FELTRINELLI 1+1  IBS.IT

Street art fest dal 9 al 12 giugno

Street art fest è una maratona di quattro giorni che celebra le diverse espressioni della cultura urbana, in un unico grande evento dal 9 al 12 giugno 2016 all’Assago Summer Arena. 
Vi partecipano alcuni street artist internazionali: Chazme (Polonia), Etnik (Italia), Sepe (Polonia), Nevercrew (Svizzera), Pixel Pancho (Italia), Roa (Belgio), Vhils (Portogallo), Zedz (Olanda). 
Protagonista la street art, con artisti di fama internazionale coinvolti con la collaborazione della galleria Square 23 di Torino, straordinarie opere realizzate site-specific, installazioni, performance ed eventi tematici, ma ampio spazio avranno anche altri linguaggi della cultura di strada, quali i graffiti e l’hip hop, con una serie di attività collaterali - in collaborazione con Stradedarts - che offriranno la possibilità di vedere dal vivo dimostrazioni di breakdance, performance di specialisti di parkour, esibizioni di skate e bmx e di dipingere con le bombolette su spazi murali liberi nell’area Graffiti Writing.

Inoltre, l’area ospiterà l’esposizione Post Graffiti and Street Art Expo, la mostra del fotografo Cosimo Griso Alfarano, il workshop di calligrafia e i laboratori di serigrafia, le proiezioni di film, documentari, e interviste legate al mondo della street art, la libreria Verso, con libri pertinenti, e i punti vendita di prodotti a tema come l’Urban Market, il mercatino vintage per collezionisti e curiosi. 

Tutte le opere realizzate dagli street artist resteranno all'Assago Summer Arena fino alla fine di luglio, come interventi di arredo urbano che valorizzeranno lo scenario della manifestazione musicale Street music art 2016, di cui lo Street art fest costituisce l’evento inaugurale. 
Avvenire

Kazakistan balla la tarantella


Quando arriviamo ad Aktau, città che si affaccia sul Mar Caspio tristemente nota per essere stata durante, il periodo della Guerra Fredda, un’area dove i geologi sovietici avevano realizzato un grande giacimento d’uranio finalizzato alla produzione di armi atomiche, è notte piena. Poche ore di riposo e la luce già inonda la stanza dell’albergo. La mattina abbiamo l’incontro con i musicisti dell’Akhzarma, l’orchestra popolare della regione del Mangystau. È con loro che dividiamo il concerto dell’indomani. Vogliamo suonare insieme la nostra e la loro musica, “mescolare” tarantelle a melodie e ritmi di danza asiatici. 

Su nostra richiesta Livio Manzardo, un tecnico veneto che è tra gli organizzatori del concerto, al termine delle prove ci accompagna a vedere una funzione nella chiesa cattolica di Aktau. La chiesa è nell’appartamento del sacerdote situato al secondo piano di una casa tipica di un quartiere popolare. Bussiamo al campanello e ci accolgono una ventina di persone che si stanno preparando per celebrare la messa. La cappella è piccola ma la gioia dei canti in russo, l’ambiente così semplice ma intenso, la forza di una liturgia così intimamente partecipata ci riportano la mente fuori dal tempo quasi fossimo negli anni delle origini del Cristianesimo. Al termine si crea con tutti i presenti un momento di simpatia e conversazione, in particolare con padre Alessandro il quale ci racconta che a breve costruirà una chiesa grande. Sono anni che aspetta i permessi. Ci dice che la popolazione del Kazakistan è prevalentemente musulmana, molti sono i cristiani ortodossi di origine russa o di altri paesi slavi. I cattolici, invece, sono pochi. 

Al mattino dopo ci investe un forte vento portando con sé dal mare odori nauseanti. Tutta l’aria intorno ne è inondata. Ci infiliamo nella grande sala del concerto dove abbiamo una nuova sorpresa. I componenti dell’orchestra sono aumentati. Si sono aggiunti cantanti, ballerini e tutti vestono luminosi e sgargianti abiti tradizionali kazaki. Hanno l’immagine antica del popolo nomade. Spicca nell’orchestra il tipico tamburo sciamanico suonato dal loro direttore. Il concerto è accolto con entusiasmo travolgente dal pubblico che al termine ci riempie di applausi. Non riusciamo a uscire dal teatro perché tutti vogliono farsi fotografare con noi. Molti giovani ci chiedono notizie sui nostri strumenti e sull’Italia. 

