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Lorca, l'usignolo della bellezza


Con questa ricchissima monografia Gabriele Morelli riporta il fuoco dell’attenzione su Federico García Lorca(1898-1936), che in diverse fasi della nostra cultura entrò nella poesia e nel teatro italiani con la forza prorompente della sua musica variatissima (Garcia Lorca, Salerno, pp. 320, € 16). 

Nella bibliografia sterminata su Lorca conferiscono a questo libro una preziosa unicità la frequentazione di Morelli con i suoi eredi (la sorella Isabel e Manuel Fernandez-Montesinos García, figlio dell’altra sorella Concha e di Manuel, il cognato fucilato poco prima di lui) e con gli ultimi testimoni: la passione critica che accompagna ogni istante il farsi della poesia nella vita pubblica e privata, nella condizione drammatica dell’omosessualità e in tante zone d’ombra non risolte, che culminano con la morte: la viva descrizione degli ambienti, dall’infanzia di Federico immersa nella natura di Fuente Vaqueros a Granada, Madrid, New York, Cuba, il Sudamerica, la Spagna cupa che lo martirizza.La parola di García Lorca nasce con la musica, una trasmissione materna che include lo zio Baldomero, il maestro Segura, e dal 1919 il grande Manuel de Falla: pianoforte e chitarra classica fusi nella ricerca sul campo di motivi popolari, gitani e moreschi. Ma essi diventano subito un’invenzione assoluta, una cosa nuova, mai conosciuta, su cui fioriscono tutte le sperimentazioni che Lorca prova instancabilmente.

Il poeta va a caccia: caccia notturna in un bosco lontanissimo. Prova «comprensione simpatica dei perseguitati. Del gitano, del negro, dell’ebreo... del moro che tutti noi portiamo dentro». Nel giugno 1936, quasi allo scoppio della guerra civile confessa che in quei momenti tragici l’artista deve «ridere e piangere col suo popolo. ... rinunciare al mazzo di gigli e tuffarsi nel fango fino alla cintola per aiutare quelli che cercano i gigli».Federico coglie come un’ape ora la libertà d’associazioni del surrealismo senza le sue gratuità (dopo il primo Libro de poemas 1921, nel Poema del cante jondo 1921/2-1931, nelle Canciones 1924, nel Romancero gitano 1928).

Ora acuisce e dilata suoni e fantasmagorie dell’America nell’età del jazz, della cultura negra che lo appassiona, e della mostruosità di Wall Street alla vigilia del crollo nel Poeta en Nueva York 1929/30-1940: e che meraviglia la fluente, liberata “Oda a Walt Whitman”. Ora assorbe l’eros di Hafiz incarnato in El Andalus nel Diván del Tamarit(1936). Ora trasforma Shakespeare, Góngora, san Juan de la Cruz e il Cantico nei portentosi Sonetos del amor obscuro che vennero scoperti dopo la morte, editi nel 1984: poesia d’amore di una bellezza quasi inarrivabile.In un testo non bello del 1818, “El canto del miel”, Lorca dichiara l’ascendenza mitica del poeta ape: i Greci chiamano api le Muse. 

La sua arnia è una stella casta, pozzo di ambra che alimenta il ritmo delle api. La poesia è il miele, che addensa metafore: parola di Cristo, oro fuso del suo amore, la cui perfezione di nettare è mummia della luce del paradiso: materialità dell’infinito, anima e sangue dolente dei fiori condensata attraverso un altro spirito: canto dell’età dell’oro, liquore divino dell’umiltà, incarnazione dell’armonia, essenza geniale e dorata del lirismo, dolce come il ventre delle donne, gli occhi dei bambini, le ombre della notte, una voce, un giglio: supremo sole che illumina, consola, equivale a tutte le bellezze, al colore, alla luce, ai suoni: liquore divino della speranza dove l’anima e la materia in unità raggiungono equilibrio perfetto come nell’ostia il corpo e la luce di Cristo. 

“El canto del miel” esalta la lirica: musica dolcezza che viene dal dolore. Una scelta sacra, sacrificale, per niente di moda oggi.Come espone ampiamente Morelli, intorno a Lorca sin dagli anni Venti e non solo in Spagna, s’irradiano interessi e scambi di un ambiente internazionale con al centro Jiménez, Ortega y Gasset, Unamuno, Valle-Inclán, i Machado. Vi si uniscono i più giovani Salvador Dalí e Luis Buñuel, Jorge Guillén, Rafael Alberti, Pablo Neruda, Vicente Aleixandre, Damaso Alonso, Gerardo Diego, Luis Cernuda. Le arti si fondono con le lettere, il teatro le riassume, e prima l’attività della Barraca con la diffusione dei classici nelle campagne, poi i tour oltreoceano espandono la meteora di Lorca.

D’improvviso, la sua barbara esecuzione da parte di militanti franchisti gettò l’aura del martirio sul fascino che già lo circondava, non solo in chi ne aveva riconosciuto subito il genio mobilissimo e la grazia suprema di grande malinconico. Si riverberava in ogni forma di mitizzazione.Nel 1955 la voce di Federico García Lorca risuonò nelle case italiane attraverso le profonde vibrazioni del Lamento per Ignacio Sanchez Mejias letto da Arnoldo Foà col commento musicale di Mario Gangi per la chitarra di Piero Gosio, che scandiva l’andamento a concerto del poema. Tutti furono conquistati da una poesia nobile e tragica, potente e suasiva, familiare per la sua classicità e insieme esotica, che esaltando la figura di Ignacio non solo torero ma simbolo della cultura spagnola, attraeva verso paesaggi di un comune fondo mediterraneo bruciato da miti oscuri e solari, da tenerezze soavi e profumi arabizzanti, da ferocie sanguinose e da un nero abbagliante. Carlo Bo, che dopo Angiolo Marcori (Poeti nuovi di Spagna, “Rassegna Nazionale”, 1930), Giuseppe Valentini e in seguito Oreste Macrì aveva tradotto Lorca verso la fine degli anni Trenta e nel 1962 ne avrebbe pubblicato tutte le poesie con Guanda, un anno dopo l’edizione di Vittorio Bodini di tutto il teatro per Einaudi, presentava il Lamento come il frutto più maturo, un vero e proprio testamento, “la parte più alta” della poesia di Lorca nel senso dell’elegia.
avvenire

L’ Appennino noir di Guccini & Macchiavelli

Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli “La pioggia fa sul serio” pp. 200,  17,50
Un settembre piovoso come non s’era mai visto, con acqua che cade da tutte le parti e si porta giù pezzi di montagna, dilavamenti, smottamenti. Da questo strano diluvio emiliano, annunciatore di cose funeste, sgorga il nuovo giallo del duo Guccini-Macchiavelli, La pioggia fa sul serio Romanzo di frane e altri delitti. L’uno grande cantautore che «si sente un po’ vecchio» e ha appeso l’ugola al chiodo. L’altro, giallista tra i più durevoli dell’eurozona (il suo Sarti Antonio è longevo quanto Maigret), cantore della Bologna nera prima che la cronaca s’accorgesse che Bologna aveva effettivamente un’anima nera. Si sono conosciuti quasi vent’anni fa con la storia di un prete affogato in un rivo per colpa del vino («gliel’ho raccontata ed è nato il nostro primo giallo, Macaronì», dice Guccini) e da allora con regolare cadenza confezionano romanzi a quattro mani, prima con il maresciallo Santovito, trasferito dal meridione all’Emilia; ora con Marco Gherardini, detto «Poiana», un agente della forestale che oltre a vegliare su boschi, carrarecce, bracconieri, cinghiali, raccoglitori a ufo di funghi, mirtilli, tartufi, risolve delitti; tutti ambientati sui pendii dolci e selvaggi dell’Appennino tosco-emiliano, dove entrambi vivono, per scelta, dopo un’intensa vita metropolitana, in un romitaggio pacato di convivi, amicizie, letture, pensieri.  

