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Domenica 18 giugno 2023 il Premio Strega torna per la quinta volta nella sua storia a Verbania

Il premio letterario più prestigioso d’Italia ha scelto di nuovo le sponde del Lago Maggiore. La serata si svolgerà al Teatro Il Maggiore con la presentazione dei cinque finalisti e a seguire Strega Party nella location panoramica sul lago. A puntare sulla cultura per qualificare la città sono anche in questo caso coinvolti in un  lavoro di squadra Comune, Biblioteca Ceretti, Libreria Alpe Colle,  affiancati dalla Fondazione Il Maggiore e dalla ospitalità offerta dal >>> Grand Hotel Majestic. Unire le forze per migliorare la nostra città, per creare momenti utili prima di tutto per costruire senso di cittadinanza, relazioni e coscienza civile – commenta il sindaco Silvia Marchionini -. Ogni passo dipende da noi, dalla nostra quotidianità, dalle nostre scelte. Ed è fondamentale ricordare il lavoro preziosissimo della Fondazione Bellonci di Roma e della Ditta Strega Alberti di Benevento che dal 2018 hanno scelto e voluto fortemente portare il Premio Strega a Verbania, una decisione coraggiosa, un buon modo per creare rete tra centro e provincia, per un’Italia capace di stupire in ogni suo angolo creando lavoro e cultura attraverso i libri.

Fonte: verbaniamilleventi.org

 - Segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone e Albana Ruci turismoculturale@yahoo.it

Nuovi investimenti sulla cultura per una società «neo-umanista»


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Italia ha  bisogno oggi più che mai di potersi riconoscere in un patrimonio storico e artistico senza pari, rilanciando i consumi culturali

Nel serrato dibattito degli ultimi mesi sulle politiche pubbliche, reso più vivace dalla nascita di un governo di destracentro con ampia maggioranza parlamentare e una premier donna, si deve registrare una Grande Assente: la Cultura. Per la verità, in un’epoca di emergenze continue e gravi che fanno parlare ormai abitualmente di “permacrisi” (ovvero di crisi permanente), era piuttosto prevedibile. Di fronte alla confluenza di gravi problematiche di salute pubblica, economiche, belliche, dunque attinenti la sopravvivenza stessa e i bisogni primari, la cultura passa inevitabilmente in secondo piano. “Di cultura non si vive”: molte persone impegnate nei diversi settori culturali amaramente sottoscriverebbero tale affermazione; “la cultura non si mangia”, aggiungerebbero con un pizzico di cinismo beffardo altri, non troppo sensibili al fascino dell’arte, della musica, della letteratura.

A questo punto sarebbe facile per contrappasso sposare una posizione vivacemente antitetica, che andava assai di moda sul finire degli anni Ottanta del Novecento: “di cultura si vive, eccome”, se solo sapessimo mettere a frutto i giacimenti culturali di un Paese che – questo lo slogan di allora ripetuto allo sfinimento – è «un museo a cielo aperto ». I meno giovani ricorderanno questo tipo di argomentazione, che in alcuni casi suonava quasi come un invito alla riscossa per tutti gli operatori dei diversi settori culturali: musei, siti archeologici, enti lirici, teatri. Sembrava fosse stato scoperto il petrolio italiano fatto di colonne, mosaici e statue, accatastati senza rispetto in armadi polverosi nei sotterranei dei grandi musei. Per un po' si continuò a pensare che bastasse tirarli fuori, sottrarli alla occhiuta, gelosa ed escludente custodia degli storici dell’arte, mapparli, aggiungervi un po’ di cosiddetti “servizi aggiuntivi” (caffetterie, angoli riposo, ristorantini) e la nostra economia sarebbe volata.

Naturalmente così non è andata. Il grande lancio della commercializzazione della cultura naufragò presto sulle prime inefficienze e contraddizioni. I mecenati (grandi imprese in cerca di lustro) snobbavano tlo spettacolo dal vivo (troppo effimero, transeunte, per lucidare un blasone-brand) a favore del restauro di un bene archeologico, immutabile, immobile da secoli, e dunque stabile ritorno pubblicitario per l’azienda che ne avesse finanziato il recupero. Lo strumento della fiscalità non riuscì a rafforzare più di tanto l’azione dei mecenati, e anche quella si rivelò una bolla. Altre fragilità e disorganizzazioni fecero il resto: come quando per bando pubblico si affidarono a diverse aziende informatiche grandi progetti di mappatura dei beni esistenti, che non riuscivano però a dialogare attraverso le banche dati approntate dato che i linguaggi e i programmi utilizzati erano differenti…

La cultura non mise le ali all’economia né in quegli anni Ottanta né nei decenni che seguirono, anche perché i problemi erano e sono molto più complessi; a cominciare da strade e infrastrutture mancanti. Paradigmatico il caso della Sicilia, che gronda siti archeologici di bellezza incomparabile ma ancora oggi ha un sistema di collegamenti e di viabilità che esclude ogni possibilità di accesso concreto a molte di tali archeo-meraviglie. E tuttavia forse non fu questa la sola debolezza di un rilancio che voleva tradurre in oro luccicante e sonante i vecchi gioielli di famiglia. Ai nostri giorni le cose non vanno molto meglio, se nei programmi elettorali delle recenti elezioni politiche la cultura ha ottenuto poca o nessuna attenzione, con affermazioni e propositi generici, senza indicazioni chiare delle risorse finanziarie per i diversi interventi, con la solita oscillazione tra quanti vogliono più ruolo per il pubblico e quanti preferirebbero mettere tutto in mano ai privati. È forse giunto, perciò, il momento propizio per parlare di politiche culturali con un occhio più evoluto, che del passato sappia fare tesoro aggiungendo però una consapevolezza nuova, figlia dei nostri tempi così liminali, così disorientanti, che ci stanno traghettando in un altro mondo, in un’altra epoca, in cui senza bussole sarà certamente più facile perdersi.

Finora nel nostro Paese il mondo delle politiche culturali nei diversi settori è stato affrontato facendo riferimento ad alcuni paradigmi concettuali. Anzitutto la conservazione, tipica dell’approccio degli storici dell’arte, interessata soprattutto alla preservazione del bene. Successivamente, come accennato sopra, si è affermata l’idea della promozione-valorizzazione-commercializzazione, figlia in parte di un democratico desiderio di portare la cultura alle masse, in parte del più concreto desiderio di mettere a frutto capitelli e dipinti. Dal punto di vista strettamente politico è prevalso troppo spesso, invece, un paradigma elettoral-assistenzialistico: non a caso gli enti lirici hanno sempre assorbito buona parte del Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) potendo vantare numerosi addetti (maestranze, elettricisti, costumisti ecc.) e dunque un buon bacino di consenso potenziale.

Ma oggi molte cose sono cambiate, anche nella percezione delle istituzioni della cultura, per lo meno in ambito internazionale. I libri, il teatro, le mostre entrano in maniera più o meno codificata e a buon diritto nel paniere che definisce il benessere dei diversi Paesi. O, quantomeno, si riscontra che i Paesi che risultano in cima alle classifiche della felicità attribuiscono ai consumi culturali un grande posto nel modo di occupare il cosiddetto tempo libero (concetto anche questo in via di ridefinizione). Pensiamo alla Finlandia che da anni è in testa alla classifica della felicità dei Paesi («Sustaineble Development Solution Network», World Happiness Report 2022) e che si basa su uno stile di vita che potremmo definire da “giovane colto” (muoviti, studia, leggi, vivi la cultura, vivi la natura, ama, condividi, ricerca) anche per i pensionati, che trovano occasioni culturali in situazioni di prossimità domestica. Quanto ai giovani veri e propri, hanno facilmente a disposizione in piccoli centri distribuiti territorialmente il necessario per produrre le loro intuizioni musicali, registrarle e metterle in rete, in modo da avere occasioni concrete di farsi conoscere. Purtroppo l’Italia non è neanche sulla scia di questo modo di vivere “giovanile e colto”. Sempre nello stesso Rapporto, l’Italia perde ulteriori postazioni e passa dal 25° al 31° posto.

