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Turismo congressuale, più eventi Italia




Aumentano gli eventi realizzati in Italia. Nel 2018 sono stati 421.503 tra congressi ed eventi (597.224 giornate), con un incremento rispettivamente del 5,8% e del 6,7% rispetto al 2017. La durata media, pari a 1,42 giorni, rimane stabile mentre sono in lieve flessione (-2,4%) i partecipanti, 28.386.815 e le presenze, 42.319.349. Sono i dati dell'Osservatorio Italiano dei Congressi e degli Eventi-Oice, promosso da Federcongressi&eventi e realizzato dall'Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. "Internazionalizzazione, pianificazione e qualità: sono gli elementi di cui l'Italia ha bisogno per uscire dall'impasse che rileviamo nel mercato associativo", commenta la presidente di Federcongressi&eventi Alessandra Albarelli.





La maggioranza dei congressi ed eventi (il 59,5%) ha una dimensione locale, cioè con partecipanti (relatori esclusi) provenienti dalla stessa regione della sede. Aumentano dal 7,9% all'8,1% gli eventi internazionali.




ansa

Tour: Valle d'Aosta si candida a tappa per 2021



Una tappa transfrontaliera del Tour de France che nel 2021, in occasione dei 150 anni dalla nascita di Maurce Garin, tocchi la Valle d'Aosta, il Valais svizzero e la Haute Tarantaise, in Francia. Questa la proposta emersa oggi nel corso di una riunione tenutasi nell'Hospice du Petit Saint Bernard tra i rappresentanti istituzionali delle tre regioni che hanno deciso di istituire un comitato organizzatore internazionale.
"Abbiamo aggiunto un tassello alla candidatura per il passaggio del Tour de France in Valle d'Aosta, - spiega l'assessore allo sport e turismo, Laurent Viérin - candidatura che aveva già visto la sinergia tra la nostra Regione e il Valais, a cui si aggiunge adesso la parte francese rappresentata dalla Haute Tarentaise". Secondo Viérin una tappa del Tour attorno al Monte Bianco "permetterà di valorizzare i territori di montagna, puntando sullo sport come veicolo di promozione turistico, culturale, economico e rurale".

Turismo Piemonte cresce ma sotto media




Il turismo piemontese è in crescita, ma meno della media nazionale. Anche il valore aggiunto del settore e la spesa media giornaliera sono al di sotto della media. I turisti valutano però positivamente la meta e la consigliano agli amici, tanto che il passaparola è la prima motivazione del viaggio. Emerge dai dati di Unioncamere Piemonte, illustrati oggi in un convegno a Torino aperto dal saluto del segretario generale Paolo Bertolino. Il turismo rappresenta in Piemonte il 2,3% del Pil, penultimo posto in Italia, contro il 3,2% nazionale. La spesa media giornaliera per il pernottamento è sui 47 euro a testa contro i 52 nazionali. La Regione è comunque al 7/o posto in Italia sia per numero di imprese, sia per addetti. Sono cresciuti sia alloggio e ristorazione (+3%), sia i restanti servizi (+5%) ma sotto la media. Per l'informazione, internet è al 20% contro il 40% italiano. Al 53% il consiglio degli amici, al 28% l'esperienza personale. E i social non arrivano al 2%, contro il 40% nazionale.
   

BENI CULTURALI-TURISMO/ BORGONZONI (MIBAC) E CENTINAIO (MIPAAFT): BENE INCONTRO CON DELEGAZIONE CINESE SHAANXI

BENI CULTURALI-TURISMO/ BORGONZONI (MIBAC) E CENTINAIO (MIPAAFT): BENE INCONTRO CON DELEGAZIONE CINESE SHAANXI

ROMA\ aise\ - “Un proficuo incontro che conferma e rilancia la volontà e la grande capacità di cooperazione culturale tra Italia e Cina. Anche con la importante provincia di Shaanxi le opportunità di sinergia e di cooperazione sono moltissime e con oggi abbiamo posto le basi per un comune lavoro futuro sul piano della cultura, del turismo e delle imprese creative. Lo faremo con l’avvio di un confronto su possibili nuovi gemellaggi tra i reciproci siti Unesco, perché i nostri rispettivi Paesi, con i loro 55 siti riconosciuti Patrimonio Mondiale, sono leader a livello mondiale di promozione e tutela territoriale, una leadership che va rafforzata costruendo nuove occasioni di scambio e cooperazione anche per le misure di valorizzazione e di salvaguardia, di cui l’Italia ha una grande esperienza ed avanzate tecnologie”. 
Lo ha dichiarato il Sottosegretario al MIBAC, Lucia Borgonzoni, in merito all’incontro avuto ieri al MIBAC con il Governatore della Provincia di Shaanxi, Liang Gui, sul tema della cooperazione culturale e turistica, incontro a cui ha preso parte anche il Consigliere diplomatico del Ministro Centinaio, Giovanni Umberto De Vito, e il Direttore della Fondazione Italia Cina, Vincenzo Petrone.
“Il MIBAC”, ha proseguito Borgonzoni, “da circa un anno sta sperimentando alcuni progetti innovativi per la mitigazione del rischio e la salvaguardia del patrimonio storico artistico italiano, come il sistema di monitoraggio satellitare mediante misurazione interferometriche e iperspettrali, attualmente in sperimentazione al parco archeologico del Colosseo, e con l’obiettivo di estenderlo agli altri siti Unesco nazionali e internazionali. Abbiamo davanti a noi grandi opportunità e la sfida è creare una piattaforma di dialogo permanente tra i settori della cultura, del turismo e delle industrie creative. Un dialogo che dobbiamo rendere quanto più intenso e vivo in vista del 2020, che sarà l’anno della promozione turistico e culturale tra Italia e Cina, e per il quale verrà lanciata una piattaforma web plurilingue che permetterà, attraverso il dialogo con i canali web e sociali cinesi, di promuovere le nostre realtà culturali e territoriali: siti, musei, teatri e film locations”. 
“La Cina e l’Italia”, ha dichiarato il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio, in merito alle proposte avanzate nel corso della riunione, “sono i capisaldi di partenza e di arrivo del percorso reale ed ideale della Via della Seta, un ponte tra culture dagli enormi potenziali di sviluppo anche dal punto di vista turistico. Potenzialità che vanno attuate anche con la creazione di infrastrutture materiali dedicate”. 
“Per questo”, ha spiegato Centinaio, “mi trova pienamente favorevole la proposta avanzata dal Governatore Gui di uno speciale treno passeggeri sulla linea ferroviaria Xi’an – Roma che tocchi stazioni con particolari allestimenti culturali. Un treno che sia il segno concreto di quanti punti di incontro e di scambio ci siano tra i territori e le culture dei nostri rispettivi Paesi”. (aise)

Il sociologo Abbruzzese: "Il Meeting di Rimini? Un luogo da cui ricominciare"

Il sociologo Abbruzzese: "Il Meeting di Rimini? Un luogo da cui ricominciare"

da buongiornorimini.it
Il Meeting di Rimini? «E' innanzitutto un ambiente di vita, un ambiente morale. Non solo una serie di conferenze alle quali si assiste. - afferma il sociologo Salvatore Abbruzzese, docente di Sociologia della Religione all’Università degli Studi di Trento - È una modalità di attenzione al nostro Paese, a ciò che accade nel mondo, e soprattutto alla persona. Mi riferisco non solo ai volontari che sono di più di quel che appare, non solo ai ragazzi ed alle ragazze che vediamo all'opera ma anche a chi non sta nel front line ma ugualmente si spende con gratuità per questo evento». Abbruzzese sarà il protagonista dell'incontro conclusivo del Meeting 2019, dedicato alla presentazione del suo libro sulla storia quarantennale della manifestazione, in uscita da Morcelliana.
Cosa intende per ambiente morale?
«Chi arriva da fuori non può non chiedersi da cosa nasca una certa modalità di rapporto fra le persone, non può non interrogarsi su come le persone che realizzano il Meeting vivano e interagiscano fra di loro. A mio giudizio siamo di fronte ad un'esperienza di sensibilità morale che nasce dalla prospettiva antropologica ed educativa di don Giussani; il nucleo argomentativo sta lì. Nessuno poteva immaginarsi che da una prospettiva di questo tipo potesse nascere un'esperienza così articolata, così potente e così capace di conquistare credibilità anche quando il mondo cambia, i finanziamenti si dimezzano ed il gossip politico perde di qualità; anche quando cambiano i referenti politici, anche quando cambiano i pontificati. È una dinamica impressionante che suscita interesse».
Lei come ha studiato il fenomeno Meeting?
«In primo luogo ho svolto in lavoro di analisi dei documenti: cosa è stato detto al Meeting, che tipo di interventi sono stati fatti, cosa il Meeting ha ricercato, chi ha invitato. Il secondo passaggio è stata l'osservazione diretta: sono stato invitato per quattro volte, altri anni sono andato per conto mio. Conosco bene l'esperienza di Comunione e Liberazione per averci dedicato libri e articoli. Dall'osservazione metodica e dalla lettura dei documenti, ho visto che negli anni il Meeting ha acquisito una legittimazione culturale, testimoniata anche dalla presenza, da un certo momento in poi, dei presidenti della Repubblica. È interessante allora capire come questa legittimazione si sia strutturata, cosa abbia prodotto in termini di cultura, di lettura dei fenomeni emergenti. Il Meeting si è imposto con l'autorevolezza dei contenuti, ma anche per lo stile che non è fatto di contraddittori, né di talk show ma di conferenze seguite con un'attenzione unica da platee di dimensioni impensabili altrove. Il Meeting è uno sguardo aperto sul mondo; una vera e propria finestra sulla realtà. Può sembrare un’affermazione sproporzionata ma non lo è se si pensa chi sia venuto in questi 40 anni e come la manifestazione stia affrontando adesso situazioni nuove come la condizione persecutoria dei cristiani in Medio Oriente, il dialogo interreligioso, l’ondata immigratoria; ma anche come stia costituendo una narrazione nuova della storia e dell'identità nazionale».
Lei ha sottolineato la legittimazione istituzionale. Eppure a volte è sembrato che la presenza dei politici abbia oscurato la vera natura del Meeting, non crede?
«Da sociologo osservo che il Meeting ha fatto una scommessa incredibile; ha scommesso laddove tutti gli altri si sarebbero tirati indietro. Sappiamo come in Italia la dimensione politica sia onnivora e sia in fibrillazione e tensione continua. È difficile parlare di temi che concernono i valori primi e le domande dell’esistenza quando si è in presenza di un politico; è difficile che quest’ultimo non assorba l'attenzione, riducendo tutto alle tematiche di conflittualità immediata, ai “distinguo” tra partiti o all’interno di componenti dello stesso partito. Mi ha sempre colpito la discrasia fra il Meeting vissuto all'interno e i resoconti dei giornali il giorno dopo che parlavano solo di quest’ultima dimensione, come se tutto il resto non avesse la minima importanza. La capacità del Meeting di resistere alla politica, riproponendo le domande essenziali resta allora eccezionale. Ho studiato le domande che le personalità di prima linea del Meeting, gli organizzatori, hanno posto in questi anni ai politici: è emersa una consonanza immediata con le tematiche fondamentali che stanno dentro l'esperienza educativa di Comunione e Liberazione. Queste tematiche sono state costantemente riproposte anche quando, con un politico, sarebbe stato più facile andare sui temi consueti del vocabolario dominante. Il Meeting manifesta un capacità di gestire una dimensione che altrove sarebbe assolutamente prevaricante e monopolizzatrice. Questa è la spia che il Meeting ha qualcosa di diverso. Si capisce che c'è dietro qualcosa di solido che riesce a reggere il confronto».
E cosa è questo qualcosa di solido?
«La sostanza è nel senso religioso di don Giussani, che è attenzione commossa alle esigenze umane dentro il reale. È l'uomo che si interroga sul senso della propria esistenza e che, a partire da questo, diventa appassionato a tutto il mondo che lo circonda, non perché questi valga di per sé ma perché contiene segnali che rinviano a qualcosa d’altro. Don Giussani ha lanciato nel mondo persone in eterna ricerca. Il famoso “non state mai tranquilli” cosa voleva dire? Siate sempre in ricerca! Ha generato un'umanità che dentro i suoi mille limiti umani porta dentro sé un desiderio di comprendere, un entusiasmo semplice, sincero e immediato per tutto ciò che c'è nel reale, purché sia autentico e tenga conto delle domande fondamentali dell’esistenza, non le eluda. Questa sensibilità la gente del Meeting l'ha attinta da don Giussani, e va in contrasto profondo con il disincanto che oggi regna nel mondo».
In questi 40 anni il Meeting è cresciuto o manifesta segni di logoramento?
«Questa è una domanda chiave. È chiaro che se si confronta il Meeting degli anni 1980, 1981, 1982 con quelli più recenti si riscontra un impatto diverso sul mondo. Ma ricordiamo che 1980 era l'anno di Solidarnoșc, si era dinanzi ad un mondo in ascesa, pochi anni più tardi sarebbe iniziato quel processo di revisione che avrebbe portato nel 1989 alla caduta del muro di Berlino. C'era un mondo intero in movimento, verso una nuova alba. Era un universo, in Italia come altrove, pieno di energia. Il mondo ora è profondamente cambiato: in questo contesto il Meeting opera in una dinamica ancora più chiaramente esistenziale. La dinamica che non può essere quella degli anni Ottanta perché non siamo più in quell'Europa. È un momento in cui interrogarsi e il Meeting, che è una realtà viva, si interroga, registrando perfettamente un tale momento di rielaborazione. E lo si coglie guardando le dichiarazioni ufficiali che vengono rilasciate; ci sono i documenti che lo attestano. Anche gli stessi interventi delle massime cariche dello Stato cominciano a guardare al Meeting come a un luogo di energia morale. Se è possibile ancora un nuovo inizio, questo può cominciare solo da lì e non da altre parti. Il Meeting di Rimini è un luogo dove è in atto un costante tentativo di riavvio della volontà di ricostruzione morale di un intero paese».
Lei quindi non condivide l'opinione di chi parla di un ripiegamento spiritualista?
«Il rischio dello spiritualismo lo vedo piuttosto in altri movimenti. Le domande esistenziali sono carnali, bruciano sulla pelle. Se si vivesse in una dimensione puramente spirituale, cosa si inviterebbero a fare politici, sindacalisti, imprenditori? Conformemente al pensiero di Péguy il cristianesimo è un'esperienza carnale di vita concreta. E in ogni caso, a cosa mi servirebbe la risoluzione dei problemi concreti ed immediati se fossero separati da una consapevolezza del dove andare e del cosa costruire. E come sapere dove andare e cosa costruire se ignoro la mia origine, non solo storica ma anche antropologica, fino ad arrivare alla domanda essenziale che è quella che si chiede chi sia mio padre, di quale storia e di quale promessa io sia l’erede».

Sabato 24 agosto il Meeting di Rimini ricorderà i cinquant’anni del primo allunaggio con Nespoli, Battiston e Prina

La Terra fa da sfondo a “Envisat”, il più grande satellite europeo

da Avvenire

Parla Roberto Battiston, che sarà ospite al Rimini: grazie ai satelliti possiamo controllare fenomeni che accadono in zone remote del pianeta, come la deforestazione o la formazione di campi profughi

Sabato 24 agosto il Meeting di Rimini ricorderà i cinquant’anni del primo allunaggio con tre protagonisti quali Roberto Battiston, docente di Fisica all’Università di Trento ed ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana, l’astronauta Paolo Nespoli e l’ingegnere aerospaziale Mauro Prina. Tematiche scientifiche saranno affrontate anche con la mostra “What’s in our brain? La meraviglia del cervello umano”, a cura dell’Associazione Euresis & Camplus, che offrirà un percorso alla scoperta delle meraviglie del nostro cervello e del suo funzionamento, secondo quanto la scienza ad oggi è riuscita a comprendere; “Vicino a chi soffre, insieme a chi cura. Storia dell’oncologia, storia di persone”, mostra proposta da Ior a cura di Fabrizio Miserocchi e Roberto Gabellini in occasione dei 40 anni dell’Istituto Oncologico Romagnolo; “L’uomo all’opera. La grandezza del costruire”, esposizione a cura di Riccardo Castellanza, Luigi Benatti, Francesca Giussani, Paolo Morlacchi, Martino Negri, Fabio Tradigo e Maddalena Sala.

Dopo cinquant’anni, dove sono le colonne di Ercole che l’umanità è chiamata ad oltrepassare, per migliorare sé stessa e il pianeta che popola? Quale «piccolo passo» occorre muovere, perché compia il «grande balzo»? La Nasa, pur guardando a Marte come meta a medio-lungo termine, lavora allo sviluppo di una base cislunare che lasci aperta ogni altra possibile destinazione. La Luna potrebbe diventare destinazione di colonie permanenti o, addirittura, di localizzazione di attività industriali, tese allo sfruttamento delle risorse locali, destinate poi a sostenere la logistica di una futura esplorazione del sistema solare. Al di là delle implicazioni politico-economiche, lo spazio è l’ambito in cui la scienza è alla ricerca del legame tra il microcosmo delle particelle elementari e il macrocosmo dell’universo attuale. Osservare la Terra dallo spazio, studiare i pianeti di questo o altri sistemi solari, può aiutare enormemente ad abitare meglio questo nostro mondo. Spiega Roberto Battiston, ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana e recentemente inserito nella “Hall of fame” destinata alle figure più autorevoli del settore spaziale: «Lo spazio è nella nostra quotidianità a tal punto che tendiamo a dimenticarlo. Ci garantisce una serie di servizi, e lo fa a standard di efficienza estremamente alti, che diamo scontati. Pensiamo al Gps: altro non è che una costellazione di ventiquattro satelliti, che fornisce senza sosta un segnale che ci posiziona e guida attraverso i telefoni cellulari. Dunque, lo spazio è nelle nostre tasche. La questione è piuttosto un’altra.

I costi dell’accesso allo spazio e del relativo sfruttamento? 
Esatto. Oggi i primi stadi dei lanciatori vengono sempre più spesso recuperati e riutilizzati con un risparmio economico che può giungere al 40%; solo fino a qualche anno fa, i lanciatori andavano invariabilmente perduti, dopo la messa in orbita dei satelliti. Questo comporta una importante riduzione di costi che certamente apre a nuovi tipi di utenze.

Durante la sua presidenza all’Asi, lei si è molto speso allo sviluppo dei minisatelliti, destinati ad imprimere una svolta epocale nel modo di guardare alle stelle. Perché popolare l’orbita terrestre di oggetti con massa inferiore a 150 chilogrammi è preferibile a pochi grandi satelliti estremamente performanti? 
Analogamente all’elettronica, si pensi ai pc o ai cellulari, teniamo tra le mani oggetti sempre più piccoli e sofisticati, e, paradossalmente, anche più economici. Allo stesso modo, una costellazione di piccoli satelliti permette un monitoraggio della Terra continuo e preciso; oggi tutta la superficie della terra viene fotografata una volta al giorno. Una simile frequenza si traduce in informazioni accuratissime, non disponibili solo cinque anni fa.

Lei ha usato l’espressione «spazio sartoriale »: si riferisce all’impiego di minisatelliti tarati su esigenze e scopi della committenza? 
Satelliti su misura sono oggi alla portata di imprese e istituzioni di dimensioni medio-piccole. Il costo di una costellazione di cento nanosatelliti in grado di garantire la mappatura quotidiana terrestre, si aggira intorno a dieci-quindici milioni di euro, messa in orbita inclusa, con un ritorno economico che supera – a breve termine – l’investimento. L’aumento di nanosatelliti introduce problematiche con cui dobbiamo imparare a confrontarci. Ad esempio, evitare di disperdere irresponsabilmente spazzatura che ricordi il nostro passaggio, educandoci al concetto di “ecologia spaziale”. Lo spazio è utile fino a che è sufficientemente vuoto da non comportare pericoli per i satelliti che lo popolano.

Proviamo ad elencare solo alcune applicazioni: monitoraggio di inquinamento ambientale, emissione e distribuzione di gas serra nell’ atmosfera, sicurezza delle frontiere, contrasto alla pirateria marina… 
Ad esempio, i satelliti possono facilmente identificare imbarcazioni non cooperative, ovvero che non emettono il corretto segnale radio identificativo; questo rappresenta uno strumento utilissimo di contrasto alla pirateria marina. I satelliti radar riescono a osservare anche di notte e attraverso le nuvole, condizioni spesso utilissime per interventi in emergenza, quando si tratta di portare soccorsi in zone colpite da calamità naturali. Grazie ai dati spaziali, relativi a direzione e velocità di venti e correnti, è possibile minimizzare il percorso di grandi bastimenti, riducendo i volumi di combustibile consumati.

Spostandoci in ambito agricolo: dallo spazio – a costi molto contenuti – si può valutare il rendimento dei campi, metro quadro per metro quadro, così da programmare irrigazione, concimazione e semina in modo ottimale. 
La produzione agricola e la filiera del cibo sono le principali industrie mondia-li, da cui dipende il futuro del pianeta e la relativa stabilità politica. L’osservazione sistematica del suolo dallo spazio permette di ottimizzare irrigazione e concimazione e ridurre la necessità di fertilizzanti. Decine di migliaia di agricoltori utilizzano già oggi questo tipo di informazioni con costi assolutamente irrisori rispetto al guadagno economico-ambientale. Essendo poi prevedibile il raccolto con mesi di anticipo, è possibile scegliere su quali colture “investire” in un determinato appezzamento. Lo strumento satellitare contribuisce, dunque, significativamente al migliore rendimento delle risorse, sempre più scarse con l’attuale crescita demografica. Strettamente collegato a questo tema è il monitoraggio del cambiamento climatico e delle misure di contenimento delle emissioni di gas serra. L’accordo sul clima di Parigi nel 2015 è stato fortemente influenzato dalla disponibilità di dati satellitari altamente performanti, che hanno permesso di sviluppare modelli climatici credibili e affidabili, convincendo le governance sull’ influenza delle attività umane sul cambiamento climatico. Nel 2017 è stata lanciata a Parigi un’iniziativa importante: il coordinamento delle agenzie spaziali di tutto il mondo per la realizzazione di un osservatorio sul clima, basato sui satelliti di osservazione della terra. Infatti, ben 26 delle 50 variabili essenziali per il clima (Ecv) possono essere osservate in modo affidabile solo dallo spazio.

La mappatura terrestre quotidiana mostra i cambiamenti che si stanno verificando in qualsiasi punto del globo: ad esempio, come varia l’occupazione di un parcheggio, il livello delle riserve petrolifere o anche lo stato di costruzione di un arsenale o di un bunker. 
Si parla proprio di “rivelazione dei cambiamenti”: i computer sono programmati per mostrarci solo i cambiamenti delle immagini da un giorno all’altro. Questo ci permette di raggiungere risultati altrimenti inimmaginabili. In particolare, fenomeni che accadono in zone remote del pianeta, come la deforestazione in Amazzonia, la realizzazione delle infrastrutture militari sugli atolli del Mar della Cina, la formazione di campi profughi nel centro dell’Africa, lo scioglimento dei ghiacci ai poli o sulle montagne. Avere accesso allo stato dell’intero pianeta e assistere in tempo reale alle evoluzioni naturali e artificiali, giorno dopo giorno, è uno strumento formidabile per contrastare crisi di carattere internazionale: esserne coscienti è fondamentale perché tutti possano accedere a tali informazioni, e non solo limitati gruppi di interesse.

Da qui il pensiero corre ai satelliti spia, alla Guerra Fredda... 
Alla fine degli anni ’60 le due superpotenze – Usa e Urss – firmarono assieme all’Inghilterra l’“Outer Space Treaty”, poi adottato da un centinaio di altri Paesi. Il trattato non vieta attività militare nello spazio, ma vieta la presenza di armi di distruzione di massa e limita, l’impiego dei corpi celesti a scopi pacifici. Questo trattato, ad oggi, è stato rispettato. Ora si sta tornando a ipotizzare la militarizzazione dello spazio: significherebbe innescare un’excalation, di cui si conosce l’inizio, ma non la fine. L’uso dello spazio deve puntare alla creazione di nuovi lavori, alla formulazione di prodotti e servizi, alla gestione delle emergenze, al controllo dei cambiamenti climatici. È questo il modo migliore per Fare spazio [il titolo del suo ultimo libro edito da La nave di Teseo, ndr ] nei prossimi cinquant’anni.