Lorca, l'usignolo della bellezza
Con questa ricchissima monografia Gabriele Morelli riporta il fuoco dell’attenzione su Federico García Lorca(1898-1936), che in diverse fasi della nostra cultura entrò nella poesia e nel teatro italiani con la forza prorompente della sua musica variatissima (Garcia Lorca, Salerno, pp. 320, € 16).
Nella bibliografia sterminata su Lorca conferiscono a questo libro una preziosa unicità la frequentazione di Morelli con i suoi eredi (la sorella Isabel e Manuel Fernandez-Montesinos García, figlio dell’altra sorella Concha e di Manuel, il cognato fucilato poco prima di lui) e con gli ultimi testimoni: la passione critica che accompagna ogni istante il farsi della poesia nella vita pubblica e privata, nella condizione drammatica dell’omosessualità e in tante zone d’ombra non risolte, che culminano con la morte: la viva descrizione degli ambienti, dall’infanzia di Federico immersa nella natura di Fuente Vaqueros a Granada, Madrid, New York, Cuba, il Sudamerica, la Spagna cupa che lo martirizza.La parola di García Lorca nasce con la musica, una trasmissione materna che include lo zio Baldomero, il maestro Segura, e dal 1919 il grande Manuel de Falla: pianoforte e chitarra classica fusi nella ricerca sul campo di motivi popolari, gitani e moreschi. Ma essi diventano subito un’invenzione assoluta, una cosa nuova, mai conosciuta, su cui fioriscono tutte le sperimentazioni che Lorca prova instancabilmente.
Il poeta va a caccia: caccia notturna in un bosco lontanissimo. Prova «comprensione simpatica dei perseguitati. Del gitano, del negro, dell’ebreo... del moro che tutti noi portiamo dentro». Nel giugno 1936, quasi allo scoppio della guerra civile confessa che in quei momenti tragici l’artista deve «ridere e piangere col suo popolo. ... rinunciare al mazzo di gigli e tuffarsi nel fango fino alla cintola per aiutare quelli che cercano i gigli».Federico coglie come un’ape ora la libertà d’associazioni del surrealismo senza le sue gratuità (dopo il primo Libro de poemas 1921, nel Poema del cante jondo 1921/2-1931, nelle Canciones 1924, nel Romancero gitano 1928).
Ora acuisce e dilata suoni e fantasmagorie dell’America nell’età del jazz, della cultura negra che lo appassiona, e della mostruosità di Wall Street alla vigilia del crollo nel Poeta en Nueva York 1929/30-1940: e che meraviglia la fluente, liberata “Oda a Walt Whitman”. Ora assorbe l’eros di Hafiz incarnato in El Andalus nel Diván del Tamarit(1936). Ora trasforma Shakespeare, Góngora, san Juan de la Cruz e il Cantico nei portentosi Sonetos del amor obscuro che vennero scoperti dopo la morte, editi nel 1984: poesia d’amore di una bellezza quasi inarrivabile.In un testo non bello del 1818, “El canto del miel”, Lorca dichiara l’ascendenza mitica del poeta ape: i Greci chiamano api le Muse.
La sua arnia è una stella casta, pozzo di ambra che alimenta il ritmo delle api. La poesia è il miele, che addensa metafore: parola di Cristo, oro fuso del suo amore, la cui perfezione di nettare è mummia della luce del paradiso: materialità dell’infinito, anima e sangue dolente dei fiori condensata attraverso un altro spirito: canto dell’età dell’oro, liquore divino dell’umiltà, incarnazione dell’armonia, essenza geniale e dorata del lirismo, dolce come il ventre delle donne, gli occhi dei bambini, le ombre della notte, una voce, un giglio: supremo sole che illumina, consola, equivale a tutte le bellezze, al colore, alla luce, ai suoni: liquore divino della speranza dove l’anima e la materia in unità raggiungono equilibrio perfetto come nell’ostia il corpo e la luce di Cristo.