Nonostante la ritrovata normalità e l’accelerazione dell’estate 2022 nella fruizione di eventi e spettacoli dal vivo, i consumi culturali sono ancora lontani dai livelli pre-Covid e risalgono lentamente. L’indice realizzato da Impresa Cultura Italia-Confcommercio e Swg ha raggiunto nei primi 9 mesi del 2022 i 68 punti (+9 sul 2021 e +12 sul 2020), distante però più di 30 punti dal valore di riferimento del 2019. Valori di riferimento che non erano certo stellari. Dalla crisi di antica data del comparto culturale, accentuata oggi da un’emergenzialità globale, è possibile però, per dirla con il sociologo Mauro Magatti, trarre una lezione generativa, che non resti impantanata nelle contraddizioni della politica culturale nel nostro Paese, ma da esse tragga una provocazione e uno stimolo potente a ripensarsi alla luce del cambiamento d’epoca in una nuova centralità. Il mondo della cultura nei suoi diversi comparti non ha mai avuto, come in questi tempi di mutazione velocissima, di fronte a sé una sfida più entusiasmante, più nobile e fondativa.

Oggi, come ha argomentato Stefano Zamagni su “Avvenire” del 13 gennaio 2023, uno dei problemi sociali più importanti che emergono all’orizzonte è fornire una risposta solida alla posizione transumanista, sostenuta dai colossi dell’high tech, che si propone non tanto il potenziamento ma il superamento di ciò che è umano nell’uomo. Il progetto che si può contrapporre con forza a questa tesi è quello neoumanista, sostenuto anche dalla Chiesa, la cui culla è proprio l’Europa. Un neo-umanesimo che nella libera espressione creativa da una parte e nel nutrimento, nella fruizione culturale dall’altra trova la sua espressione più vera. Un progetto che ricordi all’Uomo, che si è perso e non sa più chi egli sia, che non è fatto solo di materia e conoscenza razionale (su queste basi l’intelligenza artificiale sta dilagando in modo anche inquietante e potrebbe essere assai competitiva in poco tempo) ma di emozioni, sentimenti, motivazioni, valori, creatività, intuizioni, etica, responsabilità, dubbi, ripensamenti, e tanto altro: il “codice dell’anima”, come avrebbe detto Hillmann. Il talento indomabile di poeti, scrittori, pittori, musicisti interpreta nelle loro anime all’eterna ricerca del Bello e del Vero il mistero insondabile dell’umano e della sua perenne domanda di senso. A una distruttiva, robotica barbarie transumanista può essere argine roccioso e inespugnabile la loro umanità caparbia, intensa e inquieta.

avvenire.it


Una casa fatta ad arte, la visione di Cambellotti. A Roma mostra sul maestro alla Biennale di Monza del 1923

ROMA - L'allestimento interno della casa come riflesso della dimensione etica e della natura psichica della vita degli abitanti, capace di influenzare le loro emozioni e orientare le loro predilezioni, "consentendo poi di formare anche buoni cittadini e buoni governanti". Duilio Cambellotti immaginava così gli effetti di un abitare armonico orientato dall'arte.

Seguendo questo filo si sviluppa a Roma la mostra dedicata fino al 6 aprile dalla Galleria Russo al maestro e alla sua visione 'totale' che nella prima metà del Novecento ha abbracciato disegno, illustrazione, grafica, pittura, ceramica, scultura e scenografia teatrale. Il racconto muove da un aspetto particolare, la sua partecipazione nel 1923 a Monza alla Biennale delle Arti Decorative per allargarsi alla produzione di una vita.
    'Duilio Cambellotti. Raccogliere una forma attorno a un pensiero', curata da Daniela Fonti e Francesco Tetro, responsabili dell'Archivio dell'Opera dell'artista, mette insieme 160 opere della raccolta illustrando 40 anni di attività multidisciplinare svolta dall'artista-artigiano romano dal 1899 al 1939. Certo, a giocare un ruolo centrale è sempre il disegno, il tratto inconfondibile della moderna classicità che caratterizza illustrazioni, manifesti, incisioni. Ma a colpire - anche nella ricostruzione di una delle sale della Biennale di Monza - è soprattutto l' attenzione al dettaglio nei bronzi e nella decorazione di vasi, piatti, brocche e mattonelle ispirate ai miti dell'antichità e al vivere quotidiano delle popolazioni dell'agro pontino all'inizio del secolo. Nelle arti decorative, spiegano i curatori, Duilio Cambellotti (1876-1960) venne identificato come un autore fra i più originali nel panorama del rinnovamento degli oggetti d'uso in Italia. "Per la sua concezione dell'ambiente allestito quale progetto organico complessivo nel quale ogni oggetto prende luce creativa e riflette la propria sull'insieme - spiegano - l'artista mise ogni tecnica al servizio della creazione di uno spazio interno concepito come 'luogo d'arte', inserendo scultura, pittura parietale, ceramica, anche utilizzando gli espedienti comunicativi della sua attività di scenografo". Della prima e della seconda Biennale internazionale di Monza Cambellotti fu il protagonista principale, alla guida di un gruppo di artisti fra i più rilevanti e innovativi della scena di Roma e del Lazio. Un altro capitolo della mostra è riservato alla figura femminile e al suo passaggio da "libellula a mater familias, vittima degli effetti della guerra: rimasta sola a mandare avanti la propria famiglia, il suo podere o come lavorante presso altri, se rimasta vedova". E' questo il motivo che spinse l'artista a rappresentare donne dal volto addolorato in molti monumenti ai caduti del 1915-18 , a cominciare da quello di Terracina (Latina). Suggestiva è anche la selezione di modellini, bizzetti, disegni e cartelloni realizzati per le scenografie delle grandi tragedie greche a Siracusa, il Giulio Cesare di William Shakespeare (1906) e La Nave di Gabriele d'Annunzio (1908) a Roma.
    Tra il 1908 e il 1910 Cambellotti collaborò al settimanale "La Casa", edito da Edoardo De Fonseca, dedicandosi alla progettazione di interni e arredi di villini e dimore private tra cui, a Roma, la Casina delle Civette di Villa Torlonia, decorata con la collaborazione con il maestro vetraio Cesare Picchiarini e oggi sede del museo della Vetrata Liberty. 

ansa.it

Abu Dhabi, tra storia e cultura Musei, palazzi, forti, villaggi e riti beduini nel deserto

 

ABU DHABI - Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi, è una città ricca di cultura e di storia che sorprende per i suoi contrasti: sfarzosi palazzi d'epoca tra costruzioni avveniristiche, forti costieri trasformati in centri d'arte e antichi villaggi beduini, tutelati dall'Unesco, nelle oasi del deserto che la circonda.

Fondata nel 1791 dalla tribù dei Bani Yas, è una città che corre verso il futuro con grattacieli, torri e strutture audaci, come la vicina Dubai, e con un totale rispetto verso le sue tradizioni. Tanti sono i punti di interesse da scoprire per apprezzare la sua cultura, come il forte Qasr Al Hosn, il palazzo Qasr Al Watan, il museo Louvre Abu Dhabi e il Qaryat al Torath Heritage Village.