L’ambasciatore italiano, che è venuto ad accoglierci, è molto contento del nostro tour che prosegue il giorno dopo ad Astana, la capitale. La mattina, ancora frastornati dal viaggio, la nostra guida ci porta all’Università delle Arti dove abbiamo una prova con un gruppo di giovani coristi con cui condivideremo una parte del concerto. Sentirli cantare le nostre tammurriate con quelle voci così timbrate ci colpisce. Alla sera il concerto nella sala della Filarmonica è accolto con grande affetto da un pubblico numeroso composto prevalentemente da giovani studenti universitari. 

Di Astana riusciamo a vedere poco ma a prima vista ci risulta una città strana, senza vita, con quei grattacieli svettanti e irregolari circondati dalla steppa. Alla vecchia città di tipo sovietico il presidente Nazarbaev, che comanda ininterrottamente il Paese sin dalla sua costituzione autonoma, ne ha affiancato una nuova dove non c’è un “centro” ma un asse sul quale sono dislocati i simboli di un popolo che è passato in poco più di quarant’anni dalla yurta (la tenda dei nomadi della steppa) a un’altra civiltà che unisce segni del potere sovietico a simboli della società consumistica post-moderna. 

La tappa successiva è Karaganda, un po’ più a sud, che raggiungiamo in treno. La regione, tristemente nota per i gulag e le deportazioni durante la seconda guerra mondiale, è stata la culla di un cattolicesimo che fu costretto al silenzio. Al nostro arrivo ci accoglie con gioia Adelio Dell’Oro, attuale vescovo di Karaganda, con tutta la comunità dei religiosi, provenienti da varie parti della diocesi. È la prima volta che nella nuova cattedrale si tiene un concerto di musica sacra popolare italiana. L’evento, sostenuto da Antonio Mastrolia, “glorioso” capo scout nella Gaeta degli anni Sessanta e attualmente armatore e amministratore della Caspian Ocean, rappresenta per la comunità locale e nazionale un evento di grande rilievo. 

Il vescovo ha preparato un libretto di sala con tutti i testi dei canti e con la traduzione in russo. Con lui abbiamo avuto modo di fare un po’ di conversazione al pranzo offerto dalla comunità parrocchiale. Cibo semplice, la pasta, che gradiamo moltissimo, dopo tante pietanze locali speziate e a base di carne di cavallo. Mentre sorseggiamo il caffè ascoltiamo storie di testimonianze di fede profonda legate al periodo stalinista, quando tutto il Kazakistan era una specie di sconfinato “arcipelago gulag” e Karaganda uno dei centri. Fra i deportati vi erano migliaia di cattolici di nazionalità polacca, ucraina, tedesca, lituani e bielorussi. Molti sacerdoti deportati favorirono il sorgere di una Chiesa clandestina: fra questi padre Alexius Saritski, beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 2001. 

Nel 1941 sul luogo dove furono deportati e abbandonati nel gelo dell’inverno, che in questa regione ha temperature che raggiungono anche 40 gradi sotto zero, i tedeschi della zona del Volga si scavarono delle buche sotto terra dove hanno vissuto a lungo fino a quando non sono stati in grado di costruirsi delle casupole. In chiesa, non appena entrati, siamo accolti da un applauso fragoroso. La gente è stipata in ogni angolo della bella cattedrale. Il pubblico è molto eterogeneo. Ci sono tante facce che rappresentano le diverse etnie che caratterizzano la popolazione di questa regione. 

