Gastronomia / Massimo Bottura, lo chef sulla cima del mondo


Nella galassia dei ristoranti la stella che brilla di luce più viva è italiana. E modenese: l’Osteria Francescana di Massimo Bottura. Tanta soddisfazione ma, diciamocelo, sorpresa relativa. È come se il Brasile vincesse i Mondiali di calcio o, meglio, gli Usa le Olimpiadi del basket. Anche se siamo primi pure nell’arte di denigrarci, con il mitico Tafazzi come eroe nazionale, nel cibo siamo inequivocabilmente primi. Bottura poi lo scudetto se l’è guadagnato con certosina pazienza: terzo nel 2013 e nel 2014, secondo l’anno scorso. E adesso finalmente primo, scalzando i soliti spagnoli del Cellar Can Roca di Girona, nella classifica stilata da mille esperti gastronomi di tutto il mondo reclutati dalla rivista inglese 'Restaurant'. 

Che cosa è piaciuto di Bottura? Nella motivazione del premio si legge: «In un paese in cui la cultura del cibo è profondamente conservatrice, Bottura ha avviato un percorso audace e talvolta controverso raccogliendo poi consensi in tutto il mondo e conquistando anche la critica italiana», notoriamente tra le più difficili da accontentare. Ma di Bottura pare sia stato apprezzato anche il 'cuore sociale', quello che nell’anno dell’Expo lo ha spinto, con il regista Davide Rampello ideatore del Padiglione Zero, a proporre alla Caritas di Milano un’iniziativa a favore dei poveri per recuperare gli 'avanzi', si fa per dire, dei tanti locali dell’Expo. Niente sprechi, e riciclo, dunque. È così che è nato il Refettorio Ambrosiano in un teatro degli anni ’30 in disuso, adiacente alla parrocchia di San Martino a Greco. 

Sfamare tutte le sere i poveri con gli alimenti avanzati all’Expo, dando un esempio concreto di come si può e si deve lottare con creatività contro lo spreco. Ma non solo. Ci si nutre di cibo ma anche di bellezza. Così il refettorio Bottura-Caritas-Rampello, in stretto ordine alfabetico, è impreziosito da opere d’arte di Enzo Cucchi, Carlo Benvenuto, Maurizio Nannucci, Mimmo Paladino e Giuseppe Penone; e i tavoli sono firmati dai designer italiani Bellini, Cerri, Cibic, De Lucchi, Iacchetti, Lissoni, Mendini, Novembre, Origoni, Pesce, Rota, Terry, Thun e Patricia Urquiola. Durante l’Expo i pasti sono stati preparati da 40 grandi chef. Finito l’Expo, la Caritas Ambrosiana ha assunto completamente il servizio. Il Refettorio oggi ha 90 posti e prepara pasti caldi per i Centri d’ascolto e il Rifugio per i senza tetto della Stazione Centrale. 

L’idea di Bottura, dunque, oggi cammina con le proprie gambe. E un’altra idea sta per essere realizzata per i Giochi Olimpici: una 'soup kitchen' nelle favelas di Rio de Janeiro. Impossibile ieri parlare con Bottura, ancora negli Usa e assalito da giornalisti e troupe. Sul palco era stato visto commosso: «Mi vien quasi da piangere » aveva detto invitando la moglie Lara, americana, a raggiungerlo. «In questi giorni – aveva aggiunto – riuscire significa usare l’ingrediente della cultura, perché la cultura è conoscenza e la conoscenza apre le coscienze e crea responsabilità». Tutto sommato, dicevamo, un successo annunciato. Ieri la Coldiretti, congratulandosi con il miglior ristorante del mondo, dava cifre confortanti che avvalorano il successo del cibo italiano. 

Nel 2015 l’export agroalimentare italiano ha raggiunto il suo massimo storico, con 36,9 miliardi e un aumento dell’8 per cento rispetto al 2014. I turisti stranieri acquistano prodotti alimentari assai più che souvenir, abbigliamento e artigianato. In generale, l’Italia è unica al mondo con 4886 prodotti alimentari tradizionali censiti dalle regioni, 283 specialità Dop/Igp riconosciute dalla Ue e 415 vini Doc/Docg. E poi ti chiedi perché Bottura vince: è la vittoria sua, ed è la vittoria di un movimento.
Avvenire

Scaffale Basso / Vacanze, giochi e altri segreti degli amici animali

da Avvenire
Le vacanze della famiglia di Topo Postino non sentono il vento della crisi: il programma prevede una sorta di giro del mondo che spazia dai Tropici al deserto al Polo. E anche oltre. Chiuso l’ufficio, l’indefesso postino approfitta del viaggio di famiglia per consegnare gli ultimi pacchetti ad amici e parenti poi si dedica all’assoluto relax. Così facciamo conoscenza con zia Paolina che abita nei pressi di un bosco in una roulottina che sembra una casa di bambola, possiamo soffermarci a osservare il castello vista mare del signor Granchio, salire sulla nave da crociera che pare una lussuosa e mle vacanze degli animali.jpgoderna arca di Noè, approdare sull’isola vulcanica dove signor Tarzan abita una casa sull’albero e visitare la residenza estiva dell’amico Drago. 
E poi ancora ci possiamo infilarci nella carovana di dromedari che attraversa il deserto dove i grandi cactus sembrano b&b per lucertole, proseguire per la savana, visitare le grandi città e infine toccare le estreme lande del profondo Nord dove si può ammazzare il tempo prendendo amabilmente il tè nella dimora brinata del signor Polare… Insomma, giratele come volete ma Le vacanze degli animali (Orecchio acerbo; 13,90 euro) raccontate e illustrate con dovizia di particolari da Marianne Dubuc assomigliano molto a quelle degli umani, solo sono molto più divertenti e rilassate. Si capisce quanto Dai 4 anni 

Cosa fanno gli animali quando piove? Bè, se immaginate che i giorni bigi siano pieni di noia, fastidi e tristezze, sbagliate di grosso. Con i suoi inconfondibili disegni Soledad Bravi, illustratrice francese di fama, racconta quante cose si possono fare quando il maltempo costringe a stare al chiuso. 
cosa fanno gli animali quando piove.jpgIn questa sorta di catalogo dei tempi piovosi, per esempio, i leoni giocano a carte e gli struzzi approfittano per scatenarsi in un ballo di gruppo, il piccolo toro ritaglia le figurine mente lupo e giraffa si svagano con il calcetto. C’è chi sente musica e chi si legge una storia, chi si mette lo smalto alle unghie, chi fa merenda, chi dipinge e chi coglie l’occasione per improvvisare un bel tuffo o una bella nuotata… Cosa fanno gli animali quando piove? (Edizioni Clichy; 17 euro) è un albo che bene si presta a una lettura condivisa con i più piccoli i quali apprezzeranno i disegni divertenti, ben definiti a tinte forti e piene, contornati di nero. Dai 4 anni. 
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La firma di Leo Lionni non teme confronti. Con la sua consueta tecnica a collage, ci regala con questo E’ mio!(fatatrac; 15,90 euro) un racconto sulla tumultuosa relazione tra pari, amici o fratelli che siano. Non c’è pace per le tre rane litigiose che dall’alba al tramonto si contendono di tutto gracidando ad alto volume. E sbraitando l’odioso ritornello “è mio!”. È un grosso rospo a rimproverare le tre rane discole. Non si può vivere litigando, cercando di accaparrarsi ogni pezzetto di mondo. La soluzione è semplice: se, invece di sopraffare il prossimo, si provasse a condividere? Dai 3 anni. 

Credere alle favole non vuol dire negare l’evidenza. Dunque perché concludere sempre con quel ritornello fisso “… e vissero tutti felici e contenti” quando non è per nulla così? Giulia, lettrice appassionata di favole, ha capito che il drago non è affatto felice e neppure contento.giulia e il drago.jpg
Anzi, è piuttosto triste e depresso. Il re lo odia per colpa di quella incapacità a controllare il suo fiato spargi fiamme. E lui ne soffre. Se soltanto si riuscisse a trasformare un problema in una risorsa il gioco sarebbe fatto. Giulia, bambina intuitiva, ha un progetto ambizioso e furbo per il Drago. Le raffinate illustrazioni di Lesley Barnes fanno di Giulia e il Drago (Gallucci; 18 euro) un albo prezioso che costringe anche i più piccoli a ragionare sui talenti di ciascuno. Un patrimonio che, riconosciuto e bene incanalato, fa sì che ogni individuo possa realizzarsi in pieno. Dai 5 anni.

Architettura: il sacro nasce dalla realtà

È come mettere l’anima dentro a un corpo, far stare una chiesa dentro ai materiali edili. Un ossimoro eccellente, due pietre focaie che, scartavetrate fra di loro, generano la scintilla o l’incendio celeste. La difficoltà odierna nel concepirle è evidente quanto affascinante. So che sul tema è appena terminato un convegno a Bose. Secondo Aimaro Isola è il sagrato a contare più della facciata. Forse sì, ma quando la calamita è potente e il sagrato, per dirla, sia quello della basilica di San Pietro. Certo, il sagrato può essere luogo di intersezione di varie culture ma rischia anche di poter diventare il cortile dei gentili, che è un fuori rispetto al dentro del tempio. La chiesa invece è un dentro-fuori, senza sancta sanctorum o iconostasi di separazione. 

Bella la cattedrale di Medellin, forse capitale mondiale della droga. Le porte della facciata e quelle laterali del tempio sono tenute spalancate e, nei luoghi circostanti, dal sagrato, ci si ritrova all’interno, in un tutt’uno che non separa appunto l’esterno dall’interno e viceversa, come esattamente un anello di Moebius. A proposito del sagrato, si può rammentare quando nell’Ottocento i “folli di Dio”, nella Santa Russia, arrivavano a sputare sui portoni delle chiese, immagino significando che non solo nei riti sta il nocciolo. Gli stessi folli si fermavano a pregare sulle porte dei postriboli, significando, credo, un potente bisogno redentivo. Delle due situazioni forse sarebbe stata necessaria una sintesi fraterna.

Leggo ora, su “Avvenire”, l’intervista all’architetto cileno Cristián Undurraga, che può fare a meno di croce e altare, perché più astratto è il luogo e maggiore è la spiritualità che vi abita. Mi pare che il restauratore del Palacio de la Moneda malponga la questione. Il silenzio lo si può incontrare dove c’è. Basta trascorrere una notte in una stazione ferroviaria di testa o una giornata in un cimitero per percepire un silenzio che però, in sé, è neutrale. Tocca al beneficiato indirizzarlo e farlo proprio. La spiritualità è un’altra cosa. È sufficiente un viaggio in metropolitana all’ora di punta per sentire il folto dei corpi umani, l’odore e persino l’ingenuità di coprirlo con l’artefatto dei profumi. 

Penso alla ressa di malati in barella negli atri dei pronto soccorso urbani. Se il cuore non è piccolo, questi luoghi mescolano i salmi del male e la loro spiritualità. No, i non luoghi non esistono, sono gremiti invece da anime corporali. E la croce? È ineliminabile, perché la relativa religione è l’unica che viene da un martirizzato, che si fonda sull’eterna pena di morte, privilegio mostruoso del genere umano. Temo che l’idea di una caverna, col suo primitivismo, di cui l’architetto cileno dice, non sia una buona soluzione. 

È una inutile regressione ai primordi dell’umanità, perché il bene e il male non hanno un calendario qualsivoglia. Per significare, a mio avviso, come i luoghi sacri, asettici non invoglino all’incontro con il Padreterno, mi pesa ancora troppo la chiesa progettata da Renzo Piano per Padre Pio. Riesce persino a cancellare la spiritualità naturale di quell’Appennino con questa ostentazione di arconi che mi sono parsi più idonei per una fiera espositiva di trattori agricoli che non per recitare il Padre Nostro.