Qasr Al Hosn è uno storico forte, circondato da grattacieli altissimi che luccicano da lontano: è il monumento commemorativo dell'intera nazione, simbolo della storia di Abu Dhabi. Situato nel cuore della città, l'edificio sorge su una torre di guardia in corallo e pietra marina, costruita alla fine del XVIII secolo, la struttura più antica dell'isola di Abu Dhabi, e all'interno ospita la Casa degli Artigiani, che celebra il patrimonio artistico e la tradizione artigianale degli Emirati Arabi Uniti.
    Un altro simbolo della capitale e dell'intero Paese è il Louvre Abu Dhabi, il primo museo universale del mondo arabo che difende e promuove lo spirito di apertura tra le culture, rivelando le storie di connessioni tra le civiltà. Capolavoro dell'architettura contemporanea, sorge sull'isola di Sa'diyyat, distretto culturale della capitale, ed è il più grande museo della penisola arabica, con una struttura che di per sé è un'opera d'arte: il tetto a cupola, le cui geometrie si ispirano alle tradizionali foglie di palma ricoperte di paglia, è costituto da 7.850 stelle ripetute in diverse dimensioni e angolazioni che creano una "pioggia di luce", quando i raggi del sole le attraversano. Le sue gallerie ospitano opere d'arte internazionali che abbracciano la storia dell'umanità, in particolare due opere di Leonardo, altrettante opere di Picasso e uno dei celebri ritratti di Napoleone del pittore francese David.
    Qasr Al Watan, palazzo presidenziale ancora in funzione, invita a scoprire la ricca eredità di conoscenze e tradizioni che hanno plasmato la storia degli Emirati Arabi Uniti. Il palazzo è un'icona nello skyline di Abu Dhabi, con un design perfettamente realizzato per rendere omaggio al patrimonio arabo.
    A poco più di un'ora di auto dal cuore della capitale, la regione di Al Ain ospita alcuni dei villaggi più antichi del mondo ed è stata dichiarata patrimonio dell'Umanità dall'Unesco.
    Per scoprirli si passeggia lungo i sentieri ombreggiati dell'oasi di Al Ain, che ospita oltre 147mila palme da dattero e alberi da frutto su 1.200 ettari ed è alimentata da un sistema di irrigazione in funzione da 3mila anni. Oppure si visita il Qaryat al Torath Heritage Village, con un souk di una trentina di bancarelle che offrono prodotti artigianali e alimentari della tradizione emiratina. Qui si possono osservare le donne beduine mentre creano splendidi pezzi d'artigianato e scoprire abiti tradizionali, spezie, profumi, prodotti a base di palma da dattero e accessori. Chi è alla ricerca di un po' di avventura può recarsi al Parco del deserto di Jebel Hafit, dove fare escursioni a piedi o in bicicletta e godersi un esclusivo glamping nel deserto del rifugio Liwa Nights, che dà la possibilità di scoprire da vicino la cultura beduina. Nell'oasi di Liwa è possibile fare escursioni con il quad, partecipare a un safari o cavalcare un cammello sulle dune, prima di trascorrere la serata ad ammirare il cielo stellato.
    Per maggiori informazioni: dctabudhabi.ae e visitabudhabi.ae (ANSA).

Le mostre del 2023 Renoir, Perugino e maestri giapponesi

Dalla fotografia d'autore, con Morath ed Erwitt, alla poetica visione dei maestri giapponesi, fino al gesto pittorico di Perugino e Renoir e alle opere sorprendenti dell'argentino Erlich per la prima volta in Europa: anche il 2023 sarà un anno ricco di mostre interessanti, tra stili ed epoche differenti.

    VENEZIA - Al Museo di Palazzo Grimani il 18 gennaio si apre "Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi", a cura di Kurt Kaindle e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi.

La mostra presenta il reportage che la fotografa austriaca realizzò in Laguna, quando l'Agenzia Magnum la inviò in città per conto della rivista L'Oeil: il percorso raccoglie circa 200 fotografie (di queste circa 80 mai esposte) con un focus su Venezia.
    ABANO TERME - Si intitola "Vintage" la mostra dedicata a Elliott Erwitt in programma al Museo Villa Bassi Rathgeb dal 28 gennaio all'11 giugno. A cura di Marco Minuz, l'esposizione riunisce 154 fotografie vintage, raramente esposte al pubblico, e 30 scatti iconici che toccano vari temi, dall'integrazione razziale alle mutazioni sociali, il nudismo e ancora i cani, i bambini, i viaggi.
    PARMA - Oltre 50 opere (edizioni e serigrafie, sperimentazioni su metallo, tessuti e plastica oltre a fotografie e video) provenienti da collezioni europee e americane compongono "Roy Lichtenstein. Variazioni Pop", a Palazzo Tarasconi dall'11 febbraio al 18 giugno. A cura di Gianni Mercurio, la mostra ripercorre l'intera carriera artistica di Lichtenstein a partire dagli anni '60, documentando temi e generi.
    ROVIGO - "Pierre-Auguste Renoir: l'alba di un nuovo classicismo", curata da Paolo Bolpagni, aprirà al pubblico il 25 febbraio a Palazzo Roverella. Fino al 25 giugno, il progetto mette al centro la produzione di Renoir a partire dagli anni '80 del XIX secolo, che segnò l'inizio di un progressivo allontanamento dall'esperienza impressionista: dopo un viaggio in Italia nel 1881 per il pittore fu infatti l'inizio di una rivoluzione creativa verso una personale forma di classicismo.
    GENOVA - La primavera a Palazzo Ducale si accompagna alla monografica dedicata a Man Ray (dal 4 marzo al 2 luglio), fotografo ma anche pittore, scultore, regista d'avanguardia e grafico. La mostra, curata da Walter Guadagnini e Giangavino Piazzola, esplora cronologicamente e tematicamente vita e carriera dell'artista.
    TORINO - L'universo giapponese, attraverso un percorso tematico suddiviso in 9 sezioni, con oltre 300 capolavori e alcune opere mai presentate in Italia, si potrà ammirare nella mostra "Utamaro, Hokusai, Hiroshige. Geishe, samurai e i miti del Giappone", ospitata dalla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino dal 23 febbraio al 25 giugno. Nel percorso 30 disegni preparatori, 24 stampe di paesaggio di Hiroshige, una ventina di stampe di 'fiori e uccelli' (kachōga), una quarantina di stampe di attori kabuki (yakushae), una quarantina delle cosiddette stampe 'di belle donne' (bijinga), circa 30 stampe e 20 libri di carattere erotico (shunga), una ventina di stampe di guerrieri ed eroi (mushae).
    PERUGIA - "Il meglio maestro d'Italia. Perugino nel suo tempo", curata da Marco Pierini e Veruska Picchiarelli, è in programma alla Galleria Nazionale dell'Umbria dal 4 marzo all'11 giugno. Realizzata in occasione del V centenario della morte del pittore, l'esposizione documenta il ruolo di preminenza artistica del Perugino nella sua epoca, attraverso oltre 70 opere, tutte antecedenti al 1504, ovvero nel momento in cui si trovava all'apice della sua carriera.
    MILANO - Arriva a fine marzo a Palazzo Reale la prima prima grande mostra in Europa dell'artista argentino Leandro Erlich: nel percorso grandi installazioni con cui il pubblico potrà relazionarsi e giocare, diventando esso stesso l'opera d'arte.
    Tra i lavori esposti anche "Batiment", in cui le persone simulano l'arrampicata su un grande edificio, o "Swimming Pool" in cui si ha la sensazione di muoversi sott'acqua. Nel 2023 Palazzo Reale ospiterà anche mostre di Pistoletto, Morandi, Basilico, Newton, El Greco e Goya.
    ROMA - Da marzo a luglio a Palazzo Barberini la mostra "I Barberini. Caravaggio, Bernini, Poussin e la nascita del barocco", a cura di Maurizia Cicconi, Flaminia Gennari Santori, Sebastian Schütze, e allestita per il 400esimo anniversario dell'elezione a papa di Urbano VIII Barberini. Il percorso, che per la prima volta riunisce alcuni capolavori della collezione Barberini, racconta come durante il pontificato di Urbano VIII vi fosse una congiuntura artistica straordinaria, da lui incoraggiata, che determinò la nascita e l'affermarsi in Europa del barocco. (ANSA).