Cantiamo i nostri antichi canti popolari sacri in un clima di profonda attenzione e partecipazione. Sono anni che giriamo con l’Orchestra Popolare Italiana in tante parti del mondo ma mai abbiamo avuto questo tipo di emozione. Il nostro messaggio di incontro è arrivato al cuore del pubblico che al termine dell’esibizione ci manifesta grandi segni di ringraziamento. L’indomani mattina all’alba partiamo per Almaty, l’antica capitale dello Stato durante il regime sovietico. In aeroporto a quell’ora non c’è nessuno e mentre ci avviamo per i controlli gli addetti alla sicurezza ci fermano. Ci hanno visto in televisione al concerto trasmesso dalla cattedrale. Ci hanno chiamato “musicisti cristiani”. Siamo sorpresi, è la prima volta in tanti anni che qualcuno mi definisce in questo modo. Ad Almaty ci tratteniamo poco perché siamo diretti in Kirghizistan dove arriviamo nella capitale Biškek dopo un rocambolesco viaggio che ripercorre a tratti l’antica via della seta. Qui si conclude il nostro tour. L’indomani siamo ospiti della stagione concertistica della Filarmonica nazionale che ha sede in una grande sala costruita sulle tipiche strutture architettoniche di stampo sovietico. La notte ripartiamo. Non c’è un volo diretto e dobbiamo fare scalo a Mosca. Sull’aereo che ci riporta finalmente in Italia a un tratto mi pare di sentire il canto sussurrato di una voce femminile. Provo a girarmi ma mi accorgo che attorno a me dormono tutti.

È una melodia che ho già sentito ma non riesco a ricordare dove l’ho ascoltata. Quando stiamo per atterrare finalmente la riconosco: è il canto alla Vergine eseguito dalla voce delle donne nella piccola chiesa di Aktau. Quella melodia, quella preghiera, mi è entrata nel profondo del cuore. E mi accorgo che quel canto di cui non capisco le parole costituisce ormai per me un valore speciale, un ricordo dolce, profondo, che mi auguro possa a lungo continuare ad accompagnarmi.
Avvenire

Fotografia Via Emilia, andata e ritorno in foto

Lo chiamano “festival” e in effetti ha tutte le caratteristiche di una kermesse coinvolgente fatta di concerti, feste, incontri programmati e casuali, e mostre naturalmente (a decine nel circuito ufficiale, a centinaia in quello Off). Il tutto spalmato in spazi prestigiosi del centro storico, ma anche in luoghi occasionali, come case private o negozi. Reggio Emilia in questi giorni è totalmente coinvolta in questofestival che è Fotografia Europea (sedi varie, sino al 10 luglio). La manifestazione (catalogo Silvana), giunta alla sua undicesima edizione, è curata da Diane Dufour, Elio Grazioli e Walter Guadagnini, e ruota attorno al tema “La via Emilia. Strade, viaggi, confini” nella sua accezione più ampia. Vuole infatti offrirsi come riflessione che, partendo dall’antica arteria romana, intende approdare alle vie del mondo contemporaneo, ai luoghi di transito e di confine, alle nuove frontiere geografiche e sociali. 

L’indagine si collega, a trent’anni di distanza, alla storica mostra “1986. Esplorazioni sulla via Emilia”, curata da Luigi Ghirri, che segnò un ripensamento della rappresentazione del territorio, ma anche del linguaggio della fotografia e della figura dell’autore. Quella esposizione viene ora rievocata, a cura di Laura Gasparini, con una selezione di opere esposte in quella occasione di fotografi quali, oltre a Ghirri, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Vittore Fossati, Guido Guidi, Mimmo Jodice. Il clima culturale dell’epoca in cui è maturato il loro lavoro di ricerca, iniziato nel 1984, sull’emergenza della scomparsa graduale del paesaggio, della forte urbanizzazione, dell’inquinamento e della cementificazione che produce la perdita di identità dei luoghi stessi e delle comunità che vi abitano, è documentato attraverso numerosi materiali storici, dal catalogo alle maquette di preparazione, ai provini a contatto. La via Emilia divenne un paradigma di esplorazioni territoriali che da quel momento non si realizzarono più attraverso la riproposizione dei luoghi più noti e diventata un’altra cosa. 

All’epoca era una delle arterie fondamentali del nord Italia, oggi è una strada quasi secondaria, scelta per spostamenti brevi, verso la quale il grande traffico ha voltato le spalle in favore della viabilità autostradale e dell’alta velocità ferroviaria. Dunque, quella che non più di qualche decennio fa era il simbolo della struggente orizzontalità e laboriosità della Pianura padana, ora pare poco più di un asse di collegamento di quella che può essere considerata una unica grande città che va da Piacenza a Rimini. Questa nuova situazione è oggetto della mostra “2016. Nuove esplorazioni”, a cura di Dufour, Grazioli e Guadagnini i quali hanno inteso prendere le mosse dalla valutazione su cosa avesse significato il progetto di Ghirri del 1986 all’interno della cultura fotografica del periodo e quale rapporto esso potesse avere con la realtà odierna. 