Guccini a Pàvana, sulla Porrettana, l’antica strada che metteva in comunicazione il Granducato di Toscana con lo Stato Pontificio, onusta di storie, di commerci, viandanti, banditi, soldataglie. «Sebbene sia nato a Modena - dice Guccini - questi rivi, queste nuvole basse che giocano con le cime dei monti fan parte della giovinezza. Venivo in questa casa dei nonni, accanto al loro mulino, a passare le estati con i giochi pieni di fantasia e il tempo che non finiva mai. Ora non riesco più a vivere questi luoghi come allora, un po’ perché non ho più l’energia per passeggiare, un po’ perché la natura è cambiata, trascurata, violentata dall’uomo. I castagni vengono attaccati da malattie strane che arrivano fin dalla Cina. Nessuno pulisce più o boschi, i cinghiali, che sono carini e simpatici disfano tutto, lasciano buche enormi che paiono bombardamenti. I paesi si spopolano, e perfino le carte rischiano l’estinzione, perchè i vecchietti faticano a formare il tavolino al bar per la partita».  

Macchiavelli sta invece a Montombraro, borgo medievale all’ombra d’un castello di Matilde di Canossa nel comune di Zocca («quello dov’è nato Vasco Rossi, e mi fa venire un’invidia… perché tutti lo conoscono per questo»), dove si mangiano cibi antichi come i borlenghi, «Mi riposa stare quassù in compagnia dei pensieri, del cielo, degli alberi. Sono diventato più contemplativo, è finita la giovinezza delle battaglie e Bologna, che ancora amo, non la riconosco più. La montagna, che sembra così silenziosa, invece è piena di stimoli per un giallista. Cova misteri infrattati nei sentieri, nelle forre, nelle rocce. Rancori trasmessi per generazioni d’un tratto deflagrano».  

Quest’Appennino sorprendentemente noir, custode di tesori nascosti, può quindi svegliare appetiti criminali. «Per carità non sveli nulla, altrimenti il piacere della lettura svanisce» si raccomanda Guccini. L’intrigo – senza violare la consegna del silenzio - si svolge nell’immaginaria Casedisopra, piccola Macondo di personaggi e comparse bizzarri, dal prete polacco che ha sostituito l’anziano parroco all’aitante maresciallo dei carabinieri (il nonno del «Guccio» era carabiniere a cavallo, che per un centimetro non riuscì a diventare corazziere), extracomunitari, la tabaccaia dritta come un fuso che ha strafumato per settant’anni, bracconieri, prof in pensione e forestieri che arrivano da chissà dove per fare chissà cosa... finché non ci scappa il primo morto, un geologo che effettua strane ricerche su un masso nero. 

Con il passo lento delle storie che si gonfiano in osteria, il Poiana dipana la matassa, cercando indizi sotto frane, case abbandonate, e persino oratori affrescati che stuzzicano una fantasiosa attribuzione. Nientemeno che Piero della Francesca. «Piero aveva lavorato a Bologna, poi fu costretto a tornare indietro perché la madre stava morendo – dice Macchiavelli -. Perché non immaginarlo che si fermava tra i monti a dipingere una madonna con il ventre gonfio come quella celebre di Monterchi? Poi cancellata perché dopo il concilio di Trento, più severo verso il corpo, tutte le immagini della vergine incinta erano diventato intollerabili, quasi sacrileghe». «Una storia bella - rincalza Guccini - quindi ho dato il nulla osta». Dunque capita che vi bocciate nella scrittura comune? «E’ Loriano che mi corregge - dice Guccini -. L’idea nasce a me, la innaffiamo con qualche bicchiere di vino, poi butto giù il primo capitolo. Lui legge e me lo cambia. Poi scrive il suo, e anch’io ci metto del mio». Il romanzo nasce così, di capitolo in capitolo, poi assemblati a tavola, «quella di Francesco, perché lui non ha la patente e sono io che vengo in trasferta - dice Macchiavelli -. Di solito non sappiamo chi è il colpevole. Più andiamo avanti e più complichiamo la trama, aggiungiamo colpi di scena, depistiamo il lettore». Loriano sottrae, corregge, cassa. Guccini spennella particolari, cita cose perdute come nei due dizionari che ha compilato con amoroso spirito rigattieristico («E’ un esperto di botanica, antichi mestieri, gesti incastonati in una termine dialettale», dice il collega).  

C’è molto di vero, anche nella fantasia. Poiana, per esempio, ha un negozio di ferramenta. «In parte si riconosce, ma si lamenta perché non lo facciamo mai scopare…». Già, nonostante compaiano belle fanciulle, di sesso ce n’è poco. «Quando arriva la scena d’amore è un rimbalzarsi di “scrivila tu, no tu, va bene provo io…” alla fine non viene fuori niente… l’eros non è nelle nostre corde». Bisticciate? «Discutiamo pacatamente. A volte smonto una tesi troppo azzardata con l’ironia», dice Guccini. «Siamo anche dalla stessa parte politica – dice Macchiavelli -. Io più massimalista. Renzi, per esempio, non mi piace. Francesco è più democratico e mi esorta “aspettiamo, vediamo che fa”. Ci piace stare insieme. Con le nostre mogli, gli amici, le storie. E alle undici di sera tutti a letto».  