San Casciano come Riace, dall'acqua emergono 24 bronzi di epoca etrusca e romana. Il più grande deposito di statue dell'Italia antica. Gli archeologi: 'Una scoperta che cambierà la storia'

 


Adagiato sul fondo della grande vasca romana, il giovane efebo, bellissimo, sembra quasi dormire.

Accanto a lui c'è Igea, la dea della salute che fu figlia o moglie di Asclepio, un serpente arrotolato sul braccio.

Poco più in là, ancora in parte sommerso dall'acqua, si intravvede Apollo e poi ancora divinità, matrone, fanciulli, imperatori. Protetto per 2300 anni dal fango e dall'acqua bollente delle vasche sacre, è riemerso in questi giorni dagli scavi di San Casciano dei Bagni, in Toscana, un deposito votivo mai visto, con oltre 24 statue in bronzo di raffinatissima fattura, cinque delle quali alte quasi un metro, tutte integre e in perfetto stato di conservazione. "Una scoperta che riscriverà la storia e sulla quale sono già al lavoro oltre 60 esperti di tutto il mondo" annuncia in anteprima all'ANSA l'archeologo Jacopo Tabolli, il giovane docente dell'Università per Stranieri di Siena, che dal 2019 guida il progetto con la concessione del ministero della Cultura e il sostegno anche economico del piccolo comune. Un tesoro "assolutamente unico", sottolinea, che si accompagna ad una incredibile quantità di iscrizioni in etrusco e in latino e al quale si aggiungono migliaia di monete oltre ad una serie di altrettanto interessanti offerte vegetali. Insediato da una manciata di giorni, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha già visitato il laboratorio di restauro che ha appena accolto le statue e ora applaude: "Un ritrovamento eccezionale che ci conferma una volta di più che l'Italia è un paese fatto di tesori immensi e unici.La stratificazione di diverse civiltà è un unicum della cultura italiana", si appassiona il responsabile del Collegio Romano.

"La scoperta più importante dai Bronzi di Riace e certamente uno dei ritrovamenti di bronzi più significativi mai fatti nella storia del Mediterraneo antico", commenta accanto a lui il dg musei del MiC Massimo Osanna, che ha appena approvato l'acquisto del palazzo cinquecentesco che ospiterà nel borgo di San Casciano le meraviglie restituite dal Bagno Grande, un museo al quale si aggiungerà in futuro un vero e proprio parco archeologico. Luigi La Rocca, direttore generale per l'archeologia, condivide l'entusiasmo e sottolinea "l'importanza del metodo usato in questo scavo", che come è stato per le scoperte più recenti di Pompei, anche qui ha visto all'opera "specialisti di ogni disciplina, dagli architetti ai geologi, dagli archeobotanici agli esperti di epigrafia e numismatica".

Realizzate con tutta probabilità da artigiani locali, le 24 statue appena ritrovate - spiega Tabolli affiancato dal direttore dello scavo Emanuele Mariotti e da Ada Salvi della Soprintendenza- si possono datare tra il II secolo avanti Cristo e il I dopo. Il santuario, con le sue piscine ribollenti, le terrazze digradanti, le fontane, gli altari, esisteva almeno dal III secolo a.C. e rimase attivo fino al V d.C., racconta, quando in epoca cristiana venne chiuso ma non distrutto, le vasche sigillate con pesanti colonne di pietra, le divinità affidate con rispetto all'acqua. È anche per questo che, rimossa quella copertura, gli archeologi si sono trovati davanti un tesoro ancora intatto, di fatto “il più grande deposito di statue dell’Italia antica e comunque l’unico di cui abbiamo la possibilità di ricostruire interamente il contesto”, ribadisce Tabolli.

Disposte in parte sui rami di un enorme tronco d’albero fissato sul fondo della vasca, in molti casi appunto ricoperte di iscrizioni, ricoperte spesso di uova ("un mistero ancora tutto da studiare" sottolinea Tabolli) le statue come pure gli innumerevoli ex voto, arrivano dalle grandi famiglie del territorio e non solo, esponenti delle élites del mondo etrusco e poi romano, proprietari terrieri, signorotti locali, classi agiate di Roma e addirittura imperatori. Qui, a sorpresa, la lingua degli etruschi sembra sopravvivere molto più a lungo rispetto alle date canoniche della storia, così come le conoscenze etrusche in fatto di medicina sembrano essere riconosciute e accettate come tali anche in epoca romana.

Un grande santuario che sembra raccontarsi, insomma, come un luogo unico anche per gli antichi, una sorta di bolla di pace, se si pensa, come spiega Tabolli, "che anche in epoche storiche in cui fuori infuriano i più tremendi conflitti, all'interno di queste vasche e su questi altari i due mondi, quello etrusco e quello latino, sembrano convivere senza problemi". Chissà, ragiona l'archeologo, forse perché fin dalle origini il nume qui è sempre rimasta l'acqua con la sua divinazione, la sua forza, il suo potere: "Qui passa il tempo, cambia la lingua, cambiano persino i nomi delle divinità, ma il tipo di culto e l'intervento terapeutico rimangono gli stessi". Il cantiere adesso si chiude, riprenderà in primavera. L'inverno servirà per restaurare, studiare, capire. "Sarà un lavoro di squadra, com'è stato sempre finora", sorride orgoglioso Tabolli. Università, ministero, comune, specialisti di altri atenei del mondo. Tutti insieme, con l'occasione unica per scrivere un capitolo integralmente nuovo della storia antica.
ansa
(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale)

Bronzi e altari, a San Casciano emerge un tesoro romano unico "Senza eguali nel Mediterraneo". Franceschini, "Eccezionale"

Piscine termali in uno scenario mozzafiato con terrazze digradanti, fontane, giochi d'acqua. A San Casciano ai Bagni (Siena) gli scavi stanno restituendo il perimetro di un santuario etrusco e poi romano, incredibilmente grande e fastoso. E dall'acqua, anticipa all'ANSA l'archeologo Jacopo Tabolli, è appena emerso un incredibile tesoro di offerte votive. "Unico in Italia e nel Mediterraneo antico". Una scoperta "eccezionale" commenta il ministro Franceschini, che insieme al dg musei Osanna annuncia l'apertura nel borgo di un museo dedicato al Bagno Grande. "I ritrovamenti di queste settimane confermano l'importanza di questo scavo e del lavoro egregio portato avanti in questi anni", sottolinea Franceschini. Un lavoro, annuncia il ministro Pd, "che sarà valorizzato da un investimento dello Stato per dare ai reperti e allo loro storia una sede espositiva, che aiuterà anche il rilancio del territorio". I fondi per la realizzazione del museo, spiega il dg musei del Mic Massimo Osanna, sono già stati accantonati. Verrà realizzato in un palazzo del '500 acquisito dal ministero della Cultura nel centro storico del borgo toscano e allestito con tutti i reperti che sono stati trovati in questi anni ai quali si aggiungeranno quelli delle campagne di scavo future. (ANSA).

DA VEDERE | CULTURA: DOMENICA 3 LUGLIO INGRESSO GRATUITO NEI MUSEI E PARCHI ARCHEOLOGICI STATALI, ECCO DOVE ANDARE

 



Torna il 3 luglio l’appuntamento mensile con la cultura gratuita per tutti. Come ogni prima domenica del mese, si potrà entrare gratuitamente in tutti i musei, i parchi archeologici e i luoghi della cultura statali. Ecco dove.