“El canto del miel” esalta la lirica: musica dolcezza che viene dal dolore. Una scelta sacra, sacrificale, per niente di moda oggi.Come espone ampiamente Morelli, intorno a Lorca sin dagli anni Venti e non solo in Spagna, s’irradiano interessi e scambi di un ambiente internazionale con al centro Jiménez, Ortega y Gasset, Unamuno, Valle-Inclán, i Machado. Vi si uniscono i più giovani Salvador Dalí e Luis Buñuel, Jorge Guillén, Rafael Alberti, Pablo Neruda, Vicente Aleixandre, Damaso Alonso, Gerardo Diego, Luis Cernuda. Le arti si fondono con le lettere, il teatro le riassume, e prima l’attività della Barraca con la diffusione dei classici nelle campagne, poi i tour oltreoceano espandono la meteora di Lorca.
D’improvviso, la sua barbara esecuzione da parte di militanti franchisti gettò l’aura del martirio sul fascino che già lo circondava, non solo in chi ne aveva riconosciuto subito il genio mobilissimo e la grazia suprema di grande malinconico. Si riverberava in ogni forma di mitizzazione.Nel 1955 la voce di Federico García Lorca risuonò nelle case italiane attraverso le profonde vibrazioni del Lamento per Ignacio Sanchez Mejias letto da Arnoldo Foà col commento musicale di Mario Gangi per la chitarra di Piero Gosio, che scandiva l’andamento a concerto del poema. Tutti furono conquistati da una poesia nobile e tragica, potente e suasiva, familiare per la sua classicità e insieme esotica, che esaltando la figura di Ignacio non solo torero ma simbolo della cultura spagnola, attraeva verso paesaggi di un comune fondo mediterraneo bruciato da miti oscuri e solari, da tenerezze soavi e profumi arabizzanti, da ferocie sanguinose e da un nero abbagliante. Carlo Bo, che dopo Angiolo Marcori (Poeti nuovi di Spagna, “Rassegna Nazionale”, 1930), Giuseppe Valentini e in seguito Oreste Macrì aveva tradotto Lorca verso la fine degli anni Trenta e nel 1962 ne avrebbe pubblicato tutte le poesie con Guanda, un anno dopo l’edizione di Vittorio Bodini di tutto il teatro per Einaudi, presentava il Lamento come il frutto più maturo, un vero e proprio testamento, “la parte più alta” della poesia di Lorca nel senso dell’elegia.
avvenire
L’ Appennino noir di Guccini & Macchiavelli
Una biblioteca per hotel, in vacanza con un libro. Dieci alberghi da scoprire per la Giornata Mondiale del Libro
Book and Bed, a Tokyo, dispone di quasi duemila libri in giapponese e in inglese. Chi vi soggiorna può scegliere cosa leggere da una vasta collezione posta nella hall, accendere la lampada da lettura e lasciarsi trasportare nella magia del proprio romanzo.
Una zona benessere, una piscina sul tetto, un panorama mozzafiato sulla città. B2 Boutique Hotel + Spa, nel centro di Zurigo, offre tutto questo ai visitatori ma, soprattutto, una biblioteca privata con ben 33 mila volumi. Il Carlisle Bay, nell'arcipelago delle piccole Antille, unisce il piacere del mare caraibico a quello della lettura, con una biblioteca ricca di volumi e un ambiente illuminato adatto a chi vuole soffermarsi ore a leggere un buon libro. Mobili d'antiquariato di alto pregio e dettagli storici ricordano l'epoca di Charles Dickens e Jane Austen nell'Hazlitt's, antico edifico di inizio '700 di Londra. Non c'è nulla di meglio che lasciarsi coccolare dalla lettura di un romanzo davanti al camino. Costruito su antiche rovine inca, il JW Marriott El Convento Cusco, in Perù, è la base ideale per esplorare il magnifico Machu Picchu ma anche per leggere i romanzi di Mario Vargas Llosa sotto i suoi soffitti a volta peruviani. Filosofia, tecnologia, arte: ce n'è per tutti i gusti al Library Hotel di New York, la cui biblioteca dispone di oltre seimila libri di dieci categorie diverse. Non da meno il Taj Falaknuma Palace, a Hyderabad, antica residenza di uno degli uomini più ricchi dell'India: anche qui, in un'affascinante biblioteca costruita in vetro e quercia, migliaia di volumi a disposizione di chi vi soggiorna. Si chiama, invece, The Library l'hotel thailandese dedicato ai libri: è stato ideato, infatti, per offrire spazi di lettura in una struttura moderna corredata da una piscina di design.