Oltre all’assassino da scoprire, il grande protagonista è l’Appennino, con la sua maestosa dolcezza. «Non è come le Alpi o come le Rocky Mountains ma ogni tanto richiede le sue vittime sacrificali, la vita di qualcuno che per orgoglio o incoscienza si ritiene più forte delle pietre. Invece la montagna non dà confidenza, neppure a chi crede di conoscerla». Perché la natura è sempre matrigna, e non bisogna prenderla sottogamba. Come la nostalgia. Altrimenti si trasforma in melassa dei bei tempi andati. «Amiamo questa terra, ma non c’è mai, né in me né in Francesco, il rimpianto conservativo di un’età dell’oro perduta – dice Macchiavelli -. Quando eravamo piccoli qui la gente faceva la vita grama, oggi la farina di castagna ha il sapore prezioso delle botteghe bio, allora aveva solo il gusto della miseria. La gente crepava di fame, si rompeva la schiena nel lavoro. Quel passato, se non torna, è meglio. Ciò detto dobbiamo pur pensare a costruire un futuro migliore di questo presente, parecchio meschino». 
lastampa.it

Una biblioteca per hotel, in vacanza con un libro. Dieci alberghi da scoprire per la Giornata Mondiale del Libro

Unire il viaggio alla lettura, perdersi tra le pagine di un romanzo in un luogo di vacanza diverso dallo scenario quotidiano: ecco dieci hotel da scoprire in occasione della Giornata Mondiale del Libro, dove i lettori possono trovare un'oasi di tranquillità e dedicarsi alla loro passione. Tutte le strutture alberghiere sono su Booking.com.
    Book and Bed, a Tokyo, dispone di quasi duemila libri in giapponese e in inglese. Chi vi soggiorna può scegliere cosa leggere da una vasta collezione posta nella hall, accendere la lampada da lettura e lasciarsi trasportare nella magia del proprio romanzo.
    Una zona benessere, una piscina sul tetto, un panorama mozzafiato sulla città. B2 Boutique Hotel + Spa, nel centro di Zurigo, offre tutto questo ai visitatori ma, soprattutto, una biblioteca privata con ben 33 mila volumi. Il Carlisle Bay, nell'arcipelago delle piccole Antille, unisce il piacere del mare caraibico a quello della lettura, con una biblioteca ricca di volumi e un ambiente illuminato adatto a chi vuole soffermarsi ore a leggere un buon libro. Mobili d'antiquariato di alto pregio e dettagli storici ricordano l'epoca di Charles Dickens e Jane Austen nell'Hazlitt's, antico edifico di inizio '700 di Londra. Non c'è nulla di meglio che lasciarsi coccolare dalla lettura di un romanzo davanti al camino. Costruito su antiche rovine inca, il JW Marriott El Convento Cusco, in Perù, è la base ideale per esplorare il magnifico Machu Picchu ma anche per leggere i romanzi di Mario Vargas Llosa sotto i suoi soffitti a volta peruviani. Filosofia, tecnologia, arte: ce n'è per tutti i gusti al Library Hotel di New York, la cui biblioteca dispone di oltre seimila libri di dieci categorie diverse. Non da meno il Taj Falaknuma Palace, a Hyderabad, antica residenza di uno degli uomini più ricchi dell'India: anche qui, in un'affascinante biblioteca costruita in vetro e quercia, migliaia di volumi a disposizione di chi vi soggiorna. Si chiama, invece, The Library l'hotel thailandese dedicato ai libri: è stato ideato, infatti, per offrire spazi di lettura in una struttura moderna corredata da una piscina di design.
    Situato nel campus dell'università del Minneapolis, The Commons Hotel è il posto ideale in cui rilassarsi lontano dal caos della città: la biblioteca interna è di certo un buon aiuto. Non può mancare, infine, l'Italia. Il Salviatino è una villa quattrocentesca in stile rinascimentale, annidata tra le dolci colline toscane, luogo perfetto per trovare tranquillità e abbinare una buona lettura a cibo gourmet, vini doc e a una vista panoramica su Firenze.
ansa

A tutto peperoncino, viaggio piccante tra mercatini e ricette tipiche

Rossi ma anche viola o marroni e addirittura neri. Dalle foglie verdi ma anche variegate o porpora. Il sapore? Piccante certo ma con mille sfumature e gradazione diverse. Il mondo dei peperoncini è davvero vasto e ricco di sorprese e Peperoncini, 32+1 varietà da scoprire scritto da Sandra Longinotti per Nomos Edizioni è un bel viaggio nel gusto con le carte d'identità delle varie specie e tante originali ricette che ne esaltano al massimo il sapore, nella vista grazie alle fotografie di Marino Visigalli e anche proprio in giro per l'Italia per mezzo della sezione dedicata ai grandi vivai e ai mercatini.
Un progetto speciale dedicato sia agli amanti e ai conoscitori delle specie, sia a chi desidera iniziare ad avvicinarsi a questi affascinanti frutti per la prima volta.
Tra le ricette (insalate, stuzzichini, primi, carne e pesce) non mancano nemmeno tre dolci davvero speciali e un'idea per un cocktail.
Non mancano le raccomandazioni (i peperoncini possono essere davvero molto piccanti, per cui bisogna proteggere sempre mani e occhi e non esagerare con le dosi le prime volte che si prova una ricetta). Infine i luoghi comuni e i miti da sfatare. Utilissimi anche per lasciare di stucco l'amico calabrese che sostiene che i frutti della sua terra sono i più piccanti del mondo. I calabresi sono considerati peperoncini mediamente piccanti con circa 30.000 SHU, attualmente il più piccante al mondo è il Carolina Reaper che può superare i 2.200.000 SHU.
http://www.nomosedizioni.it/catalogo.php?b=00000050

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Grand Tour della memoria. La nostalgia come arma contro la rassegnazione e il disincanto

di Angela Majoli

  (RAFFAELE LA CAPRIA, ULTIMI VIAGGI NELL'ITALIA PERDUTA (BOMPIANI, PP. 188, EURO 13,00).
    I 'sacri siti' di un tempo, Positano, Ischia, Procida, l'amatissima Capri, la stessa Napoli e tanti luoghi dell'Italia meridionale e della Sicilia, ripercorsi attraverso le pagine di autori come Norman Douglas, Giovanni Comisso, Norman Lewis, Giuseppe Ungaretti e poi rivissuti attraverso i ricordi, in un ideale pellegrinaggio tra l'immensità azzurrina dei Faraglioni, sprazzi di villeggiature ischitane, estati di "abitudini e modesti svaghi", spesso insidiati da "una sottile malinconia".

Raffaele La Capria ci guida in questo Grand Tour della memoria, tra paesaggi mediterranei e autobiografia intellettuale, sul filo della nostalgia, "che non è più un sentimento romantico abbellito dal ricordo", ma diventa un'arma "contro la rassegnazione e il disincanto, e serve a non lasciar andare le cose come vanno, cioè verso l'inesorabile degrado". Il viaggio si muove sulle tracce di autori come George Gissing, che si spinge 'Sulle rive dello Jonio' da Napoli verso la Calabria e scopre "la presente dolorosa realtà" del Sud, o Norman Douglas, autore di una serie di monografie su Capri in cui si intrecciano storia, religione e piacere di vivere. E poi l'incontro tra Giovanni Comisso e Napoli, in cui scocca "la scintilla di un'attrazione reciproca", o il 'Viaggio nel Mezzogiorno' di Giuseppe Ungaretti, in cui il poeta fa nascere "accostamenti, associazioni, intuizioni e metafore che sono vere e proprie 'illuminazioni' sulla Storia e sul Mito". E la visita nella villa di Curzio Malaparte a Capri, con le mattonelle di ceramica dipinte da Savinio, il ritratto fatto da Campiglio "bellissimo e stilizzato" o il camino con il fondo di vetro attraverso il quale si intravedevano i Faraglioni. Un percorso alla riscoperta della 'grande bellezza' perduta.