(TurismoItaliaNews) Le visite si svolgeranno negli orari ordinari di apertura dei siti e dovranno avvenire nel pieno rispetto delle misure di sicurezza che raccomandano fortemente l’utilizzo della mascherina all’interno dei luoghi chiusi. Alcune sedi sono visitabili solo su prenotazione. L’elenco completo degli istituti coinvolti è consultabile all’indirizzo cultura.gov.it/domenicalmuseo

Tra Ottocento vigezzino e arte contemporanea | Paesaggio, ritratto, natura morta | dal 2 luglio al 4 settembre a Casa De Rodis, Domodossola

 

TRA OTTOCENTO VIGEZZINO E ARTE CONTEMPORANEA

Paesaggio, ritratto, natura morta

La nuova mostra di Casa De Rodis a Domodossola

Tra Ottocento vigezzino e arte contemporanea è il nuovo percorso espositivo di Casa De Rodis, a Domodossola (VB), aperto dal 2 luglio – inaugurazione ore 18 –, al 4 settembre. Paesaggio, ritratto, natura morta sono tre dei generi più frequentati dagli artisti di ogni tempo. Punti fermi che accompagnano da secoli la storia dell’arte, al di là di movimenti e correnti. Punto di partenza, il nucleo dei Maestri vigezzini: Alfredo Belcastro, Camillo Besana, Stefano Biotti, Enrico Cavalli, Giovanni Battista Ciolina, Carlo Fornara, Lorenzo Peretti Junior, Gian Maria Rastellini, Giacomo Rossetti. Punto di arrivo e di ripartenza, il lavoro di importanti artisti contemporanei: Stefano Anchisi, Cornelia Badelita, Romina Bassu, Hubert Blanz, Enzo Cucchi, Antonio De Luca, Marlin Dedaj, Özgür Demirci, Otto Dix, Serena Gamba, Piero Gilardi, Gioberto Noro, Alessandro Gioiello, Sea Hyun Lee, Robert Mapplethorpe, Mary McIntyre, Aldo Mondino, Fabio Roncato, Marcus Schaller.

Un percorso di ricerca trasversale organizzato da Collezione Poscio e Fondazione Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini con l’obiettivo di instaurare un dialogo a più voci tra Ottocento e contemporaneo. La mostra, a cura di Giorgio Caione, accade davanti allo spettatore e gli si dis-vela come ponte, collegamento e connessione tra opere che appartengono a epoche diverse, capaci di creare un gioco di risonanze ed echi, sia esso tematico, simbolico o emotivo. Perché tutta l’arte, come ci ricorda il curatore partendo dalla celebre frase di Maurizio Nannucci, è stata contemporanea. Il nuovo non è solo il nostro, di nuovo, ma anche quello che lo era una volta e che oggi, forse, non riconosciamo più come tale. Vallate, alpeggi e montagne dipinti en plein air si confrontano con polaroid, paesaggi scomposti e ricomposti fatti di circuiti e microchip, immagini ottenute da raccolte di scatti satellitari. E ancora, ritratti si specchiano in volti che diventano ciechi e muti, immagini in movimento ci scrutano con sguardi rivolti dritti in macchina. Nature morte immerse nella luce e nel colore fanno da contraltare a memento mori destrutturalizzati e frutti intagliati nel poliuretano espanso.

Il percorso si inserisce all’interno di Val Vigezzo. La Valle dei Pittori, il bando “In Luce” sostenuto da Fondazione Compagnia di San Paolo. Una progettualità pluriennale legata alla valorizzazione del territorio ossolano e delle sue eccellenze artistiche, con al centro la pittura vigezzina e la valle dei pittori. La strategia di medio-lungo periodo è instaurare un dialogo con la produzione contemporanea di opere d’arte e la ricerca culturale più attuale tramite residenze artistiche, organizzazioni di mostre, istituzione di borse di studio, ricerche d’archivio e progetti di rete in cui al momento sono coinvolti Fondazione Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini, Comune di Santa Maria Maggiore, Associazione Musei d’Ossola, Fondazione Ciolina, Collezione Poscio, Associazione Asilo Bianco APS.

Un’ulteriore tappa sarà la Mountain Academy, corso gratuito per creare un taccuino d’artista. La quarta edizione, 22-23-24 luglio Santa Maria Maggiore, Valle Vigezzo, sarà condotta da Giulia Gentilcore e Irene Lupia (Tana dei Lupi Gentili). Tra i relatori esterni: Marcella Pralormo (storica dell’arte, Direttrice della Pinacoteca Agnelli dal 2002 al 2021), Alessandro Gioiello (artista) e Serena Gamba (artista).

Tra Ottocento vigezzino e arte contemporanea

Paesaggio, ritratto, natura morta

a cura di Giorgio Caione

dal 2 luglio al 4 settembre

Casa De Rodis - Piazza Mercato 8, Domodossola (VB)

inaugurazione sabato 2 luglio ore 18
ingresso libero

Fonte: Comunicato Stampa

Lesley Lokko, la decolonizzazione aiuta l'architettura. Curatrice Biennale, c'è bisogno di novità anche nella formazione


Ansa

"Dopo due degli anni più difficili e divisivi che la storia ricordi, noi architetti abbiamo un'occasione unica per mostrare al mondo quello che sappiamo fare meglio: proporre idee ambiziose e creative che ci aiutino a immaginare un più equo e ottimistico futuro in comune".

Sicura e travolgente con tutta la forza della giovane Africa che è orgogliosa di rappresentare e nella quale è fiera di lavorare, Lesley Lokko, l'architetta anglo ghanese che guiderà la prossima Biennale Architettura (a Venezia da sabato 20 maggio a domenica 26 novembre 2023) commentava così qualche mese fa l'investitura appena ricevuta. "Una scelta audace e coraggiosa", sottolineava ringraziando il presidente della Biennale Roberto Cicutto. Lasciata New York per la sua Accra, in Ghana, dove con la collaborazione di David Adjaye ha fondato l'Africa Futures Institute (Afi) l'architetta, scrittrice e docente che succederà ad Hashim Sarkis è dunque al lavoro, concentrata sul grande impegno che la attende. E se il tema della kermesse veneziana è al momento top secret, in una densa intervista a thebrief testata online edita da Ppan, ragiona a tutto campo sul futuro di una disciplina nei confronti della quale spiega di sentirsi ottimista: "Lo sono perché ho potuto toccare con mano l'immaginazione di quest'ultima generazione di ragazzi africani- sottolinea - non solo di colore, ma anche indiani, e bianchi". Tra le prime a parlare di genere, identità e potere nell'architettura, temi che d'altronde sono stati sempre al centro della sua ricerca creativa, motore e sfondo in qualche modo pure della sua prolifica attività di romanziera (in Italia i suoi titoli sono pubblicati da Mondadori) Lokko si sofferma sull'importanza di "decolonizzare" l'architettura: "Considero la decolonizzazione un dono per l'architettura, perché significa aggiungere qualcosa, non sottrarre. Va colmato il divario", ripete ribadendo di sentirsi "quasi sopraffatta dalla creatività dei suoi studenti". E del resto - questo è un concetto che l'architetta, insignita del Riba Annie Spink Award per l'eccellenza nell'insegnamento dell'architettura nel 2020, ha ripetuto tante volte in diversi contesti - con un'età media sotto i vent'anni contro i 40 dell'Europa, l'Africa con tutta la sua enorme varietà e complessità è un continente che ha davvero molto da dare anche all'architettura. Un mondo "la cui complessità creativa richiede risposte altrettanto creative", spiega oggi a thebrief sottolineando ad esempio la necessità di lavorare sul linguaggio dell'architettura, che lei ritiene "veramente povero", per renderlo invece davvero universale.
    "Una delle grandi sfide che attendono le prossime 4 o 5 generazioni di professionisti dell'ambiente del costruito - dice -sarà quella di trovare, da una parte, un linguaggio universale per descrivere l'urbano, e dall'altra, un linguaggio che sia specifico per ogni sito. Non ha senso parlare un linguaggio universale, se poi nessuno capisce quello che dici in posti diversi". Uno sforzo di apertura e di innovazione che per forza di cosa deve coinvolgere anche i luoghi della formazione, le università, le accademie. Lei ne è convinta, tanto che nel 2020 a solo un anno dalla nomina ha lasciato sbattendo la porta il suo lavoro di preside alla Bernard and Anne Spitzer School of Architecture di New York in polemica con quello che definì un carico di lavoro "paralizzante" e una "mancanza di rispetto ed empatia per le persone di colore, soprattutto per le donne di colore, per i quali non ero preparata". Oggi, mentre lavora alle basi della sua nuova scuola, lo ribadisce: "Le istituzioni universitarie sono almeno dieci anni che affermano di voler cambiare, ma quando poi cerchi di farlo, non riesci. Ora è tempo di passare dalle parole ai fatti. Non è più una questione di avere 3 o 4 professori di colore, 2 donne, e poi metterli sulla copertina di una rivista, è necessario un cambiamento profondo e strutturale, anche se è un'idea spaventosa per l'accademia". Creatività, nuove generazioni, identità, ruolo dell'Africa. Chissà che non siano proprio questi i temi al centro della sua attesa Biennale. 