Situato nel campus dell'università del Minneapolis, The Commons Hotel è il posto ideale in cui rilassarsi lontano dal caos della città: la biblioteca interna è di certo un buon aiuto. Non può mancare, infine, l'Italia. Il Salviatino è una villa quattrocentesca in stile rinascimentale, annidata tra le dolci colline toscane, luogo perfetto per trovare tranquillità e abbinare una buona lettura a cibo gourmet, vini doc e a una vista panoramica su Firenze.
ansa
A tutto peperoncino, viaggio piccante tra mercatini e ricette tipiche
Grand Tour della memoria. La nostalgia come arma contro la rassegnazione e il disincanto
(RAFFAELE LA CAPRIA, ULTIMI VIAGGI NELL'ITALIA PERDUTA (BOMPIANI, PP. 188, EURO 13,00).
I 'sacri siti' di un tempo, Positano, Ischia, Procida, l'amatissima Capri, la stessa Napoli e tanti luoghi dell'Italia meridionale e della Sicilia, ripercorsi attraverso le pagine di autori come Norman Douglas, Giovanni Comisso, Norman Lewis, Giuseppe Ungaretti e poi rivissuti attraverso i ricordi, in un ideale pellegrinaggio tra l'immensità azzurrina dei Faraglioni, sprazzi di villeggiature ischitane, estati di "abitudini e modesti svaghi", spesso insidiati da "una sottile malinconia".
Raffaele La Capria ci guida in questo Grand Tour della memoria, tra paesaggi mediterranei e autobiografia intellettuale, sul filo della nostalgia, "che non è più un sentimento romantico abbellito dal ricordo", ma diventa un'arma "contro la rassegnazione e il disincanto, e serve a non lasciar andare le cose come vanno, cioè verso l'inesorabile degrado". Il viaggio si muove sulle tracce di autori come George Gissing, che si spinge 'Sulle rive dello Jonio' da Napoli verso la Calabria e scopre "la presente dolorosa realtà" del Sud, o Norman Douglas, autore di una serie di monografie su Capri in cui si intrecciano storia, religione e piacere di vivere. E poi l'incontro tra Giovanni Comisso e Napoli, in cui scocca "la scintilla di un'attrazione reciproca", o il 'Viaggio nel Mezzogiorno' di Giuseppe Ungaretti, in cui il poeta fa nascere "accostamenti, associazioni, intuizioni e metafore che sono vere e proprie 'illuminazioni' sulla Storia e sul Mito". E la visita nella villa di Curzio Malaparte a Capri, con le mattonelle di ceramica dipinte da Savinio, il ritratto fatto da Campiglio "bellissimo e stilizzato" o il camino con il fondo di vetro attraverso il quale si intravedevano i Faraglioni. Un percorso alla riscoperta della 'grande bellezza' perduta.
Una bellezza, precisa La Capria, che "non è un fatto puramente estetico, ma ha a che fare con la nostra più segreta identità e con la nostra memoria immaginativa che, come ognun sa, è quella che ci accompagna nelle varie età della vita ed è legata ai nostri ricordi più cari, ai nostri sogni, alla nostra fantasia e alle nostre facoltà creative, alle nostre energie spirituali. Le linee di un paesaggio, il verde di una collina, uno specchio di mare, ci parlano nel tempo, restano impressi in noi, diventano pensiero e parola, fan parte della nostra esistenza". La Capria indugia poi sulla sua 'geografia personale', con il golfo di Napoli conteso tra la visione omerica, fatta di roccia a strapiombo sul mare, e quella virgiliana, fatta di tufo, caverne stillanti, verde campagna che degrada verso la costa, Positano, la costiera, Ischia, Procida e soprattutto Capri, capace di ispirare a chi la visita "uno stupore e un timore come quello che si prova quando entriamo in rapporto col mistero".