Anni addietro pensai, occupandomi di linguaggio, che l’architettura religiosa è la lingua del religioso abitare. Allora, con un amico architetto, partecipai addirittura a un concorso per la progettazione di nuove chiese. Non lo vincemmo, ma scelsi come forma dell’edificio quella di un pesce, preso pari pari dalle stilizzazioni nelle catacombe. Il pesce di calcestruzzo era circondato da acqua. Il tetto era di vetro ed era il fondo di un acquario ricco di pesci. Stando in chiesa, si sarebbero visti i pesci volare. Si poteva anche tornare a un modello naturale ma solo perché già mediato dalla prassi della storia della buona novella. Se non sbaglio, altri hanno poi, autonomamente usato l’idea.
Ma oggi, oggi, perché si devono scolorire i colori per renderli neutri, abolire gli spessori per ottenere un mondo di carta velina? Se oramai viviamo accatastati, in comune con gli oggetti, perché rifugiarsi in uno spazio che non c’è? Allora, sgomitando tra i calcestruzzi fraternamente dilaganti, penso alle tante fabbriche dismesse. 

Ecco, forse sono facilitato in questa sensibilità, dal fatto di essere figlio di un operaio. Lì, fra le mura abbandonate dell’industria, il martello ha battuto infiniti chiodi, crocefissa infinita fatica. Riattare un edificio simile, e preferisco proprio la parola riattare a quella restaurare, darebbe una chiesa già quasi consacrata di per sé, grazie alla sua propria storia. Ho visto ospedali abbandonati, poi trasformati in scuole. Cosa di meglio di quel luogo di innumerevoli viae crucis per diventare chiesa o essere di già una chiesa? E ancora mi riferisco alla dismissione di edifici carcerari. Luoghi di disperazione, suicidi, violenza e redenzione. Anche questa tipologia fa parte di una trinità di opportunità con dentro un’eco di emozioni, che di per sé danno luogo alla scaturigine della verticalità religiosa. 

Credo l’architettura della chiesa debba essere un’acqua potabile, non un’acqua distillata o sterilizzata. Deve recare in sé la sua naturale flora batterica, non essere figlia dell’antibiotico che garantisce purezza al momento ma promuove resistenza nell’indomani. Ecco, sono soltanto appunti, aggiunti per una riflessione centralmente al di fuori al mondo dell’architettura e solamente colloquiale con la mensa senza tovaglia del vino e del pane. Abbozzi che si giocano sull’inciampo nella realtà, per non buttare nulla della fatica e del dolore della storia, perché è lì che è contenuta la nostrana gloria.
Avvenire

Teatro Elettra, la tragedia greca è donna

Elettra è uno dei personaggi più ardui da comprendere della tragedia greca, e con Antigone e Medea rappresenta l’eroina irriducibile, dilaniata da odio e sete di vendetta. Vendetta fondata su giustizia, ma con un’equazione assolutamente barbarica. La meno moderata delle tre, la maga Medea, per punire il marito adultero uccide i suoi stessi figli. Anche la tragedia moderna, elisabettiana, conosce figure femminili perniciose, ma esistono differenze: Lady Macbeth, orrenda criminale, diviene tale dopo un patto con gli spiriti, cadendo preda del potere delle streghe. 

Nella tragedia e nel mito greco altre donne più profondamente mi colpiscono: Penelope, Arianna, Eco, Cassandra, Andromaca. Certo, si potrebbe obiettare, prediligo grandi donne sconfitte, non quelle lottanti. No, sento più tragicamente vere, rispetto alle assetate di giustizia e vendetta, alle barbare, quelle lottanti e magari sconfitte, come Cassandra, o Andromaca, la moglie del grande Ettore, fatta schiava con le altre nobili troiane dai brutali vincitori greci. Ma Penelope invece vince, solo tornando a lei Ulisse può compiere il suo viaggio e il suo destino. 

Arianna, abbandonata da Teseo che ha salvato dal Labirinto, è però visitata sull’isola di Nasso da Dioniso, il dio della rigenerazione e della vita, che, amandola ricambiato, la tramuterà in stella. Elettra cova un odio indomabile, poiché efferato è stato il comportamento della madre Clitennestra, che ne ha massacrato il padre – il grande Agamennone di ritorno vittorioso da Troia – in combutta con il vile amante Egisto, con cui vive e sguazza nella reggia di Argo. Mentre il figliolo Oreste, erede maschio del nobile Agamennone, è stato salvato da un’anima buona che lo ha allontanato dalla corte e dalla morte certa, Elettra è umiliata e ridotta al ruolo di schiava. Intuibile la difficoltà del-l’attrice che interpreta questo personaggio di Sofocle, e del regista che la deve guidare: Elettra non può essere una maschera infuriata, una donna primitiva posse- duta solo da odio, perché manifesta anche un animo femminile, amante della vita nel suo giusto equilibrio, e nobile, perché insofferente dell’ingiustizia. 

Federica Di Martino riesce molto bene nell’impresa: la sua Elettra non è una maschera isterica, con la bava alla bocca, ma, grazie a un uso eccellente delle voce in sintonia con i movimenti del viso, del collo, del tronco, il suo dolore assume un’espressione di pietà di effetto quasi cinematografico. Nel vasto spazio del teatro (dove si sedettero Platone in rotta con Atene, e il grande Eschilo, offeso con Atene che gli aveva proferito, col broglio, la prima trilogia di Sofocle, sin da subito raccomandato e amico dei potenti, bravo ma inferiore agli altri due che iniziano con E…) riesce a recitare come se fosse in primo piano pur occupando sempre benissimo lo spazio scenico. 

La regia di Gabriele Lavia esalta questa resa, come quella generale: una realizzazione felice sul piano spettacolare (nel senso buono del termine) e dinamico: tutto freme, sin dall’inizio, Oreste, il Pedagogo, Elettra, tutti i giustizieri sono animati da una furia attiva, implacabile, che li traduce in uno spettacolo dinamico, teso, efficace. Notevole davvero il ritmo iniziale in cui il Pedagogo insuffla in Oreste, appena giunto nella città dell’infanzia, uno spirito di azione greco, si deve agire agire subito, di sorpresa, rapidamente, poi ci sarà tempo per i ricordi dell’infanzia ad Argo. 