    Una bellezza, precisa La Capria, che "non è un fatto puramente estetico, ma ha a che fare con la nostra più segreta identità e con la nostra memoria immaginativa che, come ognun sa, è quella che ci accompagna nelle varie età della vita ed è legata ai nostri ricordi più cari, ai nostri sogni, alla nostra fantasia e alle nostre facoltà creative, alle nostre energie spirituali. Le linee di un paesaggio, il verde di una collina, uno specchio di mare, ci parlano nel tempo, restano impressi in noi, diventano pensiero e parola, fan parte della nostra esistenza". La Capria indugia poi sulla sua 'geografia personale', con il golfo di Napoli conteso tra la visione omerica, fatta di roccia a strapiombo sul mare, e quella virgiliana, fatta di tufo, caverne stillanti, verde campagna che degrada verso la costa, Positano, la costiera, Ischia, Procida e soprattutto Capri, capace di ispirare a chi la visita "uno stupore e un timore come quello che si prova quando entriamo in rapporto col mistero".

    Capri fatta di rocce e balze alla Jurassic Park, Capri marina con le sue grotte e insenature, Capri agreste "dove la vegetazione infuria e il lavoro del contadino è ancora visibile nei gesti antichi", Capri cittadina e paesana, artistica e archeologica, alta e bassa. Ed è struggente cercare con lo scrittore, da lontano, da una barca in mezzo al mare, la casa caprese sotto il monte Solaro abbandonata per sempre e scorgerla lassù, una macchiolina bianca nel verde. Nostalgia, sì. Ma "oggi la funzione del nostalgico - conclude La Capria citando un passo del suo 'L'occhio di Napoli' - è quella di ripetere ostinatamente ai disincantati com'era pulito il mare quando era pulito, com'era bella la giornata quand'era bella, e com'era vivibile la città quando era vivibile. Com'era chiara l'acqua a Posillipo quando era chiara, non è solo il ricordo di un 'nostalgico', perché la chiarezza di quell'acqua è simbolica, è un momento creativo della memoria che invoca una possibile rigenerazione".
ansa

Giuseppe Lorin: cultura e storia nel primo romanzo postfantastorico

Tra le Argille del Tempo, il primo romanzo postfantastorico all'Isola del CinemaVenerdì 24 luglio alle ore 19,00 la presentazione del libro "TRA LE ARGILLE DEL TEMPO" di Giuseppe Lorin all' Isola del Cinema. Modera Vittorio Lussana, direttore di Periodico italiano magazine e di Laici.it. Letture a cura di Valentina Ghetti. La suggestione del rito propiziatorio di CVLTVS DEORVM aprirà l'evento.

Tra le argille del tempo è il primo romanzo di genere postfantastorico che sottolinea la fragilità delle esistenze e della storia dei luoghi da esse abitati e modificati. Partire con la storia dell'area intorno a Roma è inevitabile per chi a Roma è nato e vi risiede. L'amore per la città e la ricerca dei suoi segreti sono stati gli incentivi per affrontare e sviluppare un argomento che l'autore aveva lasciato maturare nei meandri della sua conoscenza.
Dagli Etruschi a Enea e a Romolo e Remo, dalle vestali ai sette colli, dalla Fides alle società segrete, dall'inquisizione ai libri al rogo, dai Templari ai Cavalieri di Malta, dalle chiese dell'Aventino ai segreti nascosti in esso, dai riti mitriaci al Castello della Magliana, dal "biondo Tevere" il racconto dell'ultima notte di Pier Paolo Pasolini... e altro ancora.
Dopo la fantasia e la storia c'è la realtà che va descritta e raccontata minuziosamente nel rispetto della verità. I personaggi descritti, le loro storie e i luoghi rispecchiano l'autenticità narrativa.
Questa settimana vi consigliamo “Tra le argille del tempo” di Giuseppe Lorin (David and Matthaus Edizioni). Giuseppe Lorin è un giornalista e scrittore amante della storia.
La Storia

Il primo romanzo postfantastorico, un genere inedito tutto da scoprire. Un plot coinvolgente nel quale la storia viene abilmente mescolata ad alcuni spunti fantastici. Tra le argille del tempo troviamo elementi nuovi per valutare e denunciare situazioni poco chiare. L’amore per Roma e per le zone circostanti emerge in tutta la sua autenticità, così come si percepisce la rabbia verso chi, sfruttando il proprio potere, si approfitta delle circostanze per occultare dettagli fondamentali. L’autore di questa avventura non si lascia però intimorire dalle varie forme di ostracismo con le quali si deve scontrare. I protagonisti della storia sono infatti pronti ad affrontare ogni tipo di situazione e di pericolo, coltivando la speranza di trasmettere questo spirito ad ogni singolo lettore. Solo così si potranno infatti diramare le nubi che avvolgono alcuni eventi del passato e inondare di luce i riscontri del presente. Solamente con questo spirito si potrà evitare di accrescere il numero di ombre che minacciano il nostro futuro prossimo. Dagli Etruschi a Enea ed a Romolo e Remo, per arrivare al “biondo Tevere” con il racconto dell’ultima notte di Pier Paolo Pasolini. Giuseppe Lorin mette a disposizione del lettore la sua grande cultura e il suo amore per la storia, tracciando un percorso fascinoso e ricco di mistero. Un libro che assomiglia ad una pietra preziosa non ancora catalogata.

La “Voce” dello Scrittore

“Io ho grande rispetto per la conoscenza e per la verità storica, elementi indispensabili per affrontare bene il presente e proiettarsi positivamente verso il futuro. Una comunicazione completa e trasparente ottimizza ogni tipo di contesto”.

