Turismo. Social e rotte digitali, com’è l’Italia agli occhi del “turista”?

Andrea Baccuini affronta in un libro i limiti del sistema dell'ospitalità di fronte ai nuovi viaggiatori formato Instagram. Eppure il nostro Paese «dovrebbe essere una Repubblica fondata sul turismo»


Il selfie di una turista nel silenzio di Santa Maddalena, in Val di Funes, sulle Dolomiti - Icp avvenire.it C’era una volta il turista. Quello che si muoveva seguendo le rotte disegnate da televisione, siti internet, guide, riviste, racconti e fotografie di amici. Poi sono arrivati i social e il mondo è diventato il set dello spettacolo globale della selfie generation. «Il mondo viene visto attraverso l’occhio digitale di una telecamera»: la vita, il lavoro e anche il viaggio stanno in un display – come ha dimostrato, oltre ogni immaginazione, il periodo della pandemia. «Si cammina per la strada con lo sguardo fisso sullo smartphone, in quanto la realtà, la socialità, sono racchiuse lì dentro. Siamo divenuti tutti registi». E fotografi e narratori. «Non si vive più e non si condivide più, oggi si condi-vive». E allora non abbiamo più il turista che fotografa il Colosseo. Ma il “turinsta” – mutazione genetica del turista al tempo di Instagram – che si fotografa con il Colosseo: «è lui il nuovo, giovane e terribile protagonista viaggiatore che condividendo, commentando e socializzando in tempo reale riesce a scoprire il mondo e a stabilire le nuove regole che decidono chi è interessante e chi non lo è». L’Italia è pronta ad accogliere e a stare al passo del clic del “turinsta”? Per Andrea Baccuini (esperto di destination design, curatore del Master in Event management allo Ied di Milano e imprenditore dell’hospitality con i format Super G – Italian Mountain Club a Courmayeur e Meraviglioso Singing Restaurant a Porto Cervo) non lo è. Nonostante i “superpoteri” legati alla storia e alle bellezze uniche al mondo (lascito straordinario dell’impero romano, delle culture che si sono succedute e del patrimonio della Chiesa) e un “giacimento enogastronomico” immenso, l’Italia rischia di non essere pienamente attrattiva, di intercettare meno viaggiatori globali e di rivelarsi perfino «noiosa». «Un Paese di un altro tempo che vive sul passato, senza pensare al futuro». Un Paese che fa il pieno di turisti di massa che affollano le nostre città, con tutti i problemi legati all’overtourism, ma senza più quella esclusività che una volta era rappresentata dalla “Dolce vita”, o andando più indietro era ricercata dai viaggiatori europei del Grand Tour dell’800. Lo pensiamo tutti: l’Italia dovrebbe vivere di turismo. O come dice Baccuini: «L’Italia non è una Repubblica fondata sul turismo, ma dovrebbe esserlo». Come? Lo spiega in un libro, sorprendente e provocatorio già dal titolo: Io sono turismo (Gribaudo, pagine 192, euro 18,90). Io inteso non come Andrea Baccuini. Ma come ciascuno di noi. Ciascun italiano che ogni giorno ha in mano le sorti del nostro Paese, con il suo impegno, le sue idee, il suo fare o non fare. Noi tutti, «supereroi» che amiamo l’Italia e dovremmo finire di dormire sul tesoro che abbiamo e, finalmente, «svegliarci». Se i numeri, anche da record, come quelli di Milano o della Lombardia, anche rispetto alla stagione super del 2019, danno l’impressione di una tenuta e una crescita del turismo, la realtà è più complessa. Baccuini parla di «turismo a metà»: con gli italiani alle prese «con un aumento esponenziale e poco giustificato dei prezzi a fronte di servizi immutati se non peggiorati», e costretti ad accorciare le vacanze; e i visitatori stranieri e osservatori e influencer che arrivano «senza più considerare l’Italia la meta dei sogni», e se ne vanno «delusi», lamentando «disservizi in quantità, affollamento ingestibile, disorganizzazione cronica, prezzi vertiginosi e, in sintesi, una qualità dell’offerta insoddisfacente». Per Baccuini il turismo è «una grande incompiuta diffusa». Di cui occuparci, tutti. Con la consapevolezza del tesoro che abbiamo. E non accontentandoci di avere milioni viaggiatori di massa, ma puntando su un turismo di qualità. Un turismo che conta. Anche alto spendente. «In un paese affetto dal fenomeno dell’overtourism, dobbiamo quindi puntare a un turismo sostenibile – è il messaggio di Matteo Lunelli, presidente Altagamma, nell’introduzione al libro -. Le nostre città d’arte sono ecosistemi fragili, non possiamo più permetterci la crescita infinita dei visitatori: serve un incremento qualitativo, con viaggiatori disposti a scoprire la nostra bellezza e desiderosi di fare esperienze memorabili, con un sistema di servizi mirati al costo che tale scelta comporta». Baccuini indica alcuni mali del sistema («la mancanza di personale a regime, la gestione para-familiare, il mercato nero, l’incapacità nel governo dei flussi, la frammentazione dell’iniziativa turistica, la disabilità ignorata, l’insufficiente mentalità strategica, la scarsa sinergia tra pubblico e privato») e lancia una rivoluzione copernicana del turismo italiano. Idee e soluzioni per una inversione di rotta radicale di un settore che vale il 13% del Pil. A cominciare dalla formazione, con una facoltà ad hoc che già dal nome la dice tutta su come Baccuini voglia andare a fondo al problema: “Medicina del turismo”. Un ateneo dove formare i professionisti in grado di affrontare, a 360°, in grado di “curare” il grande malato, per «non lasciare nulla all’improvvisazione e al caso». Amante delle formule excel, Baccuini si addentra nel mondo dei Data Scientist e Social Tourism per anticipare e seguire passo passo le aspettative del “tur-insta”; lancia l’Italy Pass (una app per raccogliere dati, razionalizzare i flussi turistici e offrire nuove leve di marketing a tutti i player del sistema) e Stagionali.gov (una piattaforma web per ristrutturare la rotazione e la formazione degli addetti impiegati nel turismo, grazie a cui inaugurare una gestione smart del personale e del business). Per chiudere, fra gli altri spunti, con la centralità dell’entertainment: «produrre format e contenuti originali e appealing è oggi imprescindibile per coinvolgere e stimolare i nuovi viaggiatori». Eventi ed esperienze per rendere viva una destinazione, città e siti, luoghi e strutture dell’accoglienza. Prendiamo Pompei, sito simbolo del patrimonio culturale italiano. «Una visita a Pompei merita una meccanica esperienziale degna di un evento eccezionale, strutturata su più attività che possano coinvolgere tutti i sensi del turista. L’accostamento potrebbe sembrare dissacrante, ma il modello Disneyland è quello che fa per noi. Nel rigoroso rispetto delle regole di coerenza storico-culrurale è possibile fare evolvere il livello di narrazione, all’insegna dello stupore: rassegne teatrali in costume, concerti da camera, degustazioni e cene tematiche, visite notturne, proiezioni speciali con ricostruzioni animate in 3D solo per citare qualche esempio. Il concetto di “parco” come luogo di svago in fondo ha radici antiche, risale al Rinascimento e ai cosiddetti giardini d’illusione, spazi dalle fantasiose architetture effimere, labirinti verdi, fontane zampillanti e sculture, animati da momenti di ballo, musica, fuochi d’artificio; fu ai tempi delle Esposizioni Universali ottocentesche che iniziò ad affermarsi la concezione moderna dell’area attrattiva divisa in sezioni tematiche connnotate da spettacolari forme di intrattenimento. Perché allora non riprendere un concetto caro alla nostra cultura e rigenerarlo in chiave contemporanea?». Per Baccuini l’Italia non può più offrire quell’immagine – seppur bella e romantica - degli anni Sessanta: «Non è più interessante». «Lo spirito di volare “felice più in alto del sole e ancora più su” presuppone un cambio di passo all’italiana, con il nostro know-how che non sfiorirà mai, il saper godere del bello e del buono, il gusto delle piccole cose, il nostro gesticolare, gli abbracci, la lentezza, le emozioni, il rialzarsi con grinta e ottimismo. È il momento di puntare su noi stessi, farlo senza imbarazzo: è il tempo di prendere la nostra gioia di vivere e di venderla al mondo come noi sappiamo fare al grido di Welcome to Italy, happiness live here!». L’Italia, il luogo della felicità. Forse il problema è tutto qui. Forse i mali del turismo sono i mali del Paese. Che arranca nel suo andare, non sa più sostenere i sogni dei giovani e i progetti delle famiglie, ha perso quel sorriso e quella leggerezza di una volta, nelle città e nei piccoli borghi. Come sostiene uno dei padri della sostenibilità, Carlo Petrini, «l’attrazione turistica non può funzionare a lungo, se in primis gli abitanti non vivono bene e non sono felici». Alla base dell’accoglienza ci sono «comunità felici». Che sorridono. Non solo per un selfie.
avvenire.it

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