Campiello: vince Giulia Caminito con 99 voti. Al secondo posto "Se l'acqua ride" (Einaudi) di Paolo Malaguti

 

Giulia Caminito con 'L'acqua del lago non è mai dolce' (Bompiani) ha vinto la 59/ma edizione del Premio Campiello. La scrittrice ha avuto 99 voti sui 270 arrivati dalla Giuria Popolare di Trecento Lettori Anonimi.

Al secondo posto "Se l'acqua ride" (Einaudi) di Paolo Malaguti, 80 voti, al terzo "Sanguina ancora" (Mondadori) di Paolo Nori, 37 voti, al quarto "La felicita' degli altri" (La nave di Teseo) di Carmen Pellegrino, 36 voti e al quinto "Il libro delle case" (Feltrinelli) di Andrea Bajani, 18 voti. (ANSA).
   

Slitta al 30 ottobre mostra "Raffaello giovane" a C.Castello. Il 18 settembre anteprima dell'evento

 E' slittato al 30 ottobre 2021 l'inizio della mostra "Raffaello giovane e il suo sguardo", a cura di Marika Mercalli e Laura Teza, inizialmente in programma dal 18 settembre nella Pinacoteca di Città di Castello.
    In una nota, le curatrici e il Comune tifernate spiegano che la data è stata "aggiornata a causa dei maggiori adempimenti previsti per la logistica degli allestimenti". "Non abbiamo voluto rinunciare alla mostra - prosegue la nota - nonostante le molte difficoltà che implica organizzarla durante una pandemia.
    Questo però ha determinato uno spostamento di data per poter concludere l'intera rete delle procedure connesse ai contatti con i musei e al trasporto delle opere, alcune fuori Italia ma anche fuori Ue ormai e l'adeguamento del museo che ospiterà la mostra con un nuovo allestimento sia permanente che temporaneo.
    Abbiamo mantenuto la data del 18 settembre simbolicamente: era la data che avevamo scelto e che abbiamo cercato di mantenere fino alla fine. Servirà come anteprima dell'evento e del restauro dello Stendardo di Raffaello, una delle grandi attività connesse alla mostra".
    Al Teatro degli Illuminati - in sicurezza - le curatrici presenteranno in anteprima i dettagli della mostra e il restauro dello Stendardo, l'immagine guida della stessa esposizione. La corale Marietta Alboni presenterà in anteprima il video "Il nostro Raffaello". Evento e video saranno trasmessi in diretta Facebook. (ANSA).

Siti di Barumini trainano il turismo culturale in Sardegna

 

Il sito Unesco di Su Nuraxi, a Barumini, continua a essere la meta preferita in Sardegna per il turismo archeologico-culturale. La conferma arriva dai numeri dell'estate 2021 che, nonostante gli strascichi ancora evidenti della pandemia Covid, certificano come l'area archeologica di Barumini sia la più ricercata dai turisti nazionali e internazionali che scelgono l'isola.
    Nel trimestre giugno-luglio-agosto, infatti, Su Nuraxi ha registrato quasi 26.500 mila presenze, segnando + 11mila ingressi rispetto allo stesso periodo dell'anno prima. Sui grandi numeri, i siti del territorio, raggiungono il 65% di presenze rispetto al 2019, anno pre pandemia e dunque periodo di normalità.
    "Si tratta di numeri incoraggianti e che ci fanno ben sperare che la ripresa sia finalmente arrivata e ci auguriamo possa consolidarsi nel proseguo della stagione e nel prossimo futuro - sottolinea il presidente della Fondazione Barumini sistema cultura, Emanuele Lilliu - un traguardo importante dopo le grandi difficoltà passate che non hanno, comunque, interrotto il grande lavoro della Fondazione per rendere l'offerta ancora più integrata e per attivare nuovi eventi e percorsi in grado di sostenere la ripresa del turismo in Sardegna e nei nostri siti".
    E proprio dall'offerta generata dalla Fondazione arrivano altre importanti indicazioni, grazie al successo della mostra: 'Humanum. Sardegna e Campania, da Su Nuraxi a Pompei', nata grazie alla collaborazione tra la Fondazione, il Museo Archeologico di Napoli, la Soprintendenza Archeologica per la Città Metropolitana di Cagliari e ancora visitabile al centro Giovanni Lilliu. Dall'inaugurazione dello scorso 3 luglio a oggi, infatti, le visite hanno toccato quota 4.600 (che contando anche giugno portano in totale a 5.400 ingressi al centro G.Lilliu).
    Tra gli altri numeri di rilievo anche la continua crescita di visitatori a Casa Zapata, altra importante attrazione di Barumini. Nel periodo giugno-agosto sono stati quasi 10.900 gli ingressi registrati con 2.500 turisti in più rispetto allo stesso periodo del 2020. (ANSA).

MENS-A/Parma Festival di “Cultura diffusa” in Emilia-Romagna

 

MENS-A è un evento sul Pensiero Ospitale e Cosmopolitismo in Italia, nella consapevolezza della funzione storica della Cultura quale unico strumento che consente comunicazione e dialogo fra gli uomini e le società. L’obiettivo di MENS-A è quello di creare una rete che valorizzi innovazioni di processi, il pluralismo culturale, il Patrimonio vivente, in un orizzonte di cultura “diffusa” e turismo intelligente.

Quest’anno il tema di  MENS-A è Nuovo Umaneismo.
Da una parte la pandemia Coronavirus ha evidenziato sempre più la centralità dell’uomo, la sua complessità e fragilità, la sua costante domanda di senso. Dall’altra nel 2021 ricorrono i 700 anni della scomparsa del grande poeta Dante Alighieri. Abbiamo pensato così di riflettere sui valori dell’Umanesimo rinascimentale per concentrarci sul Nuovo Umanesimo.

Il 23 settembre MENS-A fa tappa a Parma con un convegno dal titolo Bellezza nelle arti, nelle discipline, nella ricerca.

