Non è certo la prima volta che la Disney Pixar affronta temi assai complessi, insoliti per il pubblico dei più piccoli. Basti pensare a capolavori come Up, che affronta la vecchiaia e l’elaborazione del lutto, o Inside Out, che dà volto, corpo e voce alle emozioni di una bambina.
Nel nuovo film, Coco, nelle nostre sale il 28 dicembre, è invece di scena il mondo dei morti, che i messicani celebrano in un giorno speciale, “el Dia de los Muertos”, e che diventa il teatro delle avventure del piccolo Miguel, figlio di calzolai e aspirante cantante, al quale però è proibito suonare a causa delle malefatte di un antenato musicista. Quando però, proprio durante il Giorno dei Morti, il bambino si ritrova a suonare la chitarra del defunto Ernesto de la Cruz, gloria nazionale, viene magicamente catapultato nell’aldilà e costretto a risolvere antichi e mai sopiti problemi di famiglia, accompagnato dal cane Dante, tra colpi di scena (e omaggi a Tim Burton) che spingono il racconto su un terreno mai esplorato prima.
Gli spunti di riflessione proposti da questo film struggente e poetico, il più visto di sempre in Messico (dove è uscito il 27 ottobre), sono tanti: dall’importanza dei legami familiari che uniscono più generazioni alla lotta per inseguire i propri sogni, dalle menzogne e le insidie della celebrità alla memoria dei defunti, capace di tenere in vita chi non c’è più.
Un film di anime, cuori e scheletri, fiori e altari, dai colori accesi e un clima carnevalesco, dove la morte non fa paura, dove c’è spazio per l’allegria e dove un ponte meraviglioso unisce «due mondi separati solo da un petalo di fiore», come dice Michele Bravi, che canta il brano sui titoli di coda, mentre Matilda De Angelis presta la sua voce a Tía Victoria, Valentina Lodovini è la madre del piccolo protagonista e Mara Maionchi recita un commovente monologo affidato alla trisavola che dà il nome al film.
E oggi che il tormentato confine tra Usa e Messico è oggetto di feroci battaglie elettorali, la decisione di ambientare la storia del film nel paese latinoamericano è letto come un atto politico in polemica con la presidenza Trump. «In realtà abbiamo cominciato a lavorare a Coco sei anni fa – ha raccontato il regista Lee Unkrich, venuto a Roma a presentare il film insieme alla produttrice Darla K. Anderson – e il mondo allora era molto diverso. Sin dall’inizio l’intenzione era realizzare un film che fosse prova del nostro profondo amore e rispetto per la cultura messicana, che aiutasse a mostrarne la bellezza e a dissolvere pregiudizi e barriere. Speriamo quindi di poter contribuire a costruire un ponte e non un muro».
«Coco è un film sull’importanza delle radici, sui sogni, sulla vita e sulla morte – sintetizza la Lodovini –, ma anche sul fascino del potere», mentre la De Angelis aggiunge: «È bello che i bambini riflettano su un tema doloroso come la morte, dal quale li si tiene spesso lontani per proteggerli». «La storia di Miguel racconta il sacrificio che c’è dietro la creatività, quando bisogna stabilire un ordine di priorità della vita » dice Bravi e a proposito della forza dei legami familiari Mara Maionchi commenta: «Ho un forte senso d’appartenenza alla famiglia, è un ricordo dolce, mai doloroso. Parlo dei miei parenti rievocando momenti divertenti, come se fossero ancora vivi. E finché sarò viva io, racconterò di loro alle mie figlie e ai nipoti, che non conoscono chi non c’è più»
da Avvenire
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