è un unicum della cultura italiana", si appassiona il responsabile del Collegio Romano.

"La scoperta più importante dai Bronzi di Riace e certamente uno dei ritrovamenti di bronzi più significativi mai fatti nella storia del Mediterraneo antico", commenta accanto a lui il dg musei del MiC Massimo Osanna, che ha appena approvato l'acquisto del palazzo cinquecentesco che ospiterà nel borgo di San Casciano le meraviglie restituite dal Bagno Grande, un museo al quale si aggiungerà in futuro un vero e proprio parco archeologico. Luigi La Rocca, direttore generale per l'archeologia, condivide l'entusiasmo e sottolinea "l'importanza del metodo usato in questo scavo", che come è stato per le scoperte più recenti di Pompei, anche qui ha visto all'opera "specialisti di ogni disciplina, dagli architetti ai geologi, dagli archeobotanici agli esperti di epigrafia e numismatica".

Realizzate con tutta probabilità da artigiani locali, le 24 statue appena ritrovate - spiega Tabolli affiancato dal direttore dello scavo Emanuele Mariotti e da Ada Salvi della Soprintendenza- si possono datare tra il II secolo avanti Cristo e il I dopo. Il santuario, con le sue piscine ribollenti, le terrazze digradanti, le fontane, gli altari, esisteva almeno dal III secolo a.C. e rimase attivo fino al V d.C., racconta, quando in epoca cristiana venne chiuso ma non distrutto, le vasche sigillate con pesanti colonne di pietra, le divinità affidate con rispetto all'acqua. È anche per questo che, rimossa quella copertura, gli archeologi si sono trovati davanti un tesoro ancora intatto, di fatto “il più grande deposito di statue dell’Italia antica e comunque l’unico di cui abbiamo la possibilità di ricostruire interamente il contesto”, ribadisce Tabolli.

Disposte in parte sui rami di un enorme tronco d’albero fissato sul fondo della vasca, in molti casi appunto ricoperte di iscrizioni, ricoperte spesso di uova ("un mistero ancora tutto da studiare" sottolinea Tabolli) le statue come pure gli innumerevoli ex voto, arrivano dalle grandi famiglie del territorio e non solo, esponenti delle élites del mondo etrusco e poi romano, proprietari terrieri, signorotti locali, classi agiate di Roma e addirittura imperatori. Qui, a sorpresa, la lingua degli etruschi sembra sopravvivere molto più a lungo rispetto alle date canoniche della storia, così come le conoscenze etrusche in fatto di medicina sembrano essere riconosciute e accettate come tali anche in epoca romana.

Un grande santuario che sembra raccontarsi, insomma, come un luogo unico anche per gli antichi, una sorta di bolla di pace, se si pensa, come spiega Tabolli, "che anche in epoche storiche in cui fuori infuriano i più tremendi conflitti, all'interno di queste vasche e su questi altari i due mondi, quello etrusco e quello latino, sembrano convivere senza problemi". Chissà, ragiona l'archeologo, forse perché fin dalle origini il nume qui è sempre rimasta l'acqua con la sua divinazione, la sua forza, il suo potere: "Qui passa il tempo, cambia la lingua, cambiano persino i nomi delle divinità, ma il tipo di culto e l'intervento terapeutico rimangono gli stessi". Il cantiere adesso si chiude, riprenderà in primavera. L'inverno servirà per restaurare, studiare, capire. "Sarà un lavoro di squadra, com'è stato sempre finora", sorride orgoglioso Tabolli. Università, ministero, comune, specialisti di altri atenei del mondo. Tutti insieme, con l'occasione unica per scrivere un capitolo integralmente nuovo della storia antica.
ansa
(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale)