Illegio, questo piccolo borgo di montagna, non ha più di trecento anime ed i bambini si contano sulle dita di due mani. È l’icona della denatalità nelle terre alte. Ma anche della voglia di reagire. Lo testimonia una volta di più il tema della mostra internazionale d’arte di quest’anno, I bambini e il cielo, che viene inaugurata oggi dal cardinale Antonio Canizares Llovera, prefetto della Congregazione per il culto divino, e che rimarrà aperta fino al 30 settembre. Mostra che sarà visitata, in maggio, anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, accompagnato da centinaia di bambini della Carnia. «Se prendiamo i bambini sul serio, ci possiamo ancora salvare. Nella società e nella Chiesa» sospira mons. Angelo Zanello, arciprete di Tolmezzo e presidente del Comitato di San Floriano. In questa minuscola comunità, che non vuole essere desertificata, dalla prima mostra del 2000 sono passate più di 200 mila persone, provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa. «Così tante – spiega ancora Zanello – perché hanno potuto sperimentare un ritorno al principio dell’umanità da vivere, raggiungendo la mostra attraverso un ambiente, un paese, un contesto risanante, perché libero dalle nevrosi e dai frastuoni che ci assediano». Ben 80 i capolavori che si potranno ammirare: dal I secolo a.C. fino al Novecento, selezionati dalle sedi museali più prestigiose d’Europa, come i Musei Vaticani, gli Uffizi di Firenze, la Galleria Borghese di Roma, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, il Museo Thyssen Borne- misza di Madrid, il KunstHistorisches Museum di Vienna, e da collezioni private, tra l’Europa e New York.
La mostra dipana il suo racconto tra alcune iconografie familiari e altre rarissime, attraverso gioielli di altissima qualità come il San Cristoforo di Lucas Cranach il Vecchio, La preghiera di Abramo e Isacco di David Teniers il Giovane, La Natività dell’atelier di Hans Memling, la Madonna del Pollice di Giovanni Bellini, il grandioso Venere e Mercurio presentano Cupido a Giove del Veronese. Diversi gli inediti presenti in mostra, specialmente nelle sezioni dedicate alla scultura tra il Duecento e il Quattrocento italiano. «La Mostra è dedicata ai bambini che la Sacra Scrittura ricorda tra i protagonisti della storia della salvezza – spiega don Alessio Geretti, delegato episcopale per la Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Udine e curatore scientifico dell’esposizione –, indicando l’infanzia come la condizione spirituale di massima autenticità in cui l’uomo può trovarsi». Ed ecco le diverse sezioni della rassegna: dalla mitologia all’Antico Testamento, dall’infanzia di Gesù nel Nuovo Testamento fino all’iconografia di Gesù e San Giovanni Battista, quale modello sacro e profano per l’arte del Rinascimento italiano. Infine, un cenno sul passaggio dall’infanzia sacra di soggetto biblico alla sacralità dell’infanzia di soggetto sociale, dall’Ottocento in avanti, con i temi dei bambini sfruttati o della nostalgia di un’innocenza che abbiamo perduto. L’infanzia, che a Illegio diventa anche un criterio per leggere la storia dell’arte dell’Occidente, è «provocazione e simbolo», sottolinea don Geretti. Provocazione, perché «i bambini hanno un’ostinazione gradevole e impertinente a riguardo delle domande cruciali dell’esistenza umana»; un simbolo perché «ci vive dentro e accanto». L’infanzia, cioè, come «simbolo di una condizione pura dell’esistenza, del mattino dell’innocenza terrena e della meraviglia ». Ma con quale spirito visitare questa rassegna? Secondo la studiosa Sara Tarissi De Jacobis, sarebbe un errore cercare il ritratto del bambino nell’arte. «Quello che vi si trova è piuttosto un sistema complesso di relazioni, di cui fa parte anche il bambino, e che potremmo chiamare famiglia. La famiglia è un organismo sociale che ha cambia- to nei secoli le sue strutture interne e l’ha fatto per osmosi con le trasformazioni culturali e religiose esterne. L’educazione ha contribuito a disegnare i confini di questo organismo e la rappresentazione dei bambini è stata caricata di una forte valenza simbolica».
La Chiesa, infatti, ha compreso per prima il potere delle immagini e ha affidato loro il ruolo di spiegare e diffondere i dogmi cristiani. «Ma ogni buon educatore sa che per ottenere risultati migliori occorre coinvolgere emotivamente l’allievo, portare l’ostacolo alla sua altezza, e così nella pittura hanno fatto il loro ingresso la realtà e la natura: il racconto ha presto soppiantato l’icona. Così il simbolo si è incarnato in un personaggio vivo, reale almeno nella finzione artistica. Così è toccato anche all’immagine del bambino, che è diventato figlio nostro. Ricostruire di volta in volta la fitta rete di relazioni culturali e sociali in cui l’immagine del bambino si inserisce, all’interno di ogni singola opera d’arte, prima di tutto attraverso la sua forma, è compito di uno storico ». Apprezzare, dunque, l’effetto che questo processo ha impresso alla forma attraverso la mano dell’artista «è compito del critico». «All’osservatore moderno non resta che godere conclude Tarissi De Jacobis - , dal proprio personale punto di vista, del percorso che la collaborazione di queste scienze è in grado di ricostruire».
La Chiesa, infatti, ha compreso per prima il potere delle immagini e ha affidato loro il ruolo di spiegare e diffondere i dogmi cristiani. «Ma ogni buon educatore sa che per ottenere risultati migliori occorre coinvolgere emotivamente l’allievo, portare l’ostacolo alla sua altezza, e così nella pittura hanno fatto il loro ingresso la realtà e la natura: il racconto ha presto soppiantato l’icona. Così il simbolo si è incarnato in un personaggio vivo, reale almeno nella finzione artistica. Così è toccato anche all’immagine del bambino, che è diventato figlio nostro. Ricostruire di volta in volta la fitta rete di relazioni culturali e sociali in cui l’immagine del bambino si inserisce, all’interno di ogni singola opera d’arte, prima di tutto attraverso la sua forma, è compito di uno storico ». Apprezzare, dunque, l’effetto che questo processo ha impresso alla forma attraverso la mano dell’artista «è compito del critico». «All’osservatore moderno non resta che godere conclude Tarissi De Jacobis - , dal proprio personale punto di vista, del percorso che la collaborazione di queste scienze è in grado di ricostruire».
Francesco Dal Mas - avvenire.it