Poi… sul cadavere di Clitennestra, che il giovane uccide rapidamente, e di Egisto, fatto fuori come merita. Brava, come detto, Federica Di Martino, in tutto tranne quando corre con un passo non da palcoscenico ma da palestra (in “circuito”): ma è una piccola pecca in una prestazione ottima. Forte e autorevole, certo trascinante la Clitennestra Maddalena Crippa, che io però, pur brava e sempre intensa, sento sempre come attrice un po’ padana; davvero efficaci, elettrizzati, il Pedagogo Massimo Venturiello, l’Oreste Jacopo Venturiello, tutti. 

Nota negativa il coro, quasi imbarazzante: il coro in una tragedia greca è l’espressione di una dimensione profonda, tellurica, la voce dell’inconscio e insieme del poeta in vaticinio narrante. Qui nulla di antropologicamente imparentabile a un coro. Tante giovani rossoscuro vestite che si muovono semicoreograficamente, senza furore, senza vaticinio, senza un brivido dionisiaco. Per il resto, lo spettacolo di Lavia tiene, convince, si fa comprendere e persuade con energia.
Avvenire

Dopo quasi otto secoli il Crocifisso di San Damiano è tornato nella sua casa originaria



Ad accoglierlo nel piccolo santuario dove resterà fino a domenica 19 giugno, in un clima di grande commozione tanti fedeli. Dalla Basilica di Santa Chiara dove fu trasferito dalle clarisse ha fatto ritorno nel luogo dove il giovane Francesco ricevette la chiamata a lavorare per la chiesa del Signore. 

La momentanea traslazione è stata possibile grazie ai Frati minori dell’Umbria, alle clarisse del Protomonastero di Santa Chiara, al patrocinio della Diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e del Comune di Assisi, con il placet della Soprintendenza per i beni architettonicipaesaggistici dell’Umbria. damiano1DSC01503_51523762.jpg
L'attesa dei fedeli

Dopo il posizionamento, avvenuto con tutte le attenzioni del caso, è iniziata la celebrazione di apertura presieduta dal ministro provinciale dei Frati minori dell’Umbria, padre Claudio Durighetto. “Siamo qui – ha affermato il frate - perché si compie oggi un ‘sogno’ straordinario: far tornare per alcuni giorni ed esporre nella sua sede originaria il Crocifisso che parlò a san Francesco, conosciuto, appunto, in tutto il mondo come il Crocifisso di San Damiano". 
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"Il Crocifisso di San Damiano – ha aggiunto - è il testimone dell’incontro di san Francesco con il Signore Gesù, negli anni della sua conversione, nel 1206. Per Francesco fu un’esperienza di fede, di Chiesa, di preghiera, di vocazione, di missione. Fu un’esperienza toccante e indelebile di Gesù vivo, del Cristo Signore, il ‘Vivente’, come lo chiama l’Apocalisse. In questo periodo Francesco è guidato dallo Spirito Santo alla conoscenza più profonda di Gesù, che avviene soprattutto attraverso l’incontro con il lebbroso, la preghiera davanti al Crocifisso e l’ascolto della Parola di Dio, a San Nicolò di Piazza e poi alla Porziuncola". 

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"È il percorso ecclesiale della conversione di Francesco, che si sviluppa in un processo articolato, reso possibile dalla sua corrispondenza piena di fede, di adesione obbediente, di entusiasmo e di santa letizia". Il Crocifisso di San Damiano – ha aggiunto - è il testimone dell’incontro di san Francesco con il Signore Gesù, negli anni della sua conversione, nel 1206. Per Francesco fu un’esperienza di fede, di Chiesa, di preghiera, di vocazione, di missione. Fu un’esperienza toccante e indelebile di Gesù vivo, del Cristo Signore, il ‘Vivente’, come lo chiama l’Apocalisse. In questo periodo Francesco è guidato dallo Spirito Santo alla conoscenza più profonda di Gesù, che avviene soprattutto attraverso l’incontro con il lebbroso, la preghiera davanti al Crocifisso e l’ascolto della Parola di Dio, a San Nicolò di Piazza e poi alla Porziuncola. È il percorso ecclesiale della conversione di Francesco, che si sviluppa in un processo articolato, reso possibile dalla sua corrispondenza piena di fede, di adesione obbediente, di entusiasmo e di santa letizia". 
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"In questo Anno della Misericordia – ha proseguito il ministro provinciale -, qui a San Damiano, sarà possibile fissare lo sguardo su Gesù, volto vivo della Misericordia del Padre. Ci auguriamo che tante persone, vicine e lontane, facendosi pellegrine a San Damiano, possano fare con Francesco l’esperienza di Gesù che ti guarda con misericordia". 
 
"Ci auguriamo in particolare – ha concluso - che tanti ragazzi e ragazze possano incontrare qui il Signore della vita e possano rinnovare in qualche modo l’esperienza vocazionale del giovane Francesco: scoprirlo vivo, pieno di amore e di tenerezza; possano conoscere colui che ci conosce e ci chiama per nome e ha progetti grandi per ciascuno: ‘Francesco, và e ripara la mia casa’”.