Davide Zanichelli, direttore di Fondazione Palazzo Magnani farà parte della tavola rotonda sul tema “Progettare la Bellezza” insieme a Sara Piccinini (direttrice Collezione Maramotti) e Carla Dini (APE Parma Museo).

Scarica il programma completo

MENS-A è un progetto ideato dall’Associazione APUN (APS) con la direzione scientifica di Beatrice Balsamo, in collaborazione con l’Università di Bologna, l’Università di Modena/ Reggio e di Parma, Comuni di Bologna, Modena, Parma, Reggio Emilia, Ferrara, Vignola, Ravenna. È una compartecipazione con l’Assessorato Cultura-Regione Emilia–Romagna e Direzione AUSL Regione Emilia-Romagna. Rilascia i crediti formativi agli studenti di Unibo, UNIMORE e UniPr e ai docenti di primo e secondo grado delle scuole, essendo un progetto MIUR.

Alcune presenze a MENS-A 2021:
Elisabetta Sgarbi (Editrice e regista), Luigi Alici (Filosofo, Unimc), Angela Vettese (Critica d’Arte), Salvatore Natoli (Filosofo), Eugenio Borgna (Psichiatra e Scrittore), Pietrangelo Buttafuoco (Giornalista e Scrittore), Franco Cardini (Storico e Saggista), Gustavo Zagrebelsky (Giurista), Dario Squilloni (Psicologo), Maurizio Schoepflin (Storico della Filosofia – ISSR “all’Apollinaire” Roma), Umberto Curi (Filosofo), Massimo Montanari (Medievista), Gulio Ferroni (Critico letterario e saggista), Extraliscio (Gruppo musicale)

Fonte: palazzomagnani.it

(Segnalazione web a cura di Giuseppe Serronee Albana Ruci - Turismo Culturale)

Vax Day: Dal Mibact campagna social con le primule nell'arte


Un primo piano del busto e delle mani della "Dama col mazzolino" di Andrea Del Verrocchio, l'opera, conservata a Firenze al Museo Nazionale del Bargello, alla quale si è ispirato Stefano Boeri per mettere a punto il logo della campagna di vaccinazione anti Covid. Ma anche una ricerca sul 'fiore che annuncia la primavera' condotta e condivisa da tutti i suoi istituti, dalle biblioteche agli archivi dai musei ai parchi archeologici: il ministero di beni culturali e turismo guidato da Dario Franceschini scende in campo a sostegno del #VaccineDay lanciando una campagna sui profili sociale del Mibact.

Un tripudio di primule di diverse specie, dalle corolle in giallo, arancio, rosa. Che si ritrovano scolpite sui marmi, stampate su pergamene, dipinte su porcellane, catalogate in antichi erbari, descritte in scrupolosi codici botanici. Un caleidoscopio di espressioni di arte che va dalle primule intarsiate nel "fregio di camino" di Francesco di Giorgio Martini a Palazzo Ducale di Gubbio, ai ricami di un costume tradizionale della Calabria esposto al Museo delle Civiltà di Roma; dalle porcellane della Manifattura Discry alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola di Genova, a una cartolina del 1919 del Fondo Cesare Poma dell'Archivio di Stato di Biella. Primule che si ritrovano nelle Cinquecentine della biblioteca Universitaria di Cagliari, come nei volumi sulla "Flora italiana ossia Raccolta delle piante più belle che si coltivano nei giardini d'Italia" della Biblioteca Palatina di Parma o nella corona di fiori della "Ninfa alata" di Gennaro De Crescenzo, nella Saletta neoclassica di Palazzo Reale a Napoli. Tutti insieme, sottolineano dal ministero, "per impegno corale della Cultura a favore della salute dei cittadini e del rilancio del Paese". (ANSA).

Venezia, arte sul Ponte di Rialto per il ‘Natale di Luce 2020’

 

Il Ponte di Rialto si tinge d’arte per il ‘Natale di Luce 2020’, verso le celebrazioni per i 1600 anni di Venezia. Con un gioco di proiezioni e dissolvenze, il ponte si trasforma in un libro su cui scorrono alcune delle pagine più significative della storia della città. Come riporta HotelMag, la struttura in pietra d’Istria del ponte si accende di immagini che, in rapida sequenza, ricordano alcuni dei momenti e dei protagonisti della storia, dell’arte e dell’architettura veneziane.

La videoproiezione, promossa dal Comune di Venezia e Vela, con la partnership del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, nell’ambito del progetto ‘Natale di Luce 2020’, prende avvio il 5 dicembre per essere ripetuta sino al 31 dicembre 2021. Una rassegna artistica luminosa, da Vittore Carpaccio a Jacopo de’ Barbari, da Antonio da Ponte a Vincenzo Scamozzi, al Canaletto, per raccontare questo punto nevralgico che unisce le due sponde del Canal Grande.

La narrazione, a cura di Etra Comunicazione, che si chiude con un brindisi simbolico al nuovo anno, vuole anche introdurre le celebrazioni per il 1600esimo anniversario della fondazione di Venezia, che ricorrerà il 25 marzo 2021.

ttgitalia

Cultura: 10 poeti italiani del Novecento da leggere assolutamente

Proprio per soddisfare la curiosità di chi legge e ama le poesie, abbiamo preparato una lista di 10 poeti italiani del Novecento, alcuni più noti (perché spesso studiati a scuola), e altri meno conosciuti (ma non per questo meno importanti). Certo, questa nostra breve selezione non ha la pretesa di essere esaustiva (ci sarebbero moltissimi altri nomi da citare e ricordare), ma ha la speranza di diffondere un po’ di bellezza e di meraviglia, se è vero che, come diceva Walt Whitmanla poesia salverà il mondo.

E se poi a qualcuno venisse voglia di approfondire altre figure di questo periodo storico, rimandiamo alla lettura di una nuova raccolta, Il verso giusto. 100 poesie italiane (collana i Robinson/Letture, Laterza), scritta dal grande linguista e filologo Luca Serianni, che ha scelto cento poesie del Novecento per valore assoluto, rappresentatività e, naturalmente, gusto personale.

eugenio montale Getty novembre 2020

Satura, Eugenio Montale

  Nato a Genova nel 1896 da una famiglia di commercianti, Eugenio Montale (Premio Nobel nel 1975) inizia a frequentare fin da giovanissimo gli ambienti culturali e letterari. La sua prima raccolta di liriche, Ossi di seppia, risale al 1925, e subito si fa notare per l’originalità del linguaggio e dei temi trattati. A questa pubblicazione seguono poi Le occasioni, in cui è evidente l’adesione alla poetica dell’ermetismo, La bufera e altroLa farfalla di Dinard e Auto da fé. È nel 1971 che esce Satura, che contiene gli Xenia, un gruppo di liriche dedicate al ricordo della moglie, Drusilla Tanzi, deceduta nel 1963, e chiamata con l’appellativo affettuoso di “mosca”. Tra queste compare la celebre Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, una poesia dal sapore diarisitico e prosaico, che esprime tutto il dolore della perdita e della mancanza attraverso un linguaggio scorrevole e diretto. Giorgio Caproni

Il seme del piangere, Giorgio Caproni

È il 1912 quando Giorgio Caproni nasce a Livorno. Ancora bambino si trasferisce a Genova con la famiglia, e qui compie i suoi studi. Diventa maestro elementare e inizia a pubblicare i primi volumi di poesia, tutti rivolti alla ricerca di una musicalità della parola, come tipico della sua scrittura: è il periodo in cui nascono Come un’allegoriaBallo a FontanigordaFinzioni e Cronistoria. Dal 1945 si stabilisce a Roma dove continua a insegnare e a scrivere. Nel 1959 esce Il seme del piangere, centrato sulla costruzione del personaggio della madre defunta, Annina. Sempre caro gli fu infatti il tema del lutto e della comunicazione con essenze invisibili (morti, ricordi, figure fantasmagoriche), uniche possibili interlocutrici con cui affrontare la tranisitorietà e la provvisorietà della vita umana.