E siccome è una realtà in continua mutazione, richiede un linguaggio fotografico elastico e duttile che sia capace di portare a sintesi immagini provenienti dai più diversi ambiti, create con gli strumenti più differenti, composte secondo le più diverse modalità. Così che anche là dove la fotografia sembra rispondere alla sua vocazione più documen-taria, o comunque di prelievo dal reale, questa possibilità viene messa immediatamente in discussione attraverso strategie che vanno dall’intervento surreale di Alain Bublex alla narratività straniata di Antonio Rovaldi, agli assemblaggi di Lorenzo Vitturi, passando attraverso la memoria di Sebastian Stumpf, in un continuo gioco di spiazzamenti e suggestioni. Allora la via Emilia da oggetto di ripresa diventa soggetto di azione, protagonista di un viaggio sorprendente, tra realtà e immaginazione, tra documentazione e invenzione come capita con i lavori di Stefano Graziani, di Davide Tranchina o di Paolo Ventura.
Avvenire

I viaggi dello spirito più efficaci: dal Gange a Compostela

Quando si parla di viaggi spirituali si viene incontro ad un’esigenza che sta prendendo sempre più piede nella società occidentale. Sarà per la crisi economica, sociale e finanziaria che sta mettendo in discussione il nostro essere, ma sono molte le persone che vanno alla ricerca di se stesse, interpretando il viaggio come una rinascita, un cambiamento di vita, un pellegrinaggio che diventa il punto di partenza per ricominciare da capo. L’India rimane sempre la destinazione regina per questo tipo di esperienze: se la località di Maha Kumbh è apprezzata da pellegrini che arrivano da ogni parte del mondo ed ogni 12 anni offre lo spettacolo della suggestiva unione dei fiumi sacri Ganga e Jamuna, le città gemelle di Mathura e Vrindavan sono celebri perché la prima ha dato i natali a Lord Krishna, celebrato con la maestosità del Tempio Krishna Janmasthan, la seconda è la località della sua giovinezza.

Uno dei sei luoghi più sacri per l’induismo è l’antica città di Haridwar, detta la Porta di Dio, ai piedi delle alte vette dell’Himalaya dove, al tramonto e all’alba, i fedeli si radunano per bagnarsi nelle acque sacre in segno di devozione e di purificazione. Varanasi è un’altra realtà affascinante e complessa carica di una forza mistica senza eguali poiché città di Lord Shiva, mentre a rendere lo stato del Punjab luogo sacro per eccellenza è il Tempio d’oro di Amritsar, l’Harmandir Sahib, considerato il tempio più sacro della religione sikh che, come la Mecca per i musulmani, deve essere raggiunto almeno una volta nella vita. Ci sono quattro entrate al tempio, a simboleggiare l’importanza dell’accettazione e dell’apertura: infatti vi può accedere chiunque, indipendentemente dalla religione, dal colore, dal credo o dal sesso, basta che segua le poche regole di non bere alcol, mangiare carne, fumare sigarette e assumere droghe, avere la testa coperta in segno di rispetto e lavarsi prima i piedi nel piccolo lago d’acqua.

Si cambia continente per arrivare a Gerusalemme, crocevia di religioni oltre che di culture e tradizioni: il percorso spirituale profondo porta ai luoghi simbolo come la Moschea di Omar, la Basilica dell’Agoniao il Santo Sepolcro. In Europa si ritagliano un posto di primo piano Medjugorje, il piccolo villaggio della Bosnia Erzegovina che fino a pochi anni fa era pressochè sconosciuto; Lourdes, considerata luogo sacro sin dal 1858 quando la Vergine Maria è apparsa nella grotta di Massabielle alla piccola Bernadette;Fatima e Santiago de Compostela che richiamano anche i più giovani, perfetti per confrontarsi con se stessi. Dopo ogni viaggio con queste modalità si torna a destinazione profondamente mutati, se non nel corpo sicuramente nello spirito.
La Stampa

Napoli, cosa rende speciale la Galleria Umberto I

Storia, leggende, architettura, opere d’arte: tutto questo è racchiuso in uno dei luoghi simbolo di Napoli, la maestosa Galleria Umberto I. Se a Parigi Gustave Eiffel realizzava la sua famosa torre, negli stessi anni, tra il 1887 e il 1890, nella capitale partenopea veniva completata la bellissima e complessa struttura che in poco tempo si è trasformata nel salotto buono della città, ritrovo della mondanità. Con i suoi 147 metri di lunghezza, una larghezza di 15 ed un’altezza di 34 e mezzo con il vertice della cupola che raggiunge i 57 metri, la Galleria si presenta con 4 ingressi: da Via Toledo, Via Santa Brigida, Via San Carlo e Vico Rotto San Carlo.