Da Castalla a Vernazza, vacanze splendide lontani dagli hashtag

Mai sentito parlare di Alicante? Certamente sì ma se dicessimo Castalla, una bellissima cittadina fortificata a pochissimi chilometri di distanza, con così tanta cultura e così pochi hashtag? Avis lancia Untrending, un tool interattivo che permette di scoprire i posti meno noti e a pochissima distanza dalle destinazioni di vacanza più famose in Europa e nel mondo. Creato per ispirare i viaggiatori e stimolarli a visitare posti nuovi, con consigli basati su dati di viaggio di Avis e sul rating ‘Untrending’ che misura il numero di hashtag sui social media di ogni posto.
Gli italiani, infatti, sono abbastanza abitudinari in fatto di vacanze e solo il 5% di loro ama fare qualcosa al di fuori della propria confort zone. Come dire: la vacanza è una e voglio andare sul sicuro. Ma lo stesso senso di sicurezza, , si può trovare a pochi chilometri dalle mete più gettonate (e quindi più condivise), basta solo saperle scoprire. 
"Vogliamo che le persone aprano gli occhi sul fatto che ci sono tantissimi posti da scoprire, a poca distanza dalla destinazione che hanno scelto per la loro vacanza. I nostri dati mostrano che un terzo delle persone ammette che si divertirebbe di più se si imbattesse in qualcosa di nuovo. E’ per questo che li incoraggiamo a scoprire il mondo e a visitare posti che non avevano considerato" spiega Angelo Brienza, Head of Marketing di Avis Italia.
Ma quali sono le evidenze dei posti tutti Italiani da scoprire? Ben due nelle Top Ten mondiale delle destinazioni più ‘Untrending’. Pochi hashtag e condivisioni per Colle Val d’Elsa, uno splendido borgo a poca distanza da Pisa, famoso per i suoi cristalli e in cui ogni domenica ci sono dimostrazioni in piazza sulla lavorazione del vetro. Poco “social mediaticamente” condivisae sempre in Top Ten anche Siracusa, piena di bellissimi resti di un passato da grande città dell’Antica Grecia.
Ma sono tante le destinazioni Italiane ‘Untrending’ segnalate da Avis e tutte da scoprire. Tutta da vedere Tivoli, a poca distanza da Roma, ricca di storia, tradizione e splendide Ville Romane (due delle quali patrimonio mondiale dell’Unesco), e fonte di gran parte del travertino utilizzato per costruire i monumenti della Capitale.
Grazie ad ‘Untrending’ potrete scoprire la funivia di Pigra a soli 50 chilometri da Milano e 15 da Como: un ottimo modo, evidentemente non inflazionato sui social, per godere di una vista panoramica sul lago. O fare un giro tra le case colorate diVernazza, probabilmente il più suggestivo dei borghi delle cinque terre o ancora perdersi nella storia di uno dei borghi medievali meno Social, Bergamo, così piena di architettura storica e tesori artistici.
"L’affidamento che facciamo sui siti di recensioni online e la quantità di tempo spesa in ricerche per i nostri viaggi mostra quanto ci piaccia avere controllo sul programma delle nostre vacanze. La vita moderna è così stressante: non sorprende che siamo orientati ad avere sempre il posto di comando" aggiunge Michael Bond, esperto di comportamenti dei consumatori.
"La ricerca Avis mostra che il 68% degli italiani si sente felice e il 59% rilassato quando fa qualcosa di spontaneo. Normalmente abbiamo bisogno di uno stimolo e di un’ispirazione per uscire dalla nostra comfort zone, e quando lo facciamo la ricompensa emotiva può essere enorme".

Per l'estate 2016 si cerca l'energia in spa

No allo stress, sì all’energia. Quante volte la routine quotidiana mette ko la propria vitalità? Al fine di ristabilire l’armonia e quell’equilibrio psico-fisico spesso alterato, è cosa buona e giusta concedersi un break per fuggire dalle frenetiche dinamiche della metropoli per trovare asilo in eden in cui la parola chiave è solo una, relax. Ecco che bellezza, ambiente e benessere diventano il tris perfetto su cui puntare: a deliziare una clientela bisognosa di coccole sono location che hanno molto da offrire tra trattamenti e massaggi rigeneranti in grado di sciogliere ogni blocco migliorando così l’ascolto del corpo e delle proprie emozioni.
 
IL TRATTAMENTO. La scelta migliore per chi cerca una vacanza a contatto con la natura è il >>> Villaverde Hotel & Resort-Wellness Spa & Golf, (PRENOTA ONLINE CON BOOKING) un perfetto rifugio dal caos e dalla frenesia della vita di tutti i giorni avvolto tra le splendide colline moreniche tra querce e faggi che svettano sullo sfondo delle Alpi Giulie di Fagagna. Grazie ai suoi ambienti ampi e confortevoli è in grado di soddisfare qualsiasi necessità, soprattutto la sua area wellness: la Villaverde Wellness Salus per Aquam attende per una remise en forme con i fiocchi con tre trattamenti perfetti per chi è in preparazione all'estate. L'offerta include il trattamento detox, completo di esfoliazione con azione drenante, idromassaggio aromatico attivatore della circolazione linfatica e impacco alghe; il thalasso al sale marino perfetto per la rigenerazione cellulare e, infine, il Caribean pedicure, ovvero un pediluvio lenitivo alla polvere erbale seguito da impacco idratante-rinfrescante a baso di preziosi oli essenziali e peeling levigante ai sali del Mar Morto. 

Dal Friuli Venezia Giulia si passa al Piemonte là dove, ad accogliere, sono i colori e la magia delle Langhe con quei paesaggi mozzafiato da ammirare, in maniera privilegiata, dalle vetrate de La Sovrana Spa, sita all'interno del Boscareto Resort & Spa, (PRENOTA ORA CON BOOKING)un eden dedicato alla cura del corpo e della mente pronto a coccolare con le sue suite là dove ci si prende cura non solo della bellezza ma anche dell’armonia psico-fisica degli ospiti. A tale proposito è consigliato lo “stress fix”, trattamento che propone la combinazione di tecniche di massaggio svedese con massaggio connettivale, riflessologia plantare e tecniche di digitopressione, il tutto avvolti da aromi quali lavanda, lavandina, salvia sclarea, incenso e vetiver da agricoltura biologica.
 
L’ESPERTO. Stando a quanto affermano gli esperti, abbandonarsi al piacere di un bel massaggio è uno dei migliori rimedi per sconfiggere lo stress: ebbene sì, questo metodo di manipolazione corporea sembrerebbe essere davvero liberatorio in quanto va ad eliminare ogni tensione accumulata e, una volta sbloccata, permette di raggiungere uno stato di rilassamento tale da andare a favorire un profondo e duraturo benessere.
 