Antonia Pozzi

Desiderio di cose leggere, Antonia Pozzi

È sempre del 1912 Antonia Pozzi, poeta di origini milanesi, venuta a mancare all’età di ventisei anni, quando decide di togliersi la vita avvelenandosi con barbiturici. Ipersensibile, dolce e dotata di un’intelligente brillante: l’autrice ha attraversato un’esistenza piena di conflitti, dapprima quello con il padre, che le vieta di proseguire una relazione amorosa con il suo insegnante di italiano, e poi quello religioso. Praticamente sconosciuta al grande pubblico per molto tempo, Antonia Pozzi ha lasciato più di trecento composizioni, mai pubblicate in vita. Tutte le sue poesie sono state raccolte e pubblicate postume in diverse antologie, attraverso le quali possiamo conoscere la voce unica, “leggera, pochissimo bisognosa di appoggi, che tende a bruciare le sillabe nello spazio bianco della pagina“, come scrisse Eugenio Montale.  

Nel magma, Mario Luzi

Mario Luzi nasce a Firenze nel 1914. Si laurea in letteratura francese e inizia a insegnare in varie scuole, medie e superiori, e poi presso l’Università di Firenze. Esordisce con la raccolta di poesie La barca, nel 1935, nel pieno degli anni dell’ermetismo, che condiziona all’inizio molto il suo stile di scrittura. Si sposta però poi verso espressioni più aperte, colloquiali e discorsive, in un raro equilibro fra recitativo e canto. È di molto tempo più tardi una delle sue opere più memorabili, Nel magma, del 1963, da cui emerge tutto il suo tratto malinconico e drammatico: i versi si esprimono in una forma più ampia e immediata, assumendo le forme di un pensiero poetante su istanze essenziali della natura e sugli interrogativi dell’umano.

Pier paolo pasolini

Poesia in forma di rosa, Pier Paolo Pasolini

Nato a Bologna nel 1922, Pier Paolo Pasolini è uno degli intellettuali più splendenti del Novecento. Romanziere, poeta, giornalista, regista, drammaturgo, pubblica all’età di vent’anni la sua prima raccolta, Poesie a Carsara, che confluiranno poi nel volume La meglio gioventù, e poi ancora ne L’usignolo della chiesa cattolica. Nel 1947 si iscrive al Partito comunista ed esercita un’attiva militanza politica, nel frattempo inizia a insegnare, ma quasi subito viene sospeso dal mestiere ed espulso dal PCI perché accusato di corruzione di minori. Si trasferisce quindi a Roma ed entra a contatto con la vita del sottoproletrariato: è questo il momento in cui viene alla luce uno dei suoi romanzi più celebri, Ragazzi di vita, e a seguire, Una vita violenta. Intanto inizia a lavorare come sceneggiatore cinematografico, ma non abbandona la scrittura di versi: escono Le ceneri di GramsciLa religione del mio tempo e Poesia in forma di rosa. Quest’ultima è un vero e proprio romanzo autobiografico in versi che – osservava l’autore in un’intervista – “racconta punto per punto i progressi del mio pensiero e del mio umore” in quegli anni. È in questa antologia che compare l’indimenticabile Supplica a mia madre: “Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data”. Tutte le poesie (>>>Pasolini in offerta su Amazon)   (Giovanni Giudici - Tutte le poesie in offerta su Amazon)

La vita in versi, Giovanni Giudici

Poeta prolifico, poeta del quotidiano: Giovanni Giudici nasce a Le Grazie (La Spezia) nel 1924. Come Pasolini, anche lui si dedica all’attività politica e intanto si guadagna da vivere come giornalista. Lavora per molto tempo nell’ambito pubblicitario della Olivetti e si afferma come autore con L’educazione cattolica e La vita in versi, due raccolte che mostrano la capacità dell’autore di rappresentare il reale, con assoluta grazia, delicatezza e semplicità. Quest’ultimo, in particolare, è un libro che esprime alla perfezione il disagio dell’intellettuale e dell’uomo rispetto ai modi di vita del neocapitalismo nella Milano del boom, e soprattutto l’urgenza di vivere di poesia come unica via per sopravvivere davvero: “Inoltre metti in versi che morire è possibile a tutti più che nascere. E in ogni caso l’essere è più del dire”.  

Gli strumenti umani, Vittorio Sereni

Anche Vittorio Sereni, nato a Luino (Varese) nel 1925, condivide con i colleghi poeti il mestiere dell’insegnante. Durante gli anni della maturità, si trasferisce a Milano e frequenta circoli letterari che fanno capo alla rivista Corrente. Nel 1941 viene pubblicato il suo primo libro, Frontiera, ma è del suo terzo volume che vogliamo parlarvi, Gli strumenti umani, opera che segna in Italia il definitivo superamento della corrente ermetica e l’apertura verso un modo di scrittura sospeso ed errante, continuamente forato dai disvelamenti, epifanie, segreti ed ombre.  Una poesia fatta di bisbiglii, voci e vibrazioni, dove la tradizione viene conservata e rielaborata per aprire la strada alla sperimentazione degli anni successivi.

Laborintus, Edoardo Sanguineti

Tra i più noti nomi del gruppo ’63, Edoardo Sanguineti nasce a Genova nel 1930. Docente di letteratura italiana e studioso di Dante, è un critico e poeta della neoavanguardia. Le sue opere di versi sono il manifesto della sperimentazione poetica di cui parlavamo poc’anzi, mostrando la disgregazione del linguaggio e del senso. Come la prima, Laborintus, del 1956, raccolta audace ed estrema, che rivela già la vocazione profonda di quello che Romano Luperini definisce “l’ultimo intellettuale del Novecento”.  

La Terra Santa, Alda Merini

Nata nel 1931, il 21 marzo, in primavera, come fa notare in una delle sue poesie più celebri: Alda Merini è milanese doc, ed è proprio nel capoluogo lombardo che cresce e studia, appassionandosi fin da subito alla poesia. Esordisce infatti all’età di 15 anni, grazie ad un’insegnante delle medie che ne scova e ne apprezza il talento. La raccolta La Terra Santa (Scheiwiller), del 1979, la rivela come grande autrice e segna l’inizio del suo successo, con un’opera che racconta l’esperienza vissuta in ospedale psichiatrico. In questo volume, la scrittrice utilizza la vicenda dell’esodo del popolo ebraico in Terra Santa come metafora del periodo trascorso in manicomio, tracciandolo con toni esasperati, e ossessivi che restituiscono una sensazione di tormento e claustrofobia. Con La Terra Santa, Alda Merini vince nel 1993 il Premio Librex Montale.   poeti italiani novecento

Cento quartine e altre storie d’amore, Patrizia Valduga

Poetessa e traduttrice, Patrizia Valduga nasce a Castelfranco Veneto nel 1953. Studia medicina, ma cambia percorso per intraprendere gli studi letterari. Vive a Milano e si dedica allo studio di Mallarmé, Valery, Donne, Molière, Céline, Cocteau e Shakespeare. Intanto si afferma come autrice, attratta da una poesia che molto ha a che fare con il teatro: la sua raccolta Cento quartine e altre storie d’amore è del 1997 e ospita cento quartine che raccontano, senza censure, quello che succede fra un uomo e una donna nel “tempo reale” di un incontro d’amore. Nel finale, mille versi per raccontare la metamorfosi di una sopraffazione erotica in un’esperienza o visione iniziatica: due storie diversissime e complementari, racchiuse entrambe nello spazio di una sola notte.