L’ingresso principale è quello che si apre su Via San Carlo, composto da una facciata ad esedra costituita in basso da un porticato retto da colonne di travertino e due archi ciechi, uno che immette nella galleria e l’altro all’ambulacro. Ai lati dell’arco di sinistra, sulle colonne, sono rappresentanti in marmo i quattro continenti: la prima statua a sinistra mostra l’Europa raffigurata come una figura di donna che con la mano destra impugna una lancia appoggiandosi ad essa e custodendo la lapide ai suoi piedi; la seconda figura rappresenta l’Asia che stringe una coppa, la terza si presenta con tratti e abbigliamento dell’Africa, con una mano appoggiata sopra una sfinge ed un casco di banane con se mentre la quarta figura si riferisce all’America, con le tavole geografiche e il globo terrestre con il riferimento a Colombo. Osservando le nicchie sovrastanti si possono notare le raffigurazioni della Fisica e della Chimica, rispettivamente a destra e a sinistra, il Genio della Scienza e i Lavoro che si posizionano nelle nicchie sopra le statue delle stagioni, chiara allusione al passare inevitabile del tempo, mentre alla fine il gruppo marmoreo si presenta con le figure del Commercio e l’Industria semisdraiate al lati della Ricchezza, tutte opere di Carlo Nicoli, scultore e allievo di Giovanni Duprè.
turismo.it

Abruzzo: La Porta dei Parchi, tradizione transumante

Agriturismo e agricampeggio, La Porta dei Parchi è un'azienda storica di Anversa degli Abruzzi, da oltre 30 anni un modello sostenibile di multifunzionalità, che ha rilanciato l'attività pastorale e transumante attraverso il progetto "Adotta una pecora, difendi la natura" (www.adottaunapecora.it). 
L'azienda sorge in una zona montana nei pressi di Anversa degli Abruzzi nell'area protetta conosciuta come Gole del Sagittario. La Porta dei Parchi è immersa nel cuore di tre parchi nazionali abruzzesi, un parco regionale e otto riserve naturali in una biodiversità eccezionale, elemento – questo - essenziale per la qualità dei prdotti agro-zootecnici, orgoglio della tradizione transumante.
L'agriturismo offre ai propri ospiti due alloggi o camere singole e quattro alloggi o camere doppie con servizi. Sono presenti inoltre due appartamenti per un numero di 30 posti letto complessivi con servizi per portatori di disabilità. È provvisto di un Punto Ristoro di 50 coperti complessivi, aperto a tutti, villeggianti e turisti di passaggio, ma solo su prenoatazione.
Aperto tutto l’anno, La Porta dei Parchi è un "fattoria energetica" con fonti rinnovabili da utilizzo di pannelli solari. Posiede circa 972 HA di terreno coltivati a foraggi e cereali per circa 50 ettari, uno a ortaggi, 1 a oliveto e il rimanente spazio a prato per l'allevamento ovicaprino estensivo. Si organizzano corsi per apprendere alcune delle lavorazioni gastronomiche e artigianali tipiche del territorio quali corsi di caseificazione, di cucina, di lavorazione del feltro, di orticultura e di agricoltura biologica. In tavola vengono proposti i prodotti tipici del territorio e prodotti biologici quali: formaggi, carni, ricotta, ortaggi e frutta.
Nel Punto Vendita si possono acquistare i prodotti di produzione dell’azienda, dai formaggi ai cereali, legumi, zafferano, aglio rosso, confetture, miele, insaccati, carni fresche e olio extra vergine d'oliva. L’azienda fa parte del circuito G.A.S. (Gruppo di Acquisto Solidale) e mette a disposizione dei sui ospiti un'internet point, una sala di socializzazione ed una sala lettura. Si organizzano visite guidate a monumenti, chiese, santuari ed eremi presenti nelle vicinanze dell’Aquila oltre a escursioni, podismo natura e attività di osservazioni naturalistiche ad animali selvatici.
turismo.it