I DINTORNI. Le Langhe rappresentano una regione storica situata a cavallo tra le province di Cuneo e di Asti, un territorio ricco di meraviglie tanto da esser stato inserito nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dall'Unesco. Qui, avvolti da un bellissimo panorama collinare fatto da intensi colori e da inebrianti profumi, quelli della terra, ogni stagione permette di costruire una nessuna e centomila vacanze: se i cultori del vino amano il Barolo, le buone forchette hanno a cuore Alba, rinomata per essere la capitale mondiale del tartufo. L’estate è la stagione perfetta per unire l'utile al dilettevole, approfittare delle belle giornate e mettersi sulle tracce del famoso tartufo, una delizia cara all’alta gastronomia ma non solo: tutti i bravi buongustai che non si accontentando di mangiarlo in tavola bensì vogliono contribuire alla scoperta, possono prendere parte alle uscite di truffle hunting ovvero alla caccia al tartufo, un'esperienza da vivere in compagnia di un grande esperto, il trifulau ed il suo cane, pronti ad avventure emozionanti a tu per tu con i boschi là dove sfidare la fortuna nella speranza di portare a casa i frutti della preziosa ricerca.
fonte: turismo.it

Al Mèni, il circo dei sapori sbarca a Rimini

Un colorato tendone da circo, omaggio allo spirito onirico di Fellini, si trasforma in una grande cucina a vista, a due passi dal mare, dove Massimo Bottura chiama a raccolta 12 grandi chef stellati dell'Emilia Romagna per incontrare 12 giovani e talentuosi chef internazionali, assieme ai migliori contadini e produttori della regione. Sono questi gli ingredienti di "Al Méni" - ovvero "le mani" dal titolo di una poesia di Tonino Guerra - il circo mercato dei sapori che porta nel cuore di Marina Centro "le cose fatte col cuore e con le mani", dove i frutti di una "buona terra" vengono offerti insieme a quelli dell'arte e dell'artigianato con oltre 100 fra produttori e artigiani top della regione.
 
Nel weekend del 18 e 19 giugnoPiazzale Federico Fellini ospiterà un tendone da circo sotto il quale quei 12 giovani chef si cimenteranno, sempre in coppia con 12 colleghi stranieri, in altrettanti showcooking. Ma la loro cucina d'autore sarà presente anche all'esterno del tendone in uno spazio din street food d'autore. Protagoniste ovviamente le materie prime della regione che, come ricorda Enrico Vignoli dell'associazione CheftoChef, "all'estero vengono viste con un'aura mitica. Culatello, Parmigiano, aceto balsamico. L'Emilia Romagna ha 43 DOP e IGP, la regione con il maggior numero in Europa".
 
Per entrambe le giornate, dalle 10 alle 23, tutto il lungomare fino a Piazzale Boscovich sarà un mercato a cielo aperto di prodotti in cui potete orientarvi grazie al personal shopper, che vi guideranno tra contadini e produttori. Eccellenze non solo gastronomiche: ci sarà anche uno spazio dedicato all'artigianato e al design, sempre rigorosamente a km 0. Slow Food si occuperà di organizzare laboratori per grandi e piccini su argomenti come filiera del maiale, piada romagnola, erbe spontanee ed aromatiche, orto domestico. 
 
 
E' un remake di 8 e ½ tutto gastronomico quello che sorgerà all'ombra del Grand Hotel di Rimini, i cui giardini, come nella passata edizione, ospiteranno dalle 10 alle 13 di domenica 19 giugno, un déjeuner sur l'herbe di una bellezza - e una bontà - straordinarie. Non mancheranno incontri con autori ed esperti, mercato di produttori di eccellenza, street food gourmet e lab store di artigianato.
 
Attorno al circo, speciali punti street food gourmet interpretano la cucina da strada con i migliori ingredienti emiliani e romagnoli, mentre sul lungomare fino al porto è allestito un vero e proprio mercato delle eccellenze: un percorso del gusto tra piccoli e grandi produttori agricoli, Presìdi Slow Food e Mercati della Terra. Tutto questo e anche di più ad Al Mèni, una festa del gusto nata da un'idea dello stesso Massimo Bottura e del Comune di Rimini per celebrare i protagonisti e la ricchezza dell'Emilia Romagna.
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Firenze, Pitti Uomo 90 apre i battenti

PERCHE’ SE NE PARLA A Pitti Uomo 90, alla Fortezza da Basso, da tempo fulcro del salone, saranno oltre 1.200 le collezioni in totale e più di 20.000 i compratori attesi, dei quali 8.200 i buyer esteri. L'evento, previsto dal 14 al 17 giugno, con pre-apertura il 13 giugno dedicata al Centro di Firenze per la Moda Italiana, vede in programma tanti eventi che avranno come protagonisti grandi nomi della moda. Il 14 giugno sarà inaugurata a Palazzo Pitti la mostra fotografica Karl Lagerfeld - Visions of Fashion, mentre il progetto di Raf Simons sarà presentato il 16 giugno con la sua collezione P/E 2017. Il 15 giugno, Gosha presenterà la collezione P/E 2017 assieme a un progetto fotografico. Fausto Puglisi è il Pitti Italics Special Event, e lancerà in anteprima la sua prima capsule per uomo assieme alla Resort donna 2017. Cartier presenta tra le mura di un palazzo di Firenze del XV secolo, l’orologio Drive, mentre il 16 giugno, Nakamura proporrà il suo marchio Visvim. A Pitti Italics evento speciale anche con la sfilata di Sansovino 6, mentre Pal Zileri presenta la linea Lab. Isko. Inoltre Xacus festeggia 60 anni con L’Uomo Vogue e GQ Italia il 14 giugno a Palazzo Budini Gattai. Per il calendario completo, il programma dettagliato sul sito ufficiale.
 
PERCHE’ ANDARCI Firenze ha una grande tradizione nella moda, e svolge un importante ruolo nel settore dell'Alta moda. Proprio qui, con la sfilata organizzata il 12 febbraio 1951 dal pioniere della moda italiana Giovanni Battista Giorgini, presso Villa Torrigiani in via dei Serragli, replicata poi alla Sala Bianca di Palazzo Pitti, alla presenza di tanti specialisti internazionali, che si parlò di moda internazionale. Oggi le principali boutique d'alta moda sono concentrate nel distretto commerciale del lusso, in via de' Tornabuoni e via della Vigna Nuova.
 