Capri fatta di rocce e balze alla Jurassic Park, Capri marina con le sue grotte e insenature, Capri agreste "dove la vegetazione infuria e il lavoro del contadino è ancora visibile nei gesti antichi", Capri cittadina e paesana, artistica e archeologica, alta e bassa. Ed è struggente cercare con lo scrittore, da lontano, da una barca in mezzo al mare, la casa caprese sotto il monte Solaro abbandonata per sempre e scorgerla lassù, una macchiolina bianca nel verde. Nostalgia, sì. Ma "oggi la funzione del nostalgico - conclude La Capria citando un passo del suo 'L'occhio di Napoli' - è quella di ripetere ostinatamente ai disincantati com'era pulito il mare quando era pulito, com'era bella la giornata quand'era bella, e com'era vivibile la città quando era vivibile. Com'era chiara l'acqua a Posillipo quando era chiara, non è solo il ricordo di un 'nostalgico', perché la chiarezza di quell'acqua è simbolica, è un momento creativo della memoria che invoca una possibile rigenerazione".
ansa
Giuseppe Lorin: cultura e storia nel primo romanzo postfantastorico
Dagli Etruschi a Enea e a Romolo e Remo, dalle vestali ai sette colli, dalla Fides alle società segrete, dall'inquisizione ai libri al rogo, dai Templari ai Cavalieri di Malta, dalle chiese dell'Aventino ai segreti nascosti in esso, dai riti mitriaci al Castello della Magliana, dal "biondo Tevere" il racconto dell'ultima notte di Pier Paolo Pasolini... e altro ancora. Dopo la fantasia e la storia c'è la realtà che va descritta e raccontata minuziosamente nel rispetto della verità. I personaggi descritti, le loro storie e i luoghi rispecchiano l'autenticità narrativa.“
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“Per le antiche strade”: Venerdì 18 Luglio 2014 a Termini Imerese tra storia ed emozioni
il Salone del Camper 2013 / Presentazione del libro "Io faccio così" di Daniel Tarozzi. Viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che cambia
Parole in controluce sul tema del viaggio
di Gian Maria Annovi
SAGGI Da Anne Carson un testo che fonde critica e lirismo
Parole in controluce sul tema del viaggio
LIBRI: ANNE CARSON, ANTROPOLOGIA DELL'ACQUA, DONZELLI, PP. 165, EURO 24
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Nata in Canada nel 1950, Anne Carson è da tempo considerata tra le maggiori voci poetiche in lingua inglese. Nonostante alcune traduzioni poetiche siano comparse, soprattutto grazie a Antonella Anedda, su blog e riviste, in Italia Anne Carson è conosciuta dal grande pubblico solo per il romanzo Autobiografia del Rosso (Bompiani, 2000), che rifacendosi alla lontana ai miti greci (Carson è una raffinata latinista e grecista e ha insegnato in prestigiose università nordamericane) racconta le sofferte vicende di un mostro moderno, Gerione, giovane alato dalla pelle rosso fuoco. Se Bompiani non avesse eliminato dalla copertina il sottotitolo originale, anche i lettori italiani sarebbero avvertiti che questo libro stranissimo e splendido, considerato come una vera rivelazione letteraria da Susan Sontag e Alice Munro, è «un romanzo in versi»: un'opera di poesia.
Che poesia sia però un termine assai fluido nel caso di questa scrittrice, lo prova il bellissimo libro appena pubblicato da Donzelli nella sua collana di saggi: Antropologia dell'acqua, curato e tradotto dalle poetesse Antonella Anedda e Elisa Biagini e dall'italianista Emmanuela Tandello. Così come Autobiografia non è propriamente un romanzo, Antropologia dell'acqua - che costituisce solo la parte quinta della più ampia raccolta Plainwater: Essays and Poetry (Knopf, 1995) - non è davvero un saggio, tanto che la prima parte che lo compone, Tipi di acqua, pubblicato inizialmente nel 1987, venne poi inclusa in The Best American Poetry of 1990, attirando per la prima volta l'attenzione del pubblico americano.
Il fascino del lavoro di Anne Carson risiede proprio nell'eleganza e naturalezza con cui la sua scrittura, «felicemente inclassificabile», fonde lirismo e metodo critico, prosa diaristica e linguaggio accademico, incrostandosi come una conchiglia di materiali provenienti dalle fonti più disparate. È un'operazione che Carson conduce a freddo, come immersa nelle profondità del lago al centro dell'ultima sezione del volume, Margini d'acqua. Un saggio di mio fratello sul nuoto che, descrivendo il moto del fratello nuotatore, scomparso misteriosamente, traccia il confine liquido tra parola e assenza, tra respiro e apnea esistenziale.