Ricordiamo anche la pagina Facebook “La voce degli scrittori” e l’applicazione ufficiale. Il programma va in onda ogni martedì e giovedì alle 20,15 su LazioTv (ch12) e in diretta anche in streaming sul sito di Lazio tv.
tratto da opinione.it e today.it

segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone
turismoculturale@simail.it



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“Per le antiche strade”: Venerdì 18 Luglio 2014 a Termini Imerese tra storia ed emozioni

Venerdì 18 luglio alle ore 19 nello spazio di via Spucches 3 presso la Casa Museo Filippo Sgarlata a Termini Imerese sarà presentato il libro “Per le antiche strade. Da Idrisi a Carlo V, da Goethe alla Targa Florio. Guida storica alla “Palermo-Messina Montagne” di Salvatore Dalia (editore De Ferrari), prefazione di Sergio Buonadonna, foto dell'autore e di Lucio Paolo Ferrara. Condurrà l'incontro la giornalista Claudia Mirto, che intervisterà Salvatore Dalia. 
www.ibs.it/code/9788864055541/dalia-salvatore/per-antiche-strade.html?shop=4533
Documentata e ricca di immagini la nuova opera dello studioso palermitano ricostruisce la storia e la topografia della via “Palermo-Messina per le montagne”, la strada “reale” che dal Medio Evo alla fine del Settecento collegò la capitale con la città dello Stretto attraverso un percorso che va da Termini Imerese alle Madonie, ai Nebrodi, alla Valle dell'Alcàntara, a Randazzo, a Taormina, trasformando così intense pagine di storia in un viaggio modernissimo con gli occhi aperti alle bellezze naturali, alle peculiarità d'arte e agli appuntamenti della memoria come la Targa Florio. Termini Imerese è stata per secoli la città più importante della costa tirrenica tra Palermo e Messina. Possedeva un buon porto naturale ed era una tappa obbligata di mercanti, pellegrini, re ed eserciti lungo le grandi strade che collegavano le due principali città dell’Isola: la “Palermo - Messina Marine” e la “Palermo - Messina Montagne”. Ingiustamente trascurata dal turismo di massa ed oppressa da una crisi dell’industria che le è stata imposta e che certamente non ha meritato, sorprende per la ricchezza dei suoi valori artistici e ambientali; con le sue dimensioni ridotte e l’atmosfera piacevole e rilassata, sembra quasi mediare tra la congestione delle affollate “marine” della costa e la quieta realtà delle Madonìe, fatte di piccoli centri urbani e di solenni e solitari scenari naturali. Le acque termali, i ruderi romani e la bella posizione a dominio del golfo omonimo ne caratterizzano ancora oggi, malgrado le tante trasformazioni, l’immagine; il grandioso ponte sul San Leonardo testimonia e quello, più piccolo e quasi nascosto sul Barratina documentano la sua importanza come nodo stradale della Sicilia che fu.
fonte: http://www.comuneterminiimerese.pa.it/comunicato.asp?id=1355

Descrizione Libro
Dopo "Scoprire Palermo: Guida alla città moderna Ottocento-Novecento" del 1999, Salvatore Dalia si cimenta in un'altra guida storica esplorando una Sicilia inedita. "Per le antiche strade" è il nuovo viaggio dello studioso palermitano, frutto di una ricerca minuziosa condotta lungo la "strada reale", la "Palermo-Messina Montagne" alternativa alla via del mare. É quella di Dalia un'avventura storica e geografica lungo un asse rimasto sempre in disparte rispetto alle grandi correnti culturali e turistiche dell'Isola. La lettura di questo libro-guida restituisce storie, luoghi, curiosità e protagonisti di una vicenda che mette insieme gli arabi, i normanni, gli svevi, gli angioini, gli spagnoli fino ai più moderni esploratori come in qualche modo appaiono i Florio lungo i tornanti della famosa e amatissima Targa automobilistica. Passato e presente si rincorrono nelle pagine del libro attraversando territori carichi di storia, arte e natura. L'autore accompagna il lettore a scoprirli, ne attizza la curiosità, lo trasferisce a riguardare la meraviglia di Madonie, Nebrodi, valle dell'Alcàntara con l'occhio ammirato e stupito di chi non sapeva che la Sicilia possedesse così tanti tesori. Tutto ciò mantenendo inalterato l'obiettivo di ricostruire la storia e la topografia della via "Palermo-Messina per le montagne", l'evoluzione del tracciato e la sua importanza nelle diverse epoche storiche...  
per arrivare in Via Spucches 3 a termini Imerese (Mappa)
 
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone
turismoculturale@yahoo.it

il Salone del Camper 2013 / Presentazione del libro "Io faccio così" di Daniel Tarozzi. Viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che cambia


Il cambiamento è un richiamo della necessità”.
 Michelangelo Pistoletto

Ci sono tantissime realtà italiane in movimento. Il problema è che sono invisibili. Dobbiamo lavorare per farle vedere”.
Hans Schmieder dell’Accademia dei Colloqui di Dobbiaco (Bressanone)

Nonostante la crisi, i partiti, le tasse…c’è un’Italia che reagisce, che non molla, che va avanti e crede nel futuro. Daniel Tarozzi ha deciso di salire sul camper e andare a scoprirla e a raccontarla.
Sette mesi on the road, senza scadenze o itinerari precisi, inseguendo le esperienze di chi ci prova a cambiare vita e a non rassegnarsi al peggio. La scoperta è che si sta creando una rete diffusa dal Nord al Sud di microeconomie che valorizzano il territorio e le competenze delle persone spesso promuovendo lavori che le statistiche nemmeno rilevano: in città, in campagna, da soli, in gruppo. Sempre all’insegna dell’ecocompatibilità, del risparmio e della qualità della vita. Contadini, inventori, imprenditori, manager, artigiani, neolaureati, artisti: le loro storie non fanno più parte dell’aneddotica ma costituiscono una realtà che va raccontata e fotografata e dimostrano che un altro Pil, più vero e di qualità, è possibile.

Mentre il mondo della politica e dei mass media, in modo sempre più autoreferenziale, continuano a raccontare e a raccontarsi di un Paese decadente, volgare e immobile, lontano da loro, dai riflettori dei mass media, dai reality show e dai talk show, dai quotidiani e dai settimanali di costume, si è andata affermando un’altra Italia. É un’Italia complessa, variegata, multiforme. Un’Italia fatta di singoli, fatta di movimenti, fatta di artigiani, di laureati, di contadini. Un’Italia fatta di giovani e di anziani, di donne e di uomini, di amministrazioni e di gruppi. Di esperienze radicali e di esperienze “integrate”. Di chi cerca di cambiare il mondo e di chi lotta per cambiare se stesso. Di chi ha detto basta al “lavoro” tradizionale, di chi ha detto basta alla politica tradizionale, di chi ha deciso di lasciare la città e di chi ha deciso di entrare in transizione. L’Italia dei ‘downshifter’, dei decrescenti, dei bioregionalisti, dei comuni virtuosi, dei ‘transizionisti’, degli ecovillaggi, degli eco-vicinati, dei co-housing. L’Italia dei comitati per l’acqua pubblica, delle esperienze degli orti urbani, della permacultura, del ritorno alla campagna, del volontariato. L’Italia di chi non insegue la carriera, il denaro, la crescita del pil o dei propri biglietti da visita. Di chi vive con poco e di chi cambia poco per volta. Un’Italia che non aspetta che siano altri a cambiare le cose, ma che – spesso in silenzio – si è messa in moto. Da nord a sud, vive e palpita un’Italia diversa.
E Daniel Tarozzi l'ha incontrata e raccontata in questo libro.