DA NON PERDERE La città ha l'unico museo italiano dedicato alla moda e alla sua storia: la Galleria del Costume, con una collezione che arriva a più di 6000 manufatti, con esemplari di grandi stilisti quali Giorgio Armani, Valentino, Gianni Versace, Emilio Pucci, e Ottavio Missoni. Inoltre è presente il museo Salvatore Ferragamo nel palazzo Spini-Feroni, dove è esposta a rotazione una parte della collezione delle oltre 10.000 scarpe realizzate dalla maison. Altri musei, più specifici, sono il Museo Capucci, incentrato sugli abiti-scultura disegnati dallo stilista Roberto Capucci per la Biennale di Venezia del 1995, il Museo Stibbert per gli abiti d'epoca, la Fondazione Arte della Seta Lisio, il Museo della paglia e dell'intreccio di Signa e, per quanto riguarda l'oreficeria, il Museo degli Argenti e il Museo Torrini.
 
PERCHE’ NON ANDARCI Firenze è una delle più belle e turistiche città italiane, e si vede dagli intensi flussi "migratori" che coinvolgono (e sconvolgono) la vita quotidiana dei residenti. Se avete voglia di vivere la città con calma e bellezza, se potete, scegliete i giorni infrasettimanali e prendetevi almeno due giorni per visitarla. Calcolate che, tra attesa e visita, per visitare gli Uffizi potreste impiegare anche 3 ore.
 
COSA NON COMPRARE Tra le cose più kitsch in cui potreste imbattervi, oltre alle classiche calamite, ci sono degli “straordinari” grembiuli da cucina con la parte inferiore del David di Michelangelo. Alla faccia della grande tradizione artigianale per il settore della moda. Se proprio volete fare un regalo cattivo con la scusa di far sorridere qualcuno, eccolo.
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Gastronomia L'inconfondibile profumo del San Marzano Dop

Prodotto in Campania, il pomodoro San Marzano è conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo per le sue caratteristiche, che vengono esaltate dalla trasformazione in “pelato”. Il clima mediterraneo e il suolo estremamente fertile e di ottima struttura, l’abilità e l’esperienza acquisita dagli agricoltori dell’area di produzione nel corso dei decenni, ha contribuito al suo successo nel mondo.
 
LA TRADIZIONE Secondo alcune testimonianze della tradizione orale si dice che il primo seme di pomodoro sia giunto in Italia intorno al 1770, come dono del Regno del Perù al Regno di Napoli e che sarebbe stato piantato proprio nella zona che corrisponde al comune di San Marzano. Da ciò quindi deriverebbe l'origine di questo famoso pomodoro, che nel tempo,con varie azioni di selezione, ha acquisito le caratteristiche dell'ecotipo attuale. Secondo altre testimonianze però, solo nel 1902 si ha la prova certa della presenza, tra Nocera, S. Marzano e Sarno, del famoso ecotipo. Delizia dei buongustai, profumo delle domeniche e delle feste comandate, scandite dal rosso sugo che copriva il bianco della pasta di Gragnano e di Torre Annunziata, il San Marzano assunse grande apprezzamento dal punto di vista gastronomico verso l’inizio del ‘900, quando sorsero le prime industrie di conservazione, ad opera di Francesco Cirio, che producevano il famoso “pelato” da salsa. In un recente passato il S. Marzano era detto anche “oro rosso” per il valore economico che era riuscito ad assumere per gli agricoltori dell'agro sarnese-nocerino.
 
LA DENOMINAZIONE Ha ricevuto il riconoscimento dell’Unione Europea come D.O.P. nel 1996.
 
LE CARATTERISTICHE Il pomodoro San Marzano è lungo, nervoso, consistente. Sapore tipicamente agrodolce, forma allungata della bacca con depressioni longitudinali parallele, colore rosso vivo, scarsa presenza di semi e di fibre placentari, buccia di colore rosso vivo e di facile pelabilità. Queste, insieme alle caratteristiche chimico-fisiche, lo rendono inconfondibile, sia allo stato fresco che trasformato. La denominazione di origine protetta designa esclusivamente il prodotto “pelato” e la tipologia “pelato a filetti”, proveniente dalla lavorazione dei frutti appartenenti all’ecotipo San Marzano o a linee migliorate di esso (il disciplinare individua due standard di prodotto).
 
LA PRODUZIONE Il “Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino” DOP si coltiva nell'Agro Sarnese-nocerino, in provincia di Salerno, nell'Acerrano-nolano e nell’area Pompeiana-stabiese, in provincia di Napoli e nel Montorese, in provincia di Avellino, per un totale di 41 comuni (alcuni solo parzialmente). La tecnica colturale del prodotto fresco prevede l’allevamento di tipo verticale delle piante con l’uso di sostegni, rispettando così la tradizione secolare, anche se, per l’elevato numero di ore di manodopera richieste, tale tecnica incide fortemente sui costi di produzione. L'industria dei "pelati" è sempre stata vanto della Campania grazie alla notevole presenza, soprattutto nel territorio dell'Agro Sarnese-Nocerino, del pomodoro tipico locale che, una volta trasformato dalle numerose industrie sorte nell'ambito del bacino di origine del "S. Marzano", veniva commercializzato sul territorio nazionale ed esportato in numerosi paesi dell'Europa e delle Americhe fin dall'inizio del novecento. Ancora venti anni fa la Campania produceva un quarto del pomodoro da industria ora, invece, partecipa con appena il 5% al comparto nazionale.
 
LA CULTURA Negli anni Ottanta la coltura ha subito una drastica riduzione, sia in termini di superfici che di produzione, per motivi fitosanitari ma anche economici (con riferimento soprattutto all’onerosa tecnica colturale), ma l'azione di recupero, di conservazione delle linee genetiche pure e di miglioramento avviata dalla Regione Campania e oggi consolidata dal Consorzio di tutela, ne ha consentito la salvaguardia e il suo rilancio su base internazionale. Infatti, il pomodoro S. Marzano DOP sta assistendo ad una nuova stagione di rinascita e oggi viene richiesto non solo in Europa e in America, ma anche in altri continenti, dove va espandendosi grazie anche al crescente successo della “dieta mediterranea”.
 