Antropologia dell'acqua è una riflessione sui «fragili meccanismi che ci salvano dall'annegare», ma letto in controluce, quasi fosse stato scritto con pioggia su carta di riso, attraverso la decostruzione del tema classico del viaggio, si rivela anche un trattato postmoderno sull'amore: un'ordalia dell'acqua per la devozione filiale e amorosa. Così come l'antica cortigiana cinese Lady Cheng, una delle figure evocate nella seconda sezione, Solo per il brivido, Anne Carson si diverte a disegnare mappe di parole che resistono all'oggettività e pongono il lettore di fronte a continue domande sulle proprie convinzioni e percorsi mentali.
Da un lato troviamo il viaggio in macchina fino al confine occidentale estremo dell'America, dall'altro il pellegrinaggio a piedi verso Santiago di Compostela, che si conclude però simbolicamente a Finisterre, un tempo considerato la fine del mondo conosciuto. Anne Carson è interessata agli estremi e il suo mondo ha margini fatti d'acqua, dove la parola è flusso e il pensiero pozza: l'acqua - scrive - «è qualcosa che non si può trattenere. Come gli uomini». Antropologia dell'acqua è infatti poesia che si fa anche ricerca epistemologica dell'altro amoroso, qualcosa che - per chi lo incontra - proprio come un pellegrino, è sempre xenos, ospite e straniero allo stesso tempo.
Che anche il linguaggio viva il rischio di questa doppia condizione, lo rivela l'attenzione con cui Anne Carson descrive l'Alzheimer del padre, le cui parole, prive di riferimento alla realtà, sono come le mappe della cortigiana: tracciano cammini che solo qualcuno completamente perso nella propria solitudine può percorrere. Allo stesso tempo, proprio il liquefarsi della lingua paterna è ciò che la porta a ridefinire la propria identità femminile, a emanciparsi da modi espressivi che altrimenti non conoscerebbero il senso del fluire. Grazie alle attente traduzioni di Anedda, Biagini e Tandello, anche il pubblico italiano può ora lasciarsi sommergere dalla lingua di questa scrittrice straordinaria.
Sognando terre diverse
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Sognando terre diverse con Guillaume Duprat
a cura di Alexander Karelin
Venerdì, 25 Giugno 2010
Sognando terre diverse con Guillaume Duprat L’illustratore francese Guillaume Duprat ne ha scoperte tante e le ha disegnate ne “Il libro delle terre immaginate” edito in Italia da L’Ippocampo nel 2009. Certo questo non vuol dire che di terre immaginate non ce ne sono più!
Nel pomeriggio di venerdì, nel parco di Villa Maioni, con l’aiuto linguistico di Katia Rossi, Guillaume Duprate propone ai bambini di Verbania e dintorni di crearne delle altre, anche se tutti i bambini sanno che la terra è una sfera. (Infatti – solo gli adulti sembra che abbiano ancora dubbi su questo).
E lui, che di terre immaginate ha fatto un libro, ha poi raccontato, usando i disegni creati dai ragazzi, come diversi popoli dei cinque continenti immaginassero la terra prima che l’esploratore Ferdinando Magellano compisse il primo viaggio intorno al globo, fornendo la prova definitiva che la terrà altro non è che una sfera – cosa che i filosofi greci ipotizzavano quasi duemila anni prima.
Ci furono i popoli africani che immaginavano la terra come un triangolo o gli aborigeni australiani che la vedevano come un labirinto fatto di corridoi infiniti, percorrendo i quali, il sole e la luna apparivano nel cielo... e allora perché non sognare un’altra terra, anche se si sa che è una sfera?!
letteraltura.it
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone
Nei libri c'è tutto, anche per viaggiare: lo scopri a Verbania per LetterAltura 2010
a cura di Alexander Karelin
Venerdì, 25 Giugno 2010
Nei libri c’è.... Tutto! “E questa che nave è?”, chiede ai ragazzi seduti attorno a lui, aprendo un altro libro e facendone uscire una fantastica caravella con le vele rattoppate e un mare in tempesta.
“Una barca a vela”, risponde uno dei bambini.
“Eh sì, mica è una barca a motore! Certo che ha le vele! Ma come si chiama?”, insiste. Fino a quando qualcuno dice “La perla nera” (dopo “Nave dei pirati” e tanti altri nomi).
E quindi si passa al prossimo libro, quello sulle mummie, a un altro sui faraoni e poi a un altro ancora che parla degli insetti...
Perché nei libri, come dice Sergio Guastini, c’è tutto!
Ci vuole solo un po’ di magia e di fantasia – “merce” che ha in abbondanza – per coinvolgere tutti nella sua infinita avventura nel mondo dei libri, un’avventura che condivide con passione e dedizione con chiunque abbia voglia di ascoltare e, soprattutto, partecipare. Che gusto c’è in un avventura se non hai con chi condividerla?
E per fortuna di bambini – piccoli e grandi – con cui lanciarsi in un viaggio dell’immaginario nei mondi delle fiabe ce ne sono a Verbania, a quest’edizione di LetterAltura. E perché? Perché nei libri c’è tutto!
letteraltura.it
libro segnalato da Turismo Culturale
Ambiente, turismo e competitività sostenibile. Come rendere la tutela ambientale un moltiplicatore di sviluppo locale € 25,00
Descrizione:
La tutela ambientale e le aree naturali protette sono comunemente viste come un limite allo sviluppo dell'economia del territorio. Questo libro vuole ribaltare la visione comune, dimostrando come, all'opposto, e specialmente in momenti di crisi generale, l'istituzione di aree protette rappresenti un moltiplicatore di sviluppo e di ricchezza per il territorio, soprattutto grazie alla leva turistica. Secondo la ricerca svolta dall'Istituto per la competitività (l-com), su incarico del Ministero dell'Ambiente, le Aree Protette italiane sono divenute, con alcuni casi di eccellenza, il luogo privilegiato di sintesi tra sostenibilità e competitività, vista la duplice necessità di promuovere, da una parte, lo sviluppo delle comunità locali e, dall'altra, di proteggere territori ad elevato pregio ambientale. Ambiente, turismo e competitività, di conseguenza, non sono più termini in contrasto tra loro ma possono divenire parole chiave (in perfetta armonia) di una diversa governance ambientale. Pur nell'assenza di un tessuto normativo omogeneo e di strumenti economici coerenti volti a integrare territorio e popolazione, la ricerca evidenzia, infatti, anche attraverso un'analisi comparata, come la tutela ambientale sia un importante moltiplicatore di sviluppo locale. Proteggere l'ambiente, dunque, sembra essere la via migliore per arricchire un territorio. Anche in termini economici.
LetterAltura: un festival di asini
VERBANIA, 25 giugno- “Asini e filosofi” è questo il titolo di un interessante libro di Francesca Rigotti (docente dell'Università di Lugano) e Giuseppe Pulina (direttore della rivista “Mneme Ammentos”) edito da Interliea che sarà presentato sabato alle ore 17.45, alla Villa Pariani di Verbania all'interno della manifestazione “LetterAltura” che quest'anno rende omaggio a questo prezioso animale che ha affascinato filosofi e scrittori.
La filosofia dell’asino intesa non come la dottrina di pensiero di tale animale, ma il tipo di riflessioni che l’asino ha suscitato nel filosofo. Dall’Asino d’oro di Apuleio a Nietzsche, fino al Ciuchino di Shrek. Un’originalissima rassegna su “ontologia, razionalità, sessualità e voce dell’asino, campione attualissimo dell’ibridismo e grande protagonista di metamorfosi”.
Tante e singolari le riflessioni che compongono il libro, una tra tante è l' “incanto di un raglio”: “Il verso dell’asino può produrre in chi l’ascolta un’eco suggestionante. Ruvido, possente, viscerale, il raglio non lascia indifferente. […] Di questo fa parola il principe Myškin, protagonista de L’idiota di Dostoevskij, nel ricordo dei suoi primi giorni in Svizzera. “Mi ricordo che riuscii a strapparmi a quello stato di torpore una sera a Basilea, al nostro ingresso in Svizzera, quando venni svegliato dal raglio di un asino sul mercato della città. Quel raglio d’asino mi colpì straordinariamente, chissà perché, e mi piacque moltissimo; da quell’istante, all’improvviso, fu come se tutto mi tornasse chiaro in testa””.
Famoso è il paradosso dell'asino di Giovanni Buridano logico francese del XIVV secolo che si occupò dell'analisi della volontà umana: un asino che posto tra due cumuli di fieno perfettamente uguali e alla stessa distanza non sa scegliere quale iniziare a mangiare morendo di fame nell'incertezza.
Un’altra interessante considerazione nasce dall’asino come protagonista di cartoon e film d’animazione: “Sul grande schermo l’asino guadagna in sicurezza e determinazione, sino a rasentare qualche volta la sfrontatezza. Mantiene sempre in sé la dolce goffaggine che anche agli occhi dei bambini sa trasformarlo in un amabile quadrupede. In realtà, non è una vera trasformazione, perché l’asino non è un animale camaleontico e opportunista. Quasi sempre l’asino è il terminale, il punto ad quem di un processo involutivo […] l’asino è sempre asino, perché, per usare le parole di Giordano Bruno, è più facile “inasinirsi” che “inumanirsi”, e questo vale anche nel fantasticante mondo dell’animazione”.
L'alleanza tra asini e uomini è antica: equini addomesticati che entrarono nella vita quotidiana dei nostri avi. “L'asino- ha scritto Vincenzo Pardini in un articolo su TuttoLibri- è l'animale della pace, il cavallo della guerra. Mite, collabora con l'uomo che, non sempre, proprio perché uomo, ne ha apprezzato le doti. Tenuto dalle famiglie per soddisfare le esigenze del quotidiano in montagna portava le some, in pianura trainava il barroccio o poteva essere adibito a far girare le macine dei mulini, legato alla loro stanga, il muso bendato, affinché non vedesse.”
Ma c'era anche chi lo usava come cavalcatura: Gesù Cristo entrò a Gerusalemme a dorso di un asino, Robert Louis Stevenson nel 1878 (per il suo viaggio nelle Cevenne) si avvalse di un'asina di nome Modestine, Giacomo Puccini era solito spostarsi, per raggiungere la sua villa di Chiatri, a dorso di un asino di Martina Franca.
L'Asino è stato oggetto di culto o mezzo di sacrificio nell'antichità classica orientale ed africana: l'adorazione dell'asino (onolatria) da parte degli Ebrei nel deserto, nell'antico Egitto è l'animale totem del dio Seth. Nella Roma imperiale l’onolatria fu strumentalizzata dai pagani come prova ulteriore di scherno nei confronti dei primi Cristiani e dei Giudei. Un asino sarà presente nella mangiatoia in cui nascerà Gesù Bambino.
Tanti anche gli asini della letteratura a partire dall'Asino d'oro di Apuleio, per passare all'asina Balaam dell'Antico Testamento, o a Cadichon, l'eroe delle “Memorie d'un asino” della contessa di Ségur o il piccolo e dolce Platero protagonista del libro del poeta spagnolo Juan Ramon Jiménez, fino a Balthazar, l'asino protagonista del film "Au hasard Balthazar" di Robert Bresson.
Non possiamo poi dimenticare che l'equino diede il nome a un famoso settimanale satirico che tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale con i suoi “ragli” ha cercato di far male a potenti e prepotenti. Nato nel 1892, pochi mesi dopo la fondazione del PSI, e a lungo espressione della politica dei socialisti e degli anarchici "L'Asino", fondato da Guido Podrecca e Gabriele Galantara, aveva sotto la testata una frase che ne spiegava il titolo: “Come l’asino è il popolo: umile, paziente, bastonato”. Per anni i puntuali articoli di Podrecca e le pungenti vignette di Galantara, hanno narrato fatti e misfatti di un’Italietta, non molto diversa da quella dei nostri tempi.
Già a Cartagine l'asino era usato in forma caricaturale. Sin da quei tempi la sua considerazione spregiativa ed offensiva è generalmente entrata nell'uso di quasi tutti i paesi, particolarmente europei. L'uomo, assai di rado riconoscente, l'ha sovente additato a esempio di caparbietà e ignoranza dimenticandosi che con quell'equino tanto disprezzato, con la sua umiltà e caparbietà ha contribuito a creare la nostra civiltà.
lo schermo.it
pagina web a cura di Giusppe Serrone