Curriculum Vitae
Daniel Tarozzi, direttore Responsabile de Il Cambiamento, giornalista e documentarista.
Laureato nel 2002 in Scienze della Comunicazione con una tesi sul giornalismo d'inchiesta tra Stampa e Rete. Autore del libretto "OGM in Italia", allegato al dvd "Il mondo secondo Monsanto", e dei libretti della collana Mt0. Autore e regista di diversi documentari, tra cui "Primavere a Sarajevo" (con Andrea Boretti e Francesca Giomo), "Oltre Mumbai" (con Stefano Zoja e Silvia Tagliabue), "I sentieri della Memoria" (con Francesca Giomo), "Haiti l'isola spezzata", "Sambiiga, Altro Fratello", (con Andrea Boretti e Michele Dotti).
Autore televisivo, Operatore e Montatore free lance. Socio fondatore, con Luca Asperius, della casa editrice e società di produzione Ludica. Fondatore, con Francesca Giomo, del giornale web Terranauta (maggio 2004), da lui diretto fino al 30 giugno 2010.

 Parma, 19 settembre 2013

Ufficio Stampa Salone del Camper 2013 c/o extra comunicazione:
Serena Ferretti – 346 4182567
Daniela Pierpaoli – 346 6096602

Parole in controluce sul tema del viaggio


di Gian Maria Annovi
SAGGI Da Anne Carson un testo che fonde critica e lirismo
Parole in controluce sul tema del viaggio
LIBRI: ANNE CARSON, ANTROPOLOGIA DELL'ACQUA, DONZELLI, PP. 165, EURO 24
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Nata in Canada nel 1950, Anne Carson è da tempo considerata tra le maggiori voci poetiche in lingua inglese. Nonostante alcune traduzioni poetiche siano comparse, soprattutto grazie a Antonella Anedda, su blog e riviste, in Italia Anne Carson è conosciuta dal grande pubblico solo per il romanzo Autobiografia del Rosso (Bompiani, 2000), che rifacendosi alla lontana ai miti greci (Carson è una raffinata latinista e grecista e ha insegnato in prestigiose università nordamericane) racconta le sofferte vicende di un mostro moderno, Gerione, giovane alato dalla pelle rosso fuoco. Se Bompiani non avesse eliminato dalla copertina il sottotitolo originale, anche i lettori italiani sarebbero avvertiti che questo libro stranissimo e splendido, considerato come una vera rivelazione letteraria da Susan Sontag e Alice Munro, è «un romanzo in versi»: un'opera di poesia.
Che poesia sia però un termine assai fluido nel caso di questa scrittrice, lo prova il bellissimo libro appena pubblicato da Donzelli nella sua collana di saggi: Antropologia dell'acqua, curato e tradotto dalle poetesse Antonella Anedda e Elisa Biagini e dall'italianista Emmanuela Tandello. Così come Autobiografia non è propriamente un romanzo, Antropologia dell'acqua - che costituisce solo la parte quinta della più ampia raccolta Plainwater: Essays and Poetry (Knopf, 1995) - non è davvero un saggio, tanto che la prima parte che lo compone, Tipi di acqua, pubblicato inizialmente nel 1987, venne poi inclusa in The Best American Poetry of 1990, attirando per la prima volta l'attenzione del pubblico americano.
Il fascino del lavoro di Anne Carson risiede proprio nell'eleganza e naturalezza con cui la sua scrittura, «felicemente inclassificabile», fonde lirismo e metodo critico, prosa diaristica e linguaggio accademico, incrostandosi come una conchiglia di materiali provenienti dalle fonti più disparate. È un'operazione che Carson conduce a freddo, come immersa nelle profondità del lago al centro dell'ultima sezione del volume, Margini d'acqua. Un saggio di mio fratello sul nuoto che, descrivendo il moto del fratello nuotatore, scomparso misteriosamente, traccia il confine liquido tra parola e assenza, tra respiro e apnea esistenziale.
Antropologia dell'acqua è una riflessione sui «fragili meccanismi che ci salvano dall'annegare», ma letto in controluce, quasi fosse stato scritto con pioggia su carta di riso, attraverso la decostruzione del tema classico del viaggio, si rivela anche un trattato postmoderno sull'amore: un'ordalia dell'acqua per la devozione filiale e amorosa. Così come l'antica cortigiana cinese Lady Cheng, una delle figure evocate nella seconda sezione, Solo per il brivido, Anne Carson si diverte a disegnare mappe di parole che resistono all'oggettività e pongono il lettore di fronte a continue domande sulle proprie convinzioni e percorsi mentali.
Da un lato troviamo il viaggio in macchina fino al confine occidentale estremo dell'America, dall'altro il pellegrinaggio a piedi verso Santiago di Compostela, che si conclude però simbolicamente a Finisterre, un tempo considerato la fine del mondo conosciuto. Anne Carson è interessata agli estremi e il suo mondo ha margini fatti d'acqua, dove la parola è flusso e il pensiero pozza: l'acqua - scrive - «è qualcosa che non si può trattenere. Come gli uomini». Antropologia dell'acqua è infatti poesia che si fa anche ricerca epistemologica dell'altro amoroso, qualcosa che - per chi lo incontra - proprio come un pellegrino, è sempre xenos, ospite e straniero allo stesso tempo.
Che anche il linguaggio viva il rischio di questa doppia condizione, lo rivela l'attenzione con cui Anne Carson descrive l'Alzheimer del padre, le cui parole, prive di riferimento alla realtà, sono come le mappe della cortigiana: tracciano cammini che solo qualcuno completamente perso nella propria solitudine può percorrere. Allo stesso tempo, proprio il liquefarsi della lingua paterna è ciò che la porta a ridefinire la propria identità femminile, a emanciparsi da modi espressivi che altrimenti non conoscerebbero il senso del fluire. Grazie alle attente traduzioni di Anedda, Biagini e Tandello, anche il pubblico italiano può ora lasciarsi sommergere dalla lingua di questa scrittrice straordinaria.

Sognando terre diverse


Oggi tutti sanno che la terra è un pianeta rotondo, in costante movimento nello spazio. Ma «prima», come se la immaginavano gli uomini la terra? Piatta come un vassoio, rettangolare, a forma di pera, oppure cava? Aprite il libro e imbarcatevi in un viaggio attraverso il tempo e le culture per scoprire, in questo museo delle terre immaginate, una miniera di fantasia e di poesia.

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Sognando terre diverse con Guillaume Duprat
a cura di Alexander Karelin
Venerdì, 25 Giugno 2010

Sognando terre diverse con Guillaume Duprat L’illustratore francese Guillaume Duprat ne ha scoperte tante e le ha disegnate ne “Il libro delle terre immaginate” edito in Italia da L’Ippocampo nel 2009. Certo questo non vuol dire che di terre immaginate non ce ne sono più!

Nel pomeriggio di venerdì, nel parco di Villa Maioni, con l’aiuto linguistico di Katia Rossi, Guillaume Duprate propone ai bambini di Verbania e dintorni di crearne delle altre, anche se tutti i bambini sanno che la terra è una sfera. (Infatti – solo gli adulti sembra che abbiano ancora dubbi su questo).

E lui, che di terre immaginate ha fatto un libro, ha poi raccontato, usando i disegni creati dai ragazzi, come diversi popoli dei cinque continenti immaginassero la terra prima che l’esploratore Ferdinando Magellano compisse il primo viaggio intorno al globo, fornendo la prova definitiva che la terrà altro non è che una sfera – cosa che i filosofi greci ipotizzavano quasi duemila anni prima.

Ci furono i popoli africani che immaginavano la terra come un triangolo o gli aborigeni australiani che la vedevano come un labirinto fatto di corridoi infiniti, percorrendo i quali, il sole e la luna apparivano nel cielo... e allora perché non sognare un’altra terra, anche se si sa che è una sfera?!

letteraltura.it
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone

Nei libri c'è tutto, anche per viaggiare: lo scopri a Verbania per LetterAltura 2010


Nei libri c’è.... Tutto!
a cura di Alexander Karelin
Venerdì, 25 Giugno 2010

Nei libri c’è.... Tutto! “E questa che nave è?”, chiede ai ragazzi seduti attorno a lui, aprendo un altro libro e facendone uscire una fantastica caravella con le vele rattoppate e un mare in tempesta.

“Una barca a vela”, risponde uno dei bambini.

“Eh sì, mica è una barca a motore! Certo che ha le vele! Ma come si chiama?”, insiste. Fino a quando qualcuno dice “La perla nera” (dopo “Nave dei pirati” e tanti altri nomi).

E quindi si passa al prossimo libro, quello sulle mummie, a un altro sui faraoni e poi a un altro ancora che parla degli insetti...

Perché nei libri, come dice Sergio Guastini, c’è tutto!

Ci vuole solo un po’ di magia e di fantasia – “merce” che ha in abbondanza – per coinvolgere tutti nella sua infinita avventura nel mondo dei libri, un’avventura che condivide con passione e dedizione con chiunque abbia voglia di ascoltare e, soprattutto, partecipare. Che gusto c’è in un avventura se non hai con chi condividerla?

E per fortuna di bambini – piccoli e grandi – con cui lanciarsi in un viaggio dell’immaginario nei mondi delle fiabe ce ne sono a Verbania, a quest’edizione di LetterAltura. E perché? Perché nei libri c’è tutto!

letteraltura.it

libro segnalato da Turismo Culturale

Ambiente, turismo e competitività sostenibile. Come rendere la tutela ambientale un moltiplicatore di sviluppo locale € 25,00

Descrizione:
La tutela ambientale e le aree naturali protette sono comunemente viste come un limite allo sviluppo dell'economia del territorio. Questo libro vuole ribaltare la visione comune, dimostrando come, all'opposto, e specialmente in momenti di crisi generale, l'istituzione di aree protette rappresenti un moltiplicatore di sviluppo e di ricchezza per il territorio, soprattutto grazie alla leva turistica. Secondo la ricerca svolta dall'Istituto per la competitività (l-com), su incarico del Ministero dell'Ambiente, le Aree Protette italiane sono divenute, con alcuni casi di eccellenza, il luogo privilegiato di sintesi tra sostenibilità e competitività, vista la duplice necessità di promuovere, da una parte, lo sviluppo delle comunità locali e, dall'altra, di proteggere territori ad elevato pregio ambientale. Ambiente, turismo e competitività, di conseguenza, non sono più termini in contrasto tra loro ma possono divenire parole chiave (in perfetta armonia) di una diversa governance ambientale. Pur nell'assenza di un tessuto normativo omogeneo e di strumenti economici coerenti volti a integrare territorio e popolazione, la ricerca evidenzia, infatti, anche attraverso un'analisi comparata, come la tutela ambientale sia un importante moltiplicatore di sviluppo locale. Proteggere l'ambiente, dunque, sembra essere la via migliore per arricchire un territorio. Anche in termini economici.

LetterAltura: un festival di asini

Descrizione libro
Dell'asino spesso si ride e il riderne diventa occasione di derisione. Ma che cosa sappiamo in realtà di questo animale? Ecco un pamphlet incentrato sulla figura dell'asino e sui suoi rapporti con la filosofia e la cultura. C'è un universo per così dire "asinino" che può rivelare molto. L'asinità è, in effetti, uno stereotipo culturale che, affondando nel mito e nella favola, ha ispirato anche molti. Dall'"Asino d'oro" di Apuleio a Nietzsche e fino al Ciuchino di Shrek un'originalissima rassegna su ontologia, metamorfosi, razionalità, sessualità e voce dell'asino. Presentazione di Paolo Cristofolini.

VER­BA­NIA, 25 giu­gno- Asini e fi­lo­so­fi è que­sto il ti­to­lo di un in­te­res­san­te libro di Fran­ce­sca Ri­got­ti (do­cen­te dell'U­ni­ver­si­tà di Lu­ga­no) e Giu­sep­pe Pu­li­na (di­ret­to­re della ri­vi­sta “Mneme Am­men­tos”) edito da In­ter­liea che sarà pre­sen­ta­to sa­ba­to alle ore 17.45, alla Villa Pa­ria­ni di Ver­ba­nia all'in­ter­no della ma­ni­fe­sta­zio­ne “Let­te­rAl­tu­ra” che quest'anno rende o­mag­gio a que­sto pre­zio­so a­ni­ma­le che ha af­fa­sci­na­to fi­lo­so­fi e scrit­to­ri.

La fi­lo­so­fia dell’asino in­te­sa non come la dot­tri­na di pen­sie­ro di tale a­ni­ma­le, ma il tipo di ri­fles­sio­ni che l’asino ha su­sci­ta­to nel fi­lo­so­fo. Dall’Asino d’oro di A­pu­leio a Nie­tzsche, fino al Ciu­chi­no di Shrek. Un’o­ri­gi­na­lis­si­ma ras­se­gna su “on­to­lo­gia, ra­zio­na­li­tà, ses­sua­li­tà e voce dell’asino, cam­pio­ne at­tua­lis­si­mo dell’i­bri­di­smo e gran­de pro­ta­go­ni­sta di me­ta­mor­fo­si”.

Tante e sin­go­la­ri le ri­fles­sio­ni che com­pon­go­no il libro, una tra tante è l' “in­can­to di un ra­glio”:Il verso dell’asino può pro­dur­re in chi l’a­scol­ta un’eco sug­ge­stio­nan­te. Ru­vi­do, pos­sen­te, vi­sce­ra­le, il ra­glio non la­scia in­dif­fe­ren­te. […] Di que­sto fa pa­ro­la il prin­ci­pe Myškin, pro­ta­go­ni­sta de L’i­dio­ta di Do­stoe­v­skij, nel ri­cor­do dei suoi primi gior­ni in Sviz­ze­ra. “Mi ri­cor­do che riu­scii a strap­par­mi a quel­lo stato di tor­po­re una sera a Ba­si­lea, al no­stro in­gres­so in Sviz­ze­ra, quan­do venni sve­glia­to dal ra­glio di un asino sul mer­ca­to della città. Quel ra­glio d’asino mi colpì straor­di­na­ria­men­te, chis­sà per­ché, e mi piac­que mol­tis­si­mo; da quell’i­stan­te, all’im­prov­vi­so, fu come se tutto mi tor­nas­se chia­ro in testa””.

Fa­mo­so è il pa­ra­dos­so dell'asino di Gio­van­ni Bu­ri­da­no lo­gi­co fran­ce­se del XIVV se­co­lo che si oc­cu­pò dell'a­na­li­si della vo­lon­tà umana: un asino che posto tra due cu­mu­li di fieno per­fet­ta­men­te u­gua­li e alla stes­sa di­stan­za non sa sce­glie­re quale i­ni­zia­re a man­gia­re mo­ren­do di fame nell'in­cer­tez­za.

Un’altra in­te­res­san­te con­si­de­ra­zio­ne nasce dall’asino come pro­ta­go­ni­sta di car­toon e film d’a­ni­ma­zio­ne: “Sul gran­de scher­mo l’asino gua­da­gna in si­cu­rez­za e de­ter­mi­na­zio­ne, sino a ra­sen­ta­re qual­che volta la sfron­ta­tez­za. Man­tie­ne sem­pre in sé la dolce gof­fag­gi­ne che anche agli occhi dei bam­bi­ni sa tra­sfor­mar­lo in un a­ma­bi­le qua­dru­pe­de. In real­tà, non è una vera tra­sfor­ma­zio­ne, per­ché l’asino non è un a­ni­ma­le ca­ma­leon­ti­co e op­por­tu­ni­sta. Quasi sem­pre l’asino è il ter­mi­na­le, il punto ad quem di un pro­ces­so in­vo­lu­ti­vo […] l’asino è sem­pre asino, per­ché, per usare le pa­ro­le di Gior­da­no Bruno, è più fa­ci­le “i­na­si­nir­si” che “i­nu­ma­nir­si”, e que­sto vale anche nel fan­ta­sti­can­te mondo dell’a­ni­ma­zio­ne”.

L'al­lean­za tra asini e uo­mi­ni è an­ti­ca: e­qui­ni ad­do­me­sti­ca­ti che en­tra­ro­no nella vita quo­ti­dia­na dei no­stri avi. “L'asino- ha scrit­to Vin­cen­zo Par­di­ni in un ar­ti­co­lo su Tut­to­Li­bri- è l'a­ni­ma­le della pace, il ca­val­lo della guer­ra. Mite, col­la­bo­ra con l'uomo che, non sem­pre, pro­prio per­ché uomo, ne ha ap­prez­za­to le doti. Te­nu­to dalle fa­mi­glie per sod­di­sfa­re le e­si­gen­ze del quo­ti­dia­no in mon­ta­gna por­ta­va le some, in pia­nu­ra trai­na­va il bar­roc­cio o po­te­va es­se­re a­di­bi­to a far gi­ra­re le ma­ci­ne dei mu­li­ni, le­ga­to alla loro stan­ga, il muso ben­da­to, af­fin­ché non ve­des­se.”

Ma c'era anche chi lo usava come ca­val­ca­tu­ra: Gesù Cri­sto entrò a Ge­ru­sa­lem­me a dorso di un asino, Ro­bert Louis Ste­ven­son nel 1878 (per il suo viag­gio nelle Ce­ven­ne) si av­val­se di un'asina di nome Mo­de­sti­ne, Gia­co­mo Puc­ci­ni era so­li­to spo­star­si, per rag­giun­ge­re la sua villa di Chia­tri, a dorso di un asino di Mar­ti­na Fran­ca.

L'Asino è stato og­get­to di culto o mezzo di sa­cri­fi­cio nell'an­ti­chi­tà clas­si­ca o­rien­ta­le ed a­fri­ca­na: l'a­do­ra­zio­ne dell'asino (o­no­la­tria) da parte degli Ebrei nel de­ser­to, nell'an­ti­co E­git­to è l'a­ni­ma­le totem del dio Seth. Nella Roma im­pe­ria­le l’o­no­la­tria fu stru­men­ta­liz­za­ta dai pa­ga­ni come prova ul­te­rio­re di scher­no nei con­fron­ti dei primi Cri­stia­ni e dei Giu­dei. Un asino sarà pre­sen­te nella man­gia­to­ia in cui na­sce­rà Gesù Bam­bi­no.

Tanti anche gli asini della let­te­ra­tu­ra a par­ti­re dall'Asino d'oro di A­pu­leio, per pas­sa­re all'asina Ba­laam dell'An­ti­co Te­sta­men­to, o a Ca­di­chon, l'eroe delle “Me­mo­rie d'un asino” della con­tes­sa di Ségur o il pic­co­lo e dolce Pla­te­ro pro­ta­go­ni­sta del libro del poeta spa­gno­lo Juan Ramon Ji­mé­nez, fino a Bal­tha­zar, l'asino pro­ta­go­ni­sta del film "Au ha­sard Bal­tha­zar" di Ro­bert Bres­son.

Non pos­sia­mo poi di­men­ti­ca­re che l'e­qui­no diede il nome a un fa­mo­so set­ti­ma­na­le sa­ti­ri­co che tra la fine dell’Ot­to­cen­to e la prima guer­ra mon­dia­le con i suoi “ragli” ha cer­ca­to di far male a po­ten­ti e pre­po­ten­ti. Nato nel 1892, pochi mesi dopo la fon­da­zio­ne del PSI, e a lungo e­spres­sio­ne della po­li­ti­ca dei so­cia­li­sti e degli a­nar­chi­ci "L'Asino", fon­da­to da Guido Po­drec­ca e Ga­brie­le Ga­lan­ta­ra, aveva sotto la te­sta­ta una frase che ne spie­ga­va il ti­to­lo: “Come l’asino è il po­po­lo: umile, pa­zien­te, ba­sto­na­to”. Per anni i pun­tua­li ar­ti­co­li di Po­drec­ca e le pun­gen­ti vi­gnet­te di Ga­lan­ta­ra, hanno nar­ra­to fatti e mi­sfat­ti di un’I­ta­liet­ta, non molto di­ver­sa da quel­la dei no­stri tempi.

Già a Car­ta­gi­ne l'asino era usato in forma ca­ri­ca­tu­ra­le. Sin da quei tempi la sua con­si­de­ra­zio­ne spre­gia­ti­va ed of­fen­si­va è ge­ne­ral­men­te en­tra­ta nell'uso di quasi tutti i paesi, par­ti­co­lar­men­te eu­ro­pei. L'uomo, assai di rado ri­co­no­scen­te, l'ha so­ven­te ad­di­ta­to a e­sem­pio di ca­par­bie­tà e i­gno­ran­za di­men­ti­can­do­si che con quell'e­qui­no tanto di­sprez­za­to, con la sua u­mil­tà e ca­par­bie­tà ha con­tri­bui­to a crea­re la no­stra ci­vil­tà.

lo schermo.it

pagina web a cura di Giusppe Serrone