IN CUCINA Ideale con la pasta, sia per cotture più veloci che per sughi più elaborati. Il San Marzano è ottimo anche crudo, per insalate fresche o per piatti a base di pesce.
 
 
La Ricetta Panzanella campana. Ingredienti: 12 fette pane raffermo. 200 gr pomodoro San Marzano.
1 cipolla rossa di Tropea. 1 cetriolo. Basilico fresco q.b. Aceto di vino. Sale. Pepe. Olio extravergine di oliva. Mettere in ammollo il pane per circa 20-25 minuti in acqua e aceto fino a quando non diventa morbido e senza farlo spappolare. Tagliare e condire i pomodori e la cipolla Strizzare il pane con le mani, spezzarlo grossolanamente e versarlo nella ciotola con i pomodori.
Mescolare tutto possibilmente con le mani e solo alla fine aggiungere qualche foglia di basilico.
 
 
IL TERRITORIO Situata tra la costiera Amalfitana, la piana del Sele ed il Cilento, la città di Salerno ha alle spalle una lunga storia ricca di monumenti e luoghi interessanti. Tra i principali monumenti della città spicca il Duomo (1084), in cui si conservano le reliquie dell'Evangelista Matteo; il Castello di Arechi (VIII secolo), di origine bizantina da dove si può godere di uno splendido panorama sul quartiere "Planum Montis", zona in cui nacque la scuola medica sarlenitana; la chiesa della Santissima Annunziata, con il suo bel campanile; quella barocca di San Giorgio; di San Pietro a Corte; di San Benedetto ed il Forte La Carnale (XVI secolo), con vista sulla città e su tutto il golfo di Salerno.
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È su La Manica la leggenda degli amanti impossibili

Come l'Italia - e molti altri posti, in realtà - anche la Francia torna spesso e volentieri in questi nostri excursus sui luoghi prestati al cinema. D'altronde non sono poche le bellezze paesaggistiche d'Oltralpe e le zone ricche di arte e storicamente interessanti che meritano di esser visitate, o quanto meno segnalate. O che vengono regolarmente utilizzate dalle produzioni locali per film di vario genere e caratura. L'ultimo esempio in questo senso viene dal Marguerite e Julien - La leggenda degli amanti impossibili di Valérie Donzelli, che troviamo nelle nostre sale a raccontare una storia vera quanto 'scabrosa'.

Certo, oggi il termine potrà apparire desueto e farci sorridere, ma d'altronde la descrizione della trasformazione dell'amore fraterno dei due figlioletti di Jean III de Ravaletel, Signore di Tourlaville, in una passione prima tenera e poi inarrestabile è qualcosa che non si vede spesso. Non al cinema almeno. Tanto più se adattata dalla vita vissuta dei due amanti, vissuti a cavallo tra il 1500 e i primi anni del 1600. E il cui romantico crescendo si mescola alla drammaticità della caccia da parte della comunità paesana scandalizzata che costrinse i due a fuggire.

Per fortuna nostra, il nostro percorso potrà essere invece inverso, avendo come meta finale proprio ilChâteau des Ravalet di Tourlaville da dove i due partirono, e tutta la zona della Normandia e dellaManica che ha fatto da sfondo alla lavorazione della Donzelli e dei suoi interpreti, Jérémie Elkaïm e Anaïs Demoustier. Proprio quest'ultima si è trovata a riflettere proprio sulla possibilità avuta di immedesimarsi completamente nel proprio personaggio grazie anche alle location scelte, quelle originali del castello dove Marguerite e Julien hanno vissuto veramente. "Non avevo considerato l'impatto di quest'aspetto prima di iniziare, ma era assurdo pensare di trovarmi nella vera stanza da letto di Marguerite! - ha raccontato la Demoustier. - Non ci pensavo sempre ma a volte mi tornava in mente. è strano pensare di camminare sugli stessi passi di persone che sono vissute veramente e che sono ancora, in qualche modo, attorno a te".

Per quanto la regista abbia scelto di trasporre la vicenda in un'epoca più moderna, con un prefinale nel quale i due fuggiaschi tentato di salvarsi scappando in Gran Bretagna attraversando proprio il canale della Manica. Un'occasione in più per spaziare con lo sguardo e riempirsi gli occhi dei paesaggi circostanti, ampiamente sfruttati dalle riprese tenutesi tra le località di AudervilleBarfleurBivilleCherbourg-Octeville (dove sono stati reclutati circa 150 figuranti per i ruoli di paesani e domestici), écullevilleJobourgTatihou,GonnevilleSaint-Lô-d'Ourville e della parte settentrionale della penisola del Cotentin tra Hague e laVal de Saire tutta. A conferma di una tendenza che sempre più ha visto la Normandia - zona tra le più amate dai fan della Francia - come prima scelta da molti cineasti, come Maïwenn e Stéphane Brizé nei rispettivi Mon Roi e La loi du marché (entrambi all'ultimo Festival di Cannes insieme al film della Donzelli).
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Mostre: Mantegna e Carracci, confronto artisti su tema sacro

 Con la mostra "Mantegna e Carracci.
    Attorno al Cristo morto", dal 16/6 al 18/7 alla Pinacoteca di Brera, viene proposto un confronto tra capolavori dei due grandi artisti, entrambi ispirati da questo tema sacro. A Brera già si conserva il "Cristo morto", dipinto dal Mantegna intorno al 1480 e famoso per la prospettiva con cui il corpo, deposto dalla croce, è mostrato in posizione orizzontale, ma insolitamente ripreso a partire dai piedi in primo piano. Questa visione, divenuta subito famosa, fu chiamata del "Cristo scurto", in quanto la prospettive rendeva la figura più corta. Nel secolo successivo altri pittori furono ispirati da questa particolare immagine: Giovanni Antonio Bezzi detto il Sodoma, Lelio Orsi e, soprattutto, Annibale Carracci, che nel 1585 dipinse "Cristo morto con strumenti della passione", drammatizzando il quadro con il sangue uscito dalle ferite e quanto usato per colpire.
    Questo dipinto è conservato nella Staatsgallerie di Stoccarda, che lo ha prestato per l'esposizione a Brera.
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 